Il consulente del lavoro è responsabile se impedisce ai clienti di fruire del condono tributario

Ai fini della declaratoria di responsabilità del professionista cui è stato conferito mandato di impugnare le decisioni della Commissione tributaria di primo grado è necessario provare il rapporto di consequenzialità diretta tra il suo inadempimento ed il danno dei clienti per l’impossibilità di avvalersi del condono.

Così si è espressa la Suprema Corte nella pronuncia n. 23323 depositata il 18 dicembre 2012, ribadendo i noti principi in ordine al nesso di causalità tra comportamento omissivo e danno. Il caso. Con atto di citazione innanzi al Tribunale civile di Tornio veniva convenuto in giudizio il consulente del lavoro cui era stato conferito mandato di impugnare le decisioni rese dalla Commissione tributaria di I grado, relative agli accertamenti per Ilor ed Irpef. Ne veniva chiesta la condanna al risarcimento del danno pari a £. 119.060.986 per aver impedito, con il suo comportamento omissivo, ai propri clienti-esponenti, di usufruire del condono tributario ai sensi della legge n. 413/91, promulgata poco dopo la notificazione delle non impugnate decisioni dei giudici tributari. La domanda, tuttavia, veniva respinta poiché pur risultando provato il conferimento dell’incarico al professionista, non poteva ritenersi prevedibile, ex art. 1225 c.c., il danno – conseguenza lamentato, né causalmente derivato dall’inadempimento del consulente del lavoro. Interposta impugnazione, anche la Corte di appello rigettava le richieste, dichiarandole inammissibili, per aver censurato l’affermazione del primo giudice relativa all’esclusa prevedibilità del danno, senza alcuna specifica censura. Aggiungeva, inoltre, che le doglianze risultavano comunque infondate, poiché non poteva essere condivisa l’affermazione del Tribunale in ordine alla riconosciuta sussistenza della prova del conferimento dell’incarico. Con ricorso innanzi alla Corte di Cassazione è stata censurata la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 c.c. e 342 c.p.c., nonché per vizio di motivazione, eccezioni che i giudici della legittimità hanno ritenuto manifestamente fondate e tali da condurre alla cassazione, con rinvio, della sentenza gravata. Il nesso causale tra l’inadempimento ed il condono tributario. Dopo aver pedissequamente riportato i motivi principali dell’atto di appello, la Corte ha cassato la sentenza affermando che non risultavo indicate le basi e gli argomenti con i quali il giudice di primo grado aveva escluso il rapporto di consequenzialità diretta ed immediata tra inadempimento del professionista ed il danno riportato dai clienti, per non aver potuto usufruire del condono tributario. Ciò, anche alla luce delle risultanze della CTU che avevano chiaramente riconosciuto l’omessa impugnazione degli accertamenti quale causa unica ed esclusiva dell’impossibilità per gli attori di accedere ai benefici previsti dalla legge n. 413/1991 . Richiamando il dettato dell’art. 1223 c.c., infatti, la Corte ha ribadito che, in tema, è necessaria la sussistenza di nesso di causalità tra l’inadempimento o il ritardo ed il danno ove l’onere sia stato soddisfatto dagli attori, anche in ottemperanza al principio di specificità dei motivi di impugnazione, ex art. 342 c.p.c., non può aversi declaratoria di inammissibilità del gravame. Risultava, infatti, chiaro sia l’ambito del riesame invocato, sia le ragioni per le quali la sentenza era stata censurata sul punto. In conseguenza, il ricorso è stato accolto con cassazione della sentenza d’appello e rinvio allo stesso giudice, in diversa composizione, mentre sono state travolte tutte le ulteriori doglianze per difetto di interesse.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 novembre - 18 dicembre 2012, n. 23323 Presidente Petti – Relatore Amatucci Ritenuto in fatto 1.