Insultato perché favorevole alle unioni omosessuali: lesione dell’identità o diffamazione?

Nessun difetto di ultrapetizione può ascriversi alla sentenza impugnata, poiché fin dall’atto introduttivo del primo grado di giudizio era stata chiesta l’accertamento dell’illiceità, se del caso penale, della affermazioni denigratorie.

Con la sentenza n. 23314, depositata il 19 dicembre 2012, la Corte di Cassazione ha chiarito il contenuto dell’art. 112 c.p.c. sulla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Gli insulti. Nell’anno 2000, richiamando una recente risoluzione del Parlamento europeo, un consigliere comunale esprime in assemblea le proprie posizioni liberali e democratiche in tema di riconoscimento delle unioni omosessuali. Un’associazione, schierata a tutela della famiglia, diffonde volantini in cui lo descrive come filo-omosessuale, come fan comunale dell’ omosessualismo e come appartenente al club dei pederasti. 5mila euro di risarcimento. Il consigliere chiede il risarcimento per la lesione del suo onore, della sua reputazione, della sua immagine e della sua identità personale. Ottiene 5mila euro, essendo riconosciuta la lesione del diritto al nome ex art. 7 c.c La Corte di Appello conferma la sentenza, motivando l’esistenza della lesione in base all’accertamento del reato di diffamazione, accogliendo la domanda incidentale del risarcito, espressa dopo la precisazione delle conclusioni. E’ stato garantito il contradditorio? Il ricorso per cassazione si basa principalmente sull’illegittimità dell’introduzione di una causa petendi dopo la precisazione delle conclusioni, e quindi sull’illegittima extrapetizione del giudice, impedendo così il contradditorio e violando il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Il ricorrente lamenta inoltre che il risarcimento sia stato disposto per via equitativa e non con le modalità di prova dovute ex artt. 2043 e 2059 c.c Le lesione è certificata, non importa in base a cosa. La Corte rileva che nessun difetto di ultrapetizione può seriamente ascriversi alla sentenza impugnata , poiché è stata domandata fin dall’inizio l’accertamento dell’illiceità, se del caso penale, delle affermazioni contenute sul volantino. La corte territoriale ha giustamente ritenuto violato il diritto all’identità personale dell’appellato, come tutelato anche dall’art. 2 Cost., senza alcuna violazione del contradditorio. E’ leso il rapporto di chiarezza con gli elettori. Per quanto riguarda la quantificazione del risarcimento, la Corte rileva la correttezza della liquidazione di tipo equitativo effettuata nel merito. Il giudice ha infatti motivato che l’esistenza e la consistenza della lesione erano tali da risultarne vulnerato il rapporto di chiarezza con gli elettori sotto il profilo della attività e della credibilità del consigliere comunale. Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso e condanna l’associazione ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 6 giugno – 18 dicembre 2012, n. 23314 Presidente Petti – Relatore Travaglino Svolgimento del processo Nel febbraio del 2000, l'avv. M G. convenne in giudizio, dinanzi al tribunale di Verona, l'associazione Famiglia e civiltà ed il suo presidente pro tempore, P Z. , per sentirli dichiarare responsabili di condotte lesive del suo onore, della sua reputazione e della sua immagine, lamentando che, dopo aver sostenuto, nel corso di una assemblea consiliare presso il comune di Verona, posizioni liberali e democratiche sul tema del riconoscimento delle unioni omosessuali a seguito della risoluzione adottata, in materia, dal Parlamento Europeo, egli era stato fatto oggetto di affermazioni denigratorie da parte dell'evocata associazione, che, nel diffondere un volantino all'uopo concepito, lo aveva descritto come filo-omosessuale, come fan comunale dell'omosessualismo e come appartenente alla Verona dei pederasti. Il giudice di primo grado, ritenendo leso il diritto all'identità personale del danneggiato, accolse la domanda, condannando i convenuti risarcirgli il danno non patrimoniale subito nella misura di 5000 Euro. La corte di appello di Venezia, investita del gravame proposto tanto dai soccombenti in prime cure quanto, in via incidentale, dal G. , accolse in parte l'impugnazione incidentale di quest'ultimo mentre l'appello principale venne rigettato, giusta quanto di qui a breve si dirà . La sentenza è stata impugnata dall'associazione Famiglia e Civiltà e da P Z. con ricorso per cassazione sorretto da tre motivi di doglianza e illustrato da memoria. Resiste con controricorso, a sua volta illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., M G. . Motivi della decisione Il ricorso è infondato. Va preliminarmente rilevato anche se parte ricorrente, correttamente, non se ne duole il lapsus calami in cui è incorso il giudice di merito nella parte dispositiva della sentenza oggi impugnata ove si legge che la corte accoglie in parte entrambi i gravami , risultando del tutto evidente, dalla piana lettura della motivazione della sentenza e della stessa restante parte del dispositivo, come il decisum del giudice lagunare fosse volto nel senso di rigettare l'appello principale e di accogliere in parte qua il gravame incidentale dell'avv. G. . Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione al'art. 360 comma I n. 3. Extrapetizione. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione al'art. 360 comma I n. 3. Sostituzione ex officio della causa petendi. Error in procedendo. Inammissibilità della nuova causa petendi del diritto alla conservazione del diritto all'identità posteriormente alla precisazione delle conclusioni e a contraddittorio negato. I motivi - che possono essere esaminati congiuntamente, attesane la intrinseca connessione - si concludono, rispettivamente, con i seguenti quesiti di diritto necessari quoad tempus, nonostante il contrario avviso erroneamente espresso dai ricorrenti con la memoria illustrativa Viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c. la sentenza di appello che motivi con accertamento del reato di diffamazione ex art. 55 c.p.c. l'esistenza invece della violazione della conservazione del diritto all'identità ex art. 7 c.c.? viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c. la sentenza di appello che estenda i poteri del giudice di appello oltre la qualificazione della domanda in effetti ritenuta dalle parti? Viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c. l'ingresso in giudizio della causa petendi della conservazione del diritto all'identità in sostituzione - posteriore alla precisazioni delle conclusioni ed a contraddittorio negato - della causa petendi della diffamazione? Le censure ammissibili, attesa la corretta formulazione dei quesiti che le integrano, diversamente da quanto opinato da parte controricorrente sono del tutto prive di pregio. Dall'esame dell'atto di citazione e della memoria ex art. 183 c.p.c., difatti consentita alla corte per essere denunciato un vizio in procedendo, e comunque riportati in parte qua dal contro ricorrente nell'odierno atto di resistenza emerge che nessun difetto di ultrapetizione può seriamente ascriversi alla sentenza impugnata, avendo la difesa dell'avv. G. chiesto, fin dall'atto introduttivo del giudizio di prime cure, l'accertamento della illiceità, se del caso penale, delle affermazioni contenute nel volantino, con conseguente declaratoria di avere i convenuti leso l'onore, la reputazione, l'immagine e l'identità personale dell'avv. G.M. . Accertamento positivo in fatto ritualmente ed esaustivamente compiuto dal giudice territoriale, che, con motivazione del tutto scevra da vizi logico-giuridici, e per ciò solo immeritevole delle censure di ultrapetizione mossele, ha del tutto condivisibilmente ritenuto violato il diritto all'identità personale dell'appellato si come tutelato, tra l'altro, dall'art. 2 della Carta fondamentale, senza che alcuna violazione del principio del contradditorio possa dirsi nella specie predicabile. Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione d dell'art. 112 c.p.c. in relazione al'art. 360 comma I n. 3. Violazione degli artt. 1226 - 2056 c.c Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto Viola il principi della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c. il risarcimento del danno disposto in via equitativa ex art. 1226 e 2056 c.c. a prescindere dalle prove circa la sua esistenza e quantificazione, anch'essa a contraddittorio negato, anziché con le modalità di prova dovuta ex art. 2043 e 2059 c.c., tali risultanti da specifiche richieste nelle conclusioni originare dell'attore? La censura non ha giuridico fondamento. La corte territoriale, difatti, al di là delle espressioni impropriamente usate in ordine alla asserita configurabilità di un evento di danno in re ipsa, ha correttamente motivato, in fatto, circa l'esistenza e la consistenza della lesione lamentata dall'attore con riferimento all'attività politica esercitata, lesione tale da risultarne vulnerato, all'esito della condotta illecita ascritta agli odierni ricorrenti, il rapporto di chiarezza con gli elettori sotto il profilo della attività e della credibilità dell'avv. G. . Le argomentazioni della corte lagunare, ancora una volta scevre da qualsivoglia vizio logico-giuridico, risultano del tutto idonee a fondare una legittima ipotesi risarcitoria che, per la natura stessa del danno lamentato, non poteva che trovare attuazione attraverso una liquidazione peraltro, poco più che simbolica di tipo equitativo. Il ricorso è pertanto rigettato. La disciplina delle spese segue - giusta il principio della soccombenza - come da dispositivo. P.Q.M. La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 1700, di cui Euro 200 per spese generali.