Difesa plurima: è il giudice che decide se applicare la maggiorazione del 20% per ogni parte

In caso di difesa plurima è prevista la maggiorazione del 20% per ogni parte, ma sulla sua applicazione è il giudice di merito a decidere.

Liquidazione della maggiorazione del 20%? Con la sentenza n. 23918, depositata il 22 ottobre 2013, la Corte di Cassazione, in un procedimento ‘nato’ dalla richiesta di risarcimento danni subiti a causa di un sinistro stradale, si è occupata della liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente. Il giudice di secondo grado avrebbe dovuto perlomeno motivare il diniego. In particolare, le due persone danneggiate, che hanno presentato ricorso per cassazione, sostengono che i giudici hanno totalmente omesso la liquidazione in loro favore della maggiorazione del 20% prevista dall’art. 5, comma 4, d.m. 585/94 , per avere il difensore, nel precedente procedimento, assistito e difeso 2 soggetti con identiche questioni e posizioni, nonostante detta voce fosse stata espressamente richiesta nella nota spese . È il giudice a decidere se applicare la maggiorazione. La Cassazione, nel rigettare in toto il ricorso, afferma che, da un lato, nel caso di assistenza e difesa di più parti aventi la medesima posizione processuale, la parcella unica potrà essere aumentata, per ogni parte e fino ad un massimo di 6, del 20% art. 5, comma 4, d.m. 31 ottobre 1985 , mentre, dall’altro, tale disposizione non comporta l’introduzione di un minimo inderogabile . Infatti, la decisione sull’applicazione o meno della maggiorazione ricade nell’esercizio di un potere discrezionale del giudice, senza che lo stesso sia vincolato all’aumento del 20% ogni qualvolta si verifichi l’ipotesi prevista dalla norma in questione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 settembre – 22 ottobre 2013, n. 23918 Presidente Berruti – Relatore D’Amico Svolgimento del processo D B. e S B. convennero in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Roma l'Italica Assicurazioni s.p.a. e Alessandro e G D.M. per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a causa dell'incidente stradale verificatosi in omissis . In particolare S B. esponeva di aver subito lesioni personali e D B. danni all'autovettura di sua proprietà. Si costituirono l'Italica Assicurazioni s.p.a. e D.M.A. e G. contestando la domanda attrice. Il processo, interrotto a seguito del decesso di D.M.A. , fu riassunto con ricorso notificato il 5 luglio 2000 unicamente alla Italica s.p.a. ed a G D.M. . Si costituirono quindi la Ras s.p.a. quale incorporante, in seguito a fusione, della Italica s.p.a. e G D.M. contestando la domanda attrice e l'irritualità della riassunzione in quanto la stessa non era stata effettuata anche nei confronti degli eredi di A D.M. . B.D. e S. davano atto di rinunciare alla domanda nei confronti di A D.M. . Il Giudice riteneva corretta la riassunzione così come effettuata dato che la parte deceduta era un mero litisconsorte facoltativo, essendo solo conducente del veicolo. Il Giudice di Pace condannò G D.M. e la Ras, in solido, a pagare a D B. la somma di Euro 1.085,00 ed a B.S. la somma di Euro 2.788,00, oltre interessi legali. Condannò altresì i convenuti a pagare le spese legali. Il Tribunale ha confermato la sentenza del Giudice di Pace. Propongono ricorso per cassazione B.D. e S. con quattro motivi. Resiste con controricorso la Allianz s.p.a., in virtù del trasferimento del complesso aziendale organizzato per l'esercizio dell'attività assicurativa delle società Lloyd Adriatico s.p.a. ed Allianz Subalpina s.p.a., alla Riunione Adriatica di Sicurtà. La stessa presenta memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo le ricorrenti denunciano Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. con riguardo agli artt. 131, 112 cpc - Vizio di motivazione ex art. 360 n. 4 e 5 cpc”. Sostengono le ricorrenti che il Tribunale si è limitato ad un semplice e acritico richiamo della motivazione del primo giudice sulla percentuale di invalidità permanente, senza