La redazione e sottoscrizione di un preventivo, durante il periodo di sospensione disciplinare, è espletamento di attività professionale?

La sottoscrizione da parte dell’avvocato di un preventivo con indicazione di attività difensive, durante il periodo di sospensione disciplinare, viene considerata già di per sé integrante un comportamento deontologicamente rilevante del legale.

Così la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 2607/21, depositata il 4 febbraio. Con esposto presentato innanzi al Consiglio dell'Ordine degli avvocati competente due cittadini lamentavano che il proprio difensore, a cui avevano conferito formalmente incarico per assisterli in tre procedimenti penali, aveva ottenuto l' integrale pagamento del preventivo predisposto per l'intera attività professionale pari a oltre € 10.000,00 prima dell'esperimento della stessa, omettendo poi di dare esecuzione al mandato professionale, in parte invece svolto nel corso di una sospensione dall'esercizio della professione al medesimo comminata in via disciplinare. I clienti delusi evidenziavano, in particolare, che in un procedimento penale dinanzi all'Ufficio del giudice di pace nel quale gli stessi erano parti offese, il legale, senza nemmeno costituirsi parte civile per la definizione anticipata, aveva trattenuto la somma versata dal difensore dell'imputato a riparazione del danno cagionato, sostenendo immotivatamente che l'importo di € 500,00 era stato trattenuto per redigere un atto di citazione non concordato con gli assistiti. Quanto ad un secondo procedimento penale, iniziato in seguito alla querela presentata nell'interesse di uno dei due clienti da altro difensore, il legale denunciato a fronte di un preventivo complessivo di € 2.500,00 aveva svolto solo attività di richiesta di riapertura delle indagini per tre volte rigettata. Nel primo caso, per mancata sottoscrizione dell'atto, invece, firmato da un diverso legale mai incaricato dai clienti nel secondo, perché ritenuta inammissibile in quanto presentata durante il corso della sospensione disciplinare dall'attività difensiva e, nel terzo, per ragioni di merito. Inoltre, secondo le esponenti, rispetto ad un altro procedimento penale pendente a loro carico, a fronte di un compenso preventivato di € 2.500,00, il legale si era limitato a redigere e depositare la lista testi comparendo solamente ad un'udienza. L'avvocato al quale veniva indirizzato l’esposto contestava i rilievi a proprio carico, dichiarandosi in ogni caso pronto a trovare, se necessario, un accordo di natura economica chiedendo l' archiviazione dell'esposto . Il Consiglio dell'Ordine degli avvocati competente disponeva, però, la citazione a giudizio del legale che, nonostante i reiterati tentativi del legale di ottenere differimenti di udienza per pretesi legittimi impedimenti, si concludeva con il riconoscimento della responsabilità disciplinare del difensore e con l'irrogazione della sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per la durata di un anno e sei mesi. Il procedimento dinanzi al CNF. A questo punto, il legale proponeva ricorso al Consiglio nazionale forense, preliminarmente chiedendo, anche in questo caso, il differimento dell'udienza fissata per l'esistenza di un impedimento, istanza che veniva rigettata, dato che il CNF non riteneva ricorresse un’ipotesi di impedimento assoluto a comparire, così come, con successiva sentenza, veniva rigettato anche il ricorso. In particolare, il CNF rilevava che le giustificazioni addotte dall’incolpato rispetto allo svolgimento, durante il periodo di sospensione di attività professionale, erano infondate alla luce della giurisprudenza dello stesso CNF e della Corte di Cassazione, a cui tenore il solo fatto di accettare il mandato professionale mediante la sottoscrizione di un preventivo durante il periodo di sospensione integrava un comportamento deontologicamente rilevante, così come la mancata comunicazione al cliente dell'incapacità sopravvenuti in relazione alla sanzione disciplinare subita. Inoltre, il CNF evidenziava che, risultato incontestato l'ottenimento dal cliente del pagamento di importi in epoca precedente lo svolgimento del mandato, era risultato altrettanto pacifico che l'incarico era stato svolto solo parzialmente e che, a consuntivo, i compensi percepiti erano risultati del tutto eccedenti rispetto a quanto sarebbe stato dovuto dai clienti, alla stregua dell'attività realmente svolta. Circostanze, queste ultime, note all'avvocato il quale si era proposto di provvedere alla restituzione nel corso delle trattative, poi non portata a termine per problemi di natura economica dal medesimo. Dunque, poiché risultava pacifico che la somma ricevuta dall'avvocato superava quella ritenuta equa, doveva ritenersi integrata la violazione dei canoni di cui ai capi di incolpazione. Da ultimo, il CNF rilevava che l'istanza di differimento , relativa ad una delle udienze innanzi al Consiglio distrettuale di disciplina, non avrebbe giustificato lo spostamento dell'udienza fissata, in quanto il fax inviato non dava contezza del fatto che l'incolpato avesse svolto attività di difensore nel giudizio indicato, non risultando l’indicazione della procura della parte indicata nel verbale nemmeno sottoscritto dal giudice del lavoro. Il fatto che il Consiglio distrettuale di disciplina avesse temporaneamente differito l'orario di trattazione del procedimento veniva considerato del pari irrilevante, avendo l’incolpato già ricevuto comunicazione del rigetto di precedenti istanze di differimento che non presentavano i requisiti richiesti per un positivo vaglio. Pertanto, non risultava esistere alcun pregiudizio subito dal legale. Il procuratore decideva, così, di ricorrere alla Corte Suprema di cassazione per ottenere l'annullamento della decisione. Il giudizio dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione. In particolare, tra i vari motivi di ricorso, l'avvocato lamenta il fatto che le attività professionali indicate nel preventivo sarebbero state integralmente svolte dopo la cessazione del periodo di sospensione, riguardando quel preventivo sottoscritto attività da svolgere in epoca posteriore alla sospensione, tanto evincendosi dalla stessa sentenza impugnata ove è stato affermato che l'incolpato avrebbe ricevuto le somme prima di svolgere l'attività professionale prevista. Tuttavia, la Suprema Corte osserva come la censura sia inammissibile nella parte in cui non coglie la ratio decidendi della sentenza che ha riconosciuto la fondatezza del capo di incolpazione relativa all'espletamento di attività professionale nel periodo di sospensione disciplinare che il CNF ha ricondotto, anzitutto, alla sottoscrizione del preventivo con indicazione di attività difensive, considerata dal giudice disciplinare già di per sé integrante un comportamento deontologicamente rilevante dell'avvocato. Il ricorrente, nel tralasciare tale aspetto -secondo la Corte ha assunto come dato di partenza della censura l’asserito svolgimento di attività professionali in epoca successiva alla cessazione del periodo di sospensione, senza ancora una volta avvedersi che tale prospettazione, involgendo l'esame di profili fattuali, esula totalmente dal sindacato riservato alle Sezioni Unite sui provvedimenti adottati dal Consiglio nazionale forense. E così, dopo aver dichiarato inammissibile o infondato ciascun motivo di ricorso -di contro alla sentenza impugnata valutata, invece, adeguatamente e ragionevolmente motivata la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 1 dicembre 2020 – 4 febbraio 2021, n. 2607 Presidente Curzio – Relatore Conti Fatti di causa Con esposto presentato innanzi al COA di Verona B.P. e B.E. lamentavano che l’Avv. Z.M. del foro di Verona, al quale avevano conferito formalmente l’incarico di assisterle in tre procedimenti penali, aveva ottenuto l’integrale pagamento del preventivo predisposto per l’intera attività professionale - pari ad Euro 12.584,00 - prima dell’espletamento della stessa, omettendo poi di dare esecuzione al mandato professionale, in parte invece svolto nel corso di una sospensione dall’esercizio della professione al medesimo comminata in via disciplinare. Evidenziavano, in particolare, che nel procedimento penale n. 1708/2011 R.G. presso il Giudice di Pace, nel quale le stesse erano parti offese, l’Avv. Z. , senza nemmeno costituirsi parte civile per la definizione anticipata, ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 35, aveva trattenuto la somma versata dal difensore dell’imputato a riparazione del danno cagionato, sostenendo immotivatamente che l’importo di Euro 500,00 era stato trattenuto per redigere un atto di citazione non concordato con le stesse. Quanto al proc. pen. 1374/11 a carico di S.A. , iniziato in seguito alla querela presentata nell’interesse della B. da altro difensore, pendente avanti alla Procura della Repubblica di Verona, l’Avv. Z. , a fronte di un preventivo complessivo di