Amministratore di sostegno e avvocato? Il conflitto di interessi rende invalido il mandato

La Cassazione ha confermato l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta nell’interesse di una donna che si era vista opporre la pretesa dall’avvocato che, al momento del conferimento dell’incarico, era anche il suo amministratore di sostegno. Il conflitto di interessi ha reso infatti invalido lo stesso mandato professionale.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6197/21, depositata il 5 marzo. Un avvocato otteneva decreto ingiuntivo per la somma di oltre 38mila euro per competenze professionali a carico di una cliente che era stata difesa in alcuni contenziosi civili. L’ingiunta ha proposto opposizione al provvedimento tramite il suo nuovo amministratore di sostegno, opposizione accolta dal Tribunale di Venezia che revocava di conseguenza il decreto ingiuntivo. La decisione veniva confermata anche in appello. I Giudici di seconde cure sottolineavano, in particolare, che l’avvocato era anche amministratore di sostegno della cliente e il conseguente conflitto di interessi rendeva nullo il mandato professionale. La questione è giunta all’attenzione della Suprema Corte. L’avvocato sostiene che erroneamente la Corte d’Appello abbia ritenuto che l’atto di ricezione della notifica del decreto ingiuntivo non poteva essere validamente compiuto dalla cliente, in quanto appunto soggetto amministrato. Invoca infatti la violazione dell’art. 409 c.c. secondo il quale l’amministrato ha una propria capacità di agire, salvo il limite degli atti che richiedono la rappresentanza dell’amministratore. La doglianza si rivela priva di fondamento. La Cassazione sottolinea il dato pacifico secondo cui la cliente, nel momento in cui veniva attinta dalla notificazione del decreto ingiuntivo, era incapace e l’avvocato ricorrente, già stata nominata sua amministratore di sostegno, era cessata dall’incarico essendo in corso la procedura di sostituzione. Risulta dunque indifferente l’elemento materiale della consegna dell’atto notificato e assume rilievo il rispetto del termine per l’opposizione , adempimento che richiede l’assistente dell’amministratore ex art. 75, comma 2, c.p.c In altre parole, la notificazione di decreto ingiuntivo si configura siccome procedimento che necessariamente impone che sia raggiunto il rappresentante legale dell’incapace . Concludendo, la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto non dovuta la debenza del compenso per l’invalidità del mandato professionale in quanto auto-conferito dall’avvocato, quale amministratore di sostegno. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 11 gennaio – 5 marzo 2021, n. 6197 Presidente/Relatore Gorjan Fatti di causa P.M. ebbe a chiedere ed ottenere decreto ingiuntivo per la somma di Euro 38.562,90 a carico di C.M. a titolo di pagamento di competenze professionali per la difesa in giudizio in vari contenziosi civili. La C. propose opposizione al provvedimento monitorio a ministero del suo nuovo amministratore di sostegno ed il Tribunale di Venezia revocò il decreto ingiuntivo ottenuto dall’avv. P. poiché nulla era dovuto. La P. interpose gravame avanti la Corte d’Appello di Venezia che, resistendo N.L. , F. ed I. - figlie ed eredi della C. -, rigettò l’impugnazione. Osservava la Corte lagunare come l’opposizione era da ritenersi tempestiva poiché il termine ex art. 641 c.p.c., poteva scorrere solo dalla data di nomina del nuovo amministratore di sostegno della C. e, non già, dalla notifica del decreto ingiuntivo effettuata all’incapace quando priva di assistenza. Quanto al merito della questione, il Collegio marciano rilevava come non concorreva ultra petizione avendo il Tribunale applicato la norma ex art. 1395 c.c., mentre l’opponente aveva invocato la norma ex art. 412 c.c., posto che trattavasi di mera qualificazione giuridica della domanda, poiché i fatti costitutivi ed il preteso erano rimasti inalterati. Infine i Giudici serenissimi osservavano come l’avv. P. aveva agito quale difensore in giudizio della C. , la quale però era anche sua assistita quale amministratore di sostegno, sicché si profilava un conflitto d’interessi - il munus pubblico era gratuito, mentre il mandato professionale oneroso - che rendeva nullo il mandato professionale e quindi inesistente la pretesa di pagamento del compenso. Avverso detta sentenza la P. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. Le consorti N. hanno resistito con controricorso, illustrato con nota difensiva. È intervenuto il P.G. nella persona del Dott. Carmelo Sgroi che, con nota scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione Il ricorso proposto da P.M. s’appalesa privo di fondamento. Con il primo mezzo d’impugnazione parte ricorrente deduce malgoverno dell’art. 409 c.c., in quanto la Corte lagunare ha ritenuto che anche la mera ricezione della notifica del decreto ingiuntivo sia atto che l’amministrato non poteva validamente compiere e ciò in contrasto con il dettato dell’art. 409 c.c., che pone in evidenza come l’amministrato ha propria capacità d’agire, salvo il limite segnato dagli atti che richiedono la rappresentanza dell’amministratore. La censura è priva di fondamento posto che è dato pacifico che la C. , quando venne attinta dalla notificazione del decreto ingiuntivo, era incapace posto che l’avv. P. , già nominata sua amministratore di sostegno era cessata dall’incarico ed era in corso la procedura di sua sostituzione. Dunque è dato certo che la C. era - al momento dell’avvio della lite con la notifica del decreto ingiuntivo - incapace ed abbisognevole di assistenza per agire in giudizio poiché già sottoposta ad amministrazione di sostegno. A ciò consegue che risulta indifferente il dato materiale della consegna dell’atto notificato ed assume rilievo il rispetto del termine per l’opposizione ossia l’effetto