La liquidazione dei compensi deve essere adeguata alla fattispecie concreta (e può essere ridotta)

Si può applicare uno 'scaglione tariffario inferiore' per determinare i compensi, se ciò consente una liquidazione più proporzionale al caso concreto nonché all'effettiva decisione assunta nel giudizio.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 9930/19, depositata il 9 aprile. La vicenda. Con ordinanza emessa il 10 novembre 2014, il Presidente della Commissione Tributaria Provinciale competente rigettava il ricorso proposto dal difensore del fallimento di una società, ammesso al gratuito patrocinio, con il quale il detto professionista aveva impugnato il decreto di liquidazione delle spese legali. Il rigetto era motivato sulla scorta del fatto che il compenso liquidato veniva ritenuto congruo, osservando, in primo luogo, che non erano dovuti i compensi per due voci, pure richieste dalla professionista, quali l'attività di assistenza e rappresentanza nonché l'attività per consulenza tributaria, e poiché, in ogni caso, la liquidazione determinata dal giudice era comprensiva della liquidazione del corrispettivo per la prestazione professionale nonché per le attività accessorie. Inoltre, il giudicante aveva ben deciso essendosi attenuto alle regole indicate dallo stesso decreto sulle tariffe professionali, D.M. n. 140 del 2012, e nel caso specifico, alla norma secondo cui il valore della controversia va determinato avendo riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice o comunque al valore effettivo della lite. Avverso questa ordinanza veniva depositato ricorso per cassazione. Con alcuni motivi la ricorrente lamentava l'illegittimità del provvedimento per essere stati i compensi liquidati in violazione manifesta dei minimi tariffari oltre che arbitrari, senza il rispetto dei parametri contenuti nella tabella del d.m. n. 140 del 2012. Inoltre, contestava il fatto che il giudice avesse escluso dal dovuto due distinte voci di compenso, l'attività di assistenza e rappresentanza oltre che l’attività di consulenza tributaria, che, contrariamente a quanto fatto dal giudice di merito, non andavano considerate come ‘un'unica prestazione professionale in rapporto di accessorietà’. Ma la Cassazione rigetta tutte le censure dichiarate ora inammissibili ora infondate per i seguenti motivi. Gli Ermellini, innanzitutto, osservano che in tema di patrocinio a spese dello Stato, ai fini della liquidazione del compenso al professionista, il criterio del valore della controversia determinato a norma del codice di procedura civile ha, quanto alla individuazione dello scaglione di tariffa applicabile, un valore parametrico e di massima, sicché non è esclusa la possibilità per il giudice di discostarsi da quel parametro, scendendo al di sotto di esso, ogni qualvolta ciò sia giustificato dalla natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale del soggetto difeso. La Suprema Corte a ciò aggiunge che poiché il criterio fondante, e sotteso, alla disciplina della tariffa professionale è quello della proporzionalità ed adeguatezza degli onorari all'attività professionale svolta, l'oggetto del contendere nel momento iniziale della lite non è risolutivo, dovendo tenersi conto dell'effettiva decisione del giudice che fissa la dimensione reale della lite. Inoltre, nel caso di specie, non avendo la ricorrente chiarito il procedimento matematico attraverso il quale era pervenuta all'entità del compenso preteso ed essendosi limitata ad indicare le sole voci richieste in riferimento al valore complessivo della lite, il giudice risultava aver deciso e motivato legittimamente in ordine alla liquidazione del compenso. La Suprema Corte precisa, altresì, che le censure risultano basate sul richiamo a pronunce che attengono alla inderogabilità del regime tariffario, in realtà superato, e senza tenere conto della somma in concreto riconosciuta come dovuta. Contestano gli Ermellini che la ricorrente avrebbe presentato la richiesta di pagamento dei compensi in base a un proprio tariffario e non in base al valore effettivo della causa, definito anche ‘assai inferiore’ dal giudice, corrispondente a quanto poi stabilito dal giudice come decisum della vertenza. Ed è per questo motivo che legittimamente il giudice, anziché lo scaglione tariffario derivante da una applicazione rigida del criterio dell'oggetto della causa determinata a norma del codice di procedura civile, ha applicato lo scaglione del valore inferiore consentendo questo una liquidazione più adeguata alla fattispecie concreta ed alla effettiva decisione assunta nel processo presupposto. Infine, con riferimento alla doglianza relativa alla esclusione, dal calcolo del compenso, delle due voci di attività, la Suprema Corte ricorda che in caso di attività di patrocinio tributario con redazione di atti difensivi svolta da un dottore