Euro 2.500,00, aveva svolto soltanto attività di richiesta di riapertura delle indagini per tre volte rigettata, nel primo caso per mancata sottoscrizione dell’atto, invece, firmato da un diverso legale mai incaricato dalle suddette, nel secondo perché ritenuta inammissibile in quanto presentata durante il corso della sospensione disciplinare dall’attività difensiva e, nel terzo, per ragioni di merito. Secondo le esponenti rispetto al proc. pen. 2329/2011, pendente a loro carico innanzi al Giudice di Pace di Verona, a fronte di un compenso preventivato di Euro 2.500,00, l’Avv. Z. si era limitato a redigere e depositare la lista testi comparendo all’udienza tenutasi il 20.2.2013. L’Avv. Z. , al quale veniva indirizzato l’esposto da parte del COA di Verona, contestava i rilievi a suo carico, dichiarandosi in ogni caso pronto a trovare, se necessario, un accordo di natura economica chiedendo l’archiviazione dell’esposto. Il COA di Verona disponeva quindi la citazione a giudizio dell’Avv. Z. per l’udienza del 10 febbraio 2017, poi rinviata alle ore 13.00 del 10.3.2017 per impedimento dell’incolpato. Anche rispetto a tale udienza l’Avv. Z. chiedeva un differimento per una concomitante udienza fissata innanzi al giudice del lavoro di Verona alla quale doveva presenziare, senza tuttavia ottenerlo dal CDD. Ancorché il giorno del 10.3.2017 fosse pervenuto al CDD di Verona un fax spedito dall’ordine degli Avvocati di Verona contenente un verbale di udienza, privo di sottoscrizione del giudice, attestante la presenza dell’incolpato e la chiusura dello stesso alle ore 12.15, senza alcuna nota di accompagnamento, il CDD attendeva sino alle ore 13,45 e successivamente dava inizio al dibattimento all’esito del quale, nell’assenza dell’incolpato, modificava le incolpazioni, contestando al legale tre diversi capi di imputazione e rinviava all’udienza del 2 maggio 2017. Anche rispetto a tale udienza l’Avv. Z. faceva pervenire richiesta di differimento per preteso legittimo impedimento al CDD che con provvedimento del 3.5.2017 la respingeva. L’Avv. Z. presentava quindi un’ulteriore istanza di differimento in relazione al decesso di un congiunto, in esito alla quale l’udienza veniva differita al giorno 12 maggio 2017 ore 11.30. Anche per questa udienza veniva avanzata nuova istanza di differimento, parimenti respinta. Il procedimento veniva quindi definito, riconoscendo la responsabilità disciplinare dell’Avv. Z. con l’irrogazione della sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di anni uno e mesi sei. L’Avv. Z. proponeva quindi ricorso al Consiglio nazionale forense, preliminarmente chiedendo il differimento dell’udienza fissata per l’esistenza di una immunodepressione acuta che gli avrebbe impedito di presenziare all’udienza del 17 ottobre 2019. Il CNF rigettava tale istanza non ritenendo ricorresse un’ipotesi di impedimento assoluto a comparire e con la sentenza n. 56/2020, pubblicata 16 giugno 2020, indicata in epigrafe, rigettava il ricorso. Esaminando l’impugnazione proposta, il CNF rilevava che l’istanza di differimento relativa all’udienza del 10.3.2017 innanzi al CDD non avrebbe giustificato lo spostamento dell’udienza fissata, in quanto il fax inviato non dava contezza del fatto che l’incolpato avesse svolto attività di difensore nel giudizio indicato, non risultando l’indicazione della procura della parte indicata nel verbale nemmeno sottoscritto dal giudice del lavoro. Il fatto che il CDD avesse temporaneamente differito l’orario di trattazione del procedimento era irrilevante, avendo l’incolpato già ricevuto comunicazione del rigetto di precedente istanza di differimento che non presentava i requisiti richiesti per un suo positivo vaglio. Pertanto, nessun pregiudizio aveva subito l’Avv. Z. , che pure avrebbe potuto svolgere attività difensiva in esito alla modifica del capo d’imputazione nel termine concesso. Ciò posto, il CNF rilevava che le giustificazioni addotte dall’incolpato rispetto allo svolgimento, durante il periodo di sospensione, di attività professionale - quale la sottoscrizione del preventivo di spesa - erano infondate alla luce della giurisprudenza dello stesso CNF e della Corte di cassazione, a cui tenore il solo fatto di accettare il mandato professionale durante il periodo di sospensione integrava un comportamento deontologicamente rilevante, cosi come la mancata comunicazione al cliente dell’incapacità sopravvenuta in relazione alla sanzione disciplinare subita. Inoltre, con riguardo al capo d’incolpazione n. 3, il CNF evidenziava che risultando incontestato l’ottenimento dal cliente del pagamento di importi in epoca precedente allo svolgimento del mandato, era risultato altrettanto pacifico che l’incarico era stato svolto solo parzialmente e che, a consuntivo, i compensi percepiti erano risultati del tutto eccedenti rispetto a quanto sarebbe stato dovuto dalle clienti, alla stregua dell’attività realmente svolta. Circostanze, queste ultime, ben note allo stesso Avv. Z. che si era proposto di provvedere alla restituzione nel corso delle trattative, poi non portata a termine unicamente per problemi di natura economica del medesimo. E, poiché risultava pacifico che la somma ricevuta dall’Avv. Z. superava quella ritenuta equa, doveva ritenersi integrata la violazione dei canoni di cui al capo di incolpazione. Quanto alla sanzione inflitta, il CNF riteneva correttamente applicati gli indici previsti dal codice deontologico forense, alla luce della situazione di fatto emersa, della gravità della condotta, dei precedenti disciplinari e del comportamento processuale complessivamente tenuto dall’Avv. Z. . L’Avv. Z. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suindicata sentenza, affidato ad otto motivi. Il Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Verona al quale è stato notificato il ricorso non si è costituito. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso. La causa è stata posta in decisione all’udienza dell’1 dicembre 2020. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si deduce il vizio di violazione di legge e di omesso esame di un fatto decisivo in relazione al provvedimento reso il 17.10.2019 dal CNF che ha rigettato l’istanza di rinvio per malattia dell’Avv. Z. . Il CNF avrebbe esaminato unicamente la prima parte del certificato medico dal medesimo presentato, concernente l’immunodepressione, senza considerare la circostanza che lo stesso si trovava in accertamento diagnostico ospedaliero che avrebbe conferito all’impedimento il requisito della assolutezza ed oggettività. La mancata concessione del rinvio avrebbe quindi viziato l’intero procedimento, non consentendo all’incolpato di difendersi personalmente instaurando con l’organo giudicante un contraddittorio idoneo ad influenzare la decisione finale. 2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza conseguente alla nullità del provvedimento che aveva respinto il rinvio di udienza. 3. I due motivi, stante la loro stretta connessione, meritano un esame congiunto e sono in parte inammissibili ed in parte infondati. 4. Quanto al primo motivo, che pure omette di riprodurre il contenuto della certificazione medica alla quale si riferisce la censura, è per più profili inammissibile, poiché prospetta il vizio di omesso esame ancorché il fatto relativo all’impedimento contenuto nella certificazione medica sia stato esaminato dal CNF, ciò escludendo in radice la possibilità di prospettare il vizio di omesso esame di un fatto, alla stregua dei principi espressi da queste Sezioni Unite nella sentenza, 11 marzo 2014, n. 8053. 4.1. Peraltro, la circostanza che il CNF abbia fatto riferimento - a pag. 7 della sentenza, 2 cpv. - all’esistenza di certificato medico attestante l’esistenza di una immunodepressione acuta che gli avrebbe impedito di presenziare all’udienza del 17.10.2019 non dimostra in alcun modo che il CNF sia giunto ad escludere l’esistenza di un impedimento senza esaminare in modo globale la documentazione allegata che, anzi, lo stesso organo disciplinare ha mostrato di avere tenuto in piena considerazione. 4.2. La censura, infine, si appunta sull’accertamento di fatto operato dal giudice di merito che non può essere rivisitato in questa sede alla luce di quanto affermato dal medesimo ricorrente, il quale muove da una valutazione del significato di una parte della certificazione sanitaria esibita - quella relativa al fatto che la malattia era in accertamento diagnostico ospedaliero - che esclude, per l’un verso, in radice l’ammissibilità della censura sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto e, per altro verso, tende inammissibilmente a prospettare una situazione di fatto diversa da quella considerata dal giudice per farne discendere l’illegittimità della decisione. 4.3. Ne consegue l’infondatezza della parte finale del primo motivo e del secondo motivo, non prospettandosi alcun vizio della decisione impugnata in ordine alla violazione del diritto al contraddittorio. 