Per l’avvocato non opera il ne bis in idem: sanzione disciplinare dopo quella penale anche per lo stesso fatto

Con la sentenza n. 24896/20 del 6 novembre, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avuto modo di affrontare alcune importanti questioni in materia di procedimento disciplinare forense.

Le prime due questioni, come vedremo, attengono alla natura dei soggetti coinvolti nel procedimento disciplinare il Consiglio distrettuale di disciplina e il Consiglio Nazionale Forense . La terza questione attiene, invece, alla delicata questione dell’operatività o no del principio del ne bis in idem di cui alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ambito del procedimento disciplinare tutte le volte in cui la condotta di cui all’incolpazione è la medesima già sanzionata in sede penale. CNF scaduto e procedimenti disciplinari. Orbene, la prima questione ha riguardato la possibilità del Consiglio Nazionale Forense, una volta scaduto il suo mandato e non ancora insediato quello successivo, di svolgere l’attività giurisdizionale . Secondo la Cassazione non c’è dubbio che quest’attività possa essere legittimamente svolta il principio di immanenza della funzione giurisdizionale è la fonte di questo potere. Ne deriva che la norma che attribuisce al consiglio scaduto” soltanto la possibilità di attendere agli affari correnti non ha alcuna incidenza sulla soluzione della questione. E ciò specialmente laddove da quell’espressione si vorrebbe ricavare – come aveva tentato di sostenere il ricorrente – di ricavare la limitazione dell’attività alla sola attività amministrativa ordinaria senza possibilità di svolgere i procedimenti disciplinari. CDD non è un giudice speciale. La seconda questione ha riguardato la natura e la struttura organizzativa dei Consigli distrettuali di Disciplina rispetto alla quale il ricorrente aveva lamentato – muovendo da una ricostruzione degli stessi in termini di giudice speciale – una mancata differenziazione tra il CDD che emette il capo di incolpazione il CDD che decide il procedimento disciplinare. Senonché, per le Sezioni Unite anche i Consigli distrettuali di disciplina come già prima i locali consigli dell’ordine cui erano attribuiti i procedimenti disciplinari non sono giudici speciali, ma soggetti che svolgono una funzione amministrativa e che svolgono funzioni giustiziali caratterizzati da elementi di terzietà . Ne bis in idem. La terza questione tocca un aspetto molto delicato relativo alla Convenzione dei diritti dell’uomo e riguarda, come abbiamo richiamato in apertura, la possibilità di invocare da parte del professionista incolpato in sede disciplinare il principio del ne bis in idem tutte le volte in cui il giudizio disciplinare segue ad una condanna penale per i medesimi fatti”. Ebbene, le Sezioni Unite mantengono fermo ancora una volta il principio più volte affermato secondo cui non c’è la possibilità di invocare il ne bis in idem perché siamo in presenza di due sanzioni del tutto differenti e soprattutto perché la sanzione disciplinare non potrebbe essere ricondotta alla materia penale di cui all’art. 6 CEDU. Sostanzialmente viene ritenuto in ciò la giurisprudenza è seguita anche dalle decisioni giurisprudenza dei CDD che mentre la sanzione disciplinare è volta far rispettare le regole interne di alta rilevanza etica e comportamentale relativa all’organizzazione dell’Ordine degli avvocati e dei suoi iscritti, la sanzione penale è finalizzata invece a tutelare valori dell’intera collettività a fronte di violazione di maggiore offensività. La sanzione disciplinare può essere sanzione penale”. Senonché, la tesi ribadita dalla Cassazione non convince completamente. Ed infatti, non può sfuggire che, sebbene le finalità possano essere qualificate come diverse, esse hanno, però, la medesima natura di sanzioni sia preventive che repressive . Ma v’è di più. Per la Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Causa Grande Stevens e altri c. Italia – Seconda Sezione – sentenza 4 marzo 2014 pure richiamata dalla Cassazione nella sua sentenza non è possibile applicare al medesimo fatto due sanzioni formalmente diverse, ma sostanzialmente penali come nel nostro caso . Inoltre, secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo - nota come giurisprudenza Engels - per sapere se una certa materia qui quella disciplinare possa essere qualificata come materia penale” ai sensi e per gli effetti della Convenzione europea occorre che siano presenti alcuni indici” sintomatici della reale natura della sanzione rispetto al mero nomen juris . E qui mi sembrano sussistere proprio quegli indici