Spese processuali e tributi: su chi gravano gli oneri fiscali successivi alla sentenza?

Tra le spese giudiziarie da porre a carico della parte soccombente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., va compresa l’imposta di registrazione della sentenza. Diverso è, invece, il regime dei tributi riguardanti atti da registrare in termine fisso, rispetto ai quali occorre la proposizione di un’autonoma domanda di rimborso.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 7534 dell’1 aprile 2014. Il caso. Una banca ottiene un decreto ingiuntivo sulla base di una cambiale. All’atto della registrazione del provvedimento monitorio, l’ufficio del registro procede alla regolarizzazione della cambiale, pretendendo dall’ingiungente il versamento di quasi diecimila euro a titolo di bollo. Al termine del giudizio di opposizione instaurato dall’ingiunto, quest’ultimo ottiene una parziale riduzione della somma da pagare, al quale però si aggiunge la condanna alla rifusione della metà delle spese di causa, tra le quali quelle a suo tempo liquidate nel decreto ingiuntivo. Passata in giudicato la pronuncia, la banca procede quindi alla notifica del precetto, il quale viene opposto dal debitore sul rilievo che non fosse da lui dovuta la somma pagata dalla controparte per la regolarizzazione della cambiale. L’opposizione, inizialmente respinta, viene poi accolta in sede di gravame instaurato dal medesimo opponente. La pronuncia di secondo grado viene quindi impugnata in sede di legittimità dalla banca. L’imposta di registrazione della sentenza. L’indagine della Suprema Corte è sostanzialmente incentrata sulla ripartizione degli oneri tributari maturati successivamente ad una pronuncia giudiziale contenente una condanna alle spese. In particolare, la Cassazione muove dalla considerazione per cui tra le spese giudiziarie da porre a carico della parte soccombente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., va certamente compresa l’imposta di registrazione della sentenza, la quale è riscossa per la fruizione del servizio pubblico dell’amministrazione della giustizia e trova quindi causa immediata nella controversia. Il regime fiscale degli atti da registrare in termine fisso . Quanto, invece, ai tributi riguardanti atti da registrare in termine fisso, e quindi indipendentemente dall’uso che ne venga fatto in giudizio, la Suprema Corte osserva che, rispetto ad essi, la registrazione della sentenza offre solo l’occasione per la loro emersione sul piano tributario, posto che l’obbligo del pagamento dell’imposta c.d. tassa di titolo sorge direttamente dalla stipulazione del negozio. Da ciò deriva, in primo luogo, che l’incidenza del tributo è determinata dal tipo di rapporto negoziale che esso va a colpire e scaturisce direttamente dalla legge di registro, indipendentemente dall’uso fattone. Il rimborso degli oneri fiscali. Ulteriore corollario del regime fiscale degli atti in parola è che la parte che abbia in concreto provveduto all’adempimento dell’obbligo fiscale in luogo di quella che vi era tenuta – o che essa ritiene esservi tenuta – deve far valere il suo diritto al rimborso proponendo una specifica domanda giudiziale, non essendo all’uopo sufficiente l’inclusione del relativo ammontare nella nota spese giudiziali inclusione invece necessaria e sufficiente per gli oneri relativi ad atti tassabili in caso d’uso . Pertanto, sulla scorta di tali principi, la Suprema Corte rigetta il ricorso della banca, confermando la pronuncia dei Giudici di merito, che correttamente avevano negato che le somme pagate dall’ingiungente per la regolarizzazione fiscale della cambiale, in occasione della registrazione del provvedimento monitorio chiesto e ottenuto sulla base della stessa, potessero essere incluse tra le spese successive occorrende alla cui rifusione era stato condannato l’ingiunto. In altri termini, essendo del tutto autonoma, rispetto agli accessori maturati dopo la sentenza di primo grado, la pretesa creditoria volta al recupero delle spese sostenute per la registrazione della cambiale, quale scrittura privata prodotta in giudizio, la relativa domanda avrebbe dovuto essere autonomamente formulata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 febbraio – 1° aprile 2014, numero 7532 Presidente Russo – Relatore Amendola Svolgimento del processo Il ricorso ha ad oggetto un'opposizione a precetto proposta da A.E. , al fine di contestare la debenza della somma di Euro 9.538,34, a suo tempo pagata da Raiffeisen Landesbank Tirol AG di seguito anche Raiffeisen , per