Avvocato-testimone? Tra “facoltà” processuale e “obbligo” deontologico di astensione

L’ordinanza della prima sezione civile della Corte di Cassazione del 3 dicembre 2020, n. 27703 ha avuto modo di fare chiarezza sull’operatività della facoltà di astensione che l’art. 249 c.p.c. riconosce all’avvocato che sia chiamato a rendere testimonianza su fatti appresi nell’esercizio di un suo mandato difensivo.

Questo l’oggetto dell’ordinanza della Suprema Corte n. 27703/20, depositata il 3 dicembre 2020. Il caso. Orbene, nel caso di specie l’aspetto centrale e forse anche decisivo della controversia era senz’altro rappresentato dalla ricostruzione dei limiti della facoltà dell’avvocato di astenersi dal rendere testimonianza in un processo civile in cui sia stato chiamato in qualità di testimone. Ed infatti, era accaduto che nel processo di primo grado la parte, poi risultata soccombente per mancato assolvimento dell’onere della prova, avesse indicato come testimoni due avvocati che, chiamati, avevano esercitato la facoltà di astensione che il Tribunale e la Corte di Appello poi aveva ritenuto di accogliere. Astensione. Il quadro normativo che regola l’astensione dell’avvocato nel processo civile che è ipotesi diversa dall’incompatibilità laddove egli sia l’avvocato costituito nel giudizio è dato dal combinato disposto degli articoli 240 c.p.c. e dell’art. 200 c.p.p Quanto al primo, il codice di rito civile prevede che si applicano all'audizione dei testimoni le disposizioni degli articoli 200, 201 e 202 del codice di procedura penale relative alla facoltà di astensione dei testimoni . Quanto al secondo che, quindi, completa il primo il codice di procedura penale prevede il segreto professionale riconoscendo, inter alia , agli avvocati che non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria . Secondo la Corte Costituzionale si tratta di una disciplina che risponde all'esigenza di assicurare una difesa tecnica, basata sulla conoscenza di fatti e situazioni, non condizionata dalla obbligatoria trasferibilità di tale conoscenza nel giudizio, attraverso la testimonianza di chi professionalmente svolge una tipica attività difensiva e che scatta in presenza di due requisiti uno soggettivo e l’altro oggettivo C. Cost. n. 87/1997 . È rilevante, quindi, soltanto l’interesse al segreto e non già l’interesse della parte che intende chiamare l’avvocato come testimone. Ne deriva che, laddove l’avvocato sia stato chiamato a testimoniare su circostanze apprese in ragione del suo mandato professionale, opera la norma che gli riconosce la facoltà di astenersi dal rendere la testimonianza. Giudiziale o stragiudiziale. Peraltro, è del tutto indifferente che l’attività professionale svolta dall’avvocato e in ragione della quale egli ha appreso i fatti rispetto ai quali viene poi chiamato a rendere testimonianza sia stata un’attività giudiziaria oppure stragiudiziale in entrambi i casi ciò che rileva è che le circostanze sono state conosciute in ragione del proprio mandato difensivo. Facoltà e non divieto. L’art. 242 c.p.c. quindi riconosce una facoltà senza che ciò – scrive la Cassazione – dia luogo ad un divieto legale a rendere la testimonianza. E ciò fermo restando che le norme del codice deontologico forense ribadiscono forse, anzi, rafforzano direi io la previsione della facoltà di astensione. Ed infatti, da un lato, l’art. 28 prevede che è dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto e il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato . Dall’altro lato, l’art. 51 che sanziona con la censura l’eventuale condotta difforme prevede che l’avvocato deve astenersi, salvo casi eccezionali, dal deporre, come persona informata sui fatti o come testimone, su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività . Sembra, quindi, in conclusione che – salve le verifiche dei singoli casi ed infatti, è indubitabile che c’è uno spazio per valutazioni legate alle singole evenienze la facoltà di astensione dell’avvocato prevista dal codice di rito si trasformi absit iniuria verbis in obbligo secondo il codice deontologico senza, però, che quest’obbligo possa avere effetti sul processo, ad esempio, per sostenere un divieto legale di rendere la testimonianza oppure come inutilizzabilità della dichiarazione .