Interesse proprio o del prossimo congiunto: l’astensione è sempre obbligatoria

In presenza di interesse proprio o di prossimo congiunto, il giudice civile non ha la facoltà bensì l’obbligo di astenersi.

La previsione dell’art. 323 c.p., infatti, ha carattere generale e prescrive il dovere di astensione per tutti i p.u. che si trovino in una situazione di conflitto di interesse. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19704/12, depositata il 13 novembre. Il caso. Un magistrato è sottoposto a procedimento disciplinare per aver violato i doveri di correttezza e imparzialità egli infatti avrebbe trattato quale giudice monocratico una controversia tra una società ed il Comune di Napoli accogliendo la domanda della s.p.a. , nonostante una quarantennale amicizia con l’amministratore della società e il fatto che la figlia fosse stata dipendente della medesima società. Il magistrato è poi accusato di aver consapevolmente omesso di astenersi dalla trattazione e definizione della controversia civile in oggetto in presenza di rapporti di amicizia con l’amministratore della società. La Sezione disciplinare del CSM, ritenendo che nella fattispecie sussistesse l’obbligo di astensione previsto dall’art. 323 c.p., condanna il magistrato alla sanzione della censura. Avverso tale decisione l’imputato propone ricorso per cassazione. L’identificazione della condotta. Il ricorrente lamenta anzitutto la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza con l’accusa il secondo capo di imputazione, per il quale è stato condannato, sarebbe stato volto a contestare la violazione del dovere di astensione in presenza di rapporti di amicizia con una parte processuale e non la violazione prevista dall’art. 323 c.p Secondo gli Ermellini, però, il motivo è infondato nel procedimento disciplinare a carico dei magistrati, infatti, l’identificazione della condotta va operata considerando il complesso degli elementi aggiuntivi portati a conoscenza dall’incolpato e sui quali egli è stato posto nelle condizioni di difendersi il fatto contestato, pertanto, non è solo quello indicato specificamente nel capo di imputazione, ma quanto risulta da tutti i predetti elementi. L’obbligo di astensione ha carattere generale? Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che l’obbligo di astensione ex art. 323 c.p. non integri un obbligo generale di astensione per il magistrato ai fini disciplinari, gli unici obblighi di astensione rilevanti sarebbero quelli previsti dall’art. 51, comma 1, c.p.c Come già affermato da recente giurisprudenza, gli Ermellini ribadiscono però che l’obbligo di astensione non può ridursi a dette ipotesi, dal momento che nell’ordinamento vige la norma penale di carattere generale che punisce il p.u. il quale in presenza di un interesse proprio o del prossimo congiunto ometta di astenersi procurando a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o arrecando ad altri un danno ingiusto. Sì, laddove si configuri conflitto di interessi. Vige pertanto un dovere generale di astensione per i p.u. che si trovino in una situazione di conflitto di interessi e dunque, in presenza degli altri elementi della condotta e dell’elemento psicologico, il reato viene integrato anche quando manchi, per il procedimento ove l’agente è chiamato ad operare, una specifica disciplina dell’astensione o nei casi in cui questa riguardi un numero più limitato di casi o non abbia carattere cogente. Il richiamo operato dall’art. 323 c.p., infatti, prescrivendo un dovere generale di astensione in ipotesi dove si configuri un conflitto di interessi anche solo potenziale , esclude preventivamente il sorgere di qualsiasi contrasto con norme speciali ed è inoltre coerente con la norma dell’art. 97 Cost., la quale prescrive che tutta l’attività dei p.u. si ispiri al principio di imparzialità. L’applicazione nei confronti del giudice civile. Per quanto riguarda il giudice civile, il risultato è che, in presenza di interesse proprio o di prossimo congiunto, si debba considerare abrogata la facoltà di astenersi art. 51, comma 2, c.p.c. , sostituita dalla previsione dell’obbligo di astensione. Un’interpretazione di segno opposto, del resto, esporrebbe la norma a seri dubbi di incostituzionalità in quanto comporterebbe una disparità di regole deontologiche tra giudice civile e penale difficilmente giustificabile. La qualificazione dell’interesse. Con un terzo motivo di ricorso il magistrato lamenta che il giudice disciplinare non abbia specificato in cosa sarebbe consistito l’interesse, e cioè se si trattava una ragione economico patrimoniale o di altro genere. Modificando