Partito in rosso, la Banca bussa a denari: quali amministratori sono salvi?

Nodo gordiano è quello relativo all’applicazione del salvacondotto” previsto, a norma di legge, per gli amministratori del partito. La categoria degli amministratori, però, non va intesa in senso eccessivamente ampio l’esonero dalla responsabilità vale solo per chi ha operato in una veste tale da essere considerato amministratore in base allo statuto.

Oltre 2miliardi e 500milioni di vecchie lire ecco il ‘piatto’ nella ‘partita a poker’ tra partito politico e Banca. Quella cifra è frutto di alcune aperture di credito per il partito, e di un piano di rientro quinquennale, poggiato sui contributi statali erogati al partito, non portato a termine. Nodo gordiano, ora, è quello relativo alla ‘responsabilità’ per quel debito. E su questo punto l’indicazione – da parte del Palazzaccio – è chiara è vero, è previsto l’esonero, degli amministratori dei partiti e movimenti politici, dalla responsabilità per le obbligazioni contratte in nome e per conto di tali organizzazioni , ma l’esonero dalla responsabilità opera solo per le obbligazioni assunte, in nome e per conto del partito, da chi operi in una veste tale da poter essere considerato amministratore in base allo statuto dell’ente, mentre continua a rispondere chi assume obbligazioni essendo privo di tale veste statutaria Cass., sent. n. 7521/2014, Terza Sezione Civile, depositata oggi . Denari. Corposo il credito vantato dalla Banca 2miliardi e 581milioni di lire. A dover pagare ‘allargare i cordoni della borsa’ è il ‘Partito socialista democratico italiano’. Più in dettaglio, vengono chiamati in causa non solo il partito, ma anche i segretari amministrativi e i capi dei gruppi parlamentari . Ma questa visione, delineata in primo grado, viene messa in discussione dalla Corte d’Appello, laddove viene ricordato che, norme alla mano – con preciso riferimento all’articolo 6 bis della legge numero 157 del 1999 –, i creditori dei partiti e dei movimenti politici, partecipanti ad elezioni per il Parlamento nazionale, per quello europeo o per i consigli regionali, non possono pretendere direttamente dagli amministratori dei medesimi l’adempimento delle obbligazioni del partito o del movimento politico, se non qualora questi ultimi abbiano agito con dolo o colpa grave . In sostanza, nel partito, secondo i giudici, va individuato l’unico soggetto legittimato a rispondere dei debiti assunti per le attività da esso messe in atto. Chi paga? Ma la prospettiva tracciata in secondo grado è messa, ora, seriamente in discussione dai giudici del Palazzaccio, i quali, accogliendo le obiezioni mosse dalla Banca, ritengono sia da valutare in maniera più restrittiva l’ esonero di responsabilità previsto per gli amministratori dei partiti e dei movimenti politici . Più precisamente, secondo i giudici, nulla consente di ritenere che la parola ‘amministratori’ sia volta ad indicare chiunque abbia assunto obbligazioni verso i terzi in nome e per conto del partito , quindi è logico ipotizzare che con quell’espressione si sia inteso designare coloro cui fa capo la gestione ed, almeno di regola, la rappresentanza statutaria dell’ente coloro, cioè, che istituzionalmente siano investiti di compiti amministrativi del partito e come tali agiscano e si presentino anche all’esterno . Detto in maniera chiara, per i giudici l’ esonero di responsabilità vale solo per i soggetti ai quali la gestione del partito fa capo stabilmente e per incarico istituzionale . Proprio per questo, va presa nuovamente in esame – ovviamente in Corte d’Appello – la posizione dei segretari amministrativi e dei capi dei gruppi parlamentari rispetto alle pretese creditorie della Banca.