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 7 ottobre – 3 dicembre 2020, n. 27703 Presidente Campanile – Relatore Tricomi Ritenuto che La Corte di appello di Catania, esaminato il gravame proposto da N.C. avverso la sentenza del Tribunale di Catania n. 844/2016 emessa nel giudizio introdotto con atto di citazione notificato l’8/5/2013 da N. nei confronti di Ne.Sa. , lo ha dichiarato inammissibile con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., non sussistendo ragionevoli probabilità di suo accoglimento in applicazione delle disposizioni sul c.d. filtro. N. ha proposto con tre mezzi ricorso avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., per violazione dell’art. 111 Cost., comma 7 e, in subordine, ha proposto ricorso ordinario avverso la sentenza di primo grado con cinque mezzi ha depositato anche memoria. Ne. ha replicato con controricorso e proposto ricorso incidentale con due mezzi. Considerato che 1. Il ricorso è articolato in due parti la prima concerne l’impugnazione dell’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. la seconda sostanzialmente l’impugnazione della sentenza di primo grado. 2.1. Procedendo all’esame della impugnazione dell’ordinanza ex art. 348 c.p.c., si osserva che - Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, in relazione al difetto di motivazione. Egli sostiene che la Corte di appello senza motivare e con irriducibile contrasto, da un lato abbia predicato che l’avvocato ai sensi dell’art. 200 c.p.p., ha sempre facoltà di astenersi dal deporre come testimone e dall’altro abbia ritenuto incongrua la giurisprudenza citata che relativizza la facoltà di astensione, circoscrivendo l’incompatibilità solo all’ipotesi di contestuale assunzione nel medesimo grado del procedimento della veste di difensore e testimone. Critica altresì, perché non motivata, l’affermazione secondo la quale non erano state da lui stesso allegate altre prove. - Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., comma 7 e art. 6 Cost., in relazione al difetto di motivazione si duole che il giudizio di inammissibilità per non sussistenza di ragionevoli probabilità di accoglimento sia stata fondata sull’esame di uno solo dei plurimi motivi di gravame, senza che sia ravvisabile una motivazione circa la arbitraria mutilazione delle altre censure. - Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, in relazione alla errata interpretazione dell’art. 200 c.p.p., perché, a suo dire, la deroga al dovere di testimoniare prevista dall’art. 200 c.p.p., non è generale, ma circoscritta alla sola ipotesi in cui l’avvocato riveste il ruolo di difensore e di testimone nello stesso giudizio. 2.2. Risulta decisivo osservare, per quanto interessa, che la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’impugnazione concernente la decisione con la quale il primo giudice aveva riconosciuto la legittimità della facoltà di astenersi dalla testimonianza, esercitata dai due testi indicati dall’attore N. , entrambi avvocati, sulla scorta di quanto previsto dall’art. 249 c.p.c., che regola la facoltà di astensione in combinato disposto con l’art. 200 c.p.p., avendo ritenuto incongruo il richiamo operato dall’appellante alla sentenza n. 87 del 1997 della Corte Costituzionale perché afferente la figura del procuratore legale ed alla sentenza della Cassazione n. 16151/2010, resa in tema di incompatibilità a rendere testimonianza ha, inoltre, rimarcato che l’appellante non aveva neppure allegato di avere dedotto ulteriori prove idonee a fondare la sua prospettazione, diverse dalla anzidette testimonianze e non esaminate dal primo giudice. 2.3. Ne consegue che gli anzidetti motivi, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili poiché l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., non è impugnabile con ricorso per cassazione quando, come avvenuto nel caso di specie, ha confermato le statuizioni di primo grado, pur se attraverso un percorso argomentativo parzialmente diverso da quello seguito nella pronuncia impugnata, non configurandosi, in tale ipotesi, una decisione fondata su una ratio decidendi autonoma e diversa nè sostanziale nè processuale Cass. n. 23334 del 19/09/2019 . Le plurime censure, inoltre, nemmeno prospettano vizi di carattere processuale propri dell’ordinanza filtro Cass. Sez. U., n. 1914 del 2/2/2016 Cass. n. 15 del 3/1/2017, in motivazione , che avrebbero consentito il ricorso per cassazione. 3.1. Il ricorrente poi svolge i motivi di impugnazione diretti avverso la sentenza di primo grado. Rileva il Collegio che la Corte di appello con l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., si è limitata a fornire la valutazione prognostica circa la non ragionevole probabilità di accoglimento del gravame, compiendo una valutazione di merito, conformemente alle finalità dell’istituto, senza eccedere rispetto ai limiti che l’ordinamento ha assegnato a tale provvedimento. Pertanto, correttamente la parte ha proposto ricorso avverso la sentenza del giudice di primo grado, alla luce di quanto ribadito dalle Sezioni Unite Cass. Sez. U., n. 1914 del 2/2/2016 Cass. n. 14329 del 8/6/2017 . 3.2. Le censure sono le seguenti I - Primo motivo violazione dell’art. 200 c.p.p Il ricorrente sostiene che i due avvocati non potevano avvalersi della facoltà di non testimoniare della L. n. 34 del 1934, ex art. 13, perché non ricorrevano i presupposti indicati nella sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1997 in quanto nessuno dei due professionisti era difensore di alcuna delle parti del giudizio nel corso del quale erano stati intimati come testimoni requisito soggettivo ed i fatti sui quali erano stati chiamati a testimoniare non erano stati appresi per alcuna difesa tecnica, nè erano utili o necessari per l’esercizio di un mandato difensivo nel processo, poiché gli stessi avevano svolto consulenze extragiudiziali in occasione della composizione di interessi al di fuori di qualsiasi processo requisito oggettivo . II - Secondo motivo errata interpretazione della giurisprudenza della Corte Costituzionale sent. n. 87 del 1997 e della giurisprudenza di legittimità in tema di incompatibilità a testimoniare Cass. n. 16151/2010 nonché omessa motivazione con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente sostiene che non ricorreva nel caso di specie una incompatibilità assoluta a testimoniare di cui all’art. 197 c.p.c III - Terzo motivo violazione dell’art. 200 c.p.c., comma 2, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 violazione dell’obbligo di valutare la attendibilità e la congruità dell’eccezione di astensione - Illegittima omissione. Il ricorrente sostiene che l’obbligo di valutare la legittimità dell’astensione che compete al giudice del merito non è formale, ma sostanziale e deve essere compiuta in concreto sostiene che in tale indagine non è indifferente il nocumento che la deposizione potrebbe arrecare al cliente, ossia la rivelazione di un segreto in quanto solo qualora la deposizione costituisca un segreto, vale il divieto di rivelarlo ex art. 622 c.p., senza una giusta causa e senza una valutazione del potenziale nocumento. IV - Quarto motivo omessa valutazione del codice deontologico vigente 2014 da parte della Corte territoriale. Il ricorrente sostiene che secondo il vigente codice deontologico è assente la facoltà generale di astensione dell’avvocato dal rendere testimonianza e che la questione si pone solo quando questi è chiamato a testimoniare nello stesso processo in cui ha la contestuale veste di difensore. V - Quinto motivo violazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 2727-2729 c.c Altre prove che avrebbero dovuto far accogliere la domanda. Mancata valutazione delle stesse da parte del Collegio - Obbligo di valutare la reticenza dei testi ex art. 372 c.p. Violazione dell’art. 2736 c.c. - giuramento decisorio in caso di semipiena probatio. Violazione dell’art. 112 c.p.c., per omesso esame e pronuncia sui fatti decisivi. Il ricorrente sostiene di avere prodotto molteplici prove documentali ed indizi di prova nel corso del giudizio di primo grado decisivi e si duole che non siano stati valutati con prudente apprezzamento per avvalorare la prospettazione che egli stesso propone in merito alla ricostruzione dei fatti di causa. 3.3. Come si evince dallo stesso ricorso, sul punto sufficientemente specifico, i motivi di appello erano solo quattro, ma le questioni sottese possono essere scrutinate ove risultino sostanzialmente riproposte nei termini consentiti anche se in cinque motivi, in linea con il principio secondo il quale Nel caso in cui l’appello sia stato dichiarato inammissibile ex art. 348-ter c.p.c., il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado può essere proposto entro i limiti delle questioni già sollevate con l’atto di appello e di quelle riproposte ex art. 346 c.p.c., senza che possa assumere rilievo la diversa formulazione dei motivi, che trova giustificazione nella natura del ricorso per cassazione, quale mezzo di impugnazione a critica vincolata, proponibile esclusivamente per i vizi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, non comportando la dichiarazione di inammissibilità dell’appello sostanziali modificazioni nel giudizio di legittimità, fatta eccezione per la necessità che l’impugnazione sia rivolta direttamente contro la sentenza di primo grado e per l’esclusione della deducibilità del vizio di motivazione Cass. n. 23320 del 27/09/2018 . Il ricorso nella parte in cui è rivolto avverso la sentenza di primo grado è pertanto ammissibile. 3.4.1. Passando all’esame dei motivi, si osserva che il primo ed il terzo, strettamente avvinti in quanto concernono l’interpretazione e l’applicazione dell’art. 249 c.p.c. e art. 200 c.p.p., vanno trattati congiuntamente e respinti perché infondati. 