se solo si guarda alle tipologie di sanzioni comminate la radiazione, ad esempio, non può non essere una sanzione materialmente penale” quanto ad afflittività e quanto a conseguenze sull’esercizio dell’attività professionale come pure la sospensione dall’esercizio della professione. Del resto, ci può essere almeno in alcuni casi addirittura perfetta sovrapponibilità tra le sanzioni irrogabili in sede penale e in sede disciplinare la sanzione massima irrogabile nel procedimento disciplinare è la radiazione che rappresenta la massima sanzione afflittiva e che insieme alla sospensione corrispondono proprio alle corrispondenti sanzioni penali irrogabili come sanzioni per i fatti commessi dall’avvocato nell’esercizio delle sue funzioni. Resta quindi opportuno un ripensamento della certamente complessa materia in attesa di un qualche intervento risolutivo della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 10 luglio – 6 novembre 2020, n. 24896 Presidente Mammone – Relatore Crucitti Fatti di causa Si legge nella sentenza impugnata che, a seguito di segnalazione da parte della Procura della Repubblica di Belluno di avvenuto esercizio dell’azione penale nei confronti dell’Avv. C.F. e dell’esito del consequenziale processo penale conclusosi con sentenza ex art. 444 c.p.p., vennero contestati, al suddetto, sulla base di un capo di imputazione articolato in tre punti, illeciti disciplinari per gravi comportamenti che avevano compromesso l’immagine della professione forense, in base ai principi generali previsti dalla L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 3, comma 3, art. 17, comma 1, lett. h , art. 51, comma 1, e art. 2, comma 1 C.D.F., tenuto anche conto della sussistenza del dolo e della sua intensità. Il Consiglio distrettuale di disciplina del Veneto d’ora in poi, per brevità C.D.D. , ritenuta accertata la responsabilità del professionista in ordine ai capi di incolpazione a lui contestati, irrogava all’Avv. C. la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per anni tre. Il Consiglio Nazionale Forense d’ora in poi, per brevità, C.N.F. , investito dell’impugnazione proposta dall’Avv. C. , con la sentenza oggi impugnata, ha rigettato tutti i motivi di impugnazione, confermando la sanzione disciplinare inflitta dal C.D.D. In particolare, il C.N. F. - rigettata preliminarmente la richiesta di riunione del procedimento ad altri pendenti a carico dello stesso professionista - ha, sempre in via preliminare, rigettato le eccezioni di legittimità costituzionale avanzate dall’appellante, in quanto manifestamente infondate e generiche, rilevando che, in ogni caso, al procedimento disciplinare innanzi al C.D.D. territoriale, avente natura amministrativa e non giurisdizionale, fosse inapplicabile l’art. 111 Cost. Il Consiglio Nazionale Forense ha, altresì, ritenuto inammissibili e, comunque, infondati i motivi di impugnazione con i quali si era reiterata la violazione del principio del ne bis in idem e la nullità del capo di incolpazione per essere stato lo stesso approvato dalla medesima sezione disciplinare che aveva, poi, giudicato. Il C.N. F. ha, altresì, rigettato i tre motivi di impugnazione con i quali era stata dedotta la nullità della citazione per nullità della notificazione, per violazione del diritto di difesa e irritualità della citazione a giudizio, rilevando da un canto, la ritualità delle notificazioni effettuate a mezzo posta e a mezzo PEC e, dall’altro, la circostanza che la difesa era stata compiutamente esercitata, prima del dibattimento, mediante deposito di memoria difensiva e, poi, attraverso la concreta e effettiva partecipazione al procedimento di entrambi i difensori. Eguale sorte hanno avuto i motivi di impugnazione, ritenuti infondati, relativi all’erronea utilizzazione e valutazione degli atti del procedimento penale conclusosi con la sentenza ex art. 444 c.p.p. e alla mancata audizione dei testi, avendo rilevato il C.N.F., quanto al primo, che l’Organo disciplinare si era avvalso della possibilità prevista dalla L. n. 247 del 2012, art. 54, comma 2, e, quanto al secondo, che la chiesta prova testimoniale atteneva a circostanze non attinenti ai fatti contestati, mentre i fatti posti a base dei capi di incolpazione, oltre che ammessi dall’incolpato, erano stati provati documentalmente. Il C.N. F. ha, poi, rigettato l’undicesimo motivo di impugnazione con il quale era stata dedotta la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 59, lett. d , n. 2 avendo il C.D.D., solo in sede di decisione, fatto menzione dell’art. 50 C.D.F. tra le norme violate rilevando che la modifica della qualificazione giuridica dell’incolpazione non potesse determinare alcuna illegittimità della decisione quando fossero rimasti immutati gli elementi essenziali della materialità del fatto addebitato. Infine, con riguardo alla dedotta eccessività della sanzione inflitta, il C.N. F. ha ritenuto - sulla base della gravità dei fatti contestati e accertati con sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p. alla pena della reclusione di anni uno e mesi sei , del risalto sui media locali di tale vicenda, e anche della circostanza che il C.D.D. aveva già valutato tutti gli elementi anche a discapito del ricorrente - che non vi fossero elementi nuovi tali da giustificare una ulteriore valutazione della sanzione. Contro questa sentenza l’avv. C.F. propone, unitamente al ricorso, articolato in sette motivi, cui non v’è replica, istanza cautelare di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata ai sensi della L. n. 241 del 2012, art. 36, comma 7. È stata depositata memoria. Ragioni della decisione 1. Il ricorrente ha avanzato, preliminarmente in seno al ricorso, istanza cautelare di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, ribadendo, ai fini della sussistenza del fumus boni iuris, i medesimi motivi di ricorso e evidenziando, ai fini della sussistenza del periculum in mora, la stessa natura della sanzione applicata sospensione dall’esercizio della professione . 2.Si procede, quindi, direttamente alla trattazione dei motivi di ricorso, rimanendo in questa assorbito l’esame dell’istanza di sospensione. 3. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 34. Secondo la prospettazione difensiva, il Consiglio nazionale forense giudicante, aveva pronunciato la sentenza impugnata il 17.1.2019, allorché era già scaduto, con conseguente violazione della norma invocata la quale prevede che il Consiglio uscente resti in carica solo per il disbrigo degli affari correnti, tra i quali non poteva farsi rientrare il procedimento disciplinare, tipica attività giurisdizionale. 3.1. La censura appare, in primo luogo, inammissibile per difetto di specificità e per la novità della questione sollevata. Nel silenzio sul punto della sentenza impugnata, l’affermazione contenuta in seno all’illustrazione del motivo, secondo cui la relativa eccezione era stata tempestivamente sollevata in udienza e inserita a verbale, oltre a non trovare riscontro, è stata successivamente corretta dallo stesso ricorrente il quale, in seno alle memorie, ha fatto presente l’assenza della trascrizione della proposizione di tale eccezione nel verbale di udienza. 3.2 In ogni caso, la censura è, anche, infondata. La circostanza evidenziata dalla difesa del ricorrente - secondo cui la distinzione tra procedimenti giurisdizionali e affari amministrativi, contenuta nell’art. 7 del regolamento del C.N. F., renderebbe evidente che il disbrigo degli affari correnti, consentito dalla L. n. 247 del 2012, art. 34, comma 1, al Consiglio in carica fino all’insediamento del Consiglio neoeletto, riguarda esclusivamente i secondi - non appare pertinente nè risolutiva. Se è, infatti, evidente che la norma di legge invocata, nell’indicare gli affari correnti, si riferisca esclusivamente all’attività amministrativa propria del C.N. F. e non riguardi l’attività giurisdizionale esercitata dall’apposita Sezione disciplinare, appare, altrettanto, evidente che la legittimazione dell’organo giudicante, per come condivisibilmente rilevato dal P.G. in udienza, trovi la sua fonte nel principio generale di immanenza della funzione giurisdizionale. 4. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della mancata, benché richiesta, riunione da parte del C.N. F. al presente procedimento di altro pendente, a questo pregiudiziale, in quanto avente ad oggetto il rigetto della istanza di ricusazione presentata nei confronti del Presidente del C. D. D. 4.1. La censura è inammissibile. Per come ribadito da queste Sezioni Unite v. Sez. U, Sentenza n. 20773 del 07/10/2010 nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati trovano applicazione, quanto alla procedura, le norme particolari che, per ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, quelle del codice di procedura civile con la conseguenza che, come da principio costantemente ribadito per quel rito, è insindacabile in sede di legittimità la decisione sulla riunione, in quanto scelta rimessa alla valutazione discrezionale del giudice. 