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 gennaio – 1° aprile 2014, 7521 Presidente Russo – Relatore Rubino Svolgimento del processo Con atto notificato nel marzo 1997 la Banca di Roma s.p.a. citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Partito Socialista Democratico Italiano in prosieguo indicato come PSDI ed alcuni suoi esponenti i sigg. F.N. ed A.C., che di quel partito erano stati in tempi diversi segretari politici, i sigg. A.C. e G.C., che pure in tempi diversi avevano ricoperto la carica di segretario amministrativo, ed i sig.ri F.C. e V.B.P., che erano stati a capo, rispettivamente, del gruppo parlamentare del PSDI alla Camera dei deputati ed al Senato. La Banca di Roma affermò di essere creditrice del PSDI per l'importo di L. 2.581.583.430 in conseguenza di diverse aperture di credito in conto corrente concessegli dal marzo 1986 al 1987 su richiesta dell'allora segretario amministrativo del partito sig. C.G., quando la carica di segretario politico era ricoperta dal sig. N.F. Nel luglio 1989 i sigg.ri C., C.A. , C.F. e B.P., nelle suindicate loro qualità, avevano proposto alle varie banche creditrici di sottoscrivere un accordo in cui, previo risconoscimento dei debiti del partito, se ne prevedeva la sistemazione mediante la sottoscrizione di un piano di rientro quinquennale, da finanziare consentendo alla banca di incassare e trattenere gli erogandi contributi statali in favore del Partito, accordo accettato dalla Banca di Roma come dagli altri istituti creditori del PSDI. Per i primi quattro anni l'accordo fu regolarmente adempiuto, mentre non venne pagata l'ultima tranche, probabilmente a causa della intervenuta abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti. La Banca di Roma, muovendo dal presupposto che i firmatari di tale accordo avessero anche prestato una garanzia personale e solidale per l'adempimento dell'indicato piano di sistemazione, chiese la condanna solidale in proprio favore sia del partito che dei suoi segretari che dei firmatari dell'accordo. Il Tribunale di Roma, con sentenza numero 1802 del 2002, condannò in solido il PSDI, F.C., A.C. e V.B.P. al pagamento in favore dell'istituto di credito della richiesta somma di lire 2.581.538.430, maggiorata di interessi dal 1994 rigettò invece la domanda proposta dalla Banca di Roma nei confronti di F.N., A.C. e G.C. Impugnata la sentenza di primo grado da parte di C., B.P. e C., nonché da parte di Capitalia, subentrata a Banca di Roma, la Corte d'appello di Roma, con sentenza numero 2160 del 21 maggio 2009, premesso che nelle more del giudizio era entrato in vigore l'art. 6 bis della legge numero 157 del 1999, introdotto dall'art. 39 quaterdecies, comma 2 lettera d della legge 23.2.2006 numero 51, respingeva l'appello proposto da Capitalia s.p.a. già Banca di Roma e, in accoglimento dell'appello proposto da C.A., B.P.V. e C.F. respingeva la domanda proposta nei loro confronti dalla Banca di Roma s.p.a., ora Capitalia. In particolare, la corte territoriale faceva immediata applicazione della nuova disposizione introdotta con l'art. 6 bis alla legge numero 157 del 1999, applicabile per espressa previsione contenuta nel terzo comma dello stesso articolo ai giudizi in corso, a norma della quale i creditori dei partiti e movimenti politici partecipanti ad elezioni per il Parlamento nazionale, per quello europeo o per i consigli regionali non possono pretendere direttamente dagli amministratori dei medesimi l'adempimento delle obbligazioni del partito o del movimento politico se non qualora questi ultimi abbiano agito con dolo o colpa grave . La corte territoriale riteneva che la norma avesse inteso individuare nel partito l'unico soggetto legittimato a rispondere dei debiti assunti per le attività dello stesso, e di conseguenza dava una interpretazione assai ampia del termine atecnico amministratori , utilizzato dalla legge, comprensiva cioè non solo di coloro che avessero rivestito la carica formale di amministratori all'epoca della assunzione delle obbligazioni ma anche dei soggetti che si assumeva avessero agito in nome e per conto del partito e che sarebbero stati perciò tenuti al pagamento, secondo le ordinarie regole in materia di obbligazioni. Sulla base della sopravvenuta normativa e di tale lata interpretazione della norma, affermando che non fosse emersa alcuna prova di un comportamento gravemente colposo o doloso in capo ai soggetti che ebbero a contrarre le obbligazioni e ritenendo assorbito l'esame dei motivi di appello proposti dalla banca, la corte territoriale riformava la sentenza di primo grado rigettando la domanda della banca anche nei confronti del C., del C. e della B.P. e confermando il rigetto della domanda nei confronti del N., del C. e del C. già disposto in primo grado. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Aspra Finance s.p.a. quale cessionaria dei crediti di UniCredit s.p.a. subentrata a Capitalia e per essa Unicredit Credit Management Bank s.p.a., formulando cinque motivi di censura. Hanno resistito, con separati controricorsi, i sigg. C.G., C.F. e V.C., in qualità di erede di A.C I sig. N. e C., nonché il P.S.D.I., regolarmente intimati, non hanno svolto attività difensiva. La signora B.P., anch'essa regolarmente intimata, ha depositato soltanto procura alle liti. La signora V.C. ha depositato memoria a norma dell'art. 378 c.p.c Motivi della decisione Preliminarmente, va esaminato il motivo di inammissibilità del ricorso principale sollevato da V.C Nel proprio controricorso, V.C., che si costituisce in qualità di erede del defunto onorevole A.C., eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso notificato il 2 luglio 2010 all'onumero A.C. presso l'avvocato ove aveva eletto domicilio per il giudizio di appello, in quanto notificato dopo la morte della parte, verificatasi il 20 febbraio 2010, per difetto di evocazione nel presente giudizio di impugnazione della giusta parte. Effettivamente il motivo è fondato, in quanto, come già affermato da questa corte di legittimità a sezioni unite, ponendo fine ad un ripetuto contrasto giurisprudenziale, L'atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell'evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente ove l'impugnazione sia proposta invece nei confronti del defunto, non può trovare applicazione la disciplina di cui all'art. 291 cod. proc. civ. Principio enunciato dalla S.C. in riferimento ad un giudizio iniziato in epoca anteriore alla legge 26 novembre 1990, numero 353 Cass. S.U. numero 26279 del 2009 . La inammissibilità della impugnazione, notificata alla parte deceduta, non può ritenersi sanata dalla costituzione dell'erede, in quanto essa è avvenuta mediante notifica del controricorso oltre un anno dopo la pubblicazione della sentenza , termine ultimo entro il quale può avvenire la sanatoria sentenza pubblicata il 21.5.2009, - controricorso notificato il 21.9.2010 , come indicato sempre da Cass. numero 26279 del 2009, che richiama Cass. numero 11394 del 1996. Ne consegue che la sentenza della corte d'appello di Roma impugnata è definitivamente passata in giudicato in riferimento alla posizione dell'onumero A.C Con il primo motivo di ricorso, la banca ricorrente chiede la remissione alla Corte di Giustizia dell'art. 6 bis della legge numero 157 del 1999 introdotto dall'art. 34 quaterdecies comma 2 lett. D della legge 23.2.2006 numero 51, che ha disposto che i creditori dei partiti e dei movimenti politici non possono pretendere direttamente dagli amministratori dei medesimi l'adempimento delle obbligazioni del partito e movimento politico se non qualora questi ultimi abbiano agito con dolo o colpa grave nella interpretazione di esso data dalla Corte d'appello con la sentenza impugnata, numero 2160 del 2009 perché ne esamini il contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 87 e ss. del trattato CE relative alla incompatibilità con il mercato comune degli aiuti concessi dagli Stati sotto qualsiasi forma allorchè gli stessi creino un ingiustificato regime di favore nei confronti di alcuni soggetti e\o persone giuridiche operanti in uno Stato membro a discapito dei medesimi soggetti e\o persone giuridiche operanti in altro Stato membro. In particolare, sostiene il ricorrente, l'ingiustificato esonero di responsabilità in favore degli amministratori dei partiti politici e movimenti politici che abbiano contratto obbligazioni in loro nome e per conto si traduce sostanzialmente in un aiuto di natura economica incompatibile con il dettame degli artt. 87 e 88 del Trattato CE, in quanto pone illegittimamente tali amministratori in una posizione privilegiata e di assoluto favore rispetto ai loro omologhi degli altri stati membri. Il motivo va rigettato. In relazione alla richiesta di rinvio per interpretazione pregiudiziale alla Corte di Giustizia occorre premettere che è ben vero che il testo dell'art. 267 TFUE pone una distinzione tra giudici di merito e giudici di ultima istanza dalla quale sembra far discendere che, in caso il rinvio per pregiudizialità sia richiesto al giudice di ultima istanza, esso non sia libero di valutare se rimettere o meno la questione di pregiudizialità