Dipendente pubblico processato, spese legali rimborsate se non sussiste conflitto di interesse

In tema di spese legali sostenute dal dipendente di un ente pubblico territoriale per la propria difesa in un processo penale, il diritto al rimborso delle stesse da parte dell’amministrazione datrice, presuppone che non vi sia un conflitto d’interesse. E’ necessario dunque che la condotta addebitata al dipendente non sia frutto di iniziative autonome, contrarie ai doveri funzionali o in contrasto con la volontà dell’ente, secondo una valutazione ex ante che prescinde dall’esito del giudizio penale.

Si è così espressa la Corte di Cassazione, Prima Sezione civile, con ordinanza n. 3026/19, depositata il 31 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello, respingendo l’impugnazione dell’avvocato difensore, aveva confermato la condanna alle spese legali del solo dipendente pubblico – difeso nell’ambito di un procedimento penale conclusosi con la sua assoluzione – e non anche, in solido, della Regione presso cui prestava servizio, la quale si era costituita parte civile nel medesimo procedimento. Avverso la pronuncia di secondo grado il dipendente proponeva ricorso, ritenuto tuttavia inammissibile per una duplice ragione. Innanzitutto per mancata specificazione, sentenzia la Suprema Corte, degli atti o documenti su cui esso si fonda, in violazione dell’art. 366 comma 2, n. 6 c.p.c In secondo luogo perché il ricorrente, a propria difesa, richiama un documento – il Regolamento sul patrocinio legale per i dipendenti della Regione interessata – per la prima volta prodotto in sede di legittimità, così violando l’art. 372 c.p.c Difesa del dipendente, quando l’amministrazione assume gli oneri? Al di là della rilevata inattitudine di detto documento ad inficiare il ragionamento di merito, la Corte Suprema coglie l’occasione per fornire una corretta interpretazione del d.P.R. n. 268/1987, art. 67, ratione temporis vigente, secondo cui l’ente pubblico, a tutela dei propri diritti ed interessi, laddove si verifichi l’apertura di un procedimento penale o civile a carico di un proprio dipendente per atti direttamente connessi all’espletamento del servizio, assume a proprio carico ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, con nomina di un difensore di comune gradimento. L’assunzione diretta degli oneri di difesa è tuttavia subordinata, specifica la norma, all’assenza di una situazione generante un conflitto di interesse. Conflitto di interesse. Nel caso in esame, conclude la Cassazione, esiste invece un oggettivo conflitto d’interesse, essendo il dipendente accusato di un reato che vede l’ente locale come parte offesa, per l’appunto costituitosi parte civile nel relativo procedimento. Pertanto il dipendente non ha alcun diritto ad essere rimborsato dall’amministrazione per le spese di difesa connesse al procedimento, ancorché sia stato assolto dall’accusa. Così stabilendo, la Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 12 dicembre 2018 – 31 gennaio 2019, n. 3026 Presidente Tirelli – Relatore Di Marzio Fatti di causa 1. - Con sentenza del 9 dicembre 2013 la Corte d’appello di Napoli ha respinto l’appello proposto dall’avvocato S.S. nei confronti di N.A. e della Regione Umbria, nonché l’appello incidentale adesivo del N. , avverso la sentenza con cui il Tribunale di Napoli aveva accolto in parte, nei confronti del solo N. , la domanda del S. volta alla condanna solidale di questi e della Regione al pagamento del compenso dovuto per la difesa del primo, dipendente della seconda, in un procedimento penale, nel quale la Regione si era costituita parte civile, conclusosi con la sua assoluzione, dichiarando altresì assorbito l’appello incidentale della Regione. Ha per quanto rileva osservato la sentenza impugnata - che il S. non era legittimato ad agire nei confronti della Regione, dal momento che egli era stato nominato dal N. proprio difensore senza l’accordo della stessa Regione, che, anzi, si era costituita parte civile contro di lui - che non era fondato il motivo di appello adesivo spiegato dal N. , volto a denunciare l’erroneità della statuizione del primo giudice, il quale aveva ritenuto sussistente il conflitto di interessi in riferimento al momento in cui era stato aperto il procedimento, senza considerare che, a seguito della assoluzione in sede penale, il conflitto di interessi non poteva più sussistere - che, difatti, la valutazione da parte dell’ente era indipendente dall’esito assolutorio del giudizio - che, conseguentemente, il N. avrebbe dovuto censurare, ed invece non lo aveva fatto, la legittimità della decisione dell’ente, riguardata ex ante, di non assumere l’onere della difesa. 