5. Con il terzo motivo si deduce la nullità della decisione del CDD del Veneto di tenere l’udienza in data 10.3.2017 in assenza del ricorrente, nonostante il suo legittimo impedimento a comparire. Il ricorrente prospetta, in particolare, l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe esaminato, in modo a suo dire scorretto, la documentazione prodotta a sostegno della richiesta di differimento dell’udienza. Il CNF, in particolare, avrebbe valorizzato l’assenza, nel foglio inviato a mezzo fax, della firma del giudice e della prova che il ricorrente fosse difensore della ricorrente M.R. . Secondo il ricorrente tali affermazioni costituirebbero dei meri espedienti formali usati dal CNF, tali da rendere inconsistente l’argomentazione, poiché il CDD sarebbe stato ben consapevole dell’esistenza del rapporto professionale fra la M. e il ricorrente, al punto che non aveva trattato il procedimento all’ora fissata. Peraltro, la circostanza che il ricorrente si potesse fare sostituire nel giudizio costituirebbe una semplice facoltà e non un obbligo, dipendendo dalla decisione insindacabile del difensore che, nel caso di specie, tenuto conto della delicatezza della prima udienza innanzi al giudice del lavoro, era stata nel senso di ritenere indispensabile la comparizione personale del difensore nel giudizio. Inoltre, sarebbe stato impossibile raggiungere la sede del CDD dal Tribunale di Verona nel tempo residuo rimasto una volta terminata l’udienza del giudice del lavoro. 6. Con il quarto motivo si prospetta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa in relazione al mancato differimento dell’udienza del 10.3.2017. 7. Il terzo ed il quarto motivo, che meritano un esame congiunto essendo entrambi strettamente connessi, sono rispettivamente inammissibile il terzo ed infondato il quarto . 8. Il terzo motivo è inammissibile, muovendo a carico della sentenza impugnata censure che attengono alla valutazione operata dal CNF in ordine alla idoneità del documento prodotto dall’incolpato a costituire dimostrazione dell’impedimento legittimo, che non può essere riesaminato in sede di legittimità una volta che il CNF ha ritenuto che il documento prodotto non attestasse l’esistenza dell’assoluta impossibilità a comparire per legittimo impedimento. Ed infatti, queste Sezioni Unite sono ferme nel ritenere che le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite della S.C, ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonché, ai sensi dell’art. 111 Cost., per vizio di motivazione, con la conseguenza che, salva l’ipotesi di sviamento di potere, in cui il potere disciplinare sia usato per un fine diverso rispetto a quello per il quale è stato conferito, l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata non può essere oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza - cfr. Cass., S.U., 30 gennaio 2018, n. 20344, Cass., S.U., 8 novembre 2016, n. 24647. 8.1. Orbene, nel caso di specie, il ricorrente contesta il rilievo che il CNF ha dato all’assenza di firma da parte del giudice del verbale di causa e l’assenza di riferimenti alla procura alle liti rilasciata dalla parte del giudizio al quale si riferiva il verbale all’incolpato, ritenendo le valutazioni espresse dal CNF meri espedienti formalistici, senza tuttavia avvedersi che tali contestazioni riguardano, per l’appunto, le valutazioni operate dal giudice disciplinare in ordine al materiale probatorio che non possono essere rivisitate da queste Sezioni Unite. 8.2. Alla luce di quanto testè affermato con riguardo al terzo motivo, deve ritenersi palesemente infondato il quarto motivo di ricorso, non prospettandosi alcuna nullità della sentenza impugnata in relazione al mancato differimento dell’udienza del 10.3.2017. 9. Con il quinto motivo si deduce la violazione del D.M. n. 140 del 2012 e degli artt. 5, 6 e 43 CDF 1997. Il CNF avrebbe errato nel ritenere esistente l’incolpazione connessa all’avere trattenuto le somme ricevute al momento della firma del preventivo maggiori rispetto a quelle connesse all’attività difensiva svolta dall’incolpato, senza restituire l’eccedenza. La sentenza impugnata, avrebbe tralasciato di considerare che l’incolpato, a fronte delle somme restituite alle clienti - Euro 2000,00 -, aveva pieno diritto a ricevere il compenso per l’attività svolta in favore delle clienti, debitamente parametrate all’attività svolta. 10. La censura è inammissibile. 