all'esame della Corte di Giustizia, ma sia tenuto ad effettuare la rimessione Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte . Tuttavia, tale obbligo di rimessione non può essere letto come implicante l'indiscriminato rinvio, da parte della corte di legittimità, alla Corte di Giustizia di qualsiasi questione pregiudiziale di interpretazione di norme dell'Unione che venga sollevata dalle parti, anche se non motivata, priva di rilevanza nel caso concreto o manifestamente infondata. La più recente giurisprudenza di legittimità ha recentemente affermato a sezioni unite, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità. Nella specie, il ricorrente aveva chiesto il rinvio alla Corte di Giustizia con riguardo alle disposizioni del Trattato aventi ad oggetto la materia del recupero dei contributi comunitari e la possibilità per gli Stati membri di perseguire la tutela di pregiudizi dell'erario europeo le S.U. hanno disatteso l'istanza evidenziando, tra l'altro, che la suddetta richiesta concretizzava una anomala sollecitazione alla Corte di Giustizia a riconsiderare la propria consolidata giurisprudenza Cass. S.U. numero 20701 del 2013 . Può dirsi che la Corte di legittimità, dinanzi alla quale venga sollevata la questione di rimessione per pregiudizialità alla Corte di Giustizia affinché dia l'interpretazione di norme dell'Unione Europea, ha un potere-dovere di delibare la questione, al fine di impegnare la Corte di Giustizia soltanto con questioni che siano effettivamente rilevanti e necessarie ai fini della decisione, ovvero che siano pertinenti e rilevanti nel caso concreto, non siano già state sollevate in riferimento a fattispecie analoghe Cass. numero 4667 del 2012 , non siano manifestamente infondate Cass. numero 15003 del 2013 e non siano volte impropriamente a sollecitare un mutamento di un consolidato orientamento giurisprudenziale da parte della Corte di Giustizia in senso favorevole al richiedente Cass. S.U. numero 20701 del 2013 . Nel caso di specie, la questione è manifestamente infondata in quanto ciò che prospetta il ricorrente è una violazione della normativa comunitaria l'art. 87 del Trattato CE ora art. 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea che prevede l'incompatibilità con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, degli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni falsino o minaccino di falsare la concorrenza . Si tratta di una normativa dettata per tutelare la libera concorrenza negli scambi commerciali tra stati membri, che si applica quando uno Stato membro pratichi un regime di particolare favore a vantaggio di talune imprese o produzioni in modo tale da favorirle a discapito di analoghe imprese di altri Stati operanti nel medesimo settore di mercato. Il concetto di impresa nell'ambito dell'Unione fa riferimento alla nozione economica, comune agli Stati, di entità che eserciti un'attività economica volta alla produzione o allo scambio di beni e servizi, piuttosto che alla nozione giuridica, che può variare da Stato a Stato. E' evidente che un partito politico non sia riconducibile neppure a questa lata accezione di impresa, non esercitando alcuna attività economica né imprenditoriale e che quindi essi rimangano del tutto al di fuori dell'ambito di applicazione delle norme richiamate. Inoltre, il beneficio concesso, ovvero l'esenzione di responsabilità in favore degli amministratori dei partiti politici, non è idoneo ad alterare la concorrenza o ad incidere sugli scambi comunitari proprio in quanto i partiti politici, non svolgendo attività economica, non operano in un settore del mercato piuttosto che in un altro né tanto meno in regime di concorrenza economica e l'aiuto, in questo caso concesso per consentire ai loro amministratori di operare liberamente, non può incidere su alcun settore di mercato alterandone gli equilibri. Con il secondo motivo di ricorso l'istituto di credito ricorrente solleva eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 6 bis della legge numero 157 del 1999 introdotto dall'art. 39 quaterdecies, comma 2 lett. D della legge 23.2.2006 numero 51, rispetto agli artt. 3, 41 e 42 Cost. Anche questo motivo è infondato. La questione è già stata esaminata e decisa da questa corte che, con sentenza numero 14612 del 