richiamare gli elementi essenziali di tale decisione e senza confutare esplicitamente i motivi di censura. Quindi, senza adempiere al suo obbligo istituzionale di revisione e senza consentire il controllo logico e giuridico della decisione adottata. Dalla omessa motivazione delle contestazioni mosse alla decisione del primo giudice deriva, secondo le ricorrenti, l'omessa corrispondenza tra la decisione del Tribunale e le domande delle appellanti, con conseguente violazione dell'art. 112 c.p.c Il motivo è infondato. In primo luogo infatti l'impugnata sentenza, facendo proprie le considerazioni svolte dal giudice di primo grado e condividendo la riduzione dal 3% al 2% dell'invalidità permanente a favore di B.S. , ha dato conto, seppur sinteticamente, della correttezza della motivazione di tale giudice, elaborata sulla base della valutazione delle risultanze processuali ed in specie sulla base dell'istruttoria espletata nel corso del giudizio di primo grado. Non si riscontra pertanto l'omessa corrispondenza tra la decisione del Tribunale e le domande delle appellanti, né risulta apparente la relativa motivazione. E comunque il controllo del giudice di merito sui risultati dell'indagine svolta dal consulente tecnico d'ufficio costituisce un apprezzamento di fatto in ordine al quale il giudizio di legittimità è limitato alla verifica della sufficienza e correttezza logico giuridica della motivazione della sentenza. La ricorrente tende invece ad un riesame nel merito della vicenda. Con il secondo motivo si denuncia Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 n. 3 cpc con riguardo agli artt. 112 cpc, 324 cpc, 345 cpc - Vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cpc”. Le ricorrenti criticano la decurtazione della fattura relativa alla liquidazione del danno materiale, in mancanza di una specifica contestazione della stessa da parte del danneggiante D.M.G. , e sostengono che la mancata corrispondenza fra le motivazioni di primo e di secondo grado, addotte a giustificazione di detta decurtazione, rende la motivazione del Tribunale palesemente viziata, non consentendo l'individuazione della ratio decidendi . L'omessa contestazione comporta inoltre, secondo le ricorrenti, un vizio di ultrapetizione nonché una omessa corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato. Ad avviso delle ricorrenti poi, in assenza di contestazioni sulla efficacia probatoria della suddetta fattura e sulla corrispondenza delle voci di spesa ivi indicate agli effettivi esborsi della B. , si è formato un giudicato interno ex art. 324 cpc, immodificabile in sede di gravame. Né la contestazione della fattura e delle relative voci poteva essere effettuata dalla Ras s.p.a. in sede di gravame a pena di incorrere nella violazione dell'art. 345 c.p.c Il motivo è infondato. Emerge infatti dal controricorso, alle pp. 21 e 22, che con la comparsa di costituzione in giudizio e con quella di riassunzione testualmente riportate l'Italica Assicurazioni e D.M.A. e G. contestarono il valore probatorio della fattura e il quantum debeatur . A seguito di tale contestazione il Giudice di Pace doveva quindi valutare la fattura e tanto ha fatto ritenendo la pretesa attrice eccessiva e liquidando una somma inferiore rispetto a quella portata dalla fattura stessa. Il Tribunale ha indicato le ragioni della decurtazione della somma richiesta nella fattura de qua , escludendo sia la spesa per la batteria in quanto la stessa non risulta coinvolta nel sinistro sia la voce materiale di consumo e la voce manodopera in quanto manifestamente eccessive perché facenti riferimento all'anno XXXX. Il giudice ha altresì rilevato che la voce battitura tetto non appare inerente al sinistro tenuto conto delle modalità dello stesso. Alla luce della motivazione del giudice di secondo grado non si riscontra quindi alcun contrasto fra la relativa sentenza e quella del Giudice di Pace ma piuttosto una integrazione della motivazione della prima da parte della seconda. Va peraltro rilevato che il vizio di contraddittorietà