3.4.2. Com’è noto, nel processo civile come d’altra parte in ogni processo , la testimonianza costituisce un dovere per il cittadino, nel momento in cui il giudice, dopo aver valutato la richiesta della parte, abbia ritenuto la ammissibilità della prova ed abbia disposto la citazione del teste. L’ufficio di testimone comporta, per chi ne è onerato, l’obbligo di presentarsi dinanzi al giudice e l’ulteriore obbligo di dire la verità, come da impegno che assume prestando il giuramento ex art. 251 c.p.c. inoltre se il testimone rifiuta di giurare o di deporre senza giustificato motivo oppure vi sia il fondato sospetto che non abbia detto la verità o sia stato reticente, il giudice istruttore lo denuncia al Pubblico Ministero ex art. 256 c.p.c., in relazione al delitto di cui all’art. 372 c.p L’art. 200 c.p.p., prevede, tuttavia, che alcuni soggetti che ricoprono particolari uffici o esercitano particolari professioni, tra i quali gli avvocati, non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del loro ufficio o professione, riconoscendo così ad essi la facoltà di opporre il segreto professionale e di essere esentati dall’obbligo di deporre pur spettando al giudice il potere di sindacare l’opposizione del segreto professionale da parte del testimone e, ove tale opposizione risulti infondata, di ordinare allo stesso di deporre Cass. pen., Sez. 6, n. 7440 del 10/01/2017 Cass. pen., Sez. 2, n. 13369 del 07/01/2011 e l’art. 249 c.p.c., riconosce all’avvocato la facoltà di astenersi dal rendere testimonianza, proprio mediante il richiamo al cit. art. 200 c.p.p Sul tema dell’esercizio della facoltà di astensione da parte dell’avvocato è intervenuta la Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 87 del 1987 richiamata dallo stesso ricorrente, ha chiarito bene la funzione dell’istituto, sottolineando che la complessiva disciplina normativa del segreto di chi esercita la professione forense e della correlativa facoltà di astenersi dal deporre, quale testimone in giudizio, su quanto conosciuto nell’esercizio di tale professione, . risponde all’esigenza di assicurare una difesa tecnica, basata sulla conoscenza di fatti e situazioni, non condizionata dalla obbligatoria trasferibilità di tale conoscenza nel giudizio, attraverso la testimonianza di chi professionalmente svolge una tipica attività difensiva ed ha rimarcato che la stessa è destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, consentendo che ad un difensore tecnico possano, senza alcuna remora, essere resi noti fatti e circostanze la cui conoscenza è necessaria o utile per l’esercizio di un efficace ministero difensivo in quanto la facoltà di astensione dell’avvocato non costituisce un’eccezione alla regola generale dell’obbligo di rendere testimonianza, ma è essa stessa espressione del diverso principio di tutela del segreto professionale. Quanto ai presupposti necessari per poterla esercitare, ha affermato che La facoltà di astensione dalla testimonianza in giudizio presuppone la sussistenza di un requisito soggettivo e di un requisito oggettivo. Il primo, riferito alla condizione di avvocato di chi è chiamato a testimoniare, consiste nell’essere la persona professionalmente abilitata ad assumere la difesa della parte in giudizio. Il secondo requisito è riferito all’oggetto della deposizione, che deve concernere circostanze conosciute per ragione del proprio ministero difensivo o dell’attività professionale, situazione questa che può essere oggetto di verifica da parte del giudice . Con la precisazione che La protezione del segreto professionale, riferita a quanto conosciuto in ragione dell’attività forense svolta da chi sia legittimato a compiere atti propri di tale professione, assume carattere oggettivo, essendo destinata a tutelare le attività inerenti alla difesa e non l’interesse soggettivo del professionista . In sintesi, la facoltà di astensione riconosciuta all’avvocato si inscrive nella tutela del diritto di difesa inteso in senso ampio proprio perché è destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, consentendo che ad un difensore tecnico possano, senza alcuna remora, essere resi noti fatti e circostanze la cui conoscenza è necessaria o utile per l’esercizio di un efficace ministero difensivo. e, quindi, l’avvocato può avvalersene riguardo alle conoscenze acquisite in ogni fase dell’attività professionale, sia contenziosa che non come nel caso in esame, in cui l’attività professionale prestata era di tipo stragiudiziale, di guisa che il presupposto oggettivo connesso allo svolgimento dell’attività professionale non può ritenersi circoscritto alla sola ipotesi in cui egli abbia assunto la veste di difensore nel processo, nel qual caso - peraltro - ricorrerebbe una incompatibilità a testimoniare. È decisivo osservare che la Corte Costituzionale parla espressamente, in relazione al requisito soggettivo , di circostanze conosciute per ragione del proprio ministero difensivo o dell’attività professionale . 3.4.3. Alla luce di quanto puntualizzato in ordine alla funzione assolta dall’istituto, il controllo riservato al giudice circa il corretto esercizio della facoltà di astensione va focalizzato esclusivamente sulla ricorrenza dei presupposti soggettivo ed oggettivo, senza che la scelta compiuta dall’avvocato, intimato come teste, possa ritenersi sindacabile sotto il profilo dell’interesse del soggetto che ha articolato la prova testimoniale. 3.4.4. Orbene, nel caso di specie, risulta incontroverso che i due avvocati avevano svolto in epoca antecedente al giudizio attività professionale per N. in occasione della quale avevano appreso i fatti su cui avrebbero dovuto rendere testimonianza, come accertato dal Tribunale con statuizione non impugnata, e la decisione risulta pertanto immune dai vizi denunciati. 3.5.1. Il secondo motivo è inammissibile. Senza necessità di tornare sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1987, su cui ci si è soffermati nei paragrafi precedenti, giova ricordare che l’incompatibilità a testimoniare ricorre quando una persona, dotata di capacità di testimoniare nella generalità dei processi penali art. 196 c.p.p. , ma anche civili, non è legittimata a svolgere la funzione di testimone in un determinato procedimento capacità specifica per ragioni riconducibili alla volontà del legislatore di 1 esonerare alcuni soggetti dall’obbligo di dire la verità art. 197, comma 1, lett. a, b, c 2 escludere tutti quei soggetti che abbiano ricoperto determinate funzioni all’interno dello stesso procedimento art. 197, comma 1, lett. d . Si tratta, in entrambi i casi, di limiti soggettivi alla testimonianza. 3.5.2. Nel caso in esame non è stata fatta alcuna applicazione dell’art. 197 c.p.p., ma del diverso istituto che facoltizza il diritto all’astensione, esaminato sub 3.4.1 e ss poiché nella fattispecie in esame non ricorreva alcun divieto legale a rendere testimonianza e la giurisprudenza di legittimità richiamata da N. non risulta pertinente al caso in esame 3.6.1. Il quarto motivo è inammissibile, laddove appare volto a censurare l’ordinanza della Corte di appello, per le ragioni già espresse sub 3.3. 3.6.2. Per completezza si deve osservare che il Tribunale ha compiutamente valutato le regole dettate dal Codice deontologico forense approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31 gennaio 2014 e la rispondenza della condotta in esame alle stesse ed il motivo, ove volto a censurare anche la sentenza di primo grado, è infondato. 3.6.3. Invero, contrariamente a quanto assume il ricorrente il Codice deontologico non solo prevede che è dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto e il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato. art. 28 ma, in tema di Testimonianza dell’avvocato , dispone che L’avvocato deve astenersi, salvo casi eccezionali, dal deporre, come persona informata sui fatti o come testimone, su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e ad essa inerenti. art. 51 . Per quanto interessa, l’art. 51 - che peraltro prevede un dovere di astensione e non solo una facoltà - è conforme alle disposizioni processualistiche esaminate in merito all’ampiezza soggettiva della sua applicabilità. Essa riguarda infatti ogni avvocato e non solo colui che abbia assunto la veste di difensore nel processo in questi sensi soccorre il dato letterale, poiché le disposizioni del Codice deontologico riferite all’avvocato che abbia assunto la veste di difensore contengono in termini espliciti tale qualificazione, e ciò non ricorre nel caso dell’art. 51 soccorre anche la collocazione sistematica di detta disposizione nel Titolo IV che regola i Doveri dell’avvocato nel processo e che prende in considerazione molteplici condotte, alcune disciplinate al fine di preservare il corretto svolgimento del rapporto professionale in sede processuale con il cliente e circoscritte in questo ambito, ed altre, come l’art. 51, dettate per preservare il completo svolgimento dell’attività difensiva anche nell’ambito processuale e che si connotano per una più ampia portata soggettiva, tale da poter prescindere dall’esistenza in atti di un mandato difensivo. Ne consegue l’infondatezza anche del motivo che propugna una più restrittiva interpretazione della disciplina in esame sulla scorta delle previsioni del codice deontologico. 