commercialista, gli onorari per l'assistenza e la rappresentanza tributaria si possono accumulare con quelli previsti per la consulenza tributaria. Ma precisa anche che il cumulo non è necessario e che, se ben motivata, la decisione del giudice di merito non può essere messa in discussione in Cassazione. Tanto è quanto accade nella presente vicenda, atteso che nel caso di specie il giudice aveva escluso, opportunamente motivando, che la redazione di un ricorso e di una memoria difensiva in materia tributaria avesse comportato in concreto un'attività di consulenza tributaria, precisando finanche che i compensi liquidati erano onnicomprensivo, comprendendo l'intero corrispettivo per la prestazione professionale, incluse le attività accessorie alla stessa.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 luglio 2018 – 9 aprile 2019, n. 9903 Presidente Petitti – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con ordinanza emessa il 10 novembre 2014, il Presidente della Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa rigettava il ricorso proposto da D.P.D. , in qualità di difensore del fallimento s.r.l., ammesso al gratuito patrocinio, avverso il decreto di liquidazione delle spese legali, ritenendo congruo il compenso liquidato dal Presidente della quinta sezione CTP di Siracusa, osservando in primo luogo che non erano dovuti i compensi per due voci pur richieste dalla professionista, quali l’attività di assistenza e rappresentanza, nonché per consulenza tributaria, ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, art. 1, comma 3, comprendendo la liquidazione del corrispettivo per la prestazione professionale anche le attività accessorie. Aggiungeva che ai sensi dell’art. 1, comma 7 del D.M. cit. le soglie numeriche indicate non erano vincolanti inoltre, ai sensi dell’art. 5, comma 1 dello stesso D.M. il valore della controversia andava determinato avendo riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice o comunque al valore effettivo della lite, nella specie non accertabile per non avere la professionista prodotto le sentenze relative agli avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2003 e 2004 pretesi dall’Erario nei confronti del fallimento. La D.P. propone ricorso in cassazione avverso la suddetta ordinanza formulando cinque motivi. Le intimate amministrazioni scaduto il termine ex art. 370 c.p.c., hanno presentato Atto di costituzione . Il ricorso - previa proposta stilata dal nominato consigliere delegato - è stato inizialmente avviato per la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis c.p.c., avanti alla sesta sezione civile - 2. All’esito dell’adunanza camerale tenuta in data 22.02.2017, con ordinanza interlocutoria n. 24812 del 2017 depositata il 19.10.2017, è stato rimesso alla pubblica udienza dinanzi alla seconda sezione per carenza dell’elemento dell’evidenza decisionale. In prossimità dell’adunanza camerale la ricorrente curava il deposito di memoria illustrativa. Considerato in diritto Con il primo ed il terzo motivo - da esaminare congiuntamente per la evidente unitarietà argomentativa - la ricorrente, nel lamentare la violazione degli artt. 82 e 141 T.U. n. 115 del 2002, del D.L. n. 223 del 2006, art. 2, comma 2, conv. L. n. 248 del 2006, del D.M. n. 140 del 2012, artt. 1, 5, 17 e 28 e degli artt. 1 e 4 disp. sulla legge in generale, nella sostanza censura l’illegittimità del provvedimento per essere stati i compensi liquidati in patente violazione dei minimi tariffari, oltre ad essere arbitrari, senza il rispetto dei parametri contenuti nella tabella del D.M. n. 140 del 2012. Entrambe le censure sono inammissibili prima che infondate. Occorre preliminarmente osservare che in tema di patrocinio a spese dello Stato, ai fini della liquidazione del compenso al professionista, il criterio del valore della controversia determinato a norma del codice di procedura civile ha - quanto alla individuazione dello scaglione di tariffa applicabile un valore parametrico e di massima, sicché non è esclusa la possibilità per il giudice di discostarsi da quel parametro, scendendo al di sotto di esso, ogni qualvolta ciò sia giustificato dalla natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale del soggetto difeso v. Cass. n. 10876 del 2016 . Si aggiunga che poiché il criterio fondante, sotteso alla disciplina delle tariffa professionale, approvata con il decreto ministeriale n. 140 del 2012, è quello della proporzionalità ed adeguatezza degli onorari all’attività professionale svolta, il disputatum nel momento iniziale della lite non è risolutivo, dovendo tenersi conto dell’effettiva decisione il decisum del giudice che fissa la dimensione reale della lite stessa cfr. Cass. Sez. Un. 19014 del 2007 . Nella specie, a prescindere dai profili di inammissibilità da riferire alla generica formulazione dei mezzi, non