L’opposizione è infondata, la condanna per responsabilità processuale aggravata no

L’art. 96 comma 3 c.p.c. introduce un danno punitivo che può essere richiesto, anche inaudita altera parte , in qualsiasi giudizio, secondo i presupposti della lite temeraria. È opponibile d’ufficio e contro il terzo chiamato e/o l’intervenuto in causa.

Con la sentenza emessalo scorso 15 novembre, il Tribunale di Piacenza affronta il tema relativo ad una nuova tipologia di condanna per lite temeraria, dettandone i criteri ed i limiti. La vicenda affrontata. Una ditta ingiungeva ad un’altra l’esecuzione del contratto di appalto stipulato tra loro. Quest’ultima proponeva tempestiva opposizione. Essa, però, secondo il G.I., era fondata su argomentazioni del tutto prive di spessore giuridico e palesemente infondate in fatto oltre che in diritto . Perciò è stata condannata d’ufficio a rifondere alla convenuta una somma pari alle spese di giudizio € 3.000 per responsabilità processuale aggravata. Validità della clausola della individuazione del foro di competenza. Tra le clausole dell’appalto, ce n’era una che individuava Roma come sede competente per risolvere le eventuali liti tra i contraenti. Allo stato, rileva il G.I., non risulta che sia stata approvata correttamente dalla società opposta, che, per altro, ha stabilito quale foro esclusivo Piacenza. Questa postilla non ha alcun valore ex articolo 1341 c.c., anche se, ai sensi del combinato disposto degli artt. 20 c.p.c. e 1182 c.c., è confermata la giurisdizione dell’adito tribunale la sede legale dell’impresa creditrice è a Piacenza. La responsabilità processuale aggravata nuova fattispecie di danno. È stata creata dalla dottrina e dalla giurisprudenza mutuando quello previsto dall’ormai abrogato articolo 385 c.p.c. per il processo di Cassazione . È un c.d. danno punitivo perché volto a scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità delle giustizia deflazionandone il peso da cause inutili ed/od infondate. È stato introdotto solo recentemente dalla novella della L. 69/09, perciò è contestabile, ratione temporis , solo ai processi celebrati in sua vigenza. Differenze ed analogie con la lite temeraria. I due istituti hanno gli stessi presupposti, perché entrambi sanzionano la temerarietà della lite introdotta con malafede o dolo grave e possono essere richiesti per ogni tipo di processo civile cautelare, volontaria giurisdizione, ordinario etc. . Questa è l’unica analogia la fattispecie è una specificazione di quanto stabilito dall’articolo 96 comma 1. Infatti mentre la lite temeraria può essere chiesta all’interno di un procedimento e necessita di un contraddittorio, la responsabilità aggravata può essere sollevata d’ufficio e domandata con un separato giudizio. Può essere concessa anche in assenza di contraddittorio tra le parti, essendo un posterius , non un prius logico della decisione di merito . Il terzo chiamato in causa e/o l’intervenuto, di conseguenza, possono essere soggetti a tale condanna, anche se ciò non è specificatamente espresso dalla norma in questione Tribb. Verona 21/3/11 e Piacenza 22/11/10 . È questa la principale differenza con l’articolo 96, comma 1, c.p.c La dottrina e la giurisprudenza hanno sollevato il dubbio se possa essere riconosciuto automaticamente oppure debba essere verificata la lesione dei diritti del convenuto. Contrasto giurisprudenziale. Sul punto ci sono opinioni discordanti. L’orientamento maggioritario, riprendendo le teorie anglosassoni sul punitive o exemplary damages comminato a chi ha agito con malice o gross negligence , ribadisce quanto sinora esplicato e prevede che possa essere domandato in assenza di un effettivo danno senza che ciò violi i diritti costituzionalmente garantiti ex multis Cass. numero 17902 e 26004/10 Tribb. Teramo 11/1/11 numero 17 – esclude che possa essere presentata in concomitanza a quella ex articolo 2043 c.c. . Tale tesi punisce anche la semplice colpa lieve e sancisce che il suddetto danno sia riconosciuto in caso di soccombenza giudiziale. Un’altra corrente, più garantista, fondata su un’esegesi letterale e logico sistematica , prevede quali condizioni essenziali gli stessi elementi soggettivi ed oggettivi della lite temeraria, di cui questa fattispecie è una peculiare estensione Tribb.Pescara 30/9/10 e Padova ordd. 30/10, 2 e 10/11/09 , come confermato dall’inciso 'in ogni caso' . L’esegesi scelta dal Tribunale. È questa l’opinione adottata dal Tribunale, facendo ulteriori osservazioni. Il G.I. evidenzia come discenda da ciò la possibilità di ravvisarla anche in assenza di danno e/o di richiesta della controparte, perchè rilevabile anche d’ufficio. Si noti che viene liquidato in pochissime ipotesi , stante il carattere residuale, rispetto al già pur limitato ambito della lite temeraria, oltre ai limiti appena descritti, essendo un danno aliunde risarcito .

