Impugna 11 multe e se le fa annullare tutte: ingiusta la compensazione delle spese

Nonostante l’annullamento dei verbali per manifesta infondatezza delle pretese sanzionatorie, il giudice compensa le spese tra le parti. Ma senza l’indicazione dei giusti motivi, la compensazione è illegittima.

La compensazione delle spese processuali non può essere giustificata dal comportamento processuale remissivo del convenuto che, dopo aver costretto l’opponente ad agire in giudizio per resistere a pretese sanzionatorie manifestamente infondate, riconosce la ragione della controparte. Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 340 del 12 gennaio scorso. La fattispecie. 11 violazioni amministrative in un solo anno questa la contestazione di un Comune nei confronti di una cittadina, la quale, però, si rivolge al Giudice di pace e riesce a farsi annullare tutti gli 11 verbali, per manifesta infondatezza delle pretese sanzionatorie. Vittoria su tutti i fronti, sembrerebbe. E invece no, perché le spese vengono compensate. La donna, allora, impugna il capo della sentenza relativo alle spese e, quando il Tribunale rigetta l’appello, arriva fino in Cassazione. Il giudice deve sempre motivare l’eventuale compensazione per giusti motivi. Pur non essendo applicabile alla fattispecie in esame, ratione temporis , la disciplina del novellato art. 92 c.p.c., la S.C. afferma che anche nel regime previgente la compensazione delle spese processuali per giusti motivi” deve trovare un adeguato supporto motivazionale le ragioni che hanno portato ad adottare quel provvedimento devono essere chiaramente e inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito . Non basta una condotta processuale remissiva del convenuto, specie se il giudizio è stato instaurato a seguito di sue pretese sanzionatorie infondate. Nella vicenda in esame il giudice ha fatto riferimento all’atteggiamento remissivo e non oppositivo del Comune convenuto che, con le proprie allegazioni, aveva confermato la fondatezza delle ragioni esposte dalla cittadina. Ciò, tuttavia, è evidentemente insufficiente per l’adozione del provvedimento di compensazione, posto che è stato proprio il comportamento precedente dell’Amministrazione comunale che ha costretto l’attrice ad agire in giudizio per resistere a pretese sanzionatorie infondate. Il principio generale è che le spese fanno carico al soccombente. Secondo il S.C., un atteggiamento processuale remissivo del convenuto può portare a un alleggerimento della condanna, evitando l’aggravio di maggiori spese, ma non può esonerare il convenuto – che con il suo comportamento abbia costretto l’opponente ad agire in giudizio - dal tenere indenne quest’ultimo dei costi processuali sostenuti. Anche in considerazione del fatto che il principio generale rimane quello per cui le spese di lite seguono la soccombenza. Dall’accoglimento del ricorso discende la cassazione della sentenza con rinvio al Tribunale per la liquidazione delle spese. E a questo punto, finalmente, la cittadina ricorrente dovrebbe riuscire ad ottenere una vittoria completa.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 2 dicembre 2011 – 12 gennaio 2012, n. 340 Presidente Goldoni – Relatore D’Ascola Fatto e diritto Con sentenza del 14 maggio 2007, il giudice di pace di Roma accoglieva il ricorso proposto da G S. per l'annullamento di 11 verbali di violazioni amministrative commesse nell'anno 2004. Il giudice adito compensava tra le parti le spese del giudizio, in considerazione del comportamento processuale tenuto dalla Comune di Roma che, con le proprie allegazioni difensive, aveva confermato la fondatezza delle ragioni addotte ex adverso . S.G. impugnava questa sentenza, relativamente alla sola compensazione delle spese. Il tribunale di Roma, con sentenza 21 ottobre 2009, respingeva l'eccezione di tardività del gravame, ancorché instaurato con ricorso depositato in cancelleria, notificato al Comune resistente il 24 12.2008. Rigettava tuttavia l'appello. Avverso questa decisione la S. insorge con ricorso per cassazione notificato il 4 febbraio 2010. Il Comune di Roma è rimasto intimato. Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. Preliminarmente va rilevato che, non avendo il Comune di Roma impugnato il capo della sentenza d'appello che ha ritenuto applicabile, in sede di impugnazione, il rito speciale previsto per le opposizioni a sanzione amministrativa non può essere oggetto di esame in questa sede la tardività dell'impugnazione della sentenza di primo grado, nonostante quanto affermato da Sezioni Unite n 23285 del 2010 in ordine al rito applicabile. La statuizione sul punto è infatti coperta dal giudicato cfr. Cass. 12794/00 . Il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., 118 comma secondo disp. Att. c.p.c., 132 comma 2 numero 4 c.p.c. e vizi di motivazione. Parte ricorrente denuncia l'incongruità della motivazione per quanto concerne la compensazione delle spese di lite, disposta, con riferimento alla sentenza di primo grado, in relazione all'atteggiamento processuale non oppositivo tenuto da parte soccombente, la quale, con le proprie allegazioni difensive, aveva confermato la fondatezza delle ragioni esposte dall'opponente . Il ricorso è fondato. Va chiarito che il giudizio venne instaurato davanti al giudice di pace con ricorso depositato il 21 aprile 2005. Resta pertanto estraneo alla disciplina dell'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., come modificato dall'art. 2, primo comma, lett. a , della legge n. 263 del 2005, secondo il quale ove non sussista reciproca soccombenza, è legittima la compensazione delle spese processuali se concorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione . Tuttavia, come la relazione preliminare ha osservato, le Sezioni Unite di questa Corte, a conclusione di un lungo e articolato percorso giurisprudenziale, con sentenza numero 20598 del 2008 hanno sancito che Nel regime anteriore a quello introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a della legge 28 dicembre 2005 n. 263, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito o di rito . Ne consegue che deve ritenersi assolto l'obbligo del giudice anche allorché le argomentazioni svolte per la statuizione di merito o di rito contengano in se1 considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come - a titolo meramente esemplificativo - nel caso in cui si dà atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l'interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali . Nella specie, il giudice d'appello, come del resto quello di primo grado, non ha individuato ragioni tali da motivare adeguatamente la compensazione delle spese. Il giudice d'appello ha fatto riferimento all'atteggiamento remissivo del convenuto, ma tale condotta processuale non giustifica il comportamento - precedentemente adottato dall'amministrazione - che ha costretto la ricorrente ad agire giudizialmente, consistito nella formulazione di una pretesa sanzionatoria manifestamente infondata. La privazione del rimborso delle spese necessarie per far valere il buon diritto della parte ricorrente, neppure posto in dubbio dalla parte convenuta, costituisce negazione del principio sancito in materia di spese processuali dal codice di rito, secondo cui le spese di lite fanno carico al soccombente. È stato affermato in giurisprudenza, sia pure con riferimento al testo normativo in vigore dal 2006, che la compensazione delle spese è lesiva del disposto dell'art. 92 c.p.c., in specie ove l'importo delle spese sia tale da superare quello del pregiudizio economico che la parte abbia inteso evitare, agendo in giudizio per far valere il proprio diritto - in una sostanziale soccombenza di fatto della parte vittoriosa con lesione del diritto di agire in giudizio e di difendersi ex art. 24 Cost., con conseguente violazione di legge per l'illogicità ed erroneità delle motivazioni addotte Cass. 12893/11 . Nell'odierna fattispecie si può affermare che l'atteggiamento processuale remissivo può valere a impedire l'aggravio di maggiori spese per il convenuto soccombente che abbia con il suo comportamento costretto l'opponente ad agire, ma non lo esonera dal tenerlo indenne dei costi processuali sostenuti, risolvendosi altrimenti il giudizio in una iniqua penalizzazione della parte vittoriosa. Il Collegio condivide pertanto la proposta della relazione preliminare, che ha ritenuto fondato il ricorso e inadeguata la motivazione della sentenza in punto di compensazione delle spese del primo grado di giudizio per giusti motivi. Discende da quanto esposto l'accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata. La causa va rimessa ad altro giudice del tribunale di Roma, il quale nel deciderla si atterrà al principio di diritto fissato dalle Sezioni unite provvederà a nuova statuizione sulle spese con motivazione adeguata. Liquiderà inoltre le spese di questo grado di giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia al tribunale di Roma in persona di altro magistrato, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.