La negligenza dell’avvocato porta alla risoluzione del contratto d’opera professionale

Svaniscono così le speranze dell’avvocato di ottenere il compenso per l’attività prestata a favore di due coniugi e diretta ad ottenere il risarcimento dei danni morali subiti a seguito di un incidente stradale occorso al figlio, risarcimento mai ottenuto però per carenza di prove.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14895/18, depositata l’8 giugno. La vicenda. Un avvocato chiedeva ed otteneva l’emissione di decreto ingiuntivo nei confronti di due clienti relativo al credito per l’attività professionale svolta a loro favore in una causa relativa alla richiesta di risarcimento del danno biologico e morale subito a causa di un sinistro stradale occorso al figlio. Gli ingiunti proponevano opposizione chiedendo la risoluzione del contratto d’opera professionale per inadempimento della controparte, in particolare per violazione del dovere di diligenza nella conduzione della causa. Il Tribunale accoglieva l’opposizione, dichiarando la risoluzione del contratto e condannando l’avvocato alla restituzione degli acconti già ricevuti, previa revoca del decreto ingiuntivo. La decisione veniva confermata anche dalla Corte d’Appello. Limiti al giudizio di legittimità. Avverso la pronuncia di seconde cure ricorre in Cassazione l’avvocato, deducendo, con il primo motivo, l’impossibilità di riconoscere efficacia retroattiva alla risoluzione del contratto pronunciata dal Tribunale, essendo i contratti professionali ad esecuzione continuata ed avendo le controparti dedotto l’inadempimento solo con riferimento alla fase d’appello del giudizio. Il Collegio afferma l’inammissibilità della doglianza in quanto sottopone una censura nuova che non risulta essere stata dedotta nelle fasi di merito. Secondo la costante giurisprudenza infatti nel giudizio di legittimità è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o di nuovi temi di contestazione che richiedano indagini e accertamenti di fatto non compiuti nei procedenti gradi di giudizio. In altre parole, i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello. Le ulteriori doglianze risultano ugualmente inammissibili perché tendenti ad una diversa lettura degli elementi di fatto. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 21 febbraio – 8 giugno 2018, n. 14895 Presidente Armano – Relatore Pellecchia Fatti di causa 1. Con ricorso monitorio depositato nel 2010, l’avv. T.D. chiese ed ottenne dal Tribunale di Torino l’emissione di decreto ingiuntivo nei confronti di P.G. e D.A.R. relativo al credito derivante dall’attività professionale svolta dall’avv. T. nel procedimento promosso, nell’interesse degli ingiunti, nei confronti delle assicurazioni Allianz Subalpina e Assicurazioni Generali. I coniugi P. -D. proposero opposizione al predetto decreto ingiuntivo, esponendo di aver promosso, assistiti dall’avv. T. , azione per ottenere il risarcimento del danno biologico e morale da loro stessi direttamente patito a causa del gravissimo sconvolgimento psichico derivante dall’incidente automobilistico occorso al figlio che inizialmente l’avv. T. aveva negato l’opportunità di promuovere tale azione, salvo poi cambiare idea ed insistere affinché gli attori promuovessero la causa in epoca appena successiva al deposito della c.t.u. medico-legale nel procedimento promosso dal figlio, che aveva individuato una percentuale di invalidità permanente di 23-24 punti che l’avv. T. aveva ritenuto non necessario che i coniugi P. -D. si sottoponessero a visita medico-legale, al fine di produrre documentazione medica, in quanto durante il giudizio sarebbe stata espletata la consulenza medico-legale d’ufficio che inoltre, nel corso del giudizio, l’avv. T. non aveva prodotto alcun documento, ma aveva solo formulato capitoli di prova orale due soli riproposti anche in appello , e aveva chiesto disporsi la c.t.u. che il giudizio si era concluso con sentenza della Corte di Appello di Torino, la quale aveva respinto nel merito la domanda, ritenendo che il danno morale non fosse sufficientemente provato - non essendo collegabile automaticamente ad un pregiudizio eclatante subito dal figlio degli attori - e che non fosse stata fornita idonea prova neppure relativamente alla richiesta di danno biologico - in quanto i capitoli di prova dedotti erano generici e la richiesta di c.t.u., in assenza di produzione documentale, era esplorativa. Chiesero quindi che fosse dichiarata la risoluzione del contratto d’opera professionale intercorso tra di essi e l’avv. T. , con conseguente restituzione degli acconti versati, per inadempimento del professionista, e in particolare per non aver prospettato agli attori il benché minimo dubbio circa l’esito favorevole della lite, per non aver mai richiesto gli attori di procurarsi documentazione medica e relazione medico-legale sulle loro condizioni e per aver dedotto capitoli di prova orale generici, così violando il dovere di diligenza nella conduzione della causa. Si costituì il convenuto contestando i motivi di opposizione. Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 1102/2008, accolse l’opposizione. In particolare, il Tribunale cure evidenziò che la domanda risarcitoria formulata dai coniugi P. -D. con l’assistenza dell’avv. T. era stata respinta quanto al danno morale, perché la percentuale di danno biologico riconosciuta al figlio era notevolmente inferiore al livello di gravità che avrebbe consentito di pervenire ad una prova presuntiva e perché i capitoli di prova al riguardo articolati erano palesemente vaghi e generici e prospettati senza le caratteristiche di serietà e gravità che avrebbero potuto giustificare la risarcibilità del turbamento psichico asseritamente contratto quanto al danno biologico, non ravvisando il giudice l’ammissibilità e la rilevanza né della c.t.u. finalizzata alla determinazione del medesimo danno la quale, in assenza di documentazione medica di parte, si presentava come esplorativa né dei capitoli di prova, circostanziati solo in apparenza e inespressivi di una patologia eziologicamente correlata alle lesioni personali riportate dal figlio. Il Tribunale di Torino, quindi, condividendo la valutazione circa l’inammissibilità delle prove orali dedotte dal difensore in quel giudizio al fine di provare il danno morale subito dai coniugi P. -D. , ritenne che l’avv. T. era stato negligente nell’offerta delle medesime prove, considerato che egli avrebbe dovuto dedurre circostanze più specifiche, con riferimento a concreti episodi di ansia e sconforto e di problemi cardiaci che invece avrebbe omesso di ripresentare in appello le altre prove orali dedotte in primo grado relative al turbamento psichico subito degli attori e al mutamento delle loro abitudini di vita che peraltro non era stata prodotta in giudizio documentazione medica attestante le condizioni psicofisiche dei coniugi . Con specifico riferimento alla documentazione medica, il Tribunale osservò che l’avv. T. non aveva provato che non fosse a lui imputabile la carenza probatoria che aveva portato al rigetto della domanda risarcitoria, ritenendo generiche le dichiarazioni della segretaria dello stesso T. - secondo cui l’opposto aveva invitato gli attori a sottoporsi a visita medica legale e costoro avevano rifiutato per motivi economici - le quali non trovavano conferma nelle altre testimonianze. Infine, relativamente al danno biologico, il Tribunale osservò che il difensore, per svolgere diligentemente il proprio incarico ed evitare che l’organo giudicante aderisse alla tesi, prevalente in giurisprudenza, secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo di prova ma va utilizzata per valutare elementi concreti già forniti dalle parti, avrebbe dovuto dedurre sintomi di sofferenza psichica più concreti far predisporre documentazione medica da parte degli attori. Di conseguenza, il Tribunale ritenne accertato l’inadempimento dell’opposto al mandato ricevuto e dichiarò la risoluzione del contratto d’opera professionale intercorso tra le parti, revocando il decreto ingiuntivo opposto e condannando l’avv. T. alla restituzione degli acconti già ricevuti. 2. La decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Torino con ordinanza del 14 aprile 2015, emessa ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c La Corte ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’avv. T. , ritenendo che lo stesso non avesse una ragionevole probabilità di essere accolto. Infatti, secondo la Corte, è condivisibile la motivazione adottata del primo giudice relativamente alla non ammissibilità dei capitoli di prova dedotti relativamente al danno morale, alla non ammissibilità della c.t.u. in mancanza di allegata documentazione medica di parte, nonché alla mancanza di prova adeguata circa il fatto che la stessa documentazione fosse stata richiesta ai clienti e dagli stessi rifiutata. Infine, la Corte ha ritenuto inammissibile, perché nuova, la domanda subordinata, formulata dall’appellante, di riconoscimento del compenso professionale per il giudizio presupposto in primo grado, che non sarebbe oggetto di contestazione di controparte. 3. Avverso la sentenza del Tribunale di Torino propone ricorso in Cassazione l’avv. T.D. , sulla base di sei motivi illustrati da memoria. 3.1 Resistono con controricorso i signori D.A.R. e P.G. . Hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 4. Occorre prioritariamente esaminare l’eccezione di improcedibilità per il mancato esperimento della mediazione obbligatoria, sollevata dal ricorrente in memoria, della opposizione avanzata dai coniugi P. avverso il decreto ingiuntivo che ha dato origine al contezioso, e che a detta del ricorrente causerebbe il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo con travolgimento dell’intero giudizio. Tale eccezione è infondata atteso che la opposizione a decreto ingiuntivo è del 2010 e la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità del sistema con la sentenza n. 272/2012. 