il suo precedente orientamento, la S.C. afferma che l’interesse che fonda il dovere di astensione comprende ogni interesse personale, anche non economico e del tutto affettivo ciò che conta è che il p.u. si trovi in una situazione oggettiva potenzialmente idonea, secondo l’ id quod plerumque accidit , a minare le condizioni di imparzialità in relazione all’esercizio della sua funzione, a discapito dell’interesse pubblico generale. I successivi motivi di ricorso, volti ad affermare un presunto travisamento della prova e a contestare la sussistenza del dolo, sono dichiarati rispettivamente infondati e inammissibili gli Ermellini, infatti, non possono sindacare il merito delle valutazioni dei giudici disciplinari né affrontare questioni nuove. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 23 ottobre – 13 novembre 2012, n. 19704 Presidente Preden – Relatore Segreto Svolgimento del processo Il dr. P.A. , presidente di sezione del tribunale di Napoli è stato sottoposto a procedimento disciplinare per l'illecito di cui all'articolo 18, R.D. n. 511/1946, tipizzato dall'articolo 4, comma 1, lett d del d. lgs. n. 109/2006, in relazione all'articolo 323 c.p. per aver, in violazione dei doveri di correttezza ed imparzialità, trattato quale giudice monocratico del tribunale di Napoli e definito con sentenza la controversia civile tra la s.p.a. Romeo Gestioni ed il Comune di Napoli, accogliendo la domanda della società, per la qualificazione del rapporto come di appalto di servizi, nonostante che tra lui e l'amministratore della s.p.a. avv. R.A. vi fosse un rapporto quarantennale di amicizia e frequentazione che la figlia fosse stata dipendente dal 2000 al 2009 della medesima società che, come risultava dalle intercettazioni telefoniche, la qualificazione dei rapporti contrattuali come appalto di servizi fosse condizione per la partecipazione alle gare pubbliche che dalle stesse intercettazioni emergeva la spendita della pronunzia in questione con esponenti politici ed amministrativi. Il dr. P. veniva sottoposto a procedimento disciplinare anche per l'illecito tipizzato dall'articolo 2, comma 1, lett. c, d. lgs n. 109/2006 per avere, in violazione dei doveri di correttezza ed imparzialità, consapevolmente omesso di astenersi dalla trattazione e definizione della controversia civile di cui al capo che precede, in presenza di rapporti risalenti di amicizia e frequentazione con l'amministratore della s.p.a., avv. R. . La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con sentenza depositata il 12 gennaio 2012, assolveva il dr. P. dall'incolpazione di cui al capo a e dichiarava lo stesso responsabile di quella di cui al capo b , condannandolo alla sanzione della censura. Riteneva la sezione che era rimasta accertata sia l'amicizia da alcuni decenni del magistrato con l'avv. R. sia la frequentazione, che aveva assunto i caratteri di stretta amicizia, nonché il rapporto di dipendenza della figlia dalla s.p.a. Romeo che nella fattispecie sussisteva l'obbligo di astensione per interesse proprio e/o di prossimo congiunto previsto dall'articolo 323 c.p. per il quale reato il GIP del tribunale di Roma aveva disposto l'archiviazione per prescrizione, pur rilevando che emergevano elementi di reato soggettivo ed oggettivo che tale obbligo di astensione integrava una norma di carattere generale, con la conseguenza che le ipotesi di astensione obbligatoria non si esaurivano per il giudice civile solo in quelle di cui all'articolo 51, comma 1, c.p.c., ma dovevano essere integrate anche dall'ipotesi di cui all'articolo 323 c.p Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il dr. P.A. . Motivi della decisione 1. Il ricorrente con il primo motivo del ricorso lamenta la nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione con l'incolpazione contestata al capo 2 della rubrica. Lamenta il ricorrente che con il secondo capo di imputazione gli era stata contestata la violazione del dovere di astensione dalla trattazione della causa civile in presenza di rapporti risalenti di amicizia e frequentazione con l'amministratore della Romeo, parte processuale, ma non per violazione dell'obbligo di astensione per la presenza di un interesse proprio o di un congiunto. Secondo il ricorrente ciò determinerebbe la violazione del principio della corrispondenza tra accusa e sentenza. 2.1. Ritiene questa Corte che il motivo è infondato. Va, anzitutto, premesso che nel procedimento disciplinare a carico di magistrati l'individuazione della condotta addebitata, cui deve essere correlata l'affermazione di colpevolezza, non va necessariamente operata con esclusivo riferimento a quanto specificamente indicato nel capo d'incolpazione, dovendo altresì considerarsi il complesso degli elementi aggiuntivi portati a conoscenza dell'incolpato e sui quali egli è stato posto nelle condizioni di difendersi S.U., 23/12/2009, n. 27290 . La necessaria correlazione fra l'accusa contestata e la sentenza mira a garantire il contraddittorio, portando a conoscenza del responsabile i fatti che gli vengono addebitati, e di consentirgli così un'adeguata difesa per fatto contestato deve pertanto intendersi, in relazione alla predetta ratio , non solo quello indicato specificamente nel capo di incolpazione ma quanto risulta da tutto il complesso degli elementi portati a conoscenza dell'incolpato, e sui quali lo stesso è stato messo in grado di difendersi Cass. S.U. 7.2.2007, n. 2685 . 2.2.Nella fattispecie il dr. P. era stato tratto a giudizio per due incolpazioni indicate nello svolgimento del processo . In merito alla prima erano stati specificamente indicati quali fossero i rapporti amichevoli tra lui ed il R. e come gli stessi durassero da oltre quaranta anni e che la figlia del dr. P. fosse dipendente di una società, che faceva capo al R. dal 2000. Questo tipo di rapporti personali, che nella struttura della sentenza concretizzano l'interesse proprio e della prossima congiunta, furono oggetto di contestazione al dr. P. , che ebbe modo di difendersi, con riguardo al complesso della contestazione, tant'è che, come emerge dalla sentenza, l'incolpato mirò a ridurne lo spessore e la durata. Ne consegue che non sussiste la pretesa mancanza di correlazione tra accusa e sentenza. 3. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 323 c.p. e 2, comma 1, lett. c ,del d. lgs. n. 109/2006. Lamenta il ricorrente che l'obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un proprio congiunto, di cui all'articolo 323 c.p. non integra un obbligo generale di astensione per il magistrato, essendo l'obbligo sussistente solo ai fini della fattispecie penale, mentre ai fini disciplinari gli unici obblighi di astensione sono solo quelli previsti dall'articolo 51 comma 1, c.c., non essendo estensibile fuori dalla sede penale l'obbligo di astensione di cui all'articolo 323 c.p 4.1. Il motivo è infondato. L'articolo 2, lett. c del d.lgs. 23.2.2006, n. 109 statuisce che costituisce illecito disciplinare nell'esercizio delle funzioni la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge . Osservano queste S.U. che correttamente la Sezione disciplinare ha ritenuto che la fattispecie disciplinare suddetta non è delimitata alle sole ipotesi tassativamente previste dall'articolo 51, comma 1 c.p.comma e dagli artt. 36 e 37 c.p.p., con la conseguenza che il suo ambito di applicazione è più ampio. Già queste S.U. sent. n. 11431 del 12/05/2010 , sia pure con riguardo a magistrato che eserciti le funzioni di P.M., hanno statuito che è configurabile l'illecito disciplinare previsto dall'articolo 2, comma 1, lett. c , d.lgs. 23 febbraio 2006 n. 109 consapevole inosservanza del dovere di astensione nei casi previsti dalla legge , benché per il P.M. sia prevista solo la facoltà di astenersi, in quanto anche per questi sussiste il dovere di valutare, nell'esercizio delle sue funzioni, le ragioni di grave convenienza per non trattare cause in cui egli o suoi stretti congiunti abbiano interessi e quello di astenersi nel caso di verificata esistenza di tali ragioni, con particolare riguardo a interessi propri o personali dello stesso magistrato. Più recentemente queste S.U. sent. N. 5701 dell'11.4.2012 in un procedimento disciplinare a carico di un giudice dell'esecuzione civile, hanno statuito che l'obbligo legale di astensione del magistrato non può essere circoscritto alle ipotesi contemplate dall'articolo 51 c.p.c., comma 1, giacché esiste nell'ordinamento almeno una norma penale di portata generale, che punisce il comportamento del pubblico ufficiale il quale in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto ometta di astenersi procurando a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o arrecando ad altri un danno ingiusto articolo 323 c.p. . Secondo tale arresto delle S.U. ai fini dell'illecito disciplinare previsto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, articolo 2, comma 1, lett. c , l'obbligo di astensione del magistrato, pur non essendo configurabile per la mera esistenza di gravi ragioni di convenienza ex articolo 51 c.p.c., comma 2, sussiste non soltanto nei casi indicati specificamente dall'articolo 51 c.p.c., comma 1, bensì in tutti i casi nei quali sia ravvisabile un interesse proprio del magistrato, o di un suo prossimo congiunto, a conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale o a farlo conseguire ad altri, o a cagionare un danno ingiusto ad altri . 