la regolarizzazione fiscale di una cambiale. Il titolo, emesso in Innsbruck, era stato invero posto a base del decreto ingiuntivo numero 127/93, chiesto e ottenuto dalla precettante, per l'importo di L. 164.900.000. Era poi accaduto che, all'atto della registrazione del provvedimento monitorio, l'ufficio del registro aveva proceduto alla regolarizzazione della cambiale, pretendendo dall'ingiungente il versamento della somma di L. 18.468.800, pari a Euro 9.538,34, liquidata a titolo di bollo. Proposta opposizione al provvedimento monitorio, la Corte d'appello di Trento, sez. dist. di Bolzano, con sentenza numero 191 del 2000, aveva condannato l'A. a pagare la somma di L. 96.860.000, oltre interessi, nonché a rifondere alla controparte la metà delle spese di causa, tra le quali quelle a suo tempo liquidate nel decreto ingiuntivo. Tale pronuncia, a seguito del rigetto del ricorso per cassazione contro la stessa proposto, era passata in giudicato. Insorta contestazione tra le parti sul se fossero o meno dovuti dall'A. determinati importi pretesi da Raiffeisen, questa gli notificò allora precetto di pagamento, al quale il precettato si oppose, segnatamente contestando che fosse da lui dovuta la somma di Euro 9.538,34 pagata dalla controparte per la regolarizzazione della cambiale. Resistette la precettante. Sostenne, tra l'altro, che la condanna al rimborso di metà delle spese della fase monitoria, di cui alla sentenza passata in giudicato della Corte d'appello, aveva ad oggetto anche le spese accessorie maturate dopo la chiusura del giudizio e, segnatamente, i tributi relativi ad atti la cui registrazione era richiesta in caso d'uso anziché a termine fisso, ivi comprese, dunque, le spese di registrazione del decreto ingiuntivo poi revocato. L'opposta chiese, in ogni caso, in via riconvenzionale condizionata all'accoglimento dell'opposizione, e cioè per l'ipotesi che si ritenesse la somma contestata non compresa nel titolo esecutivo azionato, la condanna dell'A. al rimborso dell'imposta di bollo a suo tempo pagata. Con sentenza del 19 luglio 2006 il Tribunale di Bolzano rigettò l'opposizione, determinando in Euro 7.155,75, pari a tre quarti della somma pagata dalla Banca, il debito dell'A. e conseguentemente condannando l'opposta a restituire all'opponente quanto dallo stesso corrisposto, nelle more del giudizio, in più del dovuto. Il giudice di prime cure sostanzialmente aderì alla tesi che l'importo pagato per la regolarizzazione della cambiale rientrava tra le spese giudiziali successive al cui rimborso, in ragione della metà, era tenuto l'opponente. Il gravame proposto dall'A. avverso tale pronuncia è stato accolto dalla Corte d'appello che, in data 11 agosto 2007, ha dichiarato nullo il precetto. Ha premesso il decidente che, ai fini del pagamento della tassa di registro e a norma dell'art. 6 del d.P.R. numero 131 del 1986, si ha caso d'uso, tra l'altro, quando un atto viene depositato presso le cancellerie giudiziarie per essere acquisito al processo, salvo che il deposito avvenga per adempiere a un obbligo imposto dall'amministrazione dello Stato o di Enti pubblici territoriali. Ha precisato quindi che tanto si era appunto verificato nella fattispecie, a nulla rilevando che la cambiale non fosse stata utilizzata come titolo esecutivo. Ha poi rilevato che soltanto nel decreto ingiuntivo a suo tempo emesso, si menzionavano, come oggetto di condanna, le spese successive occorrende . E invero, la sentenza della Corte d'appello, il cui dictum era alla base del precetto, condannando l'A. a rifondere all'appellata la metà delle spese di lite, spese liquidate per l'intero a nel decreto ingiuntivo numero 127/93 del 28 gennaio 1993 del Tribunale di Bolzano , si era limitata a rimandare alla liquidazione a suo tempo compiuta dal giudice del provvedimento monitorio, di talché, in tale contesto, non vi erano altri elementi per verificare la congruenza tra titolo esecutivo azionato e voci esposte nel precetto. Secondo il decidente, contrariamente all'opinione espressa dal giudice di prime cure, doveva tuttavia escludersi che la somma pretesa dall'opposta fosse inclusa esplicitamente o implicitamente, tra quelle dovute dall'A. in base alla pronuncia numero 191 del 2000 posta in esecuzione da Raiffeisenumero Quanto alla mancanza di una statuizione esplicita, ha evidenziato il giudice d'appello che, mentre l'A. , opponendosi al decreto ingiuntivo non aveva affatto l'esigenza di contestare la debenza della somma poi precettata, in quanto rimasta estranea alla fase monitoria, nel giudizio a cognizione piena, l'opposta aveva espressamente chiesto, sia in primo grado che in appello, la condanna dell'ingiunto al pagamento dell'esborso in contestazione, senza che il decidente nulla statuisse espressamente al riguardo. Conseguentemente, non avendo impugnato per difetto di pronuncia, il silenzio serbato dalla Corte d'appello sul punto, la precettante non poteva pretendere di recuperare l’importo domandato e non riconosciuto, attraverso il dispositivo del decreto ingiuntivo, nella parte in cui richiamava le spese successive occorrende . Il giudicante ha altresì escluso che nel titolo azionato fosse ravvisabile una condanna implicita al pagamento preteso da Raiffeisen, non potendosi ritenere compresa nella domanda di condanna alla rifusione delle spese di lite, quella di rimborso delle spese di registro e di regolarizzazione fiscale della cambiale. Ha ricordato, in proposito, che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, la domanda avente ad oggetto il rimborso delle spese sostenute per la registrazione di una scrittura privata, prodotta in giudizio come prova documentale, non riguardando un accessorio maturato dopo la sentenza di primo grado, bensì una autonoma pretesa da far valere con specifica istanza giudiziale, non può essere proposta per la prima volta nel corso del giudizio di appello confr. Cass. civ. 20 maggio 1994, numero 4992 . Né - ha aggiunto - la tesi dell'opposta poteva trovare fondamento nella distinzione tra atti da registrarsi in caso d'uso e atti da registrarsi a tassa fissa, posto che tra le spese giudiziali soggette alla disciplina di cui agli artt. 90 e segg. cod. proc. civ. potevano ricomprendersi solo i tributi relativi ad atti la cui registrazione era richiesta in caso d'uso e la cui debenza era maturata dopo la sentenza di primo grado, non anche quelli relativi ad atti da registrarsi a termine fisso e in relazione ai quali l'obbligo di pagare il tributo scaturiva direttamente dalla legge di registro, indipendentemente dall'uso fattone. In relazione a tali atti, dunque, non era sufficiente, per ottenerne dalla controparte la rifusione, l'inclusione del relativo ammontare nella nota spese giudiziali inclusione che era invece necessaria e sufficiente per gli oneri relativi ad atti tassabili in caso d'uso , occorrendo la proposizione di espressa domanda di rimborso. Non a caso la giurisprudenza aveva opportunamente evidenziato che solo alcuni dei diritti di registro riscossi sulle sentenze rientravano tra le tasse giudiziali, alla cui rifusione era tenuto il soccombente, ex art. 91 cod. proc. civ., dalle stesse escludendo la tassa di titolo, ancorché l'amministrazione provvedesse a riscuoterla sulla sentenza. In definitiva, secondo il decidente, considerato che nella fattispecie la cambiale era stata utilizzata non già come titolo esecutivo, ma come prova nell'ambito di un giudizio di cognizione, doveva ritenersi che l'onere corrisposto all'ufficio del registro avesse natura di tassa di titolo, inidonea, in quanto tale, a essere ricompresa nelle spese processuali consequenziali. Avverso detta pronuncia Raiffeisen Landesbank Tirol AG propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati anche da memoria. Resiste con controricorso A.E. . Motivi della decisione 1.1 Con il primo motivo l'impugnante denuncia violazione degli artt. 91, 99 e 112 cod. proc. civ. 75 disp. att. cod. proc. civ., ex art. 360, numero 4, cod. proc. civ Secondo l'esponente la Curia territoriale avrebbe tratto dall'osservazione, di per sé corretta, secondo cui per i tributi dovuti in relazione ad atti da registrarsi in termine fisso non è sufficiente la loro inclusione nelle spese giudiziali, occorrendo una specifica domanda di rimborso, l'errata conclusione che, per i tributi relativi ad atti da registrarsi in caso d'uso, sarebbe in ogni caso necessaria l'inclusione del relativo importo nella nota spese. Conseguentemente il giudice d'appello, affermando che, ai fini della condanna al rimborso delle spese successive sia comunque necessaria la loro inclusione nella nota spese, avrebbe violato gli artt. 91 cod. proc. civ., in relazione agli att. 99 e 112 cod. proc. civ In ogni caso, assume, intervenuta condanna alle spese, ex art. 91 cod. proc. civ., sarebbero ripetibili non solo l'imposta di registro per la sentenza propriamente detta, ma anche le imposte dovute in relazione ad atti depositati in cancelleria e da registrarsi in caso d'uso, laddove la Corte d'appello aveva erroneamente affermato che era a tal fine necessaria l'esatta liquidazione del tributo nel dispositivo di condanna. 