2. - Per la cassazione della sentenza N.A. ha proposto ricorso per due mezzi. La Regione Umbria ha resistito con controricorso. S.S. è rimasto intimato. Ragioni della decisione 1. - Il ricorso contiene due motivi. Il primo motivo denuncia Violazione degli artt. 112, 333 e 334 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Nullità della sentenza impugnata, per avere la Corte di merito omesso di pronunziare sui motivi dell’appello incidentale adesivo, proposto dal ricorrente N.A. affermando che nessuna censura il N. muove alla valutazione dell’ente circa la sussistenza per l’assunzione, a suo carico, delle spese per il procedimento cfr. sentenza impugnata, pagina 9, righi 10-13 , nonostante il N. , appellante incidentale adesivo, avesse fatto propri tutti i motivi dell’appellante principale, cui si è riportato espressamente, affermando i su esposti motivi, formulati dall’appellante principale, appaiono fondati e vengono fatti propri dal concludente dr. N. così, testualmente, la comparsa di costituzione con appello incidentale, di N.A. , pag. 15, § VIII . Violazione del principio di diritto affermato da Cass. civ., 1 Sez., n. 18957, 08.08.2013, rv. 627488 . Il secondo motivo denuncia Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., artt. 106 e 652 c.p.p., D.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, art. 67 ed art. 2, comma 1, e art. 5, commi 1, 2 e 3 del Regolamento sul patrocinio legale per i dipendenti dell’azienda sanitaria USL 1 - Regione Umbria , approvato con Decisione Amministrativa n. 335 del 29/05/2012 per avere la sentenza impugnata 1 erroneamente qualificato la domanda di rimborso delle spese legali come interesse legittimo , laddove è pacifico, viceversa, che essa non ha consistenza di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo, la cui sussistenza è subordinata al ricorrere di alcune condizioni normativamente stabilite Cons. Stato, 5 sez., 7 ottobre 2009, n. 6113 2 ha affermato che la individuazione della sussistenza, o meno, del conflitto di interessi che esclude la possibilità, per il funzionario dipendente della Regione Umbria sottoposto ad un procedimento penale relativo a fatti direttamente connessi all’espletamento del servizio ed all’adempimento dei compiti di dipendente del predetto Ente, di ottenere il rimborso delle spese legali sostenute per la propria difesa, vada fatta con valutazione ex ante, e che la scelta del legale debba obbligatoriamente cadere su un professionista scelto con comune gradimento con la Regione Umbria, così incorrendo nel vizio di ultra petizione, per avere contraddetto quanto statuito in senso contrario, dalla stessa Regione Umbria che, sul punto specifico, ha disposto, viceversa, che la valutazione del conflitto di interessi va effettuata ex post art. 2, comma 1 del Regolamento sul patrocinio legale per i dipendenti Regione Umbria e che il dipendente può anche scegliere un legale di sua esclusiva fiducia, in sostituzione di quelli di cui agli elenchi , realizzandosi così la Assistenza indiretta degli oneri legali art. 5, 1. 2 e 3 comma del Regolamento sul patrocinio legale per i dipendenti Regione Umbria approvato con Decisione Amministrativa n. 335 del 29/05/2012 . 2. - Il ricorso è inammissibile per un plurimo ordine di ragioni. 2.1. - Il primo motivo è inammissibile anzitutto perché mancante della specifica indicazione dell’atto su cui esso è basato. Stabilisce l’art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6, che il ricorso per cassazione deve contenere a pena di inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda. Questa Corte ha in più occasioni avuto modo di chiarire che detta disposizione, oltre a richiedere l’indicazione degli atti e dei documenti, nonché dei contratti o accordi collettivi, posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale tali fatti o documenti risultino prodotti, prescrizione, questa, che va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Il precetto di cui al combinato disposto delle richiamate norme deve allora ritenersi soddisfatto a qualora l’atto o il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile b qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non partecipi al giudizio di legittimità o non depositi il fascicolo o lo depositi senza quell’atto o documento Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161 Cass. 20 novembre 2017, n. 27475 . In tale prospettiva va altresì ribadito che l’adempimento dell’obbligo di specifica indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, previsto a pena d’inammissibilità, impone quanto meno che gli stessi risultino da un’elencazione contenuta nell’atto, non essendo a tal fine sufficiente la presenza di un indice nel fascicolo di parte Cass. 6 ottobre 2017, n. 23452 . In breve, il ricorrente per cassazione, nel fondare uno o più motivi di ricorso su determinati atti o documenti, deve porre la Corte di cassazione in condizione di individuare ciascun atto o documento, senza effettuare soverchie ricerche. Nel caso in esame la censura è basata sul contenuto dell’atto d’appello proposto dal S. , i cui motivi il N. avrebbe fatto propri, e che la Corte d’appello non avrebbe esaminato e, tuttavia, la localizzazione dell’atto d’appello - i cui motivi sono peraltro solo discorsivamente esposti alle pagine 5-7 e poi alle pagine 12-13 del ricorso per cassazione - è totalmente mancante. 