Gli alberi dei vicini nascondo il panorama: per imporne la cimatura è necessario dimostrare l’esistenza della servitù

Una coppia chiede che il cedro e la betulla vengano potati, ma il diritto di veduta costituisce una servitù altius non tollendi il cui modo di acquisto è quello tipico dei diritti reali.

La cosiddetta servitù di panorama, consiste nella particolare amenità del fondo dominante per la visuale di cui gode, è una servitus altius non tollendi che, per potersi acquistare per destinazione del padre di famiglia o per usucapione , necessita di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la servitù di veduta, altrimenti questa comporterebbe sempre quella, e specificatamente destinate all’esercizio della servitù invocata. Questo è uno dei principi seguiti dalla Seconda sezione Civile della Corte di Cassazione nella sentenza n. 2973/12, depositata il 27 febbraio scorso. Il caso. Una coppia lamenta il fatto che due alberi, un cedro ed una betulla, di proprietà dei vicini, essendo cresciuti, hanno raggiunto il loro terrazzo recando pregiudizio al diritto di veduta e a quello alla salubrità per via della caduta del fogliame e delle spore. Le parti non trovano un accordo e così finisco davanti al giudice. La richiesta degli attori è volta all’ottenimento della condanna dei convenuti alla potatura o cimatura degli alberi o, in subordine, all’abbattimento. Il giudice di pace prima e il Tribunale poi, verificato l’innalzamento della chioma e il conseguente impedimento alla vista con riflessi anche sul valore commerciale dell’immobile, dispongono la cimatura periodica. I soccombenti ricorrono allora in Cassazione sostenendo che l’obbligo di non collocare o mantenere alberi che impediscano la visuale può scaturire solo dalla costituzione della servitù. La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso, ha modo di effettuare alcune precisazioni in materia. Non sempre si applicano le distanze previste dal codice. Ricordano gli Ermellini come le prescrizioni relative alle distanze legali degli alberi e delle piante dal confine, stabilite nei primi tre commi dell’art. 892 c.c., non devono essere osservate quando sul confine esista un muro divisorio e le piante non lo superino in altezza, in quanto in questo caso il vicino non subisce diminuzione di aria, luce e veduta e che il diritto di pretendere la potatura dei rami degli alberi del vicino che si protendono sulla proprietà altrui non è limitato dalle norme pubblicistiche a tutela del paesaggio, in quanto tra i due ordini di norme non sussiste un nesso di specialità, essendo la disciplina codicistica rivolta alla tutela della proprietà privata e quella pubblicistica alla protezione del patrimonio paesaggistico nel suo complesso . Mancano i presupposti della servitù. Nel caso specifico, i giudici di merito hanno riconosciuto un diritto di veduta che integra una servitù altius non tollendi, indicandone la fonte nella preesistenza della visuale all’acquisto dell’immobile. Così facendo però, è stato violato il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali dato che una servitù altius non tollendi può essere costituita oltre che negozialmente anche per destinazione del padre di famiglia od usucapione, ma tali modi di costituzione necessitano, non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 gennaio – 27 febbraio 2012, n. 2973 Presidente Oddo – Relatore Correnti Svolgimento del processo Con citazione 9.10.2000 dinanzi al tribunale di Roma e successiva riassunzione del 19.2.2002 davanti al giudice di pace competente per materia F.S. e M.L. , lamentando che due alberi, un cedro ed una betulla, di proprietà dei vicini C.M. , M.S. e S.C. recte C. avevano, crescendo, raggiunto il loro terrazzo in via omissis , recando pregiudizio al diritto di veduta ed alla salubrità per caduta di fogliame e spore, convenivano in giudizio detti proprietari per la condanna alla potatura o cimatura od in subordine all'abbattimento. I convenuti si opponevano e, previa ctu, il giudice li condannava alla cimatura periodica, decisione confermata dal Tribunale di Roma con sentenza 576/2010, che accertato che i due alberi si erano avvicinati a metri 1,10 e 1,80 il cedro ed a metri quattro la betulla rispetto all'interno del parapetto del terrazzo, nei limiti i regolamentari, mentre la chioma si era innalzata a livelli da impedire totalmente la visuale e determinare un abbassamento del valore commerciale dell'immobile, confermava la soluzione della cimatura, peraltro già eseguita, rispetto all'abbattimento. Ricorrono C. e S. con tre motivi, resistono le controparti. La causa era stata rimessa alla camera di consiglio a seguito di relazione ma alla udienza del 10.6.2011, per la quale le parti hanno presentato memoria, è stata rimessa alla pubblica udienza. I resistenti hanno presentato nuova memoria e documenti. Motivi della decisione Col primo motivo si lamenta violazione degli artt. 892 e 896 cc, 1027, 1028,1031, 1058, 1061 cc non essendo tutelabile la fruizione