4.2. Ritiene questo Collegio di dover aderire a tale orientamento, per quanto con le precisazioni che seguono, segnatamente sulla natura dell'interesse. In particolare anche per il giudice civile deve ritenersi che sussista l'obbligo di astensione non solo nelle ipotesi tassativamente previste dall'articolo 51, comma 1 c.p.c., ma anche in presenza di un proprio interesse o di un prossimo congiunto , dovendo ritenersi che un obbligo siffatto discenda dall'articolo 323 c.p 4.3. Questa Corte Cass pen. Sez. 6, Sentenza n. 7992 del 19/10/2004 ha infatti rilevato che la norma che incrimina l'abuso di ufficio, nella parte relativa all'omessa astensione in presenza di un interesse proprio dell'agente o di un prossimo congiunto, ha introdotto nell'ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di astensione per i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che si trovino in una situazione di conflitto di interessi. Dunque l'inosservanza di tale dovere comporta, in presenza degli altri elementi della condotta e dell'elemento psicologico, l'integrazione del reato anche quando faccia difetto, per il procedimento ove l'agente è chiamato ad operare, una specifica disciplina dell'astensione, o nei casi in cui la disciplina eventualmente esistente riguardi un numero più ridotto di ipotesi o sia priva di carattere cogente. L'articolo 323 c.p., nella redazione dell'articolo 1 L. 16 luglio 1997 n. 234, ha riordinato la disciplina dell'obbligo di astensione, dettando una norma di carattere generale e coordinando con quella le norme speciali che prevedono casi diversi e ulteriori in cui detto obbligo rimane vigente. Con il richiamo generalizzato, contenuto nel citato articolo, di tutte le norme che disciplinano casi specifici di obbligo di pubblici ufficiali di astenersi, si è risolto preventivamente e in radice qualsiasi contrasto delle norme speciali con la disposizione di carattere generale, che prevale sulle altre nei limiti della propria statuizione. In altri termini il richiamo esteso, secondo lo schema della norma penale in bianco, anche alle norme speciali di futura emanazione delinea un sistema in cui l'ipotesi di carattere generale e quelle particolari risultano armonizzate grazie a un effetto parzialmente abrogante che esclude ogni possibile contrasto. 4.4.Con l'espressione omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto l'articolo 323 c.p. ha fondato un dovere generale di astensione in ipotesi che configuri oggettivamente un conflitto, anche solo potenziale, di interessi. Va specificato che tale obbligo generalizzato di astensione sussiste per il solo fatto della presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto , mentre non occorre che l'interesse sia finalizzato a conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale o a farlo conseguire ad altri, o a cagionare un danno ingiusto ad altri . Per l'esistenza di tale obbligo generale di astensione, previsto dall'articolo 323 c.p., è sufficiente l'esistenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto. In questo senso va osservato che l'obbligo di astensione in presenza di interesse proprio o di prossimo congiunto, mirando a prevenire in radice il conflitto di interesse anche solo potenziale, rappresenta una modalità di attuazione del principio di imparzialità a cui deve ispirarsi tutta l'attività dei pubblici ufficiali, a norma dell'articolo 97 Cost., e, segnatamente, quella dei giudici. 4.5.Con l'ulteriore espressione negli altri casi prescritti l'articolo 323 c.p. ha statuito che l'omessa illegittima astensione possa realizzarsi non solo in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, ma in tutte le altre situazioni in cui possa profilarsi un conflitto che scaturisca da un interesse diverso da quello proprio o di un prossimo congiunto. Solo in questa ipotesi è necessario che detto obbligo di astensione nella fattispecie per il giudice civile , derivi da specifiche norme legislative o da regolamenti. Il risultato, per quanto riguarda l'articolo 51, comma 2 c.p.c., consiste nell'abrogazione per incompatibilità della facoltà, sostituita dall'obbligo, di astenersi in presenza della grave ragione di convenienza costituita dalla presenza di interesse proprio o di un prossimo congiunto. La norma invece rimane in vigore per tutte le altre ipotesi di gravi ragioni di convenienza diverse dall'interesse come sopra individuato , in presenza delle quali permane la facoltà e non l'obbligo di astensione da parte del giudice civile. 