4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c., 1176 c.c., 1453 c.c., 1458 c.c. Poiché i contratti professionali relativi al primo e al secondo grado del giudizio promosso nell’interesse dei coniugi P. -D. sarebbero contratti ad esecuzione continuata, la risoluzione pronunciata dal Tribunale di Torino non potrebbe avere efficacia retroattiva. Inoltre, i coniugi P. -D. avrebbero dedotto il presunto inadempimento solo con riferimento alla fase d’appello del giudizio promosso nel loro interesse. Ciò emergerebbe dalla stessa ordinanza della Corte di Appello di Torino, la quale darebbe atto che il compenso professionale per il giudizio presupposto, in primo grado, non sarebbe oggetto di contestazione di controparte. Di conseguenza, la risoluzione del contratto avrebbe dovuto essere limitata alla fase di appello. Il motivo, nella parte in cui sostiene che il contratto non avrebbe potuto essere risolto retroattivamente, è inammissibile in quanto sottopone alla Corte una censura nuova, che non risulta essere stata dedotta nelle fasi del merito. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o di nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito Cass. 13/9/2007, n. 19164 . I motivi del ricorso per cassazione, infatti, devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo deducibili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio Cass., 30/03/2007, n. 7981 Cass. 9/7/2013, n. 17041 . Qualora perciò con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui - come nella specie - non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso e a pena di inammissibilità dello stesso, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche di riportare dettagliatamente in ricorso gli esatti termini in cui la questione sia stata posta da lui in primo e secondo grado e di indicare in quali atti del giudizio precedente lo abbia fatto Cass., 10/05/2005, n. 9765 Cass. 18/10/2013, n. 23675 . Per gli stessi motivi il motivo è inammissibile pure nella parte in cui chiede il riconoscimento del compenso professionale per il giudizio presupposto in primo grado domanda la cui novità è già stata evidenziata dalla Corte di Appello nell’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. . Peraltro, sul punto, il motivo è pure infondato. Come emerge dalla sentenza impugnata, infatti, le condotte negligenti che i coniugi P. -D. imputano al legale sono tutte riconducibili già al primo grado di giudizio articolazione di capitoli di prova generici, mancata produzione documentale ovvero addirittura ad un momento antecedente all’inizio del medesimo grado mancata prospettazione in termini dubitativi dell’esito del ricorso, mancata richiesta di documentazione medico-legale . 4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. . L’azione risarcitoria promossa dall’avv. T. nell’interesse dei coniugi P. -D. era stata respinta solo perché dalle lesioni subite dal figlio degli stessi era derivato un danno biologico permanente inferiore al 50%. Di conseguenza, nessuna influenza sulla reiezione domanda avevano avuto l’asserito mancato svolgimento di incombenti processuali o scelte di strategie processuale. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, poiché il ricorrente non trascrive integralmente la sentenza che ha definito il giudizio presupposto di cui viene riportato solo un brano , con ciò impedendo a questa Corte il controllo delle argomentazioni contenute nella stessa. 4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 244 c.p.c., 245 c.p.c. e 2697 c.c. . La deduzione di prova per testi non sarebbe stata imposta da alcuna norma processuale, ma sarebbe stata una iniziativa del difensore volta a fornire, in mancanza di documentazione medica, un quadro della sintomatologia accusata dai propri clienti, sulla base delle informazioni dagli stessi ricevute. Nemmeno in questo giudizio i coniugi P. -D. avrebbero saputo esemplificare quali capitoli di prova, meno generici, l’avv. T. avrebbe invece dovuto dedurre. In assenza di una precisa e dettagliata esposizione da parte degli interessati, l’avvocato non sarebbe tenuto ad indagare e a documentare l’esistenza di ulteriori problemi di salute psicofisica. Il fatto che la documentazione medica attestante le condizioni dei coniugi, pur richiesta, non sarebbe stata consegnata al difensore perché il clienti non ne disponevano, sarebbe dimostrato dalla consulenza medica di parte prodotta in questo giudizio, nella quale non figurerebbe alcun certificato medico risalente all’epoca del giudizio. Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo. Innanzitutto, appare inammissibilmente formulato, in quanto il ricorrente non indica, con specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, in qual modo determinate affetinazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie indicate nella rubrica del motivo o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina. In secondo luogo, il motivo è inammissibile perché diretto al mero riesame del merito della causa. Le censure mosse dal ricorrente sono infatti incentrate sulla ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale in particolare, in ordine alla possibilità di articolare capitoli di prova meno generica, ed in ordine alla mancata richiesta di documentazione medica . 4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c., 2697 c.c., 2727 c.c. . Il Tribunale di Torino avrebbe erroneamente collegato la mancanza di documentazione medico-legale alla reiezione della domanda risarcitoria del danno morale. Al contrario, nel giudizio presupposto, la mancanza di tale documentazione sarebbe stata valutata, peraltro ai soli fini dell’ammissione della c.t.u. medico-legale richiesta, unicamente in relazione alla domanda di risarcimento del danno biologico. Inoltre, il Tribunale avrebbe immotivatamente definito generica la testimonianza, analitica e precisa, resa dalla teste B. , segretaria dell’avv. T. , circa il fatto che il difensore aveva chiesto ai clienti documenti medici e indicato loro l’opportunità di una visita medico-legale. Tra l’altro, dalle stesse dichiarazioni del figlio dei resistenti, si evincerebbe che l’avv. T. aveva effettivamente richiesto la documentazione. Anche tale motivo è inammissibile per due diverse ragioni. In primo luogo, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente non trascrive il testo della sentenza che ha definito il giudizio presupposto, con la conseguenza che a questa Corte è preclusa la verifica delle affermazioni del ricorrente circa il fatto che tale sentenza non avrebbe collegato la reiezione della domanda risarcitoria alla mancanza di documentazione medico-legale. Inoltre, attraverso la lamentata violazione di legge, con il descritto mezzo di impugnazione si chiede, in sostanza, alla Corte di legittimità di pronunziarsi in ordine alla valutazione degli elementi probatori, motivatamente vagliati e delibati dal giudice di merito di merito, in modo del tutto coerente ed adeguato. E, come è noto, tale attività è istituzionalmente riservata al giudice di merito e non è sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento. 4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente censura la decisione del Tribunale con riferimento alla questione della richiesta di consulenza tecnico-legale . Il mancato accoglimento della istanza di consulenza tecnica d’ufficio, richiesta dall’avv. T. nel giudizio presupposto, non potrebbe essere addebitato al legale, il quale, in mancanza di documentazione medica o di consulenza tecnica di parte, aveva ritenuto di avanzare richiesta di c.t.u. sulla base dei principi della giurisprudenza in tema di consulenza tecnica percipiente. Contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Torino, infatti, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, la consulenza medico-legale avrebbe natura percipiente, e costituirebbe essa stessa fonte di prova, con il solo onere della parte istante di allegare i fatti sui quali l’istanza è fondata. Il motivo è inammissibile. Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c Nella specie, tale requisito è del tutto insussistente. E comunque sarebbe ugualmente infondato perché la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. 4.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 113 c.p.c. . L’affermazione del Tribunale di Torino secondo cui l’avv. T. avrebbe dovuto avvalersi dei principi della giurisprudenza in forza dei quali il danno morale poteva essere accertato in base ad indizi e presunzioni sarebbe paradossale perché quei principi erano stati affermati solo successivamente alla conclusione del giudizio presupposto. Inoltre, i coniugi P. -D. avrebbero immotivatamente rifiutato di incardinare il giudizio di cassazione avverso la sentenza che aveva concluso il giudizio presupposto, la quale avrebbe potuto essere censurata sia in relazione ai principi affermati dalla giurisprudenza in ordine alla consulenza tecnica medico-legale, sia in relazione ai criteri utilizzati per la liquidazione del danno morale ai congiunti della vittima. Anche questo motivo è inammissibile perché il ricorrente si limita ad indicare le disposizioni asseritamente trasgredite, senza invece argomentare in qual modo il giudice del merito si sarebbe posto in contrasto con le stesse disposizioni e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità. 5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.