L’avvocato infedele ai principi della professione paga con la sospensione

Il comportamento dell’avvocato ritenuto riprovevole” dall’Avvocatura e, al contempo, recepito come illecito in danno della collettività, è caratterizzato da una gravità oggettiva che, nell’applicazione della sanzione, deve indurre ad una scelta di maggior rigore.

Così il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 16/18 depositata il 20 marzo. Il caso. Riattivato il procedimento disciplinare a carico dell’avvocato condannato con sentenza passata in giudicato dalla Corte d’appello di Trento per i reati di bancarotta fraudolenta e frode fiscale, il COA di Bolzano lo riteneva responsabile per aver suggerito al suo assistito, ristretto in carcere, di sottoscrivere la dichiarazione IVA relativa all’esercizio annuale della società integrando il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 recante Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti . La decisione veniva confermata dal Consiglio Nazionale Forense che gli irrogava la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per un anno. L’avvocato decide di proporre ricorso in Cassazione lamentando il mancato ridimensionamento della sanzione disciplinare e invocando l’applicazione della norma deontologica secondo la quale la sospensione dall’esercizio della professione deve essere compresa fra due mesi e un anno. In accoglimento di tale doglianza, gli Ermellini cassano la sentenza e rinviano al CNF stabilendo che la sanzione deve essere stabilita nel minimo edittale il quale, ai sensi dell’art. 40, comma 1, n. 3 del r.d.l. n. 1578/1933, è fissato in due mesi. Notificato il ricorso per riassunzione, l’avvocato chiede al Consiglio Nazionale Forense di uniformarsi alle parole dalla Suprema Corte. Gravità oggettiva. Il CNF ritiene che se pur vero è che all’illecito commesso debba essere applicata la sanzione più lieve fra quelle previste dal vecchio e dal nuovo Codice Deontologico Forense, gli Ermellini non hanno esitato a precisare anche che, in sede di rinvio, dovranno formare oggetto di ulteriore valutazione i profili attinenti all’ incidenza del precedente disciplinare del 2008 e della condotta non partecipativa” . Ed è proprio in virtù di questa ulteriore valutazione” richiesta dalla Corte che il Consiglio Nazionale Forense considera la violazione commessa dal ricorrente oggettivamente grave in quanto mina alle radici i principi generali che devono ispirare il comportamento dell’avvocato . A sostegno di tale tesi, i Giudici ricordano come lo stesso legislatore abbia individuato nel medesimo comportamento tenuto dall’avvocato una fattispecie tipica di reato, sanzionato, fra l’altro, con una pena detentiva fino a tre anni ed una multa non inferiore a 516 euro. Pertanto, nonostante l’autonomia che deve esistere tra le valutazioni condotte nel procedimento disciplinare rispetto a quello penale, il CNF ritiene che se un medesimo comportamento è considerato riprovevole dall’Avvocatura ed, al contempo, è recepito come illecito in danno della collettività, appare legittimo concludere che la violazione in esame sia caratterizzata da una gravità oggettiva che, fra il minimo ed il massimo della sanzione applicabile, deve indurre ad una scelta di maggior rigore . Per tutti questi motivi, il Consiglio Nazionale Forense commina all’avvocato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di dieci mesi e, vista la parziale soccombenza, compensa integralmente le spese.

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 23 novembre 2017 – 20 marzo 2018, n. 16 Presidente Mascherin – Segretario Capria Fatto 1 In data 17.3.2007 la Procura della Repubblica di Trento, a norma dell’art. 103 c.p.p., ha informato il COA di Bolzano che avrebbe dato corso alla perquisizione dello studio e dell’abitazione dell’avv. [RICORRENTE], come in epigrafe identificato. E’ seguita la richiesta di rinvio a giudizio in data 29.2.2008 per i reati di cui all'art. 380 comma 3 c.p., all'art. 11 D. L.vo 74/2000, ed agli artt. 216 e 223 R.D. 267/1942 secondo la Procura, l’avv. [RICORRENTE] avrebbe violato - quale difensore di fiducia di [TIZIO], imputato di bancarotta fraudolenta e frode fiscale – i suoi doveri professionali, compiendo anche atti mirati ad occultare i beni dell’imputato, al fine di rendere impossibile il pagamento delle imposte e ponendo in essere atti di distrazione del patrimonio della società fallita [ALFA] S.r.l. Il COA di Bolzano ha aperto il procedimento disciplinare, dandone comunicazione all’incolpato con raccomandata 26.3/2.4.2008. Detto procedimento, dapprima sospeso per la pendenza dell’azione penale, è stato riattivato dal COA in data 21.5.13, a seguito dell’accertato passaggio in giudicato della sentenza della C.te d’Appello di Trento che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’imputato [RICORRENTE] alla pena di un anno di reclusione ed euro 516,00 di multa, nonché al pagamento delle spese processuali” lo condanna inoltre al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita” [TIZIO] suo cliente . Il capo d’incolpazione del procedimento disciplinare, ricalca gli addebiti mossi nel capo di imputazione, così come accertati nella sentenza di condanna definitiva e quindi – a seguito della delibera del 30.6.14 con la quale sono stati stralciati i fatti esclusi dalla decisione penale - si è proceduto nei confronti dell’avv. [RICORRENTE] per avere posto in essere i fatti di reato a lui contestati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento nel procedimento penale n.[OMISSIS]/07-21 R.G.P.M., nelle date e nei luoghi indicati nel capo di imputazione che qui di seguito si riporta A art. 380 comma 3 c.p. perché, in qualità di avvocato di fiducia di [TIZIO], imputato di bancarotta fraudolenta” ”e frode fiscale” nell'ambito del p.p. n [OMISSIS]/05 r.g.n.r.” con le condotte qui di seguito indicate si rendeva infedele ai suoi doveri professionali recando nocumento agli interessi di [TIZIO]” B Consigliava al proprio assistito, ristretto in carcere, di sottoscrivere la dichiarazione IVA [ALFA] Srl relativa all'esercizio 2004 il che faceva integrare a [TIZIO] il reato di cui all'art. 2 D.Lvo 74/2000”. Con decisione in data 21.7. – 18.9.2014 il COA di Bolzano ha ravvisato la sussistenza della responsabilità dell’incolpato e gli ha comminato la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione forense per un anno. 2 L’avv. [RICORRENTE] ha proposto tempestivo ricorso al CNF, chiedendo l’annullamento della decisione impugnata ed, in subordine, la riduzione della sanzione i tre motivi di impugnazione invocano i nullità dell'atto di incolpazione per violazione di legge art. 48 R.D.L. n. 37/1934 ed art. 59 L. n. 247 - 2012 nonché violazione del principio di specificità, riconducibile al permanere, nel capo di incolpazione, di addebiti dai quali l’incolpato era stato assolto ii prescrizione dell'azione disciplinare iii violazione del principio di adeguatezza e proporzionalità nella determinazione della sanzione. 3 Il CNF con sentenza n. 236/2016 del 21 aprile 2016, depositata il 5 luglio 2016 ha rigettato il ricorso, ritenendo che a non fosse ravvisabile la nullità dell’addebito disciplinare per difetto di specificità poiché non era riscontrabile la assoluta incertezza sui fatti oggetto di contestazione, per effetto della quale l'incolpato non abbia potuto svolgere pienamente le sue difese” l’originario capo di incolpazione fu in realtà ridotto” una volta che il COA ebbe notizia della decisione della Corte d’Appello b non fosse maturata la prescrizione invocata poiché i fatti risalgono agli anni 2005 - 2006 e l’apertura del procedimento disciplinare è stata deliberata il 26.3.2008 e quindi prima del decorso del termine quinquennale di cui all’art. 51 RDL n. 1578/1933 la sospensione ex art. 44 interrompe il decorso del termine di prescrizione sino a quando il diritto di punire può essere esercitato, e cioè” sino al passaggio in giudicato della sentenza penale” c non sussistessero i presupposti per l'accoglimento della domanda tesa alla riduzione della sanzione inflitta, siccome sproporzionata in eccesso ai fatti accertati scriveva il CNF che l'illecito di cui all'art. 36, comma I, C.D.F. è stato riprodotto nell'art. 23, comma 6 del Nuovo Codice Deontologico, che prevede, in caso di violazione, la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione da uno a tre anni. Assumendo a parametro di riferimento quest'ultima disposizione può notarsi come nel caso in esame la sanzione inflitta è pari al minimo edittale, e quindi non riducibile, né sono ravvisabili circostanze che possano indurre ad una diversa e meno grave qualificazione dei fatti ai fini della attenuazione della sanzione, anche perché il COA nel determinarla ha motivato che a carico dell'avv. [RICORRENTE] era stata inflitta nel 2008 la sanzione della censura e che il comportamento dallo stesso tenuto nel corso del procedimento, con riguardo alla mancata comunicazione dell'esito del processo penale, non poteva che valutarsi negativamente”. 4 L’avv. [RICORRENTE] ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi - i primi due - riconducibili alla genericità del capo di incolpazione ed alla mancata censura, da parte del CNF, della irregolare condotta del COA nel non aver dichiarato la insussistenza dei fatti per i quali il ricorrente era stato assolto in sede penale - sono stati ritenuti infondati poiché le ipotizzate irregolarità non assumono rilievