Il Giudice non può ridurre senza motivazione gli importi richiesti nella notula depositata dal difensore

Quando sia impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione la liquidazione delle spese compiuta dal giudice di merito, per avere questi ridotto senza motivazione gli importi richiesti con la notula ritualmente depositata, è consentito alla Corte di Cassazione, ove non siano necessari accertamenti di fatto, verificare la correttezza della suddetta liquidazione e, in caso positivo, rigettare il ricorso integrando la motivazione della sentenza impugnata, in applicazione dell’art. 384, comma 4, c.p.c.

Si tratta del principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 1761 del 28 gennaio 2014. Il caso. Il giudizio nasce dalla domanda risarcitoria formulata da una donna a seguito di un sinistro stradale. La domanda veniva accolta dal giudice di primo grado, e successivamente in parte riformata in melius per l’attrice dalla Corte d’appello. Ciò nondimeno, la pronuncia veniva impugnata in sede di legittimità dagli eredi della stessa attrice deceduta nelle more del giudizio , in ragione di un presunto errore nella liquidazione delle spese di lite. Le norme che presiedono alla liquidazione delle spese. In particolare, i ricorrenti censurano la sentenza per aver liquidato le spese processuali a favore della propria dante causa in misura inferiore al minimo tariffario stabilito dal decreto ministeriale applicabile ratione temporis d.m. 8.4.2004, n. 127 , nonché per aver ridotto senza motivazione le somme richieste nella notula depositata dai difensori. Al fine di esaminare la censura, la Suprema Corte ritiene opportuno richiamare le principali norme in tema di liquidazione delle spese di lite. Innanzitutto viene in rilievo l’art. 75 disp. att. c.p.c., che impone al difensore, al momento del passaggio in decisione della causa, di unire al fascicolo di parte la nota spese, con l’indicazione specifica degli onorari e delle spese con riferimento all’articolo della tariffa da cui si desume ciascuna partita. Dall’art. 92, comma 1, c.p.c., si desume che la suddetta nota spese non è vincolante per il giudice, il quale nel condannare la parte soccombente alla rifusione delle spese in favore di quella vittoriosa, può escludere la ripetizione delle somme ritenute eccessive e superflue. A tali previsioni, va affiancato l’art. 60 r.d.l. 27.11.1933 n. 1578, conv. con modif. in legge n. 36/1934 applicabile ratione temporis al giudizio , che, al comma 4, impone all’autorità giudiziaria di contenere la liquidazione delle spese entro i limiti del massimo e del minimo stabiliti col decreto ministeriale di fissazione delle tariffe forensi. La medesima disposizione, poi, al comma 5, consente al giudice, previa motivazione, di liquidare importi superiori al massimo quando il pregio intrinseco dell’opera lo giustifichi” od inferiori al minimo tariffario quando la causa risulti di facile trattazione”. Le regole operative in tema di liquidazione delle spese. Dalle norme richiamate discendono una serie di corollari e regole operative cui il giudice di merito deve attenersi nella liquidazione delle spese di lite. Innanzitutto, quando il giudice liquida le spese secondo gli importi risultanti dalla notula ritualmente depositata non è tenuto a particolari oneri di motivazione, salvo che la congruità di essa non sia stata specificamente contestata. Quando, invece, il giudice ritiene di dovere avvalersi della facoltà di cui all’art. 92, comma 1, c.p.c., ha l’onere di indicare quali spese abbia inteso ridurre od escludere e quali ragioni le rendano eccessive o superflue. Del pari, il giudice dovrà motivare la propria decisione quando ritenga di liquidare gli onorari in misura superiore al massimo od inferiore al minimo. La Cassazione può integrare la motivazione sulle spese. Ebbene, la Cassazione osserva che, nel caso di specie, la Corte d’appello non ha motivato in alcun modo la decisione di ridurre le spese rispetto a quelle domandate dall’appellante nella propria notula, sicché tale statuizione risulta irrispettosa dei principi innanzi richiamati. Ciò posto, i Giudici di Piazza Cavour si domandano se il difetto di motivazione della sentenza impugnata sul punto imponga ipso iure la cassazione con rinvio della stessa, ovvero se non sia possibile, in sede di legittimità, verificare la congruità delle spese liquidate dal giudice d’appello, onde limitarsi a correggerne la motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c. Detta norma è stata tradizionalmente interpretata nel senso che il potere della Cassazione di correggere la motivazione della sentenza impugnata, in presenza di un dispositivo conforme in diritto, possa essere esercitato solo quando una motivazione esista, ma sia scorretta, e non già quando manchi del tutto. Ciò sul presupposto che la mancanza della motivazione non permette di accertare se la pronuncia impugnata sia stata motivata da erronee considerazioni giuridiche o da valutazioni di fatto. Tuttavia, la Cassazione ritiene che tale principio non osti, nel caso di specie, ad una integrazione della motivazione della sentenza impugnata, lasciandone fermo il dispositivo. Le ragioni a sostegno della legittimità dell’integrazione della motivazione. A sostegno di siffatta conclusione, la Suprema Corte, innanzitutto, adduce che i ricorrenti, nel lamentarsi della violazione dei minimi tariffari stabiliti dal d.m. 8.4.20014 n. 127, postulano un errore di diritto, sicché, per verificare se tale errore sussista o meno, la Corte dovrebbe compiere un giudizio di diritto e non già un accertamento in fatto. Sotto altro profilo si osserva che la medesima conclusione deve essere sostenuta per ragioni di economia processuale e di ragionevole durata del processo, alla luce delle quali sarebbe irragionevole cassare una sentenza non motivata, per rinviarla al giudice di merito, il quale, però, non potrebbe adottare un decisum diverso da quello