Convincimento del giudice: tutte le prove concorrono alla sua formazione

In ottemperanza al principio dell’acquisizione delle prove - che opera nell’attuale ordinamento processuale - le risultanze istruttorie, comunque ottenute ed indipendentemente dalla parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro.

La vicenda in esame riguarda un principio fondamentale dell’attuale ordinamento processuale, ovvero il principio di acquisizione delle prove. Il caso. Due imprenditori, un uomo e una donna, si accordavano al fine di acquistare un’azienda, in particolare un chiosco per la rivendita di giornali, convenendo sin da subito che l’attività di impresa sarebbe stata esercitata da uno solo di essi. L’uomo consegnava alla donna una somma di denaro a titolo di mutuo per l’acquisto della predetta azienda, nonché al fine di costituire una società di fatto con ella, ma detta società non venne poi in realtà mai costituita. Per tale ragione, l’uomo agiva in giudizio per la restituzione del denaro, senza però ottenere quanto domandato. La Corte d’appello di Genova, invece, in accoglimento dell’appello proposto dall’uomo, condannava la collega imprenditrice al pagamento della suddetta somma di denaro a titolo di restituzione della egual somma ricevuta per l’acquisto dell’azienda. La soccombente proponeva ricorso in cassazione. Richiesta di restituzione di somma di denaro, in assenza di prova del relativo titolo. La ricorrente riteneva che, pur essendo pacifica la consegna della somma di denaro dalla controparte, quest’ultima non avrebbe indicato, né fornito alcuna prova in ordine al titolo per cui detta somma era stata consegnata pertanto, la domanda dell’uomo non poteva essere accolta. Tutte le risultanze istruttorie concorrono a formare il convincimento del giudice La Suprema Corte relaziona ampiamente su detta eccezione sollevata da parte ricorrente. È pur vero - afferma la Corte - che pacifica giurisprudenza ritiene che la consegna di una somma di denaro non è vicenda idonea a fondare una richiesta di restituzione, anche se, ammessa la ricezione, il creditore contesti il titolo della consegna e, correlativamente, l’obbligo di restituzione. Grava, infatti, sull’attore l’onere di provare il fatto costitutivo della pretesa restitutoria, indicando altresì uno specifico titolo giuridico implicante l’obbligo di restituzione e senza che l’indicazione di un diverso titolo da parte del convenuto, valga ad invertire tale regola probatoria. Tuttavia, fermo restando quanto precede, nell’attuale ordinamento processuale opera il principio dell’acquisizione delle prove secondo cui il giudice è libero di formare il suo convincimento sulla base di tutte le risultanza istruttorie, indipendentemente dalla parte che abbia provveduto al loro ingresso nel giudizio, con l’unico limite, riguardo alla configurabilità di domande implicitamente subordinate, che vi sia la necessità di svolgere, in relazione ad esse, indagini su diversi temi di fatto non introdotti ritualmente in giudizio. In ottemperanza al suddetto principio, dunque, le risultanze istruttorie, comunque ottenute ed indipendentemente dalla parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro. indipendentemente dalla parte dalla quale provengono. Nel caso di specie, i giudici territoriali hanno ritenuto che la somma di denaro per cui è causa, fosse stata consegnata dall’appellante alla appellata a titolo di mutuo per l’acquisto dell’azienda. Tale circostanza si basa sulle scritture private prodotte dalla stessa appellata e sulla deposizione della venditrice che aveva assistito all’accordo tra le due parti processuali volto all’acquisto congiunto dell’azienda, anche se l’attività di impresa sarebbe stata esercitata dalla sola appellata. Dalle risultanze processuale – a dire della Corte d’appello – la somma di denaro è stata data al solo fine di costituire una società di fatto, ma detta società non venne mai costituita. Secondo i giudici di merito, dunque, il titolo alla restituzione derivava dal sopravvenuto venir meno della causa in base alla quale la somma era stata consegnata. Tale prospettazione, secondo la Corte di Cassazione, risulta corretta sotto il profilo giuridico. Sulla base di tale motivazione la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 13 novembre - 5 dicembre 2012, n. 21885 Presidente Salmè – Relatore Di Palma Fatto e diritto La Corte rilavato che sul ricorso n. 12158/11 proposto da. A.F. nei confronti di S.G. il consigliere relatore ha depositato la relazione che segue il relatore Cons. Ragonesi , letti gli atti depositati considerato che A.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi avverso la sentenza n. 1307/10 della Corte d'appello di Genova con cui, in accoglimento dell'appello proposto da S.G. , veniva condannata al pagamento in favore di quest'ultimo della somma di Euro 6.713,94 pari a lire 13 milioni a titolo di restituzione di una somma ricevuta per l'acquisto di un’azienda Che l'intimato ha resistito con controricorso. Osserva Con il primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che, essendo pacifica la dazione della somma da parte del S. , quest'ultimo non avrebbe tuttavia indicato né fornito alcuna prova in ordine al titolo per cui detta somma era stata consegnata onde, stante l'espressa eccezione sollevata sul punto da essa ricorrente, la domanda non poteva essere accolta, non potendo il giudice di merito provvedere a qualificare la domanda. Il motivo appare infondato. È ben vero che è giurisprudenza pacifica quella secondo cui la consegna di una somma di denaro non è, di per sé, vicenda idonea a fondare una richiesta di restituzione allorché, ammessa la ricezione, l' accipiens pur tuttavia contesti il titolo della consegna e, correlativamente, l'obbligo di restituzione, gravando, in tale ipotesi, sull'attore l'onere di provare integralmente il fatto costitutivo della pretesa restitutoria, onere esteso all'indicazione di uno specifico titolo giuridico implicante l'obbligo di restituzione, e senza che l'indicazione di un diverso titolo, da parte del convenuto che solleva, in tal caso, una mera eccezione in senso sostanziale , valga ad invertire tale regola probatoria Cass. 738/99 . Tuttavia nel vigente ordinamento processuale opera il principio dell'acquisizione delle prove, in forza del quale il giudice è libero di formare il suo convincimento sulla base di tutte le risultanze istruttorie, quale che sia la parte ad iniziativa della quale sia avvenuto il loro ingresso nel giudizio, con l'unico limite, riguardo alla configurabilità di domande implicitamente subordinate, che vi sia la necessità di svolgere, in relazione ad esse, indagini su diversi temi di fatto non introdotti ritualmente in giudizio. Cass. 25028/08 . Il principio relativo all'onere della prova, di cui all'art. 2697 cod. civ., infatti, non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato del relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poiché nel vigente ordinamento processuale vale il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell'altro. Cass. 739/10 . È quanto avvenuto nel caso di specie in cui la Corte d'appello ha ritenuto che la somma per cui è causa fosse stata data dal S. alla A. a titolo di mutuo per l'acquisto di un'azienda chiosco per la rivendita di giornali e ciò sulla base delle scritture private prodotte dalla stessa A. e della deposizione della venditrice B. che aveva dichiarato che aveva assistito all'accordo tra l’A. ed il S. volto all'acquisto congiunto dell'azienda e che l'attività d’impresa sarebbe stata esercitata dall'A. . La teste aveva precisato poi che, anche se all'attività d'impresa aveva per un certo periodo collaborato T.F. , moglie del S. , non risultava che quest'ultimo avesse partecipato a detta attività. La Corte d'appello ha poi ricostruito in base alle prove testimoniali i rapporti intercorsi tra la A. ed il S. . In particolare, la sentenza riporta alcuni brani della deposizione di A S. , sorella del resistente, secondo cui alla sera l'incasso veniva diviso tra l'A. ed il S. e che questi lo consegnava alla moglie anch'essa presente. Sulla base di siffatti elementi probatori, la Corte d'appello ha ritenuto che la somma per cui è causa sia stata data dal S. al fine di costituire una società di fatto con l'A. ma che detta società non venne in realtà mai costituita, non potendosi valutare a tal fine la posizione della T. in quanto soggetto terzo rispetto al giudizio. Secondo la Corte d'appello dunque il titolo alla restituzione derivava dal successivo venir meno della causa in base al quale la somma era stata consegnata. In virtù di quanto in precedenza detto, tale attribuzione del titolo relativo alla domanda di restituzione della somma, basato sugli accertamenti probatori effettuati in giudizio, risulta del tutto corretta sotto il profilo giuridico. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta il vizio motivazionale della sentenza per non avere questa tenuto adeguatamente conto di tutti gli elementi probatori acquisiti in giudizio sia di natura documentale che testimoniale, da cui sarebbe emerso invece con tutta evidenza l'esistenza di una società di fatto. Il motivo appare inammissibile. La Corte d'appello ha fornito sul punto una ampia ed argomentata motivazione logicamente coerente e basata su corretti presupposti giuridici e su un attento esame delle risultanze processuali in base alla quale ha ritenuto insussistente l'esistenza di una società di fatto tra le parti. In particolare, ha osservato che non vi era prova di una diretta partecipazione del S. all'attività sociale, né vi era prova della esistenza di un fondo comune e di un vincolo di collaborazione, restando esclusa da tale ultimo accertamento - come in precedenza detto - la attività svolta dalla moglie del S. estranea al rapporto dedotto in giudizio. Non sussisteva neppure l'alea per l'esercizio dell'attività imprenditoriale risultando che le passività per il prelievo fiscale erano state sostenute esclusivamente dalla A. . Le censure che la ricorrente muove a tale motivazione tendono in realtà a proporre una diversa interpretazione degli elementi probatori acquisiti in giudizio ed in particolare delle risultanze della prova testimoniale , in tal modo investendo il merito della decisione. Il ricorso può pertanto essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 cpc. P.Q.M. Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio.