Coltivare un terreno non prova l'animus possidendi

di Carmen Ceschel

di Carmen Ceschel Per la Corte di Cassazione, la circostanza di aver coltivato un terreno e di aver eseguito dei lavori sullo stesso non dimostra con certezza l'animus possidendi ai fini dell'usucapione, non comportando di per sé una situazione oggettivamente incompatibile con la proprietà altrui. La vicenda. Nel caso specifico, un uomo, che aveva coltivato un fondo ed eseguito varie migliorie allo stesso, agiva in giudizio perché venisse dichiarata l'intervenuta usucapione aveva esercitato il possesso sul terreno, con annesso fabbricato rurale, per 20 anni consecutivi senza interruzioni. Il tribunale accoglieva la domanda mentre, la Corte d'appello, in riforma della sentenza di primo grado, escludeva che fosse intervenuta l'usucapione il fondo, quindi, continuava ad appartenere alla proprietaria originaria. In particolare, dalle risultanze istruttorie, emergeva che il coltivatore aveva iniziato a lavorare sul fondo su richiesta di un ingegnere, proprietario dello stesso. In seguito, per successione ereditaria, il fondo era stato acquistato dalla figlia dell'ingegnere, che aveva tacitamente tollerato la coltivazione del fondo attività, chiarisce la Corte territoriale, che si concretava in mera detenzione, anche perché il coltivatore, l'anno precedente a quello in cui aveva richiesto che venisse dichiarata l'usucapione ventennale, aveva dovuto chiedere le chiavi per l'accesso al terreno alla proprietaria, circostanza da cui si deduce che fino ad allora non vi era stata interversio possessionis, quindi il coltivatore non aveva cessato di possedere in nome altrui per possedere in nome proprio. Bocciata la linea difensiva del ricorrente. Il coltivatore propone ricorso per cassazione, ma senza successo. Il ricorrente ricorda che, ai sensi dell'art. 1141, primo comma, c.c., il possesso si presume in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa, se non si prova che ha iniziato ad esercitarlo semplicemente come detenzione pertanto, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto presumere il suo possesso, per cui sarebbe gravato sulla proprietaria l'onere di dimostrare la mera detenzione. Per l'usucapione vanno provati corpus e animus possidendi. La Cassazione, invece, specifica che chi agisce in giudizio per ottenere di essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e quindi non solo del corpus, ma anche dell'animus possidendi. L'animus, tuttavia, potrebbe essere desunto in via presuntiva dal primo, se lo svolgimento di attività corrispondente all'esercizio del diritto dominicale è già di per sé indicativa dell'intento, in colui che la compie, di avere la cosa come propria, per cui, in tal caso, è il convenuto che deve dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Coltivare piante può costituire esercizio del diritto di proprietà? È vero, prosegue la Cassazione, che la messa a dimora di piante costituisce una attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà coltivare un terreno significa disporne e se la coltivazione configura un comportamento pubblico, pacifico, continuo e non interrotto inequivocabilmente esso deve ritenersi inteso ad esercitare sul fondo un potere di fatto corrispondente a quello del proprietario. L'attività prosegue per tacito consenso. Tuttavia, dall'interrogatorio del figlio del coltivatore era emerso che questi, originariamente, aveva iniziato a coltivare il terreno su richiesta del padre dell'attuale proprietaria. A seguito della successione ereditaria, l'attività era presumibilmente proseguita per tacito consenso. Non basta la mera tolleranza del proprietario. Essendo pacifico che, inizialmente, non poteva parlarsi di possesso ma di mera detenzione, ai sensi dell'art. 1141, secondo comma, c.c. l'attore avrebbe dovuto dimostrare la cd. interversio possessionis, ossia la circostanza che avesse cessato di possedere in nome altrui per possedere in nome proprio, esercitando un potere corrispondente a quello del proprietario, non riconducibile alla mera tolleranza del proprietario. Per l'usucapione è necessaria la manifestazione del dominio esclusivo sulla res, da parte dell'interessato. E ciò avviene attraverso un'attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione consentiti, o tollerati, dal proprietario alla luce di tale orientamento giurisprudenziale, la Corte conclude chiarendo che il godimento di un fondo operato attraverso la coltivazione dello stesso, o i lavori eseguiti su questo, non costituiscono, di per sé, una situazione oggettivamente incompatibile con la proprietà altrui.