della decisione cassata. Un’altra ragione è di ordine logico, dal momento che l’orientamento che nega l’applicazione dell’art. 384, comma 4, c.p.c. al cospetto di una motivazione mancante si è formato con riferimento a fattispecie in cui il giudice di merito aveva omesso di motivare decisioni che, in teoria, si sarebbero potute fondare tanto su ragioni giuridiche quanto su ragioni di fatto, sicché quell’orientamento non può trovare applicazione nel caso in esame, in cui non esistono fatti controversi tra le parti, ma solo il dubbio sulla correttezza in iure degli importi liquidati a titolo di spese processuali. Sotto un profilo sistematico, infine, osserva che, a prescindere dai limiti entro cui alla Cassazione è consentito correggere od integrare la motivazione ex art. 384, comma 4, c.p.c., occorre tenere conto della specificità delle statuizioni sulle spese di lite. Ed invero, l’art. 385, comma 1, c.p.c. accorda alla Cassazione il potere di accertare e liquidare non solo le spese del giudizio di legittimità, ma anche quelle dei gradi di merito quando la sentenza impugnata sia cassata senza rinvio. Pertanto, se alla Corte di cassazione è riconosciuta la possibilità di esaminare i fascicoli di merito e liquidare le relative spese processuali quando il giudizio sia destinato a concludersi dinanzi ad essa a causa dell’erroneità della decisione impugnata, a fortiori tale possibilità dovrà ritenersi sussistente quando il giudizio si arresti nella sede di legittimità non perché la decisione impugnata fosse erronea e da cassare senza rinvio, ma perché era corretta nel decisum .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 7 novembre 2013 - 28 gennaio 2014, numero 1761 Presidente Russo – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. Il omissis sulla Strada Provinciale tra omissis e omissis si verificò un sinistro stradale che coinvolse a il veicolo Fiat Ritmo targ. , di proprietà del sig. V.S. e condotto dal medesimo, assicurato per la r.c.a. dalla Ambrosiana Assicurazioni s.p.a. che in seguito mutò ragione sociale dapprima in Bayerische Assicurazioni s.p.a., e quindi in Ergo Assicurazioni s.p.a. , e come tale d'ora innanzi sarà indicata , sul quale era trasportata la sig.a Ca.Gi. b il veicolo Alfa Romeo Giulietta targato , condotto dal sig. So.Ga. e di proprietà del medesimo, assicurato dalla D'EASS s.p.a 2. In conseguenza del sinistro la sig.a Ca.Gi. patì lesioni personali, e per essere risarcita di tale danno nel 1993 convenne dinanzi al Tribunale di Gela So.Ga., V.S., la D'EASS s.p.a. e la Ergo s.p.a., chiedendone la condanna in solido al risarcimento del danno. 3. Il Tribunale di Gela con sentenza 13.10.2003 numero 397 affermò in via I presuntiva la colpa concorsuale dei due conducenti coinvolti, ai sensi dell'art. 2054, comma 2, c.c., e condannò tutti i convenuti al risarcimento del danno biologico patito dalla vittima. 4. La sentenza venne appellata sia dalla sig.a Ca.Gi., che si dolse della mancata liquidazione del danno c.d. morale sia dalla Ergo s.p.a., che si dolse della ritenuta corresponsabilità del proprio assicurato. 5. La Corte d'appello di Caltanissetta, con sentenza 29.1.2007 numero 32, accolse ambedue gli appelli, e di conseguenza condannò i soli So.Ga. e D'EASS s.p.a. nelle more posta in liquidazione coatta amministrativa al risarcimento del danno, contestualmente riliquidato in Euro 25.998,71. Condannò altresì i suddetti So. e D'EASS alla rifusione in favore della sig.a Ca.Gi. delle spese del grado di appello, che quantificò in Euro 1.400. Condannò, infine, la sig.a Ca.Gi. sia a restituire alla Ergo s.p.a. le somme da questa pagatele in esecuzione della sentenza di primo grado, sia a pagare alla medesima società assicuratrice le spese processuali dei due gradi di giudizio. 6. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione, con unico ricorso, sia dai sigg.ri V.G., M.C. e T.E., eredi di Ca.Gi. nelle more del giudizio deceduta sia dall'avv. S.A. , difensore della sig.a Ca. nei gradi di merito, in proprio. Ha resistito con controricorso la società Ergo s.p.a Motivi della decisione 7. Il ricorso dell'avv. S.A. . 7.1. Il ricorso dell'avv. S.A. si fonda su un solo motivo. Egli lamenta ai sensi dell'art. 360 numero 3, sia la violazione di legge art. 360 numero 3, c.p.c., con riferimento all'art. 93 c.p.c. , sia la nullità processuale art. 360 numero 4, c.p.c., con riferimento all'art. 112 c.p.c. per avere la Corte d'appello di Caltanissetta omesso di provvedere sulla sua istanza di distrazione delle spese, formulata nella comparsa conclusionale d'appello. 7.2. Il ricorso è inammissibile. Quando, infatti, il giudice ometta di pronunciarsi sull'istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore, il rimedio esperibile, in assenza di un'espressa indicazione legislativa, è costituito dal procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 cod. proc. civ., e non dagli ordinari mezzi di impugnazione, non potendo la richiesta di distrazione qualificarsi come domanda autonoma. Questo principio, ormai pacifico, è stato affermato tra l'altro dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza numero 16037 del 07/07/2010, ed in seguito ribadito anche da questa Sezione, con la sentenza pronunciata da Sez. 3, Sentenza numero 1301 del 30/01/2012. 7.3. Ovviamente nulla rileva che la sentenza da correggere sia stata contemporaneamente impugnata da altre parti l'art. 287 c.p.c., infatti, specialmente dopo la pronuncia di parziale illegittimità costituzionale pronunciata dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 335 del 2004, stabilisce che il solo giudice competente alla correzione dell'errore materiale sia quello che ha emesso la sentenza da correggere, a nulla rilevando che la sentenza da correggere abbia formato oggetto di impugnazione Sez. L, Sentenza numero 9968 del 12/05/2005 . E comunque, anche prima dell'intervento della Corte costituzionale, il principio secondo cui è ben possibile che la medesima sentenza formi oggetto nello stesso tempo sia d'un ricorso per correzione di errore materiale, sia d'un ricorso per cassazione, era del tutto pacifico, consolidato e risalente nella giurisprudenza di legittimità, a partire dalla sentenza capostipite rappresentata da Sez. 1, Sentenza numero 2694 del 25/07/1968. 