Tribunale di Piacenza, sentenza 15 novembre 2011 Giudice Unico Morlini Fatto L’opponente propone opposizione avverso il decreto ingiuntivo meglio indicato in dispositivo, ottenuto nei suoi confronti da Cima s.p.a. per il pagamento di una fattura relativa all’esecuzione di un contratto d’appalto, ed a motivo dell’opposizione unicamente eccepisce il difetto di competenza del Giudice adito, sul presupposto della competenza del Tribunale di Roma in base alle pattuizioni contrattuali inter partes . Resiste la convenuta opposta, deducendo che nessuna pattuizione contrattuale ha previsto la competenza territoriale del Tribunale di Roma Diritto a L’opposizione è di assoluta e manifesta infondatezza. Invero, dalla documentazione prodotta da entrambe le parti cfr. all. 2 parte attrice e 6 parte convenuta , emerge come effettivamente la Meps abbia sottoposto a Cima un modulo contenente, ex aliis , una condizioni generale di contratto con la previsione della competenza esclusiva del foro di Roma ma emerge peraltro come non solo la Cima non abbia in alcun modo specificamente approvato la clausola ex art. 1341 comma 2 c.c., ma abbia addirittura acclarato di non accettare la pattuizione, barrando il vocabolo ‘Roma’ ed inserendo il vocabolo ‘Piacenza’ per indicare il foro esclusivo. Pertanto, ciò se per un verso non comporta che Piacenza sia effettivamente il foro esclusivo, mancando la prova dell’accordo di Meps sul punto per altro verso rende comunque certamente inesistente non solo la specifica approvazione per iscritto ex art. 1341 comma 2 c.c., ma addirittura lo stesso accordo negoziale in ordine alla pretesa competenza esclusiva del foro di Roma. Consegue che la competenza deve essere scrutinata sulla base dei generali fori codicistici, ed il Tribunale di Piacenza risulta quindi correttamente adito quanto meno con riferimento al forum destinatae solutionis ex art. 20 c.p.comma tenuto a mente che il pagamento della somma di denaro azionata in via monitoria deve essere eseguita, ex art. 1182 comma 3 c.c., presso la sede del creditore Cima, id est Piacenza Discende, in conclusione, il rigetto dell’eccezione di incompetenza, e quindi della stessa opposizione, come detto unicamente fondata su tale eccezione. b Non vi sono motivi per derogare ai principi generali codificati dall’art. 91 c.p.comma in tema di spese di lite, che, liquidate come da dispositivo, sono quindi poste a carico della soccombente parte opponente ed a favore della vittoriosa parte opposta. c Deve poi altresì procedersi ad una condanna dell’opponente anche ai sensi del novellato articolo 96 comma 3 c.p.c., a tenore del quale in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. Sul punto, si osserva che la norma introdotta nel tessuto codicistico dalla L. n. 69/2009, recepisce ed estende a tutti i processi il meccanismo dell’art. 385 comma 4 c.p.c., precedentemente dettato per il solo processo di Cassazione ed ora coerentemente abrogato. Per espressa scelta normativa, la pronuncia può essere effettuata d’ufficio e non ha limite nella determinazione dell’importo della condanna, come invece vi era nell’art. 385 c.p.comma ora abrogato. Pur nel silenzio della norma, è opinione pacifica quella per la quale non vi sono ostacoli a ravvisare la configurabilità della fattispecie anche nei confronti del terzo chiamato o del terzo intervenuto. Nonostante il comma 1 parli di ‘sentenza’, l’applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.comma è poi generalmente riferita a tutti i procedimenti in cui vengono regolate le spese di lite, quali volontaria giurisdizione, cautelari ante causam , sommario di cognizione ex artt. 702 bis e ss. c.p.comma Trib. Verona 21/3/2011 e Trib. Piacenza 22/11/2010 . Ad avviso di questo Giudice e come peraltro già precisato da autorevole Dottrina, inoltre, la pronuncia non abbisogna della preventiva instaurazione del contraddittorio ex art. 101 c.p.c., essendo posterius e non prius logico della decisione di merito in questi termini cfr. anche Trib. Piacenza 22/11/2010 . Due sono invece le principali questioni sulle quali non si è formata un’univoca posizione interpretativa, e sono quelle relative a natura ed ambito di applicazione della norma. In particolare, è discusso se, per procedere alla condanna ai sensi del terzo comma, sia o meno richiesta l’esistenza di un danno di controparte nonché se siano o meno richiesti i requisiti della lite temeraria di male fede e colpa grave, previsti dal primo comma dello stesso articolo 96. Ciò posto, con riferimento alla prima tematica della natura della norma, questo Giudice, aderendo alla tesi già propugnata da parte della Dottrina e condivisa dalla quasi totalitaria maggioritaria giurisprudenza di merito, ritiene che l’articolo 96 comma 3 c.p.comma introduca nell’ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia deflazionando il contenzioso ingiustificato cfr. Trib. Min. Milano decomma 4/3/2011 Trib. Varese 6/2/2001, 22/1/2011, sez. dist. Luino ord. 23/1/2010, 30/10/2009 Trib. Piacenza 7/12/2010 e ord. 22/11/2010 Trib. Rovigo sez. dist. Adria 7/12/2010 Trib. Verona ord. 1/10/2010, 20/9/2010, ord. 1/7/2010 Trib. Roma sez. dist. Ostia 9/12/2010 Trib. Roma 11/1/2010 Trib. Prato 6/11/2009, Trib. Milano ord. 0/8/2009. In questi termini anche Cass. n. 17902/2010 . Risulta conseguentemente esclusa, come peraltro ben lumeggiato dai lavori preparatori, la necessità di un danno di controparte, pur se la condanna è stata prevista a favore della parte e non dello Stato, al probabile fine di rendere effettivo il recupero della somma e quindi l’afflittività della sanzione. E’ infatti ben vero che la teorica del danno punitivo, conosciuta negli ordinamenti anglosassoni nelle forme dei punitive o exemplary damages comminati verso che ha agito con malice o gross negligence , è sostanzialmente estranea alla storia del nostro diritto civile. Ma è altrettanto vero che, per un verso, il contenuto letterale della norma pare inequivoco nel non presupporre l’esistenza di un danno di controparte e per altro verso non vi sono parametri costituzionali che vietano al Legislatore di introdurre tale tipologia di danno. Con riferimento invece alla tematica dell’elemento soggettivo richiesto in capo al destinatario della condanna, pare a questo Giudice che possa essere seguita la tesi più garantista, che postula comunque la presenza del requisito della malafede o della colpa grave così Trib. Verona ord. 21/3/2011, ord. 1/10/2010, sent. 20/9/2010 Trib. Piacenza sent. 7/12/2010 e ord. 22/11/2010 Trib. Pescara sent. 30/9/2010 Trib. Padova ord. 10/11/2009, ord. 2/11/2009, ord. 30/10/2009 , non già della sola colpa lieve od addirittura della mera soccombenza. Invero, pur essendo la questione oggettivamente opinabile, militano a favore di tale