- Nel 1993 C P. e P G. , in proprio e quali legali rappresentanti della PA.MA.PA. s.n.c, agirono giudizialmente nei confronti di A D.B. , consulente del lavoro, chiedendone la condanna al risarcimento del danno L. 119.060.986 per non aver dato corso al mandato professionale relativo all'impugnazione, innanzi alla Commissione tributaria di secondo grado, delle decisioni negative di quella di primo grado relative agli accertamenti per Ilor ed Irpef concernenti gli anni 1982 e 1983. I ricorsi innanzi alla Commissione tributaria di primo grado erano stati infatti accolti, nel 1991, solo relativamente all'Iva. In esito al giudizio svoltosi in primo grado con la partecipazione anche - per quanto ancora interessa - delle società assicurative Toro e Reale Mutua s.p.a. chiamate in causa dal convenuto in garanzia, con sentenza del 16.5.2002 il tribunale di Torino respinse la domanda sui rilievi che il mandato professionale era stato bensì conferito, ma che il danno lamentato dagli esponenti per non aver potuto usufruire del condono tributario ai sensi della legge 413/91, promulgata pochi mesi dopo la notificazione delle non impugnate decisioni della Commissione tributaria di primo grado, per un verso non era prevedibile ex art. 1225 c.c. e per altro verso non poteva ritenersi causalmente derivato dall'inadempimento del professionista. 2.- Con sentenza n. 237, pubblicata il 15.2.2006, la corte d'appello di Torino ha dichiarato inammissibile il gravame dei soccombenti per avere gli stessi censurato - relativamente all'evento dannoso consistito nel non aver potuto avvalersi del c.d. condono fiscale introdotto dalla legge n. 413 del 1991 determinato dal fatto che, in conseguenza della mancata proposizione dell'impugnazione, all'entrata in vigore di detta legge le decisioni erano ormai passate in giudicato - solo l'affermazione del primo giudice in punto di esclusa prevedibilità, senza però svolgere alcuna specifica censura . circa la asserita mancanza degli altri requisiti richiesti dall'art. 1223 c.c., consistenti nel rapporto di consequenzialità diretta ed immediata fra il danno in questione e l'inadempimento ascritto al D.B. , sicché su tale ratio decidendi, in sé sufficiente a sorreggere la decisione, si era formato il giudicato, a prescindere dalla sua fondatezza in diritto ed in fatto così la sentenza impugnata, alle pagine 16 e 17 . La Corte d'appello ha poi detto che, quand'anche si fosse ritenuto che gli appellanti avessero censurato la sentenza di primo grado in punto di proclamato difetto di nesso causale, l'impugnazione si sarebbe dovuta comunque rigettare nel merito, non essendo condivisibile l'affermazione del Tribunale in ordine all'affermata sussistenza della prova del conferimento dell'incarico professionale in data anteriore al passaggio in giudicato delle decisioni tributarie de quo pagine da 19 a 28 della sentenza . 3.- Ricorrono per cassazione i soccombenti, affidandosi a due motivi cui resistono con distinti controricorsi il D.B. e la Toro Assicurazioni s.p.a., che hanno depositato anche memorie illustrative. La discussione, rinviata il 12.6.2012 per impedimento del relatore, s'è svolta all'udienza odierna. Considerato in diritto 1.- Col primo motivo sono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 c.c. e 342 c.p.c., nonché vizi di motivazione su punti decisivi per avere la Corte d'appello escluso che fosse stata impugnata l'affermazione del primo giudice circa il rapporto di consequenzialità diretta ed immediata fra inadempimento del professionista e danno da derivata impossibilità per i ricorrenti di avvalersi del condono. I ricorrenti riportano in ricorso quello che avevano scritto alle pagine 7 e 8 dell'atto di impugnazione, con il quale avevano dedotto quanto segue Giova sotto altro profilo ribadire che la mancata presentazione dei ricorsi in appello, con conseguente passaggio in giudicato delle decisioni di primo grado, è stata dal CTU riconosciuta quale la causa unica ed esclusiva A dell'impossibilità per gli attori di accedere ai benefici previsti dalla L. 413/1991, dal momento che la possibilità di usufruire delle disposizioni agevolative per la definizione delle pendenze tributarie era ammessa sempreché non sia intervenuto accertamento definitivo cfr. testo dell'art. 32, primo comma l. 30.12.1991 n. 413, trascritto nella relazione di CTU . Se a ciò si aggiunge che si è fornita la prova mediante la produzione sub doc 23 della copia dell'istanza e della relativa ricevuta di pagamento che la s.n.c. PAMAPA si è avvalsa del condono tributario per definire la