7.4. È doveroso aggiungere, per completezza, che non è consentito a questa Corte procedere alla conversione del ricorso per cassazione proposto dall'avv. S.A. in un ricorso per correzione di errore materiale, ex art. 287 c.p.c., né applicare i principi in tema di rimessione in termini per decadenza dovuta ad errore scusabile, consistito nell'aver fatto affidamento su orientamenti giurisprudenziali in materia processuale, imprevedibilmente mutati al momento della decisione. Infatti - ed anche questo è un principio del tutto pacifico - alla Corte di cassazione non si potrebbe comunque mai domandare di correggere l'errore materiale contenuto in una sentenza di merito sia perché tale competenza è funzionale ed è riservata al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata art. 287 c.p.c. , sia perché giammai potrebbe il giudice di legittimità esaminare il merito e procedere alle correzioni richieste come ritenuto, tra le altre, da Sez. L, Sentenza numero 9968 del 12/05/2005 Sez. 1, Sentenza numero 7301 del 07/04/2005 Sez. 5, Sentenza numero 12004 del 22/05/2006 . 8. Il primo motivo di ricorso dei sigg.ri V.G., M.C. e T.E 8.1. Col primo motivo di ricorso i sigg.ri V.G., M.C. e T.E. d'ora innanzi, per brevità, i sigg.ri V. lamentano, contemporaneamente, sia la violazione di legge, sia la nullità del processo, sia il vizio di motivazione ex art. 360 nnumero 3, 4 e 5 . Allegano che il giudice d'appello avrebbe erroneamente ritenuto ammissibile l'appello proposto dalla Ergo s.p.a., il quale invece si sarebbe dovuto giudicare tardivo. Spiegano a tal riguardo che la sentenza di primo grado venne impugnata dalla sig.a Ca.Gi. con appello principale, nel quale gli appellati erano citati a comparire per l'udienza del 19 novembre 2004. Tale udienza venne differita d'ufficio, ex art. 168 bis, comma 4, c.p.c., al 1 dicembre 2004, ed in tale udienza la Ergo s.p.a. si costituì, depositando la comparsa contenente l'appello incidentale. Tuttavia, poiché tale appello investiva un capo della sentenza quello concernente la colpa dell'assicurato, sig. V.G. diverso da quello investito dall'appello principale concernente invece la mancata liquidazione del danno c.d. morale , esso doveva essere proposto entro il termine di cui all'art. 327 c.p.c., giacché l'impugnazione c.d. autonoma non può essere proposta tardivamente così il ricorso, foglio 10 1 Dalla pag. 9 in poi, tutti i fogli del ricorso sono contrassegnati dal solo numero 1 . 8.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione art. 360, numero 5, c.p.c. , il motivo è manifestamente infondato, noto essendo che il vizio di motivazione è concepibile solo in merito alla ricostruzione dei fatti, non certo con riferimento all'errore di diritto come questa Corte viene unanimemente ripetendo da quasi mezzo secolo, sinanche a Sezioni Unite cfr. da ultimo, Sez. U, Sentenza numero 28054 del 25/11/2008 nello stesso senso, Sez. L, Sentenza numero 11883 del 06/08/2003 Sez. L, Sentenza numero 1258 del 26/02/1982 Sez. 2, Sentenza numero 970 del 16/03/1976, e via risalendo sino a Sez. 3, Sentenza numero 2727 del 05/11/1966 . Nel caso di specie non vi è contrasto alcuno sulle date in cui sono stati proposti l'appello principale e quello incidentale, mentre la doglianza dei ricorrenti riguarda unicamente la decisione con cui la Corte d'appello ha ritenuto tempestivo il gravame dunque un tipico vizio di violazione di legge. 8.3. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge ovvero la nullità processuale il motivo è altrettanto infondato. Il presente giudizio è iniziato con atto di citazione notificato il 3 agosto 1993. Esso è quindi soggetto alle norme processuali vigenti prima delle modifiche introdotte dalla legge 26.11.1990 numero 353, in virtù di quanto previsto dall'art. 90 della legge appena citata, il quale ha disposto che ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 continuassero ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente. E per giudizi pendenti devono intendersi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, quelli nei quali la notificazione della citazione davanti al giudice di primo grado sia avvenuta prima del 30.4.1995 Sez. 2, Sentenza numero 11301 del 16/05/2007 Sez. 2, Sentenza numero 4005 del 18/02/2011 . Or bene l'art. 343, comma 1, c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla l. 353/90, stabiliva che l'appello incidentale si propone nella prima comparsa o, in mancanza di costituzione in cancelleria, nella prima udienza . 8.4. Stabilito dunque che l'appello incidentale della Ergo s.p.a. non poteva ritenersi tardivo sol perché proposto in una comparsa depositata nella prima udienza, resta da stabilire se essa possa ritenersi tardivo perché proposto oltre il termine di cui all'art. 327 c.p.c I ricorrenti invocano una risposta affermativa, sostenendo la tesi secondo cui la possibilità di proporre un appello incidentale tardivo è concessa dall'art. 343 c.p.c. soltanto a chi intenda impugnare lo stesso capo della sentenza già impugnato dall'appellante principale così il ricorso, pagg. 10-11 . Questa tesi è tuttavia erronea, per due ragioni. 