4.2 Peraltro, l’ulteriore censura svolta nell’illustrazione del motivo con la quale si insiste, in ogni caso, per la sospensione , già inammissibile per la sua estrema genericità e perché avrebbe dovuto tradursi in uno specifico motivo di impugnazione per nullità della sentenza del C.D.D., che non risulta essere stato proposto, sconta un’ulteriore inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, avendo il ricorrente, in memoria, dato atto che quel giudizio è stato definito dal C.N. F., con il rigetto del ricorso avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di ricusazione. 5. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata laddove il C.N. F. aveva ritenuto infondate le eccezioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento alla L. n. 247 del 2012, art. 50 in relazione all’art. 111 Cost., ritenendosi i nuovi C.D.D. dei veri e propri Giudici speciali costituiti in violazione al dettato della Carta alla L. n. 247 del 2012, artt. 58 e 59 in relazione all’art. 111 Cost., nella parte in cui non prevedono la diversità di composizione della sezione che approva il capo di incolpazione rispetto alla sezione giudicante alla L. n. 247 del 2012, art. 51 in relazione agli artt. 3 e 111 Cost. nella parte in cui non prevede l’incompetenza del C.D.D. del distretto in cui l’incolpato eserciti le funzioni di Giudice di Pace. Secondo la prospettazione difensiva, il C.N. F. aveva errato a rigettare, siccome infondate, le questioni sulla base di una sentenza di questa Corte che riguardava i Consigli locali dell’Ordine degli avvocati, organi del tutto diversi dai Consigli distrettuali di disciplina i quali dovevano ritenersi a tutti gli effetti dei giudici speciali. 5.1 La censura è inammissibile alla luce del consolidato orientamento di questa Corte cfr., di recente, tra le altre, Cass. n. 30738 del 26/11/2019 per cui il motivo di ricorso per cassazione con il quale, reiterandosi l’istanza avanzata nel giudizio di merito, si chieda di dichiarare una questione di legittimità costituzionale non manifestamente infondata e di rimetterne l’esame alla Corte costituzionale, è inammissibile ove contenga soltanto la generica deduzione dell’illegittimità di una norma e non anche l’indicazione delle ragioni di contrasto con le disposizioni costituzionali eventualmente individuate . 5.2 Nel caso in esame, come peraltro già rilevato dal C.N. F. nella sentenza impugnata, le dedotte illegittimità costituzionali risultano formulate in maniera generica, con un mera indicazione dei parametri costituzionali gli artt. 3, 111 e 112 Cost. , che, ad avviso del ricorrente, risulterebbero violati dal disposto della L. n. 247 del 2012, artt. 50, 51, 58 e 59 ma senza indicazioni sufficienti a mettere in evidenza le ragioni di tale asserita violazione dei parametri costituzionali che vada oltre una generica doglianza relativa alla natura di giudici speciali rivestita dagli attuali C.D.D., rispetto alla natura amministrativa dei passati C.O.A. e a una censura, in effetti, della motivazione della sentenza impugnata. 5.3 Censura quest’ultima, peraltro, infondata giacché il principio statuente la natura amministrativa del procedimento disciplinare svoltosi innanzi ai C.O.A. con conseguente inapplicabilità degli artt. 111 e 112 Cost., già consolidato nella giurisprudenza di questa Corte seguito da Cass. Sez. Un. 31227 del 6/6/2017 richiamata nella sentenza impugnata , è stato ribadito anche con riguardo agli attuali C.D.D. Queste Sezioni Unite Sez. U. n. 34476 del 27/12/2019, e in motivazione, Sez.U. n. 16993 del 10/07/2017 hanno, infatti, già statuito che il Consiglio distrettuale di disciplina è soggetto che svolge una funzione amministrativa di natura giustiziale, non giurisdizionale, caratterizzata da elementi di terzietà. 6. Con il quarto motivo - rubricato violazione dell’art. 4, prot. n. 7 della Convenzione CEDU e dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione al principio del ne bis in idem - si censura la sentenza impugnata laddove il C.N. F. aveva ritenuto il relativo motivo di impugnazione inammissibile, per mancanza di specificità, e, in ogni caso, infondato. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, ricorrevano tutti gli elementi, come enunciati, dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nella sentenza n. 7356/10 del 27/11/2014 - Lucky Dev. C. Svezia, per ritenere sussistente la violazione del principio del ne bis in idem. 6.1 Il motivo di ricorso, nella parte in cui censura l’argomentazione del C.N.F. per avere quel giudicante ritenuto il motivo di impugnazione generico, è inammissibile in quanto rivolto ad un’asserzione priva di effettivo contenuto decisorio, avendo il C.N.F. esaminato specificamente e nel merito la doglianza, ritenendola infondata. 