Il richiedente deve, a pena di decadenza, documentare il credito insinuato

In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l'onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l'ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l'organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall'atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 31474/18, depositata il 5 dicembre con cui ha stabilito, conseguentemente, che, solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l'onere di riscontrare l'esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all'effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa. Il caso. Il commissario liquidatore di una Società di Assicurazione in liquidazione coatta amministrativa, non ammetteva al passivo il credito di un professionista avvocato. Il Tribunale rilevava che il professionista non aveva allegato tutta la documentazione comprovante il credito, pertanto, ammetteva il credito per una somma decisamente minore rispetto a quella richiesta. L’opponente ha proposto ricorso per cassazione. La Società in liquidazione ha resistito chiedendo pronuncia di inammissibilità. Come si oppone il decreto del Tribunale. La S.C. ha respinto l’eccezione di inammissibilità e richiamato orientamento giurisprudenziale a tenore del quale il d.lgs. n. 209/2005, art. 254 codice delle assicurazioni private , Opposizione allo stato passivo ed impugnazione dei crediti ammessi, al comma 2 stabilisce L'opposizione è disciplinata dagli artt. 98,99 e 100 della legge fallimentare . La norma, come sottolineato dalla pressoché unanime dottrina, contiene un chiaro rinvio mobile agli artt. 98 e 100 l. fall., confortato dalla mancata ulteriore indicazione di una più specifica disciplina processuale dalla circostanza che storicamente l'art. 209 l. fall. ha stabilito la derogabilità della disciplina generale solo nei casi specificamente stabiliti, caratterizzati da una autonoma disciplina, come nel settore bancario, secondo una regola confermata dal nuovo testo dell'art. 209 l. fall. e dalla specialità stabilita in ulteriori settori. Inoltre, va rimarcato che la norma citata è stata modificata dal d.lgs. n. 74 del 2015, con l'eliminazione del riferimento all'art. 100 L. Fall. – Cass. Civ. n. 1331/2017. Sul punto i giudici di legittimità hanno dato atto della esistenza di un orientamento opposto, espresso da Cass. n. 18119/2017, cui hanno inteso non dare seguito. Legittimazione processuale del commissario liquidatore. Parte ricorrente contestava la legittimazione processuale del commissario liquidatore. La S.C. ha ribadito che in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l'onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l'ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l'organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall'atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l'onere di riscontrare l'esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all'effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa. – Cass. 20596/2007. Le contestazioni circa la mancata ammissione dei mezzi istruttori, erano poste a fondamento della richiesta di annullamento della sentenza impugnata. La corte ha respinto anche questo motivo ed ha ribadito che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative – Cass. n. 19985/2017. Il ricorso è stato respinto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 novembre – 5 dicembre 2018, n. 31474 Presidente Didone – Relatore Pazzi Fatti di causa 1. Il commissario liquidatore di Progress Assicurazioni s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato dall’Avv. V.R. per il complessivo importo di Euro 347.311. 2. In sede di opposizione il Tribunale di Palermo, dopo aver respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva in capo al Commissario liquidatore, constatava che l’opponente non aveva depositato contestualmente al ricorso tutta la documentazione probatoria del proprio credito, incorrendo così in decadenza rispetto agli atti tardivamente prodotti, e in parziale accoglimento del ricorso presentato ammetteva il credito vantato dall’opponente al passivo della procedura nella misura di Euro 600, oltre interessi. 3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia l’Avv. V.R. al fine di far valere quattro motivi di impugnazione. Ha resistito con controricorso Progress Assicurazioni s.p.a. in l.c.a., la quale ha eccepito in via pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso proposto ai sensi dell’art. 255 c.d.a., norma che individua espressamente nell’appello il mezzo di impugnazione nei confronti delle statuizioni che decidono sulle cause di opposizione. La sesta sezione, originariamente investita della decisione della controversia, con ordinanza interlocutoria del 5 giugno 2018 ha ritenuto insussistenti i presupposti per la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., essendo necessario approfondire la questione relativa all’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il provvedimento impugnato, ed ha rimesso la causa