8.4.1. La prima ragione è che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza precedente il ricorso e che quindi sarebbe dovuta essere ben nota ai ricorrenti, dirimendo i precedenti contrasti hanno stabilito che l'impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, quale che sia la parte contro cui è diretta appellante principale, coappellante, coappellato , e quale che sia il capo della sentenza impugnato il medesimo impugnato dall'appellante principale, ovvero uno diverso , in tutti i casi in cui l'impugnazione principale metta in discussione l'assetto di interessi derivante dalla sentenza , sicché, se venisse accolta, comporterebbe una modifica dell'assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dall'appellante incidentale Sez. U, Sentenza numero 24627 del 27/11/2007 già in precedenza, peraltro, sia Sez. U, Sentenza numero 652 del 23/01/1998, sia Sez. U, Sentenza numero 4640 del 07/11/1989, Rv. 464074 avevano stabilito che l'art. 334 cod. proc. civ. deve trovare applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza impugnata in via incidentale, ancorché autonomo rispetto a quello investito dall'impugnazione principale . Alla luce di tale criterio è evidente che l'appello della sig.a Ca.Gi., sollecitando una più cospicua liquidazione del danno, aveva proprio lo scopo - per usare le parole delle Sezioni Unite - di modificare l'assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dalla Ergo s.p.a. e dunque consentiva a quest'ultima l'impugnazione incidentale tardiva. 8.4.2. La seconda ed indipendente ragione per la quale il secondo motivo di ricorso dei sigg.ri V. è infondato è che in ogni caso, anche a volere aderire all'ormai abbandonato orientamento secondo cui l'impugnazione c.d. autonoma non poteva proporsi tardivamente, ai sensi dell'art. 343 c.p.c., comunque quella proposta dalla Ergo s.p.a. non fu una impugnazione autonoma . Persino il pregresso ed abbandonato orientamento, che negava la possibilità di proporre in via incidentale tardiva un'impugnazione autonoma, qualificava quest'ultima come l'appello a diretto contro una parta diversa da quella che ha proposto l'impugnazione principale b oppure proposto contro un capo della sentenza diverso da quello che abbia formato oggetto della impugnazione principale e che non sia con questo in rapporto di dipendenza o connessione ex multis, Sez. 1, Sentenza numero 687 del 14/04/1965 . Non è invece autonoma, ma tardiva tout court ai sensi dell'art. 334 c.p.c., l'impugnazione proposta contro una statuizione contenuta nella sentenza impugnata in via principale, e che sia in rapporto di dipendenza o di connessione con la statuizione impugnata dall'appellante principale Sez. 1, Sentenza numero 993 del 24/05/1965 Sez. 2, Sentenza numero 9719 del 25/09/1990 . Nel nostro caso, l'appellante principale si dolse della quantificazione del danno di cui aveva chiesto il risarcimento, e l'appellante incidentale dell'affermazione della propria responsabilità concorrente i due capi della sentenza impugnata erano dunque in evidente rapporto di dipendenza, posto che l'accoglimento del gravame sull' an avrebbe reso inopponibile alla Ergo l'eventuale accoglimento del gravame anche sul quantum . Pertanto l'appello della Ergo, investendo una statuizione strettamente connessa a quella che aveva formato oggetto dell'appello principale, non poteva qualificarsi come autonomo , ed anche ad aderire al vecchio e più rigoroso orientamento che negava l'applicabilità dell'art. 343 c.p.c. alle impugnazioni autonome, non poteva ritenersi tardivo. 9. Il secondo motivo di ricorso dei sigg.ri V.G., M.C. e T.E 9.1. Col secondo motivo di ricorso i sigg.ri V. allegano che la sentenza impugnata sarebbe viziata sia da violazione di legge, sia da nullità processuale, sia da vizio di motivazione ex art. 360 nnumero 3, 4 e 5 c.p.c. . Espongono che la Corte d'appello avrebbe liquidato le spese processuali a favore della propria dante causa, ed a carico delle parti soccombenti - in misura inferiore al minimo tariffario stabilito dal decreto ministeriale applicabile ratione temporis ovvero il d.m. 8.4.2004 numero 127 - riducendo immotivatamente le somme richieste nella notula depositata dai difensori in esito al giudizio di primo grado. 9.2. Nell'esame di tale doglianza è opportuno, per maggior chiarezza, premettere alcuni generali principi e regole operative cui il giudice di merito deve attenersi nella liquidazione delle spese di lite, per poi esaminare se nel caso di specie tali principi e regole siano stati rispettati dalla Corte d'appello di Caltanissetta. 9.3. L'art. 75 disp. att. c.p.c. impone al difensore, al momento del passaggio in decisione della causa, di unire al fascicolo di parte la nota delle spese, indicando in modo distinto e specifico gli onorari e le spese, con riferimento all'articolo della tariffa dal quale si desume ciascuna partita . La nota delle spese di cui all'art. 75 c.p.c. non è vincolante per il giudice, il quale, nel condannare la parte soccombente alla rifusione delle spese in favore di quella vittoriosa art. 91, comma primo, c.p.c. , può tuttavia escludere la ripetizione delle spese ritenute eccessive o superflue art. 92, comma primo, c.p.c. . 9.4. Le previsioni del codice di rito appena ricordate vanno integrate con quanto disposto dall'art. 60 r.d.l. 27.11.1933, numero 1578 convertito, con modificazioni, in legge 22 gennaio 1934, numero 36 , recante l'ordinamento della professione di avvocato applicabile ratione temporis al presente giudizio, ai sensi dell'art. 1, comma 1, d.lgs. 1.12.2009 numero 179, il quale ha sancito la permanenza in vigore perché indispensabile del suddetto provvedimento . L'art. 60, comma quarto, r.d.l. 1578/33 stabilisce che l'autorità giudiziaria deve contenere la liquidazione delle spese entro i limiti del massimo e del minimo stabiliti col decreto ministeriale di fissazione delle tariffe forensi. Il successivo comma quinto, infine, consente al giudice di liquidare importi superiori al massimo od inferiori al minimo tariffario nel primo caso, quando il pregio intrinseco dell'opera lo giustifichi nel secondo caso, quando la causa risulti di facile trattazione . La riduzione, tuttavia, non può essere inferiore alla metà art. 4 L. 13.6.1942, numero 794 . Nell'una, come nell'altra ipotesi, la legge soggiunge che la decisione del giudice deve essere motivata . 