di un piacevole panorama e l'obbligo di non collocare o mantenere alberi che impediscano la visuale può scaturire solo dalla costituzione di una servitù. Col secondo motivo si deduce contraddittorietà della motivazione con riferimento all'accoglimento della domanda nonostante la ritenuta regolarità delle distanze. Col terzo motivo si lamenta violazione delle norme sulla competenza e segnatamente dell'art. 7 cpc e 38 II e cpc. Osserva questa Corte Suprema La relazione in atti aveva concluso per valutare l'infondatezza del ricorso attesa la novità della prima censura non dedotta nel giudizio di appello, con conseguente assorbimento delle altre. La sentenza impugnata ha statuito la correttezza della prima decisione avendo identificato le domande proposte dagli attori come dirette ad accertare la violazione delle regole sulle distanze delle piante dal confine e dell'eccessivo sviluppo delle stesse in altezza e nella frondosità della chioma e, pur acclarando il mantenimento dei limiti regolamentari, ha rilevato che la chioma si è innalzata a livelli da impedire totalmente la visuale ai confinanti tanto da pregiudicare questo diritto preesistente e determinare un abbassamento del valore commerciale. Ciò premesso la prima censura va accolta per quanto infra. Questa Corte Suprema ha statuito che le prescrizioni relative alle distanze legali degli alberi e delle piante dal confine, stabilite nei primi tre commi dell'art. 892 cc, non devono essere osservate quando sul confine esista un muro divisorio e le piante non lo superino in altezza, in quanto in questo caso il vicino non subisce diminuzione di aria, luce e veduta Cass. 1.8.2008 n. 21010 e che il diritto di pretendere la potatura dei rami degli alberi del vicino che si protendono sulla proprietà altrui, così come disciplinata dall'art. 896 cc, non è limitato dalle norme pubblicistiche a tutela del paesaggio ed, in particolare dal vincolo posto dall'art. 146 del d.lgs. n. 490 del 1999, in quanto tra i due ordini di norme non sussiste un nesso di specialità, essendo la disciplina codicistica rivolta alla tutela della proprietà privata e quella pubblicistica alla protezione del patrimonio paesaggistico nel suo complesso Cass. 10.7.2008 n. 19035 . Un albero, sia pure posto a distanza legale, non può per l'eccessivo sviluppo e la frondosità della chioma invadere la sfera di altri soggetti. Nella fattispecie la sentenza ha riconosciuto un diritto di veduta che, siccome dalla stessa inteso come diritto a non vedere pregiudicata la visuale all'infinito dal terrazzo dalla chioma di un albero piantato a distanza legale, integra una servitù altius non tollendi, indicando la fonte del diritto nella preesistenza della visuale all'acquisto dell'immobile orbene il riconoscimento del diritto in ragione della preesistenza della visuale all'acquisto dell'immobile viola il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali, giacché è vero che una servitù altius non tollendi può essere costituita oltre che negozialmente anche per destinazione del padre di famiglia od usucapione, ma tali modi di costituzione necessitano, non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall'originario unico proprietario o dell'esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta cfr. Cass. sez.2 n. 10.250 del 20.10.1997 a termini della quale la cosiddetta servitù di panorama, consistente nella particolare amenità del fondo dominante per la visuale di cui gode, è una servitus altius non tollendi sia costruzioni, sia alberi che, per potersi acquistare per destinazione del padre di famiglia o per usucapione, necessita di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la servitù di veduta, altrimenti questa comporterebbe sempre quella, e specificatamente destinate all'esercizio della servitù invocata . Il secondo motivo è assorbito. Il terzo motivo è inammissibile. Il tribunale aveva dichiarato con sentenza la propria incompetenza e la competenza del giudice di pace e la sentenza o l'ordinanza di natura decisoria dichiarativa di incompetenza anche per materia del giudice adito va impugnata con istanza di regolamento necessario di competenza ove il giudice indicato come competente non sollevi conflitto di ufficio ex art. 45 cpc , acquistando, in caso contrario efficacia di giudicato tanto la statuizione di incompetenza del giudice che l'ha pronunciata quanto quella sulla asserita competenza dell'autorità dinanzi alla quale la causa sia stata tempestivamente riassunta. Ne consegue che, nei successivi gradi del procedimento, né le parti né il giudice procedente hanno la facoltà di rimettere in discussione quanto stabilito in tema di competenza dall'autorità giudiziaria originariamente adita Cass. ord, n. 14559 dell'11.10.2002 . Donde l'accoglimento del primo motivo e la cassazione con rinvio per l'applicazione dei principi indicati. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo ed inammissibile il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione del Tribunale di Roma.