1.2 Con il secondo mezzo, lamentando violazione dell'art. 91 cod. proc. civ., ex art. 360, numero 4, cod. proc. civ., la ricorrente contesta l'affermazione della Corte territoriale secondo cui il tributo per cui è causa non rientrerebbe nel novero delle spese di lite, ma sarebbe tassa di titolo, evidenziando, in proposito, che la banca non aveva tout court intrapreso l'esecuzione, ma aveva utilizzato la cambiale come prova del suo diritto nell'ambito di un giudizio di cognizione, di talché essa andava equiparata ad una convenzione. Tali affermazioni non terrebbero conto dell'ulteriore distinzione tra atti da registrare in termine fisso e atti da registrare solo in caso d'uso, tra i quali rientrerebbe la cambiale, il cui tributo andrebbe pertanto annoverato tra le spese di lite ex art. 91 cod. proc. civ., indipendentemente dalla sua qualificazione come tassa di registrazione o tassa di titolo. 1.3 Con il terzo motivo l'impugnante deduce violazione degli artt. 91, 92, 112 cod. proc. civ., ex art. 360, numero 4, cod. proc. civ., nonché dell'art. 1298 cod. civ., ex art. 360, numero 3, cod. proc. civ Oggetto delle critiche è la mancata enucleazione di una pronuncia implicita sulla domanda di rifusione del tributo in contestazione, benché la sentenza definitiva nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, avesse condannato l'opponente al pagamento di metà delle spese liquidate nel decreto ingiuntivo, ove erano espressamente richiamate quelle successive occorrende . In tale contesto - assume l'esponente - una volta appurato che il tributo relativo a un atto da registrarsi in caso d'uso segue le sorti della regolamentazione degli oneri economici del processo, ex art. 91 cod. proc. civ., tale tipo di pronuncia ricomprenderebbe senz'altro l'imposta liquidata sulla cambiale. 2 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondate. Occorre muovere dalla considerazione che tra le spese giudiziarie da porre a carico della parte soccombente, ai sensi dell'art. 91 cod. proc. civ., va certamente compresa l'imposta di registrazione della sentenza, la quale è riscossa per la fruizione del servizio pubblico dell'amministrazione della giustizia e trova quindi causa immediata nella controversia, laddove diverso è il regime dei tributi riguardanti atti da registrare in termine fisso, e quindi indipendentemente dall'uso che ne venga fatto in giudizio. Rispetto a tali atti, invero, la registrazione della sentenza offre solo l'occasione per la loro emersione sul piano tributario, posto che l'obbligo del pagamento dell'imposta - c.d. tassa di titolo - sorge direttamente dalla stipulazione del negozio. Non a caso, già l'art. 72 della legge 30 dicembre 1923, numero 3269, avvertiva che, quando le sentenze pronunziano su domande che si basano su convenzioni non ridotte in iscritto o per le quali non siano enunciati titoli registrati, si applica, oltre alla tassa dovuta sulla sentenza, anche la tassa alla quale la convenzione avrebbe dovuto assoggettarsi secondo la sua natura, se fosse stata precedentemente registrata. Ne consegue, da una parte, che l'incidenza del tributo è determinata dal tipo di rapporto negoziale che esso va a colpire, venendo ad esempio in rilievo, ove si tratti di compravendita, la disciplina dettata dall'art. 1475 cod. civ. e, dall'altra, che la parte che abbia in concreto provveduto all'adempimento dell'obbligo fiscale in luogo di quella che vi era tenuta - o che essa ritiene esservi tenuta - deve far valere il suo diritto al rimborso proponendo una specifica domanda giudiziale, cosi da provocare il contraddittorio sull'obbligo e sui limiti del rimborso confr. Cass. civ. 12 marzo 1990, numero 2013 Cass. civ. 20 maggio 1994, numero 4992 Cass. civ. 22 giugno 2000, numero 841 Cass. civ. sez. unumero 4 ottobre 1974, numero 2594 Cass. civ. 13 dicembre 1969, numero 3946 . 3 Ora, a tali principi, sostanzialmente pacifici nella giurisprudenza di questa Corte, si è attenuto il decidente allorché ha negato che le somme pagate dall'ingiungente, per la regolarizzazione fiscale della cambiale, in occasione della registrazione del provvedimento monitorio chiesto e ottenuto sulla base della stessa, potessero essere incluse tra le spese successive occorrende alla cui rifusione era stato condannato l'ingiunto. Ed è appena il caso di evidenziare che, in siffatto contesto, l'assunto secondo cui l'inclusione degli oneri relativi ad atti tassabili in caso d'uso nella nota spese costituirebbe condizione necessaria e sufficiente per ottenerne il rimborso - assunto contro il quale segnatamente si appuntano le critiche svolte nel primo mezzo - è al postutto nulla più che un obiter dictum , in quanto estraneo alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, incentrata sull'assoluta autonomia, rispetto agli accessori maturati dopo la sentenza di primo grado, della pretesa creditoria volta al recupero delle spese sostenute per la registrazione della cambiale, quale scrittura privata, prodotta in giudizio, e della conseguente giustiziabilità della stessa solo a mezzo di specifica domanda. 4 Si prestano a essere esaminati congiuntamente i successivi due motivi di ricorso. Con il quarto mezzo l'impugnante prospetta violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., ex art. 360, numero 4, cod. proc. civ. Evidenzia che la Banca, nel giudizio di opposizione a precetto, aveva espressamente formulato domanda riconvenzionale condizionata all'accoglimento dell'avverso mezzo, ovvero per l'ipotesi che si ritenesse l'importo precettato non coperto dal titolo esecutivo. Siffatta richiesta, ritenuta assorbita dal Tribunale, in ragione del rigetto della opposizione, era stata reiterata in sede di gravame, senza che nulla il giudice d'appello disponesse sul punto. Le censure mettono capo al seguente quesito Viola l'art. 112 cod. proc. civ. il giudice che, accogliendo in parte qua un'opposizione all'esecuzione, ometta di pronunciare su una domanda di condanna proposta dall'opposta in via riconvenzionale subordinata, proprio per l'ipotesi di accoglimento dell'opposizione? . Con il quinto motivo, in subordine, rispetto al motivo precedente, la ricorrente denuncia violazione dell'art. 132, numero 4, cod. proc. civ., ex art. 360, numero 4, cod. proc. civ., nonché, in ulteriore subordine, degli att. 2909 cod. civ., 99 e 112 cod. proc. civ., 1298 e 1299 cod. civ Sostiene che, ove si ritenga che la sentenza impugnata abbia implicitamente rigettato la domanda riconvenzionale svolta dalla Banca, la pronuncia è censurabile per totale difetto di motivazione ove invece, dalle considerazioni in essa svolte, si tragga il convincimento che, secondo la Corte territoriale, la mancata impugnazione della omessa pronuncia abbia comportato giudicato negativo nel merito, impedendo la riproposizione della domanda, allora la motivazione è erronea, in punto di diritto. Infine - deduce - a fronte della domanda di rimborso del tributo per cui è causa, il giudice a quo avrebbe dovuto applicare gli artt. 1298 e 1299 cd. civ., in base ai quali l'obbligazione in solido si divide nei rapporti interni tra i debitori, in misura eguale, salvo diversa convenzione, e il debitore che ha pagato può ripetere dai condebitori la parte da ciascuno degli stessi dovuta. Formula i seguenti quesiti viola l'art. 132, numero 4, cod. proc. civ., il giudice che ometta qualsivoglia motivazione in diritto in ordine alla omissione di pronuncia su una domanda, per ipotesi qualificabile come rigetto implicito di predetta domanda? viola l'art. 2909 cod. civ., con riferimento gli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., il giudice che, alla luce di una non impugnata omessa pronuncia, su una domanda, non collegata indissolubilmente ad altre domande esaminate, rigetti, la medesima domanda riproposta ex novo in separato procedimento, con la motivazione che su tale domanda si sia formato il giudicato? viola gli artt. 1298 e 1299 cod. civ. il giudice che rigetti la domanda di rimborso, nella misura della metà, di un tributo, proposta dal debitore in via di regresso nei confronti dell'altro condebitore solidale, con la motivazione che tale tributo non rientri nel concetto di spese di lite, ex art. 91 cod. proc. civ., liquidate in precedente sentenza divenuta definitiva? 5 Le critiche incorrono nella sanzione dell'inammissibile per assoluta astrattezza e incongruità del quesiti di diritto formulati a chiusura delle stesse e, quanto alla violazione della normativa in materia di obbligazioni solidali, anche per la novità della questione. Va premesso che il ricorso - avuto riguardo alla data della pronuncia successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009 - è soggetto, in forza del combinato disposto degli artt. 27, comma 2, del d.lgs. 2 febbraio 2006, numero 40, e 58 della legge 18 giugno 2009, numero 69, alla disciplina dettata dagli artt. 360 cod. proc. civ. e segg., come modificati per effetto del menzionato d.lgs. numero 40 del 2006. Ad esso si applica pertanto l'art. 366 bis cod. proc. civ., attesa l'univoca volontà del legislatore