9.5. Dal blocco normativo appena riassunto discendono i seguenti corollari a quando il giudice liquida le spese secondo gli importi risultanti dalla notula ritualmente depositata, non è tenuto a particolari oneri di motivazione, salvo che la congruità di essa non sia stata specificamente contestata b quando, invece, il giudice ritiene di dovere avvalersi della facoltà di cui all'art. 92, comma primo, c.p.c. e cioè escludere la ripetizione delle spese eccessive o superflue ha l'onere di indicare b1 quali spese abbia inteso ridurre od escludere b2 quali ragioni le rendano eccessive o superflue ex plurimis , Sez. 3, Sentenza numero 18906 del 08/08/2013 Sez. 6-2, Ordinanza numero 7293 del 30/03/2011 Sez. L, Sentenza numero 4404 del 24/02/2009 Sez. 3, Sentenza numero 2748 del 08/02/2007 Sez. 5, Sentenza numero 13085 del 01/06/2006 Sez. L, Sentenza numero 11483 del 01/08/2002 Sez. 2, Sentenza numero 8160 del 15/06/2001 Sez. 1, Sentenza numero 6816 del 02/07/1999, e via risalendo sino alla sentenza capostipite , rappresentata da Sez. 3, Sentenza numero 196 del 10/01/1966 vale la pena aggiungere che la contraria opinione, espressa isolatamente da Sez. 3, Sentenza numero 22347 del 24/10/2007, deve ritenersi superata dalla giurisprudenza successiva e comunque non convincente, soprattutto perché nella motivazione di quella sentenza la tesi qui rifiutata venne formulata senza il sostegno di alcuna motivazione c analogamente, il giudice avrà l'obbligo di motivare la propria decisione - ed in questo caso per espressa previsione di legge - quando ritenga di liquidare gli onorari in misura superiore al massimo od inferiore al minimo Sez. L, Sentenza numero 564 del 12/01/2011 Sez. L, Sentenza numero 27804 del 21/11/2008 . 9.6. Nel caso di specie, la Corte d'appello non ha motivato in alcun modo la propria decisione di riduzione delle spese di soccombenza rispetto a quelle domandate con l'appellante nella propria notula. Tale statuizione del giudice di merito è evidentemente irrispettosa dei principi elencati al § 9.5 in particolare di quello secondo cui il dissenso del giudice dalle somme richieste con la notula o la liquidazione di importi inferiori al minimo tariffario dev'essere espressamente motivata. 9.7. Rilevato il difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata, si pone a questa Corte il delicato problema di stabilire se tale vizio imponga ipso iure la cassazione con rinvio della sentenza impugnata senza alcun'altra considerazione, ovvero se non sia possibile in questa sede di legittimità verificare comunque la congruità delle spese liquidate dal giudice d'appello, onde limitarsi a correggerne la motivazione, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, c.p.c Ritiene questa Corte che a soluzione corretta sia la seconda. 9.8. L'art. 384, ultimo comma, c.p.c., stabilisce che non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione . Tale norma è stata tradizionalmente interpretata nel senso che il potere della Corte di cassazione di correggere la motivazione della sentenza impugnata può essere esercitato solo quando una motivazione esista, ma sia scorretta, e non già quando manchi del tutto e ciò sul presupposto che la mancanza della motivazione non permette di accertare se la pronuncia impugnata sia stata motivata da erronee considerazioni giuridiche o da valutazioni di fatto Sez. 5, Sentenza numero 23328 del 09/11/2011 Sez. 2, Sentenza numero 2440 del 14/03/1988 . Tuttavia questo risalente principio non osta, nel nostro caso, ad una integrazione della motivazione della sentenza impugnata, lasciandone fermo il dispositivo. Ciò per quattro ragioni. 9.8.1. La prima ragione è che i ricorrenti, col motivo in esame, si dolgono della violazione dei minimi tariffari stabiliti dal decreto ministeriale applicabile ratione temporis ovvero il d.m. 8.4.2004 numero 127 , e quindi postulano un errore di diritto. Per verificare se tale errore sussista, questa Corte dovrebbe dunque compiere un giudizio di diritto, non un accertamento in fatto. In questa sede infatti non si discute della spettanza delle suddette spese, o del corretto uso da parte del giudice di merito del potere di compensarle o meno statuizioni le quali costituiscono tipicamente valutazioni di fatto riservate al giudice di merito , ma si discute unicamente della corrispondenza tra spese liquidate in sentenza e spese liquidabili secondo la legge, il che costituisce una tipica valutazione in diritto tra le tante decisioni in tal senso, Sez. 2, Sentenza numero 3651 del 16/02/2007 . Se, dunque, all'esito di tale accertamento in diritto il quantum liquidato a titolo di spese processuali dalla Corte d'appello dovesse rivelarsi corretto, l'omessa motivazione da parte del giudice di merito potrà essere surrogata in questa sede di legittimità, alla stregua di qualsiasi altro vizio d'una motivazione che sostenga una decisione corretta. Questo principio è già stato affermato da questa Corte, con riferimento all'ipotesi in cui il giudice di merito provveda sulla domanda o sull'eccezione proposta dalla parte, ma senza spiegare compiutamente le ragioni in diritto della propria decisione, ovvero senza prendere in esame una questione di diritto proposta dalla parte. Ricorrendo tale ipotesi, già in passato si è stabilito che, ove la questione di diritto non esaminata dal giudice di merito fosse comunque infondata, lo iato tra la richiesta della parte e la decisione del giudice deve essere colmato dalla Corte di Cassazione attraverso l'impiego del potere di correzione della motivazione art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. , integrando la decisione [di merito] mediante l'enunciazione delle ragioni che la giustificano in diritto, senza necessità di rimettere al giudice di rinvio il compito di dichiarare infondato in diritto il motivo non esaminato così Sez. 1, Sentenza numero 3388 del 18/02/2005 . Il medesimo principio inoltre, sia pure in materia diversa da quella delle spese processuali, è stato già condiviso anche da questa Sezione, allorché ritenne che la mancanza di motivazione nella decisione impugnata non si traduce, automaticamente, in un vizio di omissione di pronuncia, con conseguente annullamento con rinvio della decisione, quando [la domanda di parte] avrebbe dovuto essere rigettata non essendo i fatti allegati dal deducente di per sé idonei in diritto a sorreggerla], in tal caso lo iato potendo essere colmato dalla Corte di cassazione attraverso l'impiego del potere di correzione della motivazione ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. Sez. 3, Sentenza numero 743 del 23/01/2002 . 