controversia in materia di IVA ancora pendente a differenza di quella sulle imposte dirette, a seguito dell'appello dell'ufficio e ciò ancorché tale società fosse, come si è visto, risultata vincitrice nel giudizio di primo grado donde è ragionevole desumere, ed anzi è del tutto ovvio, che a fortori ci si sarebbe avvalsi del c.d. condono tributario - ove la negligenza del rag. D.B. non lo avesse impedito - anche per quanto attiene alle pretese fiscali in materia di imposte dirette Ilor ed Irpef , per le quali gli esponenti erano risultati soccombenti nel giudizio di primo grado , ce ne è abbastanza per concludere che non possa essere negata la responsabilità dell'odierno appellato per il danno conseguente alla mancata possibilità di usufruire del condono tributario, danno sicuramente prevedibile sulla base di quanto esposto, dal momento dell'inadempimento, ed il cui ammontare è stato accertato dal CTU in capitali £ 86.450.986, corrispondenti ad Euro 44.648,21, cui vanno aggiunti gli interessi legali ed il maggior danno ex art. 1224 secondo comma c.c.” così il ricorso, alle pagine 8 e 9 . 1.1.- Il motivo è manifestamente fondato. La Corte d'appello non chiarisce su quali basi e con quali argomenti il giudice di primo grado avesse escluso il rapporto di consequenzialità diretta ed immediata tra inadempimento del professionista e danno dei clienti per l'impossibilità di avvalersi del condono. I ricorrenti sostengono che tanto il tribunale aveva fatto senza alcuna spiegazione al riguardo, sicché non è dato comprendere cos'altro avrebbero dovuto affermare con l'atto d'appello per sostenere che, invece, quel rapporto di consequenzialità diretta ed immediata a loro avviso ricorreva. È del resto noto che il riferimento dell'art. 1223 c.c. alle conseguenze immediate e dirette dell'inadempimento non altro esprime che l'esigenza della sussistenza di nesso di causalità tra l'inadempimento o il ritardo ed il danno. E quel nesso gli appellanti hanno sicuramente proclamato con le argomentazioni sopra riportate, senz'altro soddisfacendo il requisito di specificità dei motivi di impugnazione di cui all'art. 342 c.p.c., giacché era assolutamente chiaro sia l'ambito del riesame invocato sia le ragioni per le quali la sentenza era censurata sul punto. 2.- Col secondo sono denunciati violazione o falsa applicazione degli artt. 2730, 2733 e 2735 c.c. e vizio di motivazione nella parte in cui la Corte d'appello, pur avendo dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione, ha nondimeno ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova in ordine al conferimento dell'incarico professionale al rag. D.B. . Si sostiene, tra l'altro, che la Corte ha impropriamente svilito la testimonianza del figlio dei ricorrenti attori ed ha omesso di considerare altre determinanti risultanze, dalle quali emergeva la confessione stragiudiziale del convenuto al proprio assicuratore. 2.1.- Le sezioni unite Cass., sez. un., n. 3840/2007, cui s'è uniformata la giurisprudenza successiva cfr., ex multis, Cass., nn. 13997/2007, 15234/2007, 9646/2011 hanno chiarito che, una volta detta inammissibile l'impugnazione per ragioni di rito, l'esame del merito è precluso, essendo il giudice ormai privo del potere giurisdizionale di esaminarlo. A tanto consegue, per un verso, che tutto quanto affermato dalla Corte d'appello sul punto del conferimento dell'incarico professionale deve essere considerato tamquam non esset e, per altro verso, che il motivo di ricorso in scrutinio è inammissibile per difetto di interesse. Va soggiunto che risultano conseguentemente travolte anche le affermazioni della Corte d'appello sull'assorbimento dell'appello incidentale del D.B. in punto di manleva ed all'inefficacia degli appelli incidentali tardivi del D.B. e della Toro in ordine alla compensazione delle spese del primo grado . 3.- Accolto il primo motivo di ricorso ed assorbito il secondo, la sentenza va dunque cassata con rinvio alla stessa Corte d'appello in diversa composizione perché decida, nel merito, sull'appello principale dei ricorrenti P. e G. e si pronunci sugli appelli incidentali, regolando anche le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Torino in diversa composizione.