ricostruzione un argomento letterale ed uno logico-sistematico. In particolare, da una prima angolazione e sotto il profilo strettamente letterale, va osservato che la norma è stata introdotta come comma 3 del già esistente art. 96 c.p.c., dettato proprio in tema di lite temeraria in quanto connotata dall’avere agito con malafede o colpa grave e tale inserimento nel medesimo articolo rende ragionevole ritenere che il requisito soggettivo del primo comma debba reggere anche la fattispecie del terzo comma. Da un punto di vista logico-sistematico, poi, la natura sanzionatoria della norma non può che presupporre, a pena di irrazionalità del sistema, un profilo di censura nel comportamento del destinatario della condanna, ciò che appunto deriva dal suo elemento soggettivo di dolo o colpa grave. Né, ad avviso del Giudice, può far diversamente opinare l’incipit della nuova previsione normativa, che introduce la norma con l’inciso in ogni caso”. Detto inciso, infatti, può essere interpretato non già nel senso di disattendere quanto previsto dal primo comma con riferimento alla necessità del profilo della temerarietà della lite bensì con riferimento alle peculiarità poi poste dallo stesso terzo comma rispetto quanto previsto dal primo comma, id est alla possibilità di operare la pronuncia d’ufficio e senza istanza di parte, nonché alla possibilità di operare la condanna anche in assenza di un danno di controparte. Proprio le differenziazioni da ultimo citate in ordine all’officialità della pronuncia ed all’assenza della necessità di un danno, rendono teoricamente possibile la coesistenza di una pronuncia di condanna ai sensi del primo comma con una ai sensi del terzo comma pur se tale ipotesi devi ritenersi più che residuale, stante la limitatezza dell’area applicativa dell’art. 96 comma 1 c.p.c., che secondo la pacifica interpretazione della Suprema Corte presuppone la prova di un danno non aliunde risarcito ed ha così trovato applicazione concreta in rarissime ipotesi. Quanto sopra offre le coordinate per la statuizione sul caso concreto, ravvisandosi tutti i presupposti per la pronuncia ex art. 96 comma 3 c.p.comma In particolare - l’articolo 96 comma 3 c.p.comma è ratione temporis applicabile, posto che la causa è stata introdotta nel gennaio 2011, e quindi dopo l’entrata in vigore della L. n. 69/2009 - la pronuncia può essere resa d’ufficio, senza bisogno di instaurare il contraddittorio sul punto e senza che sia provato un danno di controparte - sussiste, da parte di Meps-Ki s.r.l., una colpa grave, consistita nell’avere promosso la presente opposizione con argomentazioni del tutto prive di spessore giuridiche e palesemente infondate, in fatto oltre che in diritto. Ciò detto stimasi equo indicare in € 3.000, e cioè in una somma pari alle spese di lite, l’entità della condanna ex art. 96 comma 3 c.p.comma P.Q.M. il Tribunale di Piacenza in composizione monocratica definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, ogni diversa istanza disattesa - rigetta l’opposizione, e per l’effetto conferma il decreto ingiuntivo n. 1946/2010 emesso dal Tribunale di Piacenza il 1-2/12/2010. - condanna Meps-K.I. s.r.l. a rifondere a Cima s.p.a. le spese di lite del giudizio, che liquida in € 3.000 per diritti ed onorari, oltre IVA, CPA ed art. 14 TP - condanna Meps-K.I. s.r.l. a pagare a Cima s.p.a. € 3.000 ex art. 96 comma 3 c.p.c.