avendo la ricorrente chiarito il procedimento matematico attraverso il quale discende l’entità del compenso preteso, indicate le sole voci richieste in riferimento al valore complessivo della lite, ottenuto evidentemente con la somma degli importi dovuti per ciascuna imposta esatta, le censure risultano basate sul richiamo a pronunce che attengono all’inderogabilità del regime tariffario, superato alla stregua del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 e senza tenere conto della somma in concreto riconosciuta come dovuta dal Fallimento all’Erario in virtù della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa del 24.06.2013. Alla pag. 12 del ricorso e nella memoria illustrativa la ricorrente, poi, riporta il minimo tariffario in Euro 126.611,02 in maniera apodittica, in quanto non tiene in alcun conto le ragioni del provvedimento sulla determinazione del valore della controversia. La ricorrente parrebbe avere presentato la richiesta di pagamento delle somme in base al proprio tariffario e non in base al valore effettivo della causa, definito assai inferiore dal giudice, corrispondente al dovuto dal fallimento per come accertato. Per questo il giudice dell’opposizione, anziché lo scaglione tariffario derivante da un’applicazione rigida del criterio del disputatum, ossia del valore della causa determinato a norma del codice di procedura civile, ha applicato lo scaglione del valore inferiore, consentendo questo una liquidazione più adeguata alla fattispecie concreta e all’effettiva decisione assunta nel processo presupposto. In questo contesto, la decisione del giudice del merito sfugge alla censure che ad essa sono state rivolte. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.M. n. 140 del 2012, artt. 1 e 16 e della relativa Tabella C, per avere il giudice del reclamo escluso come dovuti due distinti compensi, per aver esercitato l’attività di assistenza e rappresentanza oltre che di consulenza tributaria, contrariamente a quanto affermato dal giudice di merito che le aveva considerate un’unica prestazione professionale in rapporto di accessorietà. Il secondo motivo è infondato. Premesso che secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di attività di patrocinio tributario con redazione di atti difensivi svolta da un dottore commercialista, gli onorari per l’assistenza e per la rappresentanza tributaria si possono cumulare, anche se non necessariamente, con quelli previsti per la consulenza tributaria, nella specie il giudice ha escluso che la redazione di un ricorso e di una memoria difensiva in materia tributaria avesse comportato un’attività di consulenza tributaria, per la cui ricorrenza occorreva un quid pluris rappresentato da un’attività di analisi della legislazione, della giurisprudenza e delle interpretazioni dottrinarie e dell’amministrazione finanziaria di problemi specifici di cui non è stata data prova. Orbene detto accertamento, in quanto vertente su questione di fatto, di prestazioni di consulenza tributaria da parte del professionista è riservato al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto se affetto da un vizio di motivazione v. Cass. n. 15666 del 2007 . Il Presidente della Commissione Tributaria ha, infatti, escluso in concreto che l’attività del professionista sia consistita anche nelle menzionate analisi ed a tale proposito ha osservato, come riferito in narrativa, che ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, art. 1, comma 3, i compensi liquidati comprendono l’intero corrispettivo per la prestazione professionale, incluse le attività accessorie alla stessa. Del resto l’art. 28 del D.M. cit. è tendenzialmente omnicomprensivo ai sensi dell’art. 1 del D.L. cit. e si riferisce ad incarichi che, per non essere individuati in relazione a profili specifici, postulano che il compenso per la liquidazione di incarichi di predisposizione di ricorsi, appelli e memorie alle commissioni tributarie e ad altri organi giurisdizionali, nonché per la rappresentanza tributaria, debba essere determinato in rapporto al valore determinato, per ogni grado di giudizio, in funzione dell’importo complessivo delle imposte, tasse, contributi, sanzioni, interessi che sarebbero dovuti sulla base dell’atto impugnato o in contestazione oppure dei quali è richiesto il rimborso , così da risultare liquidabile, di regola, secondo quanto indicato dal riquadro 10.2 della tabella C - Dottori commercialisti ed esperti contabili , ossia dall’1% al 5% dell’importo complessivo delle imposte, tasse, contributi, sanzioni, interessi dovuti. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15 e la conseguente nullità dell’ordinanza impugnata nella parte in cui il giudice ha rilevato l’impossibilità a determinare il valore della controversia per mancata produzione da parte dell’interessata delle sentenze concernenti gli avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2003 e 2004. Anche il quarto motivo è infondato. In tema di patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, il combinato disposto degli artt. 82 e 130 T.U. spese giust. comporta che i compensi spettanti al difensore sono liquidati in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, e sono ridotti della metà. La misura della liquidazione, pertanto, non può superare la metà dei valori medi delle tariffe professionali vigenti. Non v’è dubbio che, in linea generale, il valore della controversia ai fini della individuazione dello scaglione di tariffa applicabile si determina dal tenore della domanda secondo i criteri fissati dal codice di procedura civile non senza tuttavia considerare che - poiché il criterio fondante, sotteso alla disciplina delle tariffa professionale approvata con il decreto ministeriale n. 140 del 2012 applicabile ratione temporis , è quello della proporzionalità ed adeguatezza degli onorari all’attività professionale svolta - il disputatum nel momento iniziale della lite non è risolutivo, dovendo tenersi conto dell’effettiva decisione il decisum del giudice che fissa la dimensione reale della lite stessa cfr. Cass. Sez. Un. 11 settembre 2007 n. 19014 . Quando, poi, si passa alla disciplina della liquidazione dei compensi spettanti al difensore che ha assistito una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, è la stessa norma di fonte primaria - l’art. 82 del T.U. spese giust. - a puntualizzare che il giudice deve liquidare l’onorario tenuto conto della natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa . Tale ultima disposizione - nel contemperare ragionevolmente la necessità di assicurare la difesa tecnica del non abbiente e di retribuire l’attività dell’avvocato con l’incidenza del relativo costo sull’intera collettività consente al giudice di scendere al di sotto dei parametri di normale riferimento tutte le volte in cui l’attività in concreto svolta dal difensore sia di grado modesto, avuto riguardo alla sua incidenza sulla posizione processuale del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato o all’effettiva consistenza della lite. In altri termini, in tema di patrocinio a spese dello Stato, ai fini della liquidazione del compenso al difensore, il criterio del valore della controversia determinato a norma del codice di procedura civile ha quanto alla individuazione dello scaglione di tariffa applicabile - un valore parametrico e di massima, sicché non è esclusa la possibilità per il giudice di discostarsi da quel parametro, scendendo al di sotto di esso, ogni qualvolta ciò sia giustificato dalla natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale del soggetto difeso. In questo contesto, la decisione del giudice del merito sfugge alla censure che ad essa sono state rivolte. Infatti, il giudice a quo ha considerato che gli importi riconosciuti come dovuti dalla società fallita, ammessa al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’art. 144 del T.U. spese giust., pur essendo inizialmente di valore elevato, erano stati di molto ridotti in sede di contenzioso dal giudice tributario e a fronte di siffatta statuizione la ricorrente si limita a dedurre l’erroneità dell’attribuzione di un onere di allegazione. Nè può ritenersi applicabile l’invocato D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15 che rileva in tema di compenso agli ausiliari del giudice v. Cass. 2 ottobre 2015 n. 19690 , tale non potendo ritenersi il difensore nominato dal fallimento per prestare il proprio patrocinio avanti a giudice speciale, seppure selezionato per le proprie competenze contabili. Peraltro deve ritenersi che sia irrilevante l’affermazione impugnata perché, ammesso pure che il Presidente dovesse acquisire gli avvisi di accertamento, in ogni caso la liquidazione correttamente è stata effettuata alla luce del decisum. Con il quinto motivo la ricorrente nel denunciare la violazione dell’art. 112 c.p.c. lamenta che il Presidente della quinta sezione della CTP di Siracusa aveva ridotto della metà la liquidazione degli onorari, contravvenendo ai minimi tariffari, senza offrire alcuna motivazione e siffatta circostanza aveva formato oggetto di censura in sede di reclamo, motivo in ordine al quale il provvedimento impugnato avrebbe omesso di pronunciare, con conseguente violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Il motivo è privo di pregio alla stregua delle considerazioni svolte con riferimento ai motivi 1 e 3, per avere il giudice del reclamo sufficientemente chiarito i parametri utilizzati nella liquidazione e dianzi illustrati. In conclusione, il ricorso va respinto. Non va pronunciato alcunché sulle spese del giudizio di legittimità in mancanza di difese da parte dell’Amministrazione intimata. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.