2.2. - Il secondo motivo è inammissibile anzitutto perché fondato su un documento, il Regolamento sul patrocinio legale per i dipendenti Regione Umbria, per la prima volta prodotto, in violazione dell’art. 372 c.p.c., nel giudizio di legittimità. Totalmente fuori bersaglio, in proposito, è l’assunto del ricorrente svolto in nota 1 pagina 32 del ricorso secondo cui la produzione sarebbe ammissibile trattandosi di documento, già citato nel giudizio di appello, che determina la nullità della sentenza impugnata, per la violazione del divieto di ultrapetizione . A parte l’erroneità del rferimento all’ultrapetizione, che, come è intuitivo, consiste nel vizio della decisione derivante dall’avere il giudice accordato alla parte più di quanto questa abbia domandato, cioè nell’esorbitanza della pronuncia rispetto al petitum, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, esorbitanza che in questo caso non può sussistere, per l’ovvia ragione che la domanda del N. è stata respinta, è agevole osservare che l’ipotetica violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sarebbe da porre semmai in correlazione con l’omessa pronuncia sulla domanda spiegata in sede di impugnazione, non certo con la produzione del menzionato documento, astrattamente - ma solo astrattamente, come subito si dirà - rilevante sul piano della fondatezza nel merito della domanda spiegata. Dopodiché, il richiamo al Regolamento è privo di qualunque attitudine ad infirmare il ragionamento svolto dal giudice di merito giacché, come dovrebbe essere superfluo osservare, il Regolamento in questione, risalente al 2012, non rileva qui né punto né poco, trattandosi in questo caso del rimborso di spese di lite sostenute in un processo penale conclusosi nel 2005. 2.3. - Al di là di quanto precede, i due motivi nel loro complesso sono inammissibili perché spiegati in plateale violazione dell’art. 360 bis c.p.c Il D.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, art. 67, recante Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo sindacale, per il triennio 1985-1987, relativo al comparto del personale degli enti locali , abrogato dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, art. 62, comma 1, con la decorrenza ivi indicata, stabiliva al primo comma, sotto la rubrica Patrocinio legale , che L’ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento . Riassumendo i termini della questione, questa Corte ha anche di recente ha avuto modo di ribadire, sulla scia di una consolidata giurisprudenza, che La disposizione è strutturata nel senso che l’obbligo del datore di lavoro ha ad oggetto non già il rimborso al dipendente dell’onorario corrisposto ad un difensore di sua fiducia, ma l’assunzione diretta degli oneri di difesa sin dall’inizio del procedimento, con la nomina di un difensore di comune gradimento Cass. S.U. 13.3.2009 n. 6227 . Detto obbligo, inoltre, è subordinato all’esistenza di ulteriori condizioni perché l’assunzione diretta della difesa del dipendente è imposta all’ente locale solo nei casi in cui, non essendo ipotizzabile un conflitto di interessi, attraverso la difesa del dipendente incolpato, il datore di lavoro pubblico agisca anche a tutela dei propri diritti ed interessi In tal senso Cass. 31.10.2017 n. 25976 . Le Sezioni Unite hanno sul punto sottolineato che la mancanza di una situazione di conflitto di interesse costituisce presupposto perché sorga la garanzia in esame e quindi rileva, nel merito, al fine della sussistenza o meno del diritto al rimborso. Se secondo questa disciplina applicabile all’epoca del rapporto di impiego - c’era conflitto di interesse con l’ente locale datore di lavoro, non sorgeva proprio il diritto del dipendente a che l’Amministrazione si facesse carico delle spese della difesa nel procedimento penale. Pertanto, se l’accusa era quella di aver commesso un reato che vedeva l’ente locale come parte offesa e, quindi, in oggettiva situazione di conflitto di interessi , il diritto al rimborso non sorgeva affatto e non già sorgeva solo nel momento in cui il dipendente fosse stato, in ipotesi assolto dall’accusa Cass. S.U. 4.6.2007 n. 13048 Cass. 11 luglio 2018, n. 18256 . In tale prospettiva, il rimborso da parte della pubblica amministrazione delle spese di difesa sostenute dal proprio dipendente sottoposto a processo non può essere riconosciuto allorquando questa, come nel caso in esame, si sia costituita parte civile nei confronti del dipendente, indipendentemente da ogni valutazione attinente l’esito del procedimento penale Cass. 10 marzo 2011 n. 5718 . Ed ancora In materia di spese legali sostenute dal dipendente di un ente pubblico territoriale per la propria difesa in un processo penale, il diritto al rimborso delle stesse, a norma del D.P.R. n. 268 del 1987, art. 67, comma 1, presuppone che non vi sia un conflitto d’interessi, e quindi che la condotta addebitata non sia stata il frutto di iniziative autonome, contrarie ai doveri funzionali o in contrasto con la volontà del datore di lavoro, secondo una valutazione ex ante che prescinde dall’esito del giudizio penale e dalla formula di eventuale assoluzione Cass. 6 luglio 2018 n. 17874, ove pure si chiarisce che non vi è alcuna possibilità di scelta del difensore da parte del dipendente . Va da sé che il ricorso è frutto di un’impostazione giuridica errata su tutta la linea, mentre il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di quasi Corte, dalle quali non v’è ragione alcuna di discostarsi. 3. - Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.