Anche se interviene accordo tra le parti, il cliente deve corrispondere al proprio difensore il saldo dell’acconto già pattuito

Quando il cliente corrisponde un acconto a titolo di rimborso forfettario e spese generali anche di poco inferiore rispetto a quello concordato con il difensore, sussiste l’obbligo da parte del primo di corrispondere in favore del secondo la differenza, anche nell’ipotesi in cui intervenga una transazione tra le parti processuali con accollo delle spese legali a carico della controparte.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 28488 depositata il 6 novembre 2019. Il fatto. Un difensore conveniva innanzi al Tribunale territorialmente competente i propri clienti nell’interesse dei quali aveva curato una pratica di risarcimento dei danni per morte del proprio congiunto imputabile a responsabilità medica, alla fine conclusasi con una transazione. Il legale chiedeva, nella specie, la condanna dei convenuti al pagamento del saldo delle competenze professionali. I convenuti contestavano la domanda sostenendo di nulla dovere, avendo concordato con il difensore che i compensi gli sarebbero stati corrisposti dalla controparte. Il Tribunale adito respingeva la domanda compensando le spese processuali. Successivamente, la sentenza veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale investita del gravame la quale, in accoglimento dell’appello incidentale, condannava il difensore al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. In particolare, il Collegio escludeva che il ricorrente si fosse impegnato a richiedere il compenso solo alla controparte, rilevando, altresì, che lo stesso aveva ricevuto dai propri clienti un acconto e dalla controparte un altro importo decisamente più elevato rispetto al primo, a titolo di spese legali. Pertanto, proseguivano i Giudici, tenendo conto della riduzione ex art. 5, comma quinto, d.m. n. 585/1994 pari al 30% sull’importo spettante in applicazione delle tariffe professionali atteso che l’attività era stata svolta in favore di più soggetti, con posizioni parzialmente differenziate in relazione al diverso grado di parentela e alle distinte ripercussioni per la perdita del congiunto , concludeva che le somme globalmente percepite corrispondevano a quelle effettivamente percepite dal difensore. Il difensore proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza resa in secondo grado. In particolare, il ricorrente denunciava violazione e falsa applicazione di norme del codice di rito e del codice civile e, con il quarto motivo di ricorso, lamentava omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione della sentenza per aver la stessa asserito che le somme spettanti al difensore a titolo di rimborso forfettario, nonché delle spese esenti superassero di poco l’acconto corrisposto dai clienti, nella specie, sussistendo invece una differenza di oltre €. 1.000,00, importo che andava corrisposto a titolo di saldo. Gli Ermellini, hanno ritenuto fondato solo il quarto dei motivi di ricorso formulati dal ricorrente in quanto secondo il loro parere la Corte di merito non aveva affatto tenuto conto dell’oggettiva differenza tra i due importi, né aveva in alcun modo giustificato l’attribuzione di somme inferiori a quanto, a parere dello stesso giudice, andava riconosciuto a titolo di rimborso delle spese, pur avendo nel contempo dato atto che i clienti avevano in realtà corrisposto, a tale titolo, una minor somma. Concludendo. Pertanto, sulla scorta di quanto innanzi, secondo i Giudici di legittimità, la sussistenza di tale discrepanza e l’evidente ed insuperabile contraddittorietà della motivazione derivante dall’affermata corrispondenza di importi di diversa entità, palesa la sussistenza del vizio denunziato dal ricorrente con il quarto motivo di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 26 giugno – 6 novembre 2019, n. 28488 Presidente D’Ascola – Relatore Fortunato Fatti di causa L’avv. L.G. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, B. , P. e F.O. , esponendo di aver curato, nell’interesse dei convenuti, una pratica di risarcimento dei danni per la morte di D.B. , imputabile alla responsabilità del personale medico dell’ASL Veneto Orientale che l’attività si era esaurita con una transazione. Ha chiesto la condanna dei convenuti al pagamento del saldo delle competenze professionali, pari ad Euro 13.508,50. I convenuti hanno contestato la domanda, sostenendo di nulla dovere, avendo concordato con il difensore che i compensi gli sarebbero stati corrisposti dall’impresa assicurativa dell’Asl. Il tribunale ha respinto la domanda ed ha compensato le spese processuali. La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte di Venezia, che, in accoglimento dell’appello incidentale, ha condannato L.G. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. Il Giudice distrettuale ha escluso che il ricorrente si fosse impegnato a richiedere il compenso solo all’assicuratore dell’Asl, ma ha rilevato che egli aveva ricevuto dai clienti un acconto di Lire 5.000.000 ed aveva percepito dall’assicuratore l’ulteriore importo di Euro 20.480,00, per cui, tenuto conto del valore della pratica Euro 258.222,45 e applicata la riduzione D.M. n. 585 del 1994, ex art. 5, comma 5, pari al 30% sull’importo spettante in applicazione delle tariffe professionali dato che l’attività era stata svolta in favore di più soggetti, con posizioni parzialmente differenziate in relazione al diverso grado di parentela e alle distinte ripercussioni per la perdita del congiunto , ha concluso che le somme globalmente percepite corrispondevano a quelle effettivamente spettanti al difensore. La cassazione di questa sentenza è chiesta dall’avv. L.G. sulla base di otto motivi di ricorso. P. e F.B. hanno depositato controricorso mentre F.O. è rimasto intimato. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo denuncia l’omessa, apparente, contraddittoria ed insufficiente motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando che la Corte distrettuale, pur avendo ritenuto che le parcelle pro forma inviate ai clienti fossero conformi alla tariffa professionale, abbia contraddittoriamente escluso il pagamento di quanto richiesto, assumendo che le somme percepite dal difensore avevano estinto ogni residuo credito. Il secondo motivo denuncia la violazione del D.M. n. 585 del 1995, art. 5, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza applicato al compenso per l’attività stragiudiziale svolta nei confronti di più soggetti, la riduzione del 30% prevista dalla tariffa solo per le attività giudiziali. Il terzo motivo denuncia - testualmente - l’omessa, contraddittoria, insufficiente, incomprensibile ed apparente motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la Corte di merito ritenuto che le somme percepite dal difensore corrispondessero a quelle liquidabili in applicazione della tariffa, benché l’importo indicato nelle fatture, pari ad Euro 29.994,89 fosse superiore di Euro 996,42, a quanto effettivamente versato dai clienti al netto del rimborso forfettario delle spese generali . Il quarto motivo denuncia la omessa, contraddittoria, insufficiente, incomprensibile ed apparente motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza asserito che le somme spettanti al difensore a titolo di rimborso forfettario delle spese generali nonché per le spese esenti superassero di poco l’acconto di Lire 5.000.000 versate dai clienti, sussistendo invece una differenza di oltre Euro 1.000,00 che andavano corrisposti a titolo di saldo. Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 1218, 1223, 1224 e 1226 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza escluso la sussistenza di un credito residuo del professionista. Il sesto motivo denuncia la violazione del D.M. n. 585 del 1994, art. 4, comma 2, lamentando che la sentenza, nel liquidare il compenso, non abbia in alcun modo tenuto conto della complessità, della importanza e delle difficoltà dell’attività svolta, trascurando che la pratica aveva impegnato il ricorrente per oltre un anno e mezzo ed aveva consentito ai resistenti di ottenere un risarcimento di importo cospicuo, evitando un lungo e complesso contenzioso e costi ben maggiori di quelli sostenuti. Il settimo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza omesso di dare rilievo, ai fini della quantificazione delle spettanze, alle circostanze dedotte nei precedenti motivi di ricorso. L’ottavo motivo censura la violazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che il ricorrente non poteva esser condannato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, poiché l’impugnazione era stata accolta quanto alla sussistenza del credito. 2. I primi tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la stretta connessione delle questioni proposte, sono infondati. Le motivazioni della sentenza impugnata non palesano contraddittorietà insuperabili o carenze suscettibili di inficiarne la validità. Dalle argomentazioni della pronuncia risulta chiaro che l’affermata conformità delle parcelle pro forma alle previsioni tariffarie concerneva anzitutto le voci riportate nel Diario di pratica e negli altri allegati depositati in giudizio, relativamente ad attività che il difensore aveva sostenuto e dimostrato di aver svolto colloqui di studio, telefonate, raccolta di documentazione, invio di lettere e raccomandate e fax, ricerche di giurisprudenza cfr. sentenza pag. 8 . Riguardo alla quantificazione del compenso, la Corte di merito ha invece precisato che sulle somme documentate dalle fatture pro forma andava praticata la riduzione del 30% D.M. n. 585 del 1995, ex art. 5, comma 5 cfr. sentenza pag. 8 , e che sebbene i relativi importi fossero sostanzialmente corrispondenti a quanto già ottenuto dal ricorrente, vi era una lieve differenza dovuta al fatto che per talune voci il difensore aveva preteso somme superiori al massimo tariffario, che quindi non potevano essere riconosciute cfr. sentenza, pag. 9 . In definitiva, la sentenza ha dato conto, con argomentazioni del tutto logiche, delle ragioni della lieve discrepanza tra i due importi e dei motivi che giustificavano il rigetto della domanda. 2.1. Non è fondata la tesi del ricorrente secondo cui la riduzione del 30% prevista nell’ipotesi che l’attività sia effettuata in favore di più soggetti allorquando, pur nell’identità delle posizioni processuali degli interessati, la prestazione professionale comporti l’esame di situazioni particolari di fatto o di diritto rispetto all’oggetto della causa , non sarebbe applicabile alle attività stragiudiziali. Sebbene il D.M. n. 585 del 1994, art. 5, comma 5, contempli un criterio testualmente riferito alle sole attività giudiziali art. 1 , non riprodotto nell’allegato quarto alla tariffa relativo a quelle stragiudiziali , tuttavia l’art. 2 del predetto allegato dispone che, per le prestazioni analoghe a quelle previste in materia giudiziale, si applicano gli onorari di avvocato stabiliti dalle tariffe giudiziali civili. Oltre che da tale dato testuale, la riduzione appare giustificata anche alla luce dell’identità di ratio che ricorre allorquando sia necessario remunerare un’attività stragiudiziale tale da comportare un impegno in termini di approfondimento delle questioni e di esame di situazioni particolari, di fatto o di diritto, rispetto all’oggetto controverso , parificabile a quello che sarebbe stato profuso nell’ambito di un giudizio. 3. Il quarto motivo è fondato. Il ricorrente aveva richiesto il rimborso delle spese sostenute pari ad Euro 3110,66, indicandone l’importo nella parcella pro forma inviata ai clienti. La richiesta di rimborso è stata respinta sull’assunto che le spese da considerare in aggiunta superavano di poco - anche nella misura complessivamente risultante dalla parcella pro forma - la somma versata in acconto da F.B. con l’assegno di Euro 5.000.000 . In tal modo la Corte di merito non ha tenuto conto dell’oggettiva differenza tra i due importi, nè ha in alcun modo giustificato l’attribuzione di somme inferiori a quanto, a parere dello stesso giudice, andava riconosciuto a titolo di rimborso delle spese Euro 3,110,00 , pur avendo dato atto che i clienti avevano in realtà corrisposto, a tale titolo, la minor somma di Euro 2582,00 Lire 5.000.000 . La sussistenza di tale discrepanza e l’evidente ed insuperabile contraddittorietà della motivazione, derivante dall’affermata corrispondenza di importi di diversa entità, palesa la sussistenza del vizio denunciato Cass. s.u. 8053/2014 . 4. Il quinto ed il sesto motivo, che possono esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili. Le censure appaiono del tutto prive di specificità, poiché non indicano le ragioni per le quali il ricorrente avrebbe avuto titolo ad un compenso maggiore di quello già percepito, nè dove e quando nei precedenti gradi di causa le questioni concernenti la gravosità dell’impegno profuso e la complessità dell’attività svolta siano state dibattute dalle parti o sottoposte all’esame del giudice, al fine consentire l’apprezzamento dei presupposti per l’eventuale superamento dei valori massimi. Le deduzioni prospettate in questa sede implicano difatti accertamenti non ammissibili in sede di legittimità, essendo compito del giudice di merito stabilire, anche per le prestazioni stragiudiziali, se l’attività professionale si presenti di straordinaria importanza e se possa, quindi, consentire il raddoppio dei massimi degli onorari Cass. 1202/2016 Cass. 13132/2005 . In ogni caso lo scostamento tra gli importi richiesti e quelli ritenuti congrui dal giudice di merito corrispondenti alle somme già percepite dal ricorrente è stata conseguenza della riduzione del 30% ai sensi del D.M. n. 585 del 1994, art. 5, comma 5, e dell’abbattimento delle somme richieste oltre il massimo tariffario, partendo dagli importi oggetto di domanda, il che rende comunque inconferenti le contestazioni proposte in questa sede, avendo la Corte quantificato il compenso in base a presupposti diversi da quelli pertinenti al pregio e alla gravosità dell’impegno profuso dal difensore. 5. Il settimo motivo è inammissibile poiché ripropone – sotto diversa prospettiva - le censure già oggetto dei precedenti motivi di ricorso, sollevando, peraltro, un vizio di motivazione che proprio alla luce dei precedenti richiamati in ricorso non è più scrutinabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, norma che invece contempla la mancata valutazione di un fatto materiale non di mere questioni , risultante dagli atti ed avente carattere decisivo Cass. 20955/2018 Cass. 19881/2014 Cass. s.u. 8053/2014 . 6. L’ottavo motivo è assorbito, poiché, a seguito dell’accoglimento del ricorso, è rimessa al giudice del rinvio anche la statuizione sulle spese processuali dei precedenti gradi di causa, secondo l’esito finale della controversia. In definitiva, sono respinti il primo, il secondo e il terzo motivo, sono dichiarati inammissibili il quinto, il sesto ed il settimo, è accolto il quarto motivo ed è dichiarato assorbito l’ottavo. La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. rigetta il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il quinto, il sesto ed il settimo, accoglie il quarto motivo e dichiara assorbito l’ottavo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.