di assicurare ultraattività a tale norma, anche dopo la sua formale abrogazione per tutte, v. espressamente Cass. civ. 27 gennaio 2012, numero 1194 . Ora, come è stato correttamente evidenziato, in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l'indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all'art. 366 bis, prima parte, cod. proc. civ., consiste nell'imposizione, al patrocinante che materialmente redige l'atto, di una sintesi originale e autosufficiente della censura, funzionalizzata alla formulazione immediata e diretta del principio di diritto che si chiede alla Corte di affermare e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità Cass. civ. ord. 24 luglio 2008, numero 20409 e più di recente Cass. civ. 5 luglio 2011, numero 14771 . Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso, la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima il diverso principio di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, con la precisazione che all'ipotesi in cui manchi il quesito va assimilata quella in cui il quesito sia inconferente ovvero si risolva in un'enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione della fattispecie concreta e tale, quindi, da non consentire una risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, tenuto conto che neppure è possibile desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo Cass. civ., Sez. Unite, 11 marzo 2008, numero 6420 . Ciò in quanto il quesito di cui all'art. 366 bis cod. proc. civ., rappresentando il punto di sutura fra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio generale, non può esaurirsi nella mera affermazione di una regola astratta, ma deve presentare uno specifico collegamento con la fattispecie concreta, nel senso che deve raccordare la prima alla seconda, nonché alla decisione impugnata, in modo da indicare la discrasia con riferimento alle specifiche premesse di fatto, essendo evidente che una medesima affermazione può essere esatta in relazione a determinati presupposti ed errata rispetto ad altri. 6 Venendo al caso di specie, le critiche partono dal rilievo che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, qualora il giudice di merito ometta di pronunciare su una domanda e non ricorrano gli estremi di una sua reiezione implicita, né risulti che essa domanda sia rimasta assorbita dalla decisione di altra domanda, la parte ha la facoltà alternativa di fare valere la omissione in sede di gravame o di riproporre la domanda in separato giudizio, posto che la presunzione di rinuncia di cui all'art. 346 cod. proc. civ. ha valore meramente processuale e non anche sostanziale confr. Cass. civ. numero 10029 del 1998 . Sennonché i quesiti che suggellano l'esposizione dei motivi di ricorso in esame sono del tutto astratti e tautologici, atteso che essi, orbi di qualsivoglia riferimento alla riconvenzionale condizionata a suo tempo spiegata e alle argomentazioni sensibili svolte dal decidente nella sentenza impugnata, non offrono una sintesi utile delle questioni che la Corte è chiamata a risolvere, e cioè se la Curia territoriale abbia omesso di provvedere sulla domanda di condanna dell'opponente al rimborso dell'imposta a suo tempo pagata dall'opposta Banca, ovvero se vi sia stata una statuizione implicita di rigetto, non motivata e comunque erronea alla luce delle norme richiamate dall'esponente. Ne deriva che la risposta positiva ai quesiti - peraltro scontata - non sarebbe di alcuna utilità all'impugnante, perché si risolverebbe nella enunciazione di principi di diritto la cui operatività, nella fattispecie, resterebbe ancora tutta da verificare. 7 A ciò aggiungasi che la questione relativa al preteso malgoverno delle norme civilistiche che presiedono ai rapporti interni tra debitori e creditori solidali non è trattata nella sentenza impugnata. Ne deriva che, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, aveva l'onere non solo di allegarne l'avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, numero 20518 Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, numero 18440 . E invero i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, di modo che, salvo che si prospettino profili rilevabili d'ufficio, è preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali confr. Cass. civ., sez. 1, 13 aprile 2004, numero 6989 . In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato. Segue la condanna del ricorrente Istituto al pagamento delle spese di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi , oltre IVA e CPA, come per legge.