9.8.2. La seconda ragione è il principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111 cost., alla luce del quale deve essere interpretato l'art. 384 c.p.c. in tal senso, Sez. 3, Sentenza numero 15810 del 28/07/2005 Sez. 5, Sentenza numero 1615 del 25/01/2008 . Tale principio renderebbe irragionevole cassare una sentenza non motivata, per rinviarla al giudice di merito il quale, però, non potrebbe adottare un decisum diverso da quello della decisione cassata. 9.8.3. La terza ragione è di ordine logico. Come già visto, l'orientamento che nega la possibilità di applicazione dell'art. 384, comma 4, c.p.c., al cospetto d'una motivazione mancante, si fonda sull'assunto secondo cui la mancanza della motivazione nella sentenza impugnata non permette alla Corte di cassazione di accertare se la pronuncia sia stata motivata da erronee considerazioni giuridiche o da valutazioni di fatto Sez. 5, Sentenza numero 23328 del 09/11/2011 Sez. 2, Sentenza numero 2440 del 14/03/1988 . Questo orientamento, quale che ne sia la condivisibilità in iure, si è formato con riferimento a fattispecie in cui il giudice di merito aveva omesso di motivare decisioni che, in teoria, si sarebbero potute fondare tanto su ragioni giuridiche, quanto su ragioni di fatto ad es., la sussistenza o meno della prova . Quell'orientamento, quindi, non potrebbe trovare applicazione, per difetto del necessario presupposto teorico, in un caso come il presente, nel quale non esistono fatti controversi tra le parti, ma soltanto il dubbio sulla correttezza in iure degli importi liquidati a titolo di spese processuali. 9.8.4. La quarta ragione, infine, è di ordine sistematico. Infatti, quale che fosse la soluzione che si volesse dare al problema dei limiti entro i quali alla Corte di cassazione è consentito correggere od integrare la motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 384, comma 4, c.p.c., tale soluzione non potrebbe non tenere conto della specificità della statuizioni sulle spese di lite. Nel giudizio di legittimità, il codice di procedura accorda ampi poteri alla Corte di cassazione in questa materia le è infatti consentito accertare e liquidare non solo le spese del giudizio di legittimità, ma anche quelle dei gradi di merito, quando la sentenza impugnata sia cassata senza rinvio art. 385, comma 1, c.p.c. . Questa norma costituisce espressione del generale principio di economia processuale, in virtù del quale non è luogo a trasferire una causa dall'uno all'altro giudice, quando il giudice rinviante potrebbe da sé solo svolgere le attività richieste al giudice cui la causa è rinviata. Or bene, se alla Corte di cassazione è riconosciuta la possibilità di esaminare i fascicoli di merito e liquidare le relative spese processuali quando il giudizio sia destinato a concludersi dinanzi ad essa a causa dell'erroneità della decisione impugnata, a fortiori tale possibilità dovrà ritenersi sussistente quando il giudizio si arresti nella sede di legittimità non perché la decisione impugnata fosse erronea e da cassare senza rinvio, ma perché era corretta nel decisum . Nel primo caso, infatti, la Corte di cassazione è chiamata ad una liquidazione ex novo delle spese di lite, e comunque ad un riparto difforme da quello adottata nella sentenza cassata senza rinvio. Nel secondo caso, per contro, la Corte è chiamata a valutare la correttezza di una liquidazione già effettuata dal giudice di merito. Ora, poiché tanto nel caso di cassazione senza rinvio quanto nel caso di rigetto del ricorso il processo si arresta, sarebbe contrario ad ogni logica ritenere che - dati due esiti processuali ad progressum litis impedientes - il potere di esaminare direttamente gli atti di merito sia dalla legge accordato alla Corte quando le spese si tratti di liquidarle ex novo, e le sia invece negato quando si tratti di verificare la correttezza d'una liquidazione già compiuta. Se così fosse, infatti, si perverrebbe all'assurdo di imporre il rimedio più grave la cassazione con rinvio dove il vizio è meno grave, e viceversa. 9.9. Deve pertanto concludersi su questo punto affermando il principio secondo cui, quando sia impugnata dinanzi alla Corte di cassazione la liquidazione delle spese compiuta dal giudice di merito, per avere questi ridotto senza motivazione gli importi richiesti con la notula ritualmente depositata, è consentito alla Corte di cassazione, ove non siano necessari accertamenti di fatto, verificare la correttezza della suddetta liquidazione e, in caso positivo, rigettare il ricorso integrando la motivazione della sentenza impugnata, in applicazione dell'art. 384, comma 4, c.p.c 10. Verifica delle spese liquidate dal giudice di appello. 10.1. Avendo l'appello principale ad oggetto la domanda di liquidazione di un maggior importo a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, quantificato dalla Corte d'appello in Euro 5.199,71, il valore della causa ai fini dell'individuazione dello scaglione tariffario applicabile va individuato in base al decisum e non al petitum Sez. L, Sentenza numero 4966 del 08/03/2005 . Sarà quindi applicabile nella specie lo scaglione di valore compreso tra 2.600,01 e 5.200 Euro, di cui al d.m. 127/04. Il difensore della sig.a Ca.Gi. , in esito al giudizio di secondo grado, depositò una nota spese ex art. 75 disp. att. c.p.c., trascritta alle pp. 13-14 del ricorso. Tale nota spese non è conforme alle prescrizioni del d.m. 8.4.2004 numero 127, applicabile ratione temporis . 10.2. Per quanto riguarda i diritti di avvocato si rilevano le seguenti mende. 10.2.1. Le voci posizioni ed archivio ed esame pratica non sono dovute. Nel caso di specie, infatti, il difensore dell'appellante principale, che l'aveva assistita anche in primo grado, nel giudizio di appello non ha fatto che reiterare la domanda di risarcimento del danno c.d. morale, disattesa dal Tribunale. Vi è stata, dunque, una coincidenza totale quanto a presupposti di fatto e questioni di diritto tra la citazione in primo grado e quella in appello. In una simile fattispecie processuale, l'esazione del diritto per la archivio della pratica e l’ esame della stessa costituirebbero una evidente duplicazione, a fronte della quale non è riscontrabile una attività concretamente svolta. 10.2.2. La voce corrispondenza informativa non è dovuta. È infatti principio pacifico quello secondo cui l'esigibilità dei diritti spettanti per la corrispondenza informativa previsti dall'art. 22 della Tabella B allegata alla tariffa professionale di cui al d.m. 127/04 presuppone necessariamente la documentazione e, comunque, la prova non equivoca dell'effettività della prestazione professionale, la quale non può farsi derivare dalla sola esistenza del rapporto di clientela, questo non implicando necessariamente ed indefettibilmente un'attività informativa diversa dalle consultazioni con il cliente così Sez. 2, Sentenza numero 344 del 10/01/2011, Rv. 616386 nello stesso senso, Sez. L, Sentenza numero 13893 del 23/07/2004 Rv. 574942 Sez. L, Sentenza numero 13539 del 15/09/2003, Rv. 566867 Sez. 3, Sentenza numero 738 del 23/01/2002, Rv. 551751 Sez. L, Sentenza numero 6283 del 12/12/1985, Rv. 443392 . Vale la pena aggiungere che la diversa opinione manifestata da Sez. L, Sentenza numero 21841 del 17/10/2007, Rv. 599551, non fa sussistere in realtà alcun contrasto giurisprudenziale, in quanto essa venne formulata limitatamente all'assistenza giudiziale prestata nelle cause soggette al rito del lavoro. 10.2.3. La voce esame documentazione avversaria non è dovuta, non avendo alcuna delle parti prodotto documenti nuovi in appello, né avendolo richiesto. 10.2.4. La voce vacazioni non è dovuta, in quanto il compenso per vacazioni spetta solo con riferimento alle attività per le quali sia espressamente previsto così la voce numero 77 della tariffa , nessuna delle quali rientra tra le voci elencate nella notula. 10.2.5. La voce esame numero 6 ordinanze non è dovuta, in quanto del tutto estranea alla Tabella B allegata al d.m. 127/04. La voce numero 15 della Tariffa infatti subordina il compenso all'esame del dispositivo di ogni sentenza, decreto o ordinanza . La circostanza che siano stati accomunati in una unica voce i decreti, le ordinanze e le sentenze, così come il chiaro riferimento al dispositivo di tali provvedimenti, rendono evidente che il diritto è dovuto solo per l'esame di provvedimenti che abbiano un contenuto decisorio, perché altrimenti mancherebbe un dispositivo in senso tecnico da esaminare. Nel caso in esame, invece, le ordinanze di mero rinvio pronunciate dalla Corte d'appello non hanno un contenuto decisorio, non hanno un dispositivo , e non rientrano dunque nella previsione di cui alla voce 15 della Tariffa. 10.2.6. Le voci precisazione delle conclusioni e esame conclusioni avverse non sono dovute per il giudizio d'appello, quando in esso vengano reiterate le domande o le eccezioni già sollevate in primo grado così Sez. L, Sentenza numero 21841 del 17/10/2007 . 10.2.7. La voce collazione atti non è dovuta nella misura indicata 16 Euro per 5 fogli , ma nella minor misura di Euro 8 per cinque fogli e quindi 40 Euro , ai sensi della voce 80 della Tariffa. Questa, infatti, distingue tra la collazione per mezzo di dattilografia e quella per mezzo di stampa , e la redazione di atti mediante l'uso di word processor rientra ovviamente nella prima categoria. 10.2.8. Per la richiesta di notifica è dovuto un diritto di 13 Euro, più 8 Euro per ogni ulteriore destinatario voce 23 della tariffa dunque nel nostro caso, in cui l'appello si sarebbe dovuto notificare a 4 persone, sono dovuti 37 Euro, e non 45 come richiesto dai ricorrenti. 10.2.9. Per l'esame di ogni relata di notifica è dovuto un diritto di 13 Euro, voce 24 della tariffa dunque nel nostro caso sono dovuti 52 Euro, e non 65 come richiesto dai ricorrenti. 10.3. Per quanto concerne, invece, i diritti di avvocato, deve in primo luogo rilevarsi come correttamente - sebbene implicitamente, per quanto si dirà - la Corte d'appello ha applicato i minimi tariffari. Il giudizio infatti ha avuto ad oggetto una fattispecie tipicamente seriale, che non presentava alcuna difficoltà né teorica, né pratica, verosimilmente impostata in base ad atti predisposti in base a format preimpostati, e coinvolgente questioni di diritto arcinote. Per quanto riguarda gli onorari di avvocato, la notula trascritta alle p. 13 – 14 del ricorso presenta le seguenti mende. 10.3.1. La voce assistenza udienze di trattazione non è dovuta, non essendosi svolta nel giudizio di appello alcuna udienza di trattazione in senso tecnico, e cioè nella quale si sia discussa la causa. 10.3.2. La voce discussione non è dovuta, per la stessa ragione indicata al p. precedente. 