11. La stessa, infatti, tende a mettere in discussione l’accertamento di fatto operato dal CNF in ordine all’eccedenza delle somme trattenute dall’incolpato rispetto all’attività svolta in favore delle clienti. Accertamento di fatto su elementi ponderati dal CNF che non può essere rivisitato da queste Sezioni Unite, alla stregua della giurisprudenza già richiamata nell’esaminare e ritenere inammissibili il primo ed il terzo motivo di ricorso , tanto meno alla luce di elementi fattuali esposti in questa sede dal ricorrente. 12. Con il sesto motivo si deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’incolpato aveva svolto attività professionale in regime di sospensione, per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. 13. Secondo il ricorrente le attività professionali indicate nel preventivo sarebbero state integralmente svolte dopo la cessazione del periodo di sospensione, coincidente con il 26.11.2012, riguardando il preventivo sottoscritto il 20.10.2012 attività da svolgere in epoca posteriore alla sospensione, tanto evincendosi dalla stessa sentenza impugnata, ove era stato affermato che l’incolpato avrebbe ricevuto le somme prima di svolgere l’attività professionale prevista. 13.1 La censura è inammissibile nella parte in cui non coglie la ratio decidendi della sentenza che ha riconosciuto la fondatezza del capo d’incolpazione relativo all’espletamento di attività professionale nel periodo di sospensione disciplinare che il CNF ha ricondotto, anzitutto, alla sottoscrizione del preventivo con indicazione di attività difensive, considerato dal giudice disciplinare già di per sé integrante un comportamento deontologicamente rilevante dell’avvocato. 13.2 Ora, il ricorrente, nel tralasciare tale aspetto, ha assunto come dato di partenza della censura l’asserito svolgimento di attività professionale in epoca successiva alla cessazione del periodo di sospensione, senza ancora una volta avvedersi che tale prospettazione, involgendo l’esame di profili fattuali, esula totalmente dal sindacato riservato a queste Sezioni Unite sui provvedimenti adottati dal CNF. 14. Con il settimo motivo si deduce la violazione della sentenza impugnata quanto alla determinazione della durata della sanzione inflitta all’incolpato. Il CNF avrebbe errato nel comminare la sanzione per i diversi capi di incolpazione riconosciuti fondati senza indicare le modalità del calcolo di durata di essa. 15. Con l’ottavo motivo si deduce l’eccessività della durata della sanzione inflitta e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, deducendo che la sanzione inflitta risulterebbe eccessiva rispetto agli addebiti contestati ed erronea in assenza di indicazione dei criteri utilizzati per calcolare la sanzione. 16. Anche tali ultimi due motivi meritano un esame congiunto e sono entrambi infondati. 17. Il giudice disciplinare, nel determinare la sanzione a carico dell’incolpato, ha ritenuto congrua quella comminata dal Consiglio di disciplina del Veneto, rilevando che la stessa era stata applicata considerando la situazione di fatto emersa nel corso del procedimento, i precedenti disciplinari dell’incolpato, il comportamento anche processuale mantenuto dallo stesso nel corso della vicenda processuale ed in tal modo applicando in modo corretto l’art. 21 del Codice deontologico, secondo il quale Spetta agli Organi disciplinari la potestà di applicare, nel rispetto delle procedure previste dalle norme, anche regolamentari, le sanzioni adeguate e proporzionate alla violazione deontologica commessa. 2. Oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato la sanzione è unica anche quando siano contestati più addebiti nell’ambito del medesimo procedimento. 3. La sanzione deve essere commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all’eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell’incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione. 4. Nella determinazione della sanzione si deve altresì tenere conto del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell’immagine della professione forense, della vita professionale, dei precedenti disciplinari . 17.1. In definitiva, la sentenza impugnata appare adeguatamente e ragionevolmente motivata anche in ordine al tipo e misura della sanzione in concreto irrogata, con la conseguenza che la stessa rimane immune da censura. 18. Il ricorso va quindi rigettato. 19. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali per dare atto - ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.