della motivazione è ravvisabile solo allorché vi sia insanabile contrasto tra parti della medesima sentenza, non già tra sentenze di grado diverso, essendo l'appello istituzionalmente finalizzato a perseguire una decisione diversa e contrastante con quella impugnata e comunque effettuata in altra sede. Per le ragioni che precedono non sussiste il vizio di ultra o extrapetizione, non si è formato un giudicato interno, né si riscontra domanda nuova in appello. Con il terzo motivo si denuncia Violazione e falsa applicazione dell'art. 91 e ss. c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 4”. Sostengono le ricorrenti che l'impugnata sentenza è censurabile sotto il profilo della violazione delle norme del codice di rito in tema di soccombenza in quanto la stessa ha respinto il gravame di parte attrice volto ad ottenere la riforma della liquidazione delle spese di lite del primo grado, operate dal Giudice di Pace nella misura inferiore ai limiti di legge e comunque omettendo la maggiorazione di cui all'art. 5 comma 4 del d.m. 585/1994. Secondo le B. , in particolare, il Tribunale è incorso in errore per aver ritenuto congrua la liquidazione dei diritti procuratori operata dal Giudice di Pace, senza tuttavia riconoscere il diritto procuratorio per l'escussione della triplice intimazione della teste D.B. . Il motivo è infondato. Al riguardo si deve anzitutto ricordare che, a norma dell'art. 6 d.m. 5 ottobre 1994, n. 585, nella liquidazione degli onorari difensivi a carico della parte soccombente, nei giudizi aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, il valore della causa è determinato avendo riguardo alla somma attribuita alla parte vittoriosa e non a quella domandata Cass., 15 luglio 2004, n. 13113 . Emerge inoltre dall'impugnata sentenza che le spese di lite, liquidate dal Giudice di Pace, sono state distinte nelle singole grandi voci e che, rispetto alla nota spese prodotta in primo grado, è stata sottratta la voce relativa alla c.t.u., liquidata in dispositivo autonomamente. Quanto poi ai diritti di procuratore si deve rilevare che non si è proceduto ad escutere tre testi bensì uno e che l'istruttoria si è incentrata nell'espletamento della c.t.u. medico-legale. Per tali ragioni deve in conclusione ritenersi che il Tribunale ha dato adeguata motivazione della riduzione della voce da esso operata. Con il quarto motivo si denuncia Violazione e falsa applicazione dell'art. 5 co. 4 del DM. 585/94 in relazione all'art. 360 n. 3 cpc omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.”. Sostengono le ricorrenti che la sentenza impugnata è censurabile nella parte in cui i giudici hanno totalmente omesso la liquidazione in favore delle ricorrenti della maggiorazione del 20% di cui all'art. 5 co. 4 del dm 585/94 per avere il difensore, nel precedente procedimento, assistito e difeso due soggetti con identiche questioni e posizioni, nonostante detta voce fosse stata espressamente richiesta nella nota spese il diniego di liquidazione di tale maggiorazione da parte del Tribunale avrebbe perciò dovuto comportare un obbligo di specifica motivazione da parte del giudice di secondo grado che è stato invece totalmente pretermesso. Il motivo è infondato. Con riguardo alla liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente, infatti, la disposizione dell'art. 5, quarto comma, del d.m. 31 ottobre 1985 tariffe forensi secondo cui, nel caso di assistenza e difesa di più parti aventi la medesima posizione processuale, la parcella unica potrà essere aumentata, per ogni parte e fino ad un massimo di sei, del venti per cento - non comporta l'introduzione di un minimo inderogabile della tariffa stessa, bensì importa l'esercizio di un potere discrezionale del giudice, senza che lo stesso sia vincolato all'aumento del venti per cento ogni qualvolta si verifichi l'ipotesi in essa considerata Cass., 21 marzo 1994, n. 2649 . Per tutte le ragioni che precedono i suddetti motivi devono essere rigettati con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.