alla pubblica udienza della prima sezione. Ragioni della decisione 4. Occorre prendere le mosse dall’esame dell’eccezione preliminare sollevata dalla difesa della procedura controricorrente. L’eccezione è infondata. Questo collegio ritiene di dover ribadire - senza interessare della questione le Sezioni Unite di questa Corte - l’orientamento già espresso da questa sezione Cass., sez. 1, sentenza 19/1/2017 n. 1331 , secondo cui il decreto emesso all’esito del giudizio di opposizione è suscettibile solo di ricorso per cassazione, benché la fattispecie in esame rimanga regolata dall’art. 254, comma 2, d.lgs. 209/2005 nel testo non più vigente, secondo cui l’opposizione è disciplinata dagli articoli 98, 99 e 100 della legge fallimentare . Questa interpretazione rimane preferibile nonostante il disposto dell’art. 255 d.lgs. 209/2005 a mente del quale contro la sentenza del tribunale che decide sulle cause di opposizione può essere proposto appello, anche dai commissari, entro il termine di quindici giorni dalla data di notificazione della stessa, osservandosi per il giudizio di appello le disposizioni previste dalla legge fallimentare e dal codice di procedura civile sia rimasto immodificato e pur in presenza di interventi legislativi che hanno invece ritenuto, rispetto alle procedure di liquidazione coatta amministrativa di istituti di credito, di abrogare espressamente le norme che prevedevano l’appello avverso la sentenza pronunziata all’esito dell’opposizione a stato passivo come è avvenuto con l’abrogazione dell’art. 88 d.lgs 385/1993 ad opera dell’art. 1, comma 30, lettera b , del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 181 . Il rinvio presente all’interno dell’art. 254, comma 2, d.lgs. 209/2005 riguarda infatti anche una norma l’art. 100 legge fall. che è stata abrogata dall’art. 85 d.lgs. 5/2006 perché il suo contenuto risultava all’evidenza non più conciliabile con il sistema unitario di impugnazioni previsto dalla riforma. Il testo della norma applicabile al caso di specie si riferisce dunque a disposizioni che in parte gli artt. 98 e 99 legge fall. sono poi radicalmente mutate nel loro contenuto, in parte l’art. 100 sono state abrogate. In mancanza dell’indicazione di più specifiche regole processuali che accompagni il richiamo normativo così operato e fornisca elementi per ritenere che il legislatore intendesse evocare la particolare disciplina in materia di impugnazione e opposizione vigente al momento dell’introduzione della disposizione normativa in parola sembra più logico pensare che il medesimo richiamo abbia carattere mobile e si riferisca al contenuto delle norme evocate nel testo applicabile ratione temporis come del resto conferma il fatto che la norma in parola è stata modificata dal d.lgs. 74/2015 con la sola eliminazione del riferimento all’art. 100 legge fall., non accompagnata da alcuna precisazione sul riferimento alla vecchia legge, evidentemente inutile in presenza di un rinvio mobile . Ne discende l’implicita abrogazione, per incompatibilità, dell’art. 255 d.lgs. 209/2005, tenuto conto che il disposto dell’art. 99 legge fall. nel testo attualmente in vigore prevede che il decreto con cui l’opposizione è definita sia ricorribile solo per cassazione. Talché va disattesa la diversa opinione della sesta sezione Cass., sez. 6, ordinanza 21/7/2017 n. 18119 , la quale si è posta immotivatamente in contrasto con la giurisprudenza della Sezione. 5.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del combinato disposto degli artt. 35 e 206 legge fall. e 250, comma 5, d.lgs. 209/2005 in relazione agli artt. 75 e 360, comma 1, n. 3 e 4, legge fall., in quanto il Tribunale sarebbe incorso nell’errore di non verificare l’eccezione formulata dal ricorrente in merito all’assenza del provvedimento IVASS che attesterebbe la legittimazione e i poteri del Commissario liquidatore, con la conseguente necessità di escludere la sua legittimazione passiva e il potere del medesimo di stare in giudizio. 5.2 Il motivo è infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare questa sua qualità, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa a questo riguardo Cass., Sez. U., n. 20596/2007 . Non era dunque la procedura opposta a dover produrre il documento di nomina del proprio commissario liquidatore a giustificazione dei suoi poteri, ma il ricorrente doveva accedere al registro delle imprese al fine di fornire la dimostrazione della mancanza dei poteri rappresentativi in capo a chi aveva allegato la propria qualifica di commissario liquidatore. Parimenti infondata risulta l’eccezione circa la mancanza delle autorizzazioni previste dalla legge a stare in giudizio, in quanto il Tribunale ha opportunamente ricordato che il Commissario liquidatore esercita, ai sensi dell’art. 250, comma 1, c.d.a., liberamente tutte le azioni spettanti all’impresa, necessitando di una specifica autorizzazione solo nei casi espressamente previsti dal quinto comma della medesima norma. 6.1 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 99, comma 2, n. 4 legge fall. il Tribunale avrebbe trascurato di considerare che l’opposizione conteneva una specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti già prodotti in sede di insinuazione allo stato passivo, che erano stati depositati con più invii telematici entro la fine del giorno di scadenza ai sensi dell’art. 51 l. 114/2014. 6.2 I motivo è infondato. 6.2.1 Questa Corte ha già avuto modo di osservare Cass. n. 20746/2015 che, nella specificità del procedimento disciplinato dall’art. 99, comma 2, n. 4, legge fall., col deposito del ricorso si attivano sia la formazione del fascicolo d’ufficio che l’iscrizione a ruolo, nonché la costituzione in giudizio, col deposito del fascicolo di parte, secondo i principi generali dei procedimenti che iniziano con ricorso i documenti di cui il ricorrente intende avvalersi devono essere prodotti ed inseriti nel fascicolo di parte, da depositarsi alla costituzione, pena l’inammissibilità delle produzioni e non già dell’intera opposizione. Dunque il deposito del ricorso e del fascicolo di parte contenente i documenti prodotti deve essere contestuale. Il che significa che ove la costituzione avvenga mediante l’invio di un messaggio di posta elettronica certificata eccedente la dimensione massima stabilita nelle relative specifiche tecniche il deposito degli atti o dei documenti può sì avvenire mediante gli invii di più messaggi di posta elettronica certificata - ai sensi dell’art. 16-bis, comma 7, d.l. 18 ottobre 2012 n. 17 convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012 n. 221, come modificato dall’art. 51, comma 2, d.l. 24 giugno 2014 n. 90 convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014 n. 114 -, a patto che gli stessi siano coevi al deposito del ricorso ed eseguiti entro la fine del giorno di scadenza. E per invii coevi si devono intendere gli invii strettamente consecutivi, di modo che non si presta a censure di sorta la statuizione impugnata laddove ha tenuto conto soltanto della documentazione depositata lo stesso giorno della costituzione in giudizio, escludendo invece quella trasmessa, non certo in maniera immediatamente successiva, a distanza di uno o due giorni come riconosce lo stesso ricorrente a pag. 15 del ricorso 7.1 Con il terzo motivo si lamenta la violazione del disposto dell’art. 252, comma 9, d.lgs. 209/2005 in merito alla notifica della comunicazione del rigetto dell’istanza di ammissione allo stato passivo questa notifica sarebbe nulla, in quanto eseguita presso un indirizzo che il ricorrente non aveva eletto a proprio domicilio, né varrebbe il riferimento all’art. 156 cod. proc. civ. a sanare un palese errore della procedura liquidatoria. 7.2 Il motivo è infondato. Il Tribunale ha ritenuto infondata l’eccezione di invalidità della comunicazione sollevata dal ricorrente ex art. 252 c.d.a. sia perché tale comunicazione era stata inviata all’indirizzo del legale indicato dallo stesso ricorrente al fine di ricevere le comunicazioni relative allo stato passivo della procedura, sia perché, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., l’atto aveva comunque raggiunto il suo scopo, consentendo al creditore di depositare tempestivo ricorso in opposizione. Quest’ultima osservazione fa corretto riferimento al principio di sanatoria dei vizi degli atti processuali in conseguenza del raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c., principio che, stante il suo carattere generale, è applicabile, nell’ambito del procedimento di formazione dello stato passivo all’interno delle procedure di liquidazione coatta amministrativa relative alle imprese di assicurazione, alla comunicazione prevista dall’art. 252, comma 9, c.d.a. e funzionale al decorso del termine di opposizione stabilito dal successivo art. 254, comma 1. 8.1 Con il quarto motivo si lamenta l’omessa pronuncia da parte del Tribunale sulle richieste istruttorie formulate nel ricorso introduttivo, sulla domanda di rimessione in termini, sulla richiesta di sospensione necessaria del procedimento al fine di permettere alla procedura di effettuare la comunicazione ex art. 252 c.d.a., sulla richiesta di C.T.U. informatica e sulla richiesta di prova testimoniale circa il fatto che il commissario liquidatore fosse a conoscenza che la comunicazione di cui all’art. 252 c.d.a. dovesse essere inviata direttamente alla residenza dell’Avv. V. . 8.2 Il motivo è inammissibile per alcuni aspetti, infondato per altri. In proposito bisogna innanzitutto ricordare che il ricorrente che in sede di legittimità intenda denunciare il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative Cass. n. 19985/2017 . Nel caso di specie la doglianza presentata è all’evidenza generica, in mancanza della trascrizione delle istanze di natura istruttoria asserita mente trascurate. Deve poi intendersi come implicitamente disattesa la richiesta di sospensione necessaria in conseguenza del suo assorbimento nella constatazione che la comunicazione ex art. 252 c.d.a. aveva raggiunto lo scopo a cui era diretta. 9. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.