2009, dal cui arresto motivazionale sul punto non vi è ragione di discostarsi, l'ha ritenuta manifestamente infondata. Come già osservato da Cass. numero 14612 del 2009, infatti, se è vero che l'esonero da responsabilità degli amministratori dei partiti e movimenti politici, per le obbligazioni contratte in nome e per conto di tali organizzazioni collettive, così come è stato previsto dal citato art. 6-bis, dà vita ad un regime speciale rispetto alla regola generale ricavabile dall'art. 38 c.c., è anche vero che i partiti ed i movimenti politici, pur se giuridicamente riconducibili alla figura delle associazioni non riconosciute, hanno innegabilmente caratteristiche e finalità affatto peculiari. Basta a dimostrarlo l'espresso richiamo contenuto nell'art. 49 Cost., che istituisce un chiaro collegamento tra l'attività dei partiti, in cui tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, ed il metodo democratico con il quale si determina la politica nazionale. Di modo che la previsione di regole peculiari, destinate ad agevolare l'attività dei partiti in vista del perseguimento delle su accennate loro finalità, non può essere di per sè sola considerata una violazione del canone di uguaglianza, fintantoché quelle regole appaiano funzionali alla realizzazione del suindicato intento agevolativo e non ledano irragionevolmente contrapposti interessi di pari rango costituzionale. Entro tali limiti, che nel caso in esame non appaiono superati - stante la possibilità per i creditori di ricorrere ad un apposito fondo di garanzia per bilanciare il venir meno della garanzia personale degli amministratori, sulla quale essi avrebbero altrimenti potuto contare in presenza delle condizioni richieste dall'art. 38 c.c. -, la scelta compiuta rientra nella discrezionalità del legislatore e non appare perciò in alcun modo sindacabile. Anche il richiamo agli artt. 41 e 42 Cost., non sembra produttivo, ai fini di dimostrare l'illegittimità della norma in discussione, che di per sè non lede in alcun modo la libera iniziativa economica dei privati. Nè si vede come a diversa conclusione potrebbe condurre il carattere retroattivo, che a tale norma il legislatore ha inteso attribuire con la previsione, contenuta nel terzo comma del predetto articolo, in base alla quale la nuova disciplina è immediatamente applicabile anche ai procedimenti in corso, non essendo per il resto il regime di retroattività incompatibile con disposizioni non aventi contenuto sanzionatorio. Con il terzo motivo di ricorso l'istituto di credito ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 6 bis della legge numero 159 del 1999 introdotto dall'art. 39 quaterdecies, comma 2 lett. D della legge 23.2.2006 numero 51 ai sensi dell'art. 360 numero 3 c.p.c. contestando l'interpretazione lata associata dal giudice di seconde cure alla nozione di amministratori dei partiti atta a ricondurvi non solo i soggetti che, all'interno del partito o del movimento abbiano rivestito la carica di amministratore ma anche tutti quei soggetti che abbiano agito in nome e per conto del partito e che come tali sarebbero tenuti al pagamento in base alle ordinarie regole in tema di obbligazioni. La ricorrente sottolinea che proprio perché l'art. 6 bis introduce una norma eccezionale, derogatoria rispetto alla disciplina civilistica dettata dall'art. 38 c.c., deve essere interpretata restrittivamente e cita a sostegno della sua ipotesi interpretativa le due precedenti letture della norma già fornite da questa corte di legittimità con le sentenze numero 14612 del 2009 e 982 del 2010. Inoltre, la ricorrente lamenta che i giudici di seconde cure, adottando la sopra indicata lata interpretazione della categoria dei soggetti che ex art 6 bis non possono essere gravati di responsabilità per le obbligazioni assunte in nome e per conto dei partiti politici di appartenenza, hanno del tutto omesso di verificare in che veste ciascuno dei soggetti coinvolti abbia assunto le obbligazioni pecuniarie per cui è causa. Il motivo di ricorso è fondato. Come già affermato da questa corte di legittimità con le citate sentenze numero 14612 del 2009 e 982 del 2010, è evidente il carattere eccezionale della disposizione, il che ne esclude ogni possibile applicazione analogica e suggerisce di adottare al riguardo