10.4. La comparazione degli onorari richiesti dagli odierni ricorrenti, e di quelli liquidati dal giudice d'appello è riassunta, per maggior chiarezza, nella seguente tabella Spese giudiziali dovute ai sigg.ri V. . Diritti N. Prestazione Compenso Richiesto Dovuto 1 posizione archivio 52 non dovuto 2 esame pratica 13 non dovuto 3 atto di appello 52 52 4 procura ed autentica 13 13 5 richiesta notifica 45 37 6 esame notifica 65 52 7 consultazioni col cliente 52 52 8 corrispondenza informativa 52 non dovuto 9 formazione fascicolo 13 13 10 iscrizione causa a ruolo 13 13 11 costituzione in giudizio 13 13 12 esame comparsa avversaria 52 52 13 esame documentazione avversaria 52 non dovuto 14 partecipazione a 6 udienze 156 156 15 vacazioni 90 non dovuto 16 esame numero 6 ordinanze 78 non dovuto 17 precisazione conclusioni 52 non dovuto 18 esame conclusioni avversarie 104 non dovuto 19 ritiro fascicolo 13 13 20 assegnazione causa a sentenza 13 13 21 redazione comparsa conclusionale 52 52 22 redazione nota spese 26 26 23 collazione 80 40 Totale diritti 1.151 597 Onorari 24 studio della controversia 125 125 25 consultazioni con la cliente 65 65 26 redazione atto di appello 110 110 27 assistenza udienze di trattazione 160 non dovuto 28 redazione comparsa 295 295 29 discussione 105 non dovuto Totale onorari 860 595 Totale generale 1.192 10.5. La liquidazione delle spese di lite compiuta dalla Corte d'appello pari ad Euro 1.200, a fronte di diritti ed onorari effettivamente spettanti per Euro 1.192 è stata dunque conforme a diritto. L'omessa indicazione delle ragioni per le quali la Corte d'appello ha disatteso la notula depositata dall'appellante principale resta corretta dalle osservazioni svolte supra , ai pp. 10 e ss., in applicazione della previsione di cui all'art. 384, comma 4, c.p.c 11. Il terzo motivo di ricorso dei sigg.ri V.G. , M.C. e T.E. . 11.1. Col terzo motivo di ricorso i sigg.ri V. lamentano la violazione di legge art. 360, numero 3, c.p.c. , con riferimento agli artt. 1218, 1219, 2043, 1223, 1224 c.c Lamentano che il giudice d'appello, pur accogliendo il gravame ed ampliando la misura del risarcimento determinata in primo grado, ha condannato i debitori al pagamento degli interessi legali sulla somma dovuta, dalla data della sentenza di primo grado ad oggi , invece che dalla data in cui venne commesso il fatto illecito. In tal modo, proseguono i ricorrenti, la Corte d'appello ha disatteso i principi affermati dalle Sezioni Unite con la nota sentenza numero 1712 del 17.2.1995, la quale ha stabilito che il debitore di una obbligazione aquiliana deve, nel caso di ritardato adempimento, gli interessi compensativi sulla somma via via rivalutata, con decorrenza dalla data dell'illecito. 11.2. Il Tribunale di Gela, accogliendo la domanda attorea, determinò il risarcimento dovuto alla sig.a Ca.Gi. rivalutandolo alla data della liquidazione, e quantificandolo in Euro 20.798,86. Questa somma comprendeva sia il capitale rivalutato L. 24.925.000 sia il danno da mora L. 15.347.202 , correttamente calcolato secondo i criteri stabiliti da Cass. 1721/95. Il danno da mora venne calcolato con decorrenza dalla data dell'illecito, sino alla data della liquidazione cfr. la sentenza di I grado, p. 8 . 11.3. La Corte d'appello ritenne la sentenza di I grado erronea, nella parte in cui aveva omessa di liquidare anche il c.d. danno morale. Ritenne di dover liquidare questo danno nella misura del 25% della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno biologico. Applicò dunque questa percentuale sulla somma di Euro 20.798,86, che per quanto detto rappresentava il coacervo del danno biologico e degli interessi compensativi , come liquidati dal Tribunale. Ne ricavò l'importo di Euro 5.199,71 e dunque una somma che rappresentava sia il 25% del danno biologico, sia il 25% del danno da mora maturato tra l'illecito e la sentenza di primo grado. 11.4. Il giudice d'appello, quindi, ha rideterminato l'importo complessivo del risarcimento nella somma di Euro 25.998,57 tale somma rappresentava il coacervo del capitale e degli interessi compensativi e cioè del danno da ritardato adempimento computato con i criteri stabiliti da Cass. 1712/95 fino alla data della sentenza di primo grado. Così monetizzato il credito risarcitorio, la Corte d'appello ha quindi condannato i debitori al pagamento degli interessi legali su tale somma, dalla data della sentenza di primo grado in poi. 11.5. Tale decisione è ineccepibile. Per effetto della decisione di primo grado, infatti, il credito di valore vantato dall'attrice era stato monetizzato e si era trasformato in un credito di valuta, iniziando a produrre interessi legali dalla data della sentenza. La Corte d'appello, non dovendo procedere ad una liquidazione ex novo del danno, ma dovendo soltanto integrare la liquidazione compiuta dal Tribunale, del tutto correttamente ha accordato alla creditrice il ristoro per il c.d. danno morale, attualizzato alla data della sentenza di primo grado e comprensivo , per quanto si è detto, anche degli interessi compensativi dalla data del fatto a quella in cui l'obbligazione di valore si era convertita in obbligazione di valuta, e cioè alla data della sentenza di primo grado. Fatto ciò, ha altrettanto correttamente accordati alla creditrice gli interessi legali, ex art. 1283 c.c., dalla data della sentenza di primo grado, perché è da tale data che il credito risarcitorio, divenendo liquido, ha iniziato a produrre interessi. Se la Corte d'appello avesse accordato gli interessi legali sull'importo liquidato a titolo di danno morale dalla data del fatto, come preteso dagli odierni ricorrenti, avrebbe liquidato due volte il danno da mora per il periodo tra l'illecito e la sentenza di primo grado per tale periodo, infatti, gli interessi legali liquidati dalla Corte d'appello si sarebbero sommati a quelli già liquidati, sul credito rivalutato anno per anno, dal Tribunale, secondo il prospetto di cui a p. 9 della sentenza di primo grado. 12. Le spese. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti in solido, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c Nei rapporti interni tra i coobbligati esse si ripartiranno in parti uguali. P.Q.M. la Corte di cassazione - dichiara inammissibile il ricorso proposto dall'avv. S.A. - rigetta il ricorso proposto dai sigg.ri V.G. , V.M.C. e V.T.E. - condanna tutti i ricorrenti in solido alla rifusione nei confronti della Ergo Assicurazioni s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 2.200, di cui 200 per spese.