6.2 Anche la censura rivolta a tale capo di sentenza è inammissibile, in quanto il C.N.F., sul punto, ha correttamente motivato, sulla base di un orientamento di questa Corte, ormai consolidato e dal quale non ci si intende discostare in assenza, in ricorso, della prospettazione, a tal fine, di idonee ragioni. 6.3. Costituisce, invero, ius receptum il principio cfr., tra le altre, Cass. Sez. U. n. 2927 del 03/02/2017 Cass. Sez. U. n. 29878/2018 secondo cui In tema di giudizio disciplinare nei confronti dei professionisti, in caso di sanzione penale per i medesimi fatti, non può ipotizzarsi la violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo in relazione al principio del ne bis in idem , - secondo le statuizioni della sentenza della Corte EDU 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri c/o Italia - in quanto la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale ed è preordinata all’effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sicché ad essa non può attribuirsi natura sostanzialmente penale . In particolare, queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare, che la sanzione disciplinare e quella penale hanno finalità, intensità ed ambiti di applicazione diversi, sicché non è coerente con il sistema pervenire ad una loro identificazione v. Cass., Sez. U. 12/3/2015, n. 4953 . L’azione disciplinare è, invero, promossa indipendentemente dall’azione penale relativa allo stesso fatto, e ben può il procedimento disciplinare proseguire anche dopo il giudicato penale di condanna con pena accessoria, atteso che la diversità di natura delle sanzioni è confermata anche dalla circostanza che la pena accessoria può come le altre sanzioni penali estinguersi nel corso del tempo per amnistia art. 151 c.p, comma 1 o per effetto della riabilitazione art. 178 c.p.c. , laddove la permanenza degli effetti della sanzione disciplinare ne evidenzia, con particolare rilievo in relazione alla più severa di esse, la specifica afflittività cfr. Cass., Sez. U. 29/2/2016, n. 4004 . Si è, al riguardo, ulteriormente precisato che non può ipotizzarsi la violazione dell’art. 6 CEDU in relazione al principio del ne bis in idem secondo le statuizioni della sentenza Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 4/3/2014, Grande Stevens ed altri c/ Italia, atteso che la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale, ed è preordinato all’effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sicché ad essi non può attribuirsi natura sostanzialmente penale cfr., con riferimento a giudizio disciplinare nei confronti di notaio, Cass., Sez. Un., 3/2/2017, n. 2927 . 6.4. I suindicati principi sono stati correttamente applicati dal C.N.F. nell’impugnata sentenza che, pertanto, sul punto, va esente da censura. 7. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 58 laddove il C.N.F. aveva rigettato, siccome inammissibile e infondato, il motivo di impugnazione con il quale si era dedotta l’illegittimità dell’approvazione del capo di incolpazione avvenuta ad opera della sezione designata del C.D.D. e non dal Plenum dello stesso Consiglio. 7.1. La censura - al limite dell’ammissibilità in quanto generica, e meramente reiterativa dei motivi di impugnazione proposti innanzi al C.N.F. - è infondata non confrontandosi, se non assertivamente, con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata le quali appaiono congrue e aderenti al dettato normativo. 7.2. È, infatti, evidente - come già correttamente argomentato nella sentenza impugnata - dalla mera lettura del dettato normativo in tema di funzionamento dei Consigli direttivi di disciplina che tale organo svolge le sue funzioni, di regola, attraverso le singole Sezioni, costituendo l’intervento del Plenum l’eccezione alla regola ordinaria. Ed invero, la norma primaria che detta le regole di funzionamento dei C.D.D., ossia la L. n. 247 del 2012, art. 50, comma 3, prevede espressamente che Il consiglio distrettuale di disciplina svolge la propria opera con sezioni composte da cinque titolari e da tre supplenti , con la conseguenza che ove la norma, ivi compreso l’invocato art. 58, indica il Consiglio Distrettuale di disciplina fa riferimento, di regola, alla sua articolazione in Sezioni ovvero alla Sezione designata , mentre, di contro, la competenza del Plenum rectius Consiglio è, espressamente, prevista, solo in particolari e specifiche ipotesi, come, per esempio, ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 58, comma 1, allorché si debba decidere sulla proposta di archiviazione avanzata dal Presidente per manifesta infondatezza della segnalazione pervenuta a carico dell’iscritto. 8. Con il sesto motivo - rubricato nullità della citazione a giudizio per nullità della notifica all’incolpato, violazione della L. n. 247 del 2012, art. 59, lett. d e n e art. 150 c.p.p., art. 149 c.p.p., comma 1 e art. 148 c.p.p., comma 2 bis, art. 140 c.p.c., assenza di motivazione - il ricorrente censura la sentenza impugnata laddove il C.N. F. aveva ritenuto corrette e rituali le operazioni del procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale e a mezzo PEC. 8.1 La censura è inammissibile per più ordini di ragioni. Va rilevato, in primo luogo, che il mezzo di impugnazione impinge con il puntuale, e doviziosamente argomentato, accertamento in fatto compiuto dal C.N. F. non idoneamente contrastato in ricorso sulla ritualità e tempestività di entrambe le modalità di notificazione a mezzo festa e a mezzo PEC . La censura, poi, non attinge l’ulteriore ratio decidendi sulla quale è fondata la decisione impugnata ovvero l’avvenuto raggiungimento dello scopo dell’atto, avendo il C.N. F. motivato non solo che la tempestiva e regolare notifica del decreto di citazione prima della seduta disciplinare fa venire meno la sollevata doglianza relativa alla violazione del diritto di difesa ma anche che il diritto di difesa, era stato compiutamente esercitato dal ricorrente, considerato sia l’avvenuto deposito prima del dibattimento, di corposa memoria difensiva sia la concreta ed effettiva partecipazione al dibattimento di entrambi i difensori dell’imputato. 9. Con il settimo motivo, infine, il ricorrente deduce la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 53 e art. 29 del Reg. C.N. F. n. 2/2016 nonché la completa assenza di motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo, per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. In particolare, si censura la sentenza impugnata laddove il C.N F, aveva omesso di valutare, al fine dell’irrogazione della sanzione della censura, l’assenza di procedimenti disciplinari e il comportamento successivo al fatto. 9.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte a Sezioni Unite v. sentenza n. 24647 del 02/12/2016, id n. 20344 del 31/07/2018, id. n. 30868 del 29.11.2018 le decisioni del Consiglio Nazionale Forense, in materia disciplinare, sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56 soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito non è, quindi, consentito alle Sezioni Unite sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sull’assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale. In particolare Cass. Sez.U. n. 6967 del 17/03/2017 , si è statuito che nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati, l’apprezzamento della gravità del fatto e della condotta addebitata all’incolpato, rilevante ai fini della scelta della sanzione opportuna, ai sensi dell’art. 22 codice deontologico forense, è rimesso all’Ordine professionale, ed il controllo di legittimità sull’applicazione di tale norma non consente alla Corte di cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nel giudizio di adeguatezza della sanzione irrogata, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, che attiene non alla congruità della motivazione, ma all’individuazione del precetto e rileva, quindi, ex art. 360 c.p.c., n. 3.”. 9.2 Alla luce di tali condivisi principi, l’ultimo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto teso, in realtà, ad una rivisitazione dei fatti storici e della valutazione degli elementi istruttori da parte del Consiglio nazionale forense. Di contro, la sentenza impugnata appare adeguatamente e ragionevolmente motivata e, in punto di sussunzione della condotta posta in essere negli illeciti disciplinari per i quali è stata riconosciuta la responsabilità, e in punto di tipo e misura della sanzione in concreto irrogata, con la conseguenza che la stessa rimane immune da censura. 9.3. Il C.N.F. ha, infatti, espressamente motivato sull’assoluta gravità dei fatti contestati al ricorrente, sulla piena consapevolezza del comportamento illecito da lui posto in essere, sulla compiuta valutazione da parte del C.D.D. di Venezia di tutti gli elementi del caso, sia quelli a discapito del ricorrente che quelli a suo favore, sull’assenza di elementi nuovi tali da giustificare una ulteriore valutazione della sanzione. 10. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte il ricorso va rigettato senza pronuncia sulle spese in mancanza di attività difensiva. 11. Il rigetto del ricorso assorbe, come già detto, l’esame dell’istanza di sospensione formulata ai sensi della L. n. 241 del 2002, art. 36, comma 7. 12. Sussistono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.