un criterio di stretta interpretazione. Ciò si riflette immediatamente sull'individuazione della portata della norma in esame ed, in particolare, sull'individuazione dei soggetti che, pur avendo assunto obbligazioni in nome e per conto del partito, sono esonerati dalla relativa responsabilità. Il regime generale applicabile alle obbligazioni contratte in nome e per conto di un partito politico, posto che i partiti politici, come già dianzi si accennava, sono di regola riconducibili al genus delle associazione non riconosciute cfr., tra le altre, Cass. numero 17921 del 2007 e numero 26 del 2003 , prevede che delle obbligazioni assunte in loro nome e per loro conto dovrebbero rispondere solidalmente e personalmente oltre all'associazione anche coloro dalla cui azione quelle obbligazioni sono derivate, secondo l'espressa previsione del citato art. 38 c.c Ma siffatta responsabilità - secondo un orientamento giurisprudenziale ben consolidato - non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione o di una qualche carica pubblica all'interno di essa, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori con i terzi, con la conseguenza che chi la invoca in giudizio è gravato dall'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente si vedano, tra le tante, Cass. numero 26290 del 2007, numero 25748 del 2007, numero 718 del 2006, numero 8919 del 2004 e numero 5089 del 1998 . L'esonero di responsabilità ora previsto dalla sopravvenuta disposizione della legge speciale si riferisce, invece, in modo del tutto atecnico, agli amministratori dei partiti e movimenti politici. Nulla consente di ritenere che la parola amministratori , nel menzionato testo di legge, sia volta ad indicare chiunque abbia assunto obbligazioni verso i terzi in nome e per conto del partito. In difetto di altra più specifica menzione, è logico ipotizzare che con quell'espressione il legislatore abbia inteso designare coloro cui fa capo la gestione ed, almeno di regola, la rappresentanza statutaria dell'ente coloro, cioè, che istituzionalmente - in forza di poteri loro attribuiti dall'atto costitutivo o dallo statuto che liberamente disciplina l'ordinamento interno, l'amministrazione e la rappresentanza dell'associazione art. 36 c.c. siano investiti di compiti amministrativi del partito e come tali agiscano e si presentino anche all'esterno. Quel che spiega il suaccennato regime speciale di esonero da responsabilità è, come già accennato, la volontà del legislatore di non far gravare sull'operatività dei partiti le preoccupazioni di carattere personale che potrebbero altrimenti condizionare l'azione di coloro attraverso i quali essi agiscono. Un siffatto intento si giustifica se riferito non già a chiunque di volta in volta eventualmente assuma obbligazioni in nome e per conto dell'ente, bensì soltanto se si tratta dei soggetti ai quali la gestione del partito fa capo stabilmente e per incarico istituzionale. Ne consegue che l'esonero da responsabilità di cui si sta discutendo è destinato ad operare solo con riguardo alle obbligazioni in concreto assunte, in nome e per conto del partito, da un soggetto che operi in veste tale da poter essere considerato amministratore del partito medesimo in base allo statuto dell'ente, nell'accezione sopra richiamata. Non altrettanto può dirsi per le obbligazioni assunte da chi, essendo invece privo di detta veste statutaria e non potendo perciò qualificarsi come amministratore , continuerà a risponderne a norma dell'art. 38 c.c È poi appena il caso di aggiungere che la disposizione esonerativa di cui si sta parlando non può interferire in alcun modo con eventuali obbligazioni di garanzia da chiunque volontariamente assunte verso i creditori del partito. La sentenza impugnata, che utilizza una vasta e indiscriminata nozione di amministratori accomunando in essa sia i soggetti che in concreto hanno agito assumendo obbligazioni in nome e per conto del partito politico, sia chi aveva cariche rappresentative, sia chi a vario titolo si è impegnato per il partito, va cassata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Roma perché, in applicazione del principio di diritto, già enunciato da questa corte Cass. numero 14612 del 2009 quali degli ex esponenti del PSDI coinvolti in causa possa godere