giuridico conseguente a detto atto materiale, che tuttavia richiede per l’incapace l’assistenza dell’amministratore ex art. 75 c.p.c., comma 2. Di conseguenza la notificazione di decreto ingiuntivo si configura siccome procedimento che necessariamente impone che sia raggiunto il rappresentante legale dell’incapace - Cass. sez. 1 n 701/80 - affinché sia completo e quindi comincino a scorrere i termini per l’opposizione. Nella specie è la stessa ricorrente a rimarcare come l’atto fu dapprima notificato personalmente all’incapace e solo successivamente al suo nuovo amministratore di sostegno, sicché il procedimento notificatorio comunque s’è concluso con la ricezione dell’atto da parte del soggetto che, ex art. 75 c.p.c., poteva rappresentare la C. in giudizio. Con la seconda ragione di doglianza la P. deduce malgoverno dell’art. 112 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza poiché la Corte marciana non ha rilevato che l’opposizione, svolta dalla parte, era fondata sul richiamo all’art. 412 c.c., mentre il Tribunale ha ravvisato l’applicabilità dell’art. 1395 c.c. sicché ad un rapporto di rappresentanza conseguente a norma di legge è stato - inammissibilmente - sostituito un rapporto pattizio quale fonte della rappresentanza, situazione fondata su fatto della vita diverso. La censura appare intrinsecamente inammissibile posto che in effetti non propone confronto con la motivazione sul punto esposta dalla Corte serenissima, la quale ha affrontato il motivo di gravame partitamente. La ricorrente si limita a contestare, in modo generico senza puntuale riferimento ai passi degli scritti difensivi delle parti - ai fini dell’autosufficienza del motivo di contestazione - dai quali desume l’immutazione della domanda, la ricostruzione della domanda siccome operata dal Giudice del gravame nell’esercizio della sua facoltà di qualificazione della stessa. Con il terzo mezzo d’impugnazione la P. lamenta omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto il Collegio marciano non ha affrontato il tema critico, fondato sul disposto ex art. 86 c.p.c., da lei proposto, che l’investiva ex lege della facoltà di difesa personale in giudizio senza la necessità di un mandato da parte del soggetto rappresentato. Con la quarta ragione di doglianza la ricorrente lamenta violazione dell’art. 86 c.p.c., poiché la Corte lagunare ha ritenuto concorrente un conflitto d’interessi laddove questo non poteva sussistere in radice, in quanto l’art. 86 c.p.c. abilitava l’amministratore di sostegno, anche avvocato, a difendere la parte in giudizio senza il bisogno di un mandato dell’amministrata, sicché non è venuto in essere alcun rapporto contrattuale tra lei e la C. per le liti regolarmente autorizzate dal Giudice tutelare. Le due censure attingendo da profili diversi la medesima questione possono essere trattate unitariamente e sono prive di pregio giuridico, anche se questa Suprema Corte deve, ex art. 384 c.p.c., u.c., correggere la motivazione al riguardo esposta dalla Corte marciana. Difatti il Collegio serenissimo ha comunque fondato la non debenza del compenso professionale sull’invalidità del mandato professionale poiché autoconferito dall’avv. P. , quale amministratore di sostegno, pur versando in situazione di conflitto d’interessi. Tuttavia è opinione di questo Collegio che nella fattispecie non si possa configurare un conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentata in forza delle stesse argomentazioni esposte dalla ricorrente, ossia che non venne conferito alcun mandato professionale dalla rappresentata e, quindi, non venne in essere alcun contratto tra le parti, bensì l’avv. P. agì quale amministratore di sostegno, che difendeva se stessa ex art. 86 c.p.c Detta norma - Cass. sez. 1 n. 6618/19 - consente al rappresentante legale, quando anche in possesso dell’abilitazione all’esercizio dell’attività forense - come nella specie pacifico -, di difendersi in giudizio personalmente, sicché nella specie alcun rapporto contrattuale professionale venne ad instaurarsi tra la C. - rappresentata - e l’avv. P. - suo difensore e legale rappresentante -. A ciò consegue necessariamente che la ricorrente non poteva agire in giudizio chiedendo il pagamento del compenso professionale in assenza - come dalla stessa sottolineato - di un rapporto pattizio, poiché non venne stipulato alcun contratto d’opera intellettuale tra rappresentata e rappresentante, bensì il rappresentante ritenne d’avvalersi della facoltà di difendere se stesso da solo, ex art. 86 c.p.c., ossia esercitò le funzioni di amministratore di sostegno e, non già, di patrono del cliente. Il compenso per l’opera in questione dunque non può trovar soddisfazione nell’ambito del rapporto contrattuale avvocato - cliente regolato dalle tariffe professionali, bensì nell’ambito dell’equa indennità ex art. 379 c.c., in quanto richiamato ex art. 411 c.c., che deve esser richiesta al Giudice tutelare a compenso dell’opera prestata quale amministratore di sostegno. Di conseguenza, comunque, corretta appare la statuizione di rigetto della pretesa portata sul decreto ingiuntivo revocato - statuizione confermata dalla Corte marciana - poiché fondata su titolo - rapporto di contratto d’opera - non esistente. Atteso il rigetto dell’impugnazione, la P. va condannata a rifondere alle consorti N. , in solido fra loro, le spese di lite per questo giudizio di legittimità, tassate in Euro 5.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo tariffa forense. Concorrono in capo alla ricorrente le condizioni processuali per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la P. a rifondere le spese di questo giudizio di legittimità in favore solidale delle consorti N. , che tassa in Euro 5.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo tariffa forense nella misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.