4.6. Una diversa lettura finirebbe per esporre la norma di cui all'articolo 51, comma 2, c.p.comma a seri dubbi di costituzionalità, ove si ritenesse che la presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto del giudice civile integri solo una grave ragione di convenienza per l'astensione facoltativa. Infatti, ai fini dell'esistenza dell'illecito disciplinare ex articolo 2 lett. c d.lgs. n. 109/2006 non si capirebbe per quali ragioni, mentre per il giudice civile non risulterebbe integrata la condotta essendo ex articolo 51, comma 2, c.p.comma solo facoltativa l'astensione, secondo quest'opzione , lo sarebbe invece per il giudice penale essendo obbligatoria l'astensione di quest'ultimo per gravi ragioni di convenienza, ex articolo 36, lett. h, c.p.p. . L'obbligo generale di astensione per ogni pubblico ufficiale, in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, fissato dall'articolo 323 c.p., e l’interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 51, comma 2, c.p.c., nei termini suddetti, escludono quanto meno limitatamente alla sola ipotesi che rileva in questo giudizio, essendo le altre ipotizzabili prive di rilevanza concreta nella fattispecie , una disparità di regole deontologiche tra il giudice penale e quello civile, che sarebbe difficilmente giustificabile. D'altra parte sarebbe ben strano che, mentre tutti gli altri dipendenti della p.a. hanno l'obbligo di astensione in presenza di interesse proprio o di prossimo congiunto articolo 6 del D.M. 28.11.2000, Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni,emanato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri Dip. funz. pubbl. tale obbligo non graverebbe sul solo giudice civile, a cui competerebbe invece solo una facoltà di astensione per grave ragione di convenienza. 4.7. Ne consegue che, avendo la sentenza impugnata con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ritenuto che nella fattispecie sussistesse l'interesse proprio del dr. P. e della propria figlia, correttamente ha concluso che il dr. P. avesse un obbligo e non solo una facoltà di astensione nella trattazione della controversia civile in cui era parte la s.p.a., amministrata dall'avv. R.A. . 5. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 2 comma 1, lett. c d. lgs. 109/2006, in rapporto all'articolo 323 c.p Difetto di motivazione. Lamenta il ricorrente che il giudice disciplinare non ha specificato in cosa sarebbe consistito l'interesse e cioè se trattavasi di una ragione economico-patrimoniale ovvero con finalità di altro genere . 6. Il motivo è infondato. Richiamato quanto già detto al punto 4.4.,nella previsione dell'articolo 323 c.p., come novellato dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, l'interesse proprio -in presenza del quale il pubblico ufficiale ha l'obbligo di astensione, che già non derivi da specifica disposizione non solo non deve essere inteso come il vantaggio di natura patrimoniale, la cui realizzazione perfeziona il delitto di abuso d'ufficio, ma non è neppure sinonimo di lucro o di utilità, per cui comprende ogni interesse personale, anche non economico e del tutto affettivo, quale la finalità di favorire altri quando da ciò derivi per l'agente una situazione di vantaggio nella sfera personale delle sue relazioni sociali ed amicali Cass. Pen. 19.11. 1997, n. 1316 . Più in generale la situazione di interesse proprio o di un prossimo congiunto, che obbliga all'astensione, sì configura ogni qual volta il pubblico ufficiale, e, per quanto qui interessa il giudice, si trovi in una situazione oggettiva potenzialmente idonea, secondo l’id quod plerumque accidit, a minare le condizioni di imparzialità in relazione all'esercizio della sua funzione, ponendo in conflitto, anche solo potenziale, l'interesse pubblico generale alla legalità con l'interesse proprio o dei prossimi congiunti. Sotto questo profilo, quindi, non pare che possa darsi continuità all'arresto di S.U. n. 5701/2012, secondo l'obbligo di astensione sussisterebbe solo nei casi di un interesse proprio del magistrato, o di un suo prossimo congiunto, a conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale o a farlo conseguire ad altri, o a cagionare un danno ingiusto ad altri come pare ritenere il ricorrente . I requisiti della patrimonialità o dell'ingiustizia del danno nella stessa struttura dell'articolo 323 c.p. attengono non all'interesse in presenza del quale occorre astenersi ma all'evento del reato per l'interesse, invece, non vi è alcuna delimitazione, ad eccezione di quella che deve trattarsi di interesse proprio o di un prossimo congiunto . Ne consegue che non presenta il lamentato vizio l'impugnata sentenza che ha identificato l'interesse proprio del magistrato incolpato nel rapporto di lunga e stretta amicizia con il R. e l'interesse della propria figlia nel fatto che essa fosse dipendente già da anni di una società che faceva capo al R. . 7. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione ed erronea applicazione dell'articolo 2 comma 1, lett. c d. lgs. n. 109/2006. Difetto di motivazione in ordine alle deduzioni difensive svolte con la memoria depositata, nonché in ordine all'attendibilità del R. effettuata dal GUP nel giudizio abbreviato. Travisamento della prova. Lamenta il ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata abbia aderito acriticamente alle dichiarazioni dell'avv. R. nell'interrogatorio di garanzia, quando affermò di conoscere il dr. P. da quaranta anni. 8.1. Il motivo è infondato. Va ribadito che in tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, alle Sezioni Unite della S.C. non è consentito sindacare sul piano del merito le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte medesima limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sulla assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale. Sez. U. n. 18451 del 19/09/2005 Sez. U. n. 27689 del 16/12/2005 . In particolare la valutazione delle prove acquisite nel procedimento disciplinare a carico di magistrati rientra nel potere insindacabile della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, che non è tenuta ad ammettere altri mezzi di prova qualora ritenga quelli acquisiti già sufficienti ai fini del giudizio, mentre l'apprezzamento dei fatti, compiuto della predetta Sezione al fine di valutare il comportamento di un magistrato sotto il profilo disciplinare, è incensurabile in Cassazione se sorretto da motivazione logica ed adeguata Sez. U. n. 1096 del 30/01/1995 . Nella fattispecie non si ravvisa alcun vizio motivazionale della sentenza nell'avere ritenuto di assegnare credibilità alle dichiarazioni del R. , rese al Gip di Napoli, di conoscere il P. da oltre 40 anni, tenuto conto che la Sezione ha rilevato anche l'esistenza di una serie di elementi indiziari a sostegno di tale circostanza p. 5 . 9. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 2, comma 1, lett. c d. lgs. n. 109/2006 con riferimento al dolo. Difetto di motivazione e travisamento della prova. Lamenta il ricorrente che, poiché l'inosservanza dell'obbligo di astensione deve essere consapevole, per l'esistenza della violazione in esame occorre il dolo, per cui ha rilevanza scusante l'errore. Tale punto non sarebbe stato approfondito dalla Sezione disciplinare, tenendo conto delle dichiarazioni difensive del P. e di quelle del R. . 10.1. Il motivo è inammissibile. Non vi è dubbio che l'illecito in questione è sanzionato solo a titolo di dolo. Ed in questi termini si è pronunziata la sentenza impugnata la quale ha affermato la responsabilità del dr. P. , perché volontariamente e coscientemente non ha voluto astenersi. La stessa prospettazione del ricorrente, secondo cui la Sezione avrebbe dovuto approfondire la questione sulla rilevanza scusante dell'errore connessa ad un'interpretazione della legge sull'astensione, si risolve in un elemento scriminante di un comportamento che, in assenza del prospettato errore, sarebbe doloso. 10.2. Sennonché tale censura dell'errore scriminante è inammissibile per una duplice ragione. Essa integra anzitutto una questione nuova, che, sebbene implichi accertamenti di fatto, è prospettata per la prima volta in questa sede di legittimità, non risultando che essa sia stata proposta al giudice di merito e sia stata ivi oggetto del thema disputandum. In ogni caso la censura è stata proposta in termini di assoluta genericità, con rinvii al complesso delle dichiarazioni difensive del P. ed a quelle testimoniali del R. . In particolare non risulta indicato sulla base di quali elementi dovrebbe affermarsi l'esistenza del preteso errore di interpretazione giuridica ed in quali termini esso avrebbe operato, mentre essa è solo apoditticamente affermata. È invece principio sia del rito penale Cass. Pen. Sez. 3, n. 16851 del 02/03/2010 Cass. pen. n. 10907 del 1994 che di quello civile Cass. civ. n. 15263 del 06/07/2007 n. 10330 del 01/07/2003 quello secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi siano generici, ovvero non contenenti la precisa prospettazione delle ragioni in fatto o in diritto da sottoporre a verifica. 11. Il ricorso va, pertanto rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.