dell'esenzione di responsabilità ex art. 6 bis citato nella più ristretta interpretazione fornita da questa corte. Con il quarto motivo di ricorso l'istituto di credito censura ancora la violazione e falsa applicazione fatta dalla corte territoriale dell'art. 6 bis della legge numero 159 del 1999 introdotto dall'art. 39 quaterdecies, comma 2 lett. D della legge 23.2.2006 numero 51 ai sensi dell'art. 360 numero 3 c.p.c. laddove, avendo ritenuto erroneamente applicabile l'esonero da responsabilità previsto dal predetto articolo a tutti i soggetti che abbiano assunto obbligazioni in nome e per conto del partito e non soltanto a coloro che abbiano rivestito la carica formale di amministratori dello stesso, ha altresì affermato che non sussistessero le prove di un comportamento doloso o gravemente colposo dei soggetti indicati, tale da escludere l'applicazione della norma. Ritiene infatti l'istituto di credito che, avendo la corte deciso sulla base del ius superveniens, entrato in vigore nel 2006 rispetto ad una causa iniziata in grado di appello nel 2003, essa avrebbe dovuto rimettere la causa in istruttoria al fine di permettere alle parti, e alla banca in particolare di meglio articolare le proprie difese in relazione ai nuovi campi di indagine introdotti dalla nuova legge, ed in particolare alla configurabilità del dolo o della colpa in capo a chi aveva agito per il partito socialdemocratico, articolando mezzi di prova e producendo documenti , attività che per causa ad essa non imputabile la ricorrente non aveva potuto svolgere all'inizio del giudizio di secondo grado. Anche questo motivo di ricorso è fondato e va accolto. Dalla sentenza di appello emerge effettivamente che la corte ha deciso prendendo in esclusiva considerazione la nuova normativa, entrata in vigore nelle more dell'appello , come riferisce la sentenza impugnata, ovvero successivamente alla costituzione delle parti e allo svolgimento dell'udienza di trattazione ex art. 350 c.p.c., senza che la questione sia stata sottoposta previamente all'attenzione delle parti sollecitando il contraddittorio sul punto e consentendo loro di integrare l'esercizio del diritto di difesa in relazione al nuovo tema di indagine introdotto dalla normativa ed in particolare senza consentire alla banca, appellante ed odierna ricorrente, di offrire la prova in ordine all'esistenza del dolo della colpa grave in capo agli amministratori del PSDI, ovvero di provare il fatto estintivo dell'esonero da responsabilità. Si tratta di una questione del tutto nuova, scaturente esclusivamente dalla nuova normativa e sulla quale la banca non poteva evidentemente aver chiesto, all'inizio del giudizio di appello, di essere ammessa a svolgere nuova attività istruttoria. Non rileva in contrario il fatto che non risulti che la banca abbia chiesto all'udienza di precisazione delle conclusioni di formulare nuove difese o di articolare nuove istanze istruttorie in ordine a questo tema, chiedendo una rimessione in termini alla corte di appello, in quanto la questione non era stata precedentemente discussa né sollevata e non può ritenersi che fosse onere della ricorrente sollecitare in prima persona un possibile allargamento del thema decidendum evidenziando al giudice e a tutte le altre, contrapposte parti del giudizio l'entrata in vigore di una nuova normativa a sé pregiudizievole, allo scopo di poter integrare le proprie difese. E' il giudice che, qualora ritenga di dover porre a base della propria decisione una normativa nuova ma immediatamente applicabile, come nella specie ovvero una questione rilevabile d'ufficio mai in precedenza sollevata nel corso del giudizio , è tenuto a sottoporla preliminarmente all'attenzione delle parti per provocare un pieno contraddittorio anche sull'aspetto non in precedenza esaminato, tanto più quando, come nella specie, dalla nuova normativa scaturisca anche un ampliamento del tema di indagine e il possibile ampliamento del thema probandum a proposito della necessità di sollecitare il contraddittorio sulle questioni rilevabili d'ufficio v. in questo senso Cass. numero 25054 del 2013 e Cass. numero 14039 del 2013 . Anche in accoglimento di questo motivo la sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice di appello affinché in tale sede - in applicazione dell'art. 394, terzo comma, cod. proc. civ. - venga dato spazio alle attività processuali omesse. Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, la banca ricorrente lamenta che la corte territoriale, avendo ritenuto dirimente l'applicazione alla fattispecie sottoposta al suo esame della nuova norma introdotta con l'art. 6 bis della legge numero 157 del 1999 dall'art. 39 quaterdecies, comma 2 lett. D della legge 23.2.2006 numero 51 non si sia poi pronunciata sui quattro motivi di censura proposti dalla banca e volti a far accertare che la sottoscrizione dell'atto del 1989 da parte di alcuni dei controricorrenti fosse idonea a far sorgere in capo ad essi una garanzia personale, e alla accessorietà o meno della garanzia assunta, all'applicabilità o meno dell'art. 1957 c.p.c. alla posizione di alcuni dei contro ricorrenti, alla proponibilità o meno dell'eccezione di decadenza da parte di C. e C. e neppure sui motivi di appello proposti dalle altre parti, C., B.P. e C. e sulla controdeduzioni formulate dalla difesa della banca. Chiede quindi che, previa cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla corte di appello di Roma in altra composizione, il giudice del rinvio si pronunci sui su citati motivi di gravame. Il motivo di ricorso è inammissibile. Le questioni dedotte in sé sono assorbite dall'accoglimento del terzo motivo di ricorso, che devolve nuovamente alla corte d'appello l'individuazione dei soggetti responsabili insieme al PSDI, delle obbligazioni residue verso la banca. Il motivo proposto comunque non contiene alcuna individuazione dell'ipotesi di ricorso per cassazione prospettata, ovvero non precisa se con esso si intenda denunziare un vizio di violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360 primo comma numero 3 c.p.c. o piuttosto di nullità della sentenza per omessa pronunzia, ex art. 360 primo comma numero 4 c.p.c., e soprattutto non sottopone alla corte alcun quesito di diritto, a chiusura del motivo stesso, come è obbligatoriamente previsto essendo il ricorso soggetto, ratione temporis, all'applicazione dell'art. 366 bis C.P.C. A seguito dell'accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso, la causa viene rinviata alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione affinchè decida la controversia provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione attenendosi ai seguenti principi di diritto L'art. 6-bis della legge 3 giugno 1999, numero 157, aggiunto dal d l. 30 dicembre 2005, numero 273, convertito con modificazioni nella legge 23 febbraio 2006, numero 51 , nel prevedere l'esonero degli amministratori dei partiti e movimenti politici dalla responsabilità per le obbligazioni contratte in nome e per conto di tali organizzazioni, salvo che abbiano agito con dolo o colpa grave, introduce un regime speciale e di stretta interpretazione, rispetto alla regola generale della responsabilità personale e solidale disciplinata dall'art. 38 cod. civ. per le associazioni non riconosciute. La ratio della norma risiede nella volontà del legislatore di non far gravare sull'operatività dei partiti politici le preoccupazioni di carattere personale che potrebbero condizionare l'adone di coloro attraverso i quali essi agiscono, e si giustifica solo in riferimento ai soggetti ai quali fa stabilmente capo la gestione del partito ne consegue che l'esonero dalla responsabilità opera solo per le obbligazioni assunte, in nome e per conto del partito, da chi operi in una veste tale da poter essere considerato amministratore in base allo statuto dell'ente, mentre continua a rispondere a norma dell'art. 38 cit. chi assume obbligazioni essendo privo di tale veste statutaria . Qualora il giudice ritenga di dover tener conto ai fini della decisione di una normativa sopravvenuta e immediatamente applicabile che non sia stato oggetto di discussione con le parti, deve sollecitare su di essa il contraddittorio, anche alfine di consentire alla parte interessata di chiedere l'ammissione dei mezzi istruttori resi necessari dall'ampliamento del thema decidendum determinato dalla normativa stessa . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di C.A. Rigetta i primi due motivi di ricorso, dichiara inammissibile il quinto, accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.