3.7. Il quinto motivo è inammissibile perché la censura, pur formulata come violazione di plurime norme e violazione per omesso esame di fatti decisivi, in realtà assume la connotazione di una denuncia di vizi motivazionali, non ammissibile in sede di legittimità. In proposito va ricordato che In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c., è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo prudente apprezzamento , pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria come, ad esempio, valore di prova legale , oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione Cass. Sez. U. n. 20867 del 30/09/2020 . Nel caso di specie il ricorrente ripercorre il materiale probatorio a suo dire decisivo - e sostanzialmente ne sollecita il riesame in conformità a quanto dallo stesso auspicato, giacché la critica in merito alla violazione dell’art. 116 c.p.c., non riguarda l’applicazione errata o meno di specifiche regole di valutazione delle prove, ma la valutazione in sé compiuta dal giudice del merito. Anche la censura afferente la violazione dell’art. 372 c.p.c., in relazione alla reticenza dei testi, si sostanzia in una richiesta di riesame del merito. Quanto al mancato deferimento del giuramento ex art. 2736 c.c., da parte del giudice di merito, l’assunto è formulato in maniera generica e non consente alcuna valutazione sulla effettiva possibile applicabilità dell’istituto nel caso di specie. Infine la denuncia di omesso esame di fatti decisivi non è assistita dalla dovuta specificità sia in merito ai fatti ed alla loro decisività, sia alla tempestiva introduzione nel giudizio degli stessi. 4.1. Il ricorso incidentale proposto da Ne. è articolato in due motivi. Il primo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2722 c.c., in relazione all’art. 1362 c.c. - segnatamente sostenendo la inammissibilità della prova per testi articolata per provare il pactum fiduciae in relazione alla intestazione delle quote della società N. SRL il secondo denuncia la violazione degli artt. 2730 e 2735 c.c. - assumendo il valore confessorio delle tesi sostenute dal N. , in precedente giudizio cautelare, circa la natura fittizia dell’intestazione delle quote della N. SRL, tesi di cui il ricorrente incidentale evidenzia il conflitto con quella della interposizione reale, sostenuta nella presente controversia. 4.2. Richiamato il principio già riportato sub 3.3., il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile perché nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proponibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, l’atto d’appello, dichiarato inammissibile, e la relativa ordinanza, pronunciata ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., costituiscono requisiti processuali speciali di ammissibilità, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3, è necessario che nel suddetto ricorso per cassazione sia fatta espressa menzione dei motivi di appello e della motivazione dell’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., al fine di evidenziare l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame Cass. n. 10722 del 15/05/2014 Cass. n. 26936 del 23/12/2016 . Nel caso di specie il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile perché non assolve a tale onere in ordine alla effettiva e tempestiva proposizione dell’appello incidentale avverso la sentenza di primo grado mediante motivi di contenuto analogo a quelli sottoposti a questa Corte nè ciò è evincibile dall’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., della Corte di appello, che non dà conto di alcun appello incidentale e qualifica il Ne. esclusivamente come appellato. 5. In conclusione l’impugnazione dell’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., proposta da N. va dichiarata inammissibile il ricorso principale proposto da N. avverso la sentenza di primo grado va rigettato, infondati i primi quattro motivi, inammissibile il quinto il ricorso incidentale proposto da Ne. va dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità si compensano in ragione della reciproca soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019 . P.Q.M. - Dichiara inammissibile il ricorso ex art. 348 ter c.p.c., avverso l’ordinanza della Corte di appello di Catania ex art. 348 ter c.p.c., depositata il 2/2/2017 - Rigetta il ricorso principale avverso la sentenza del Tribunale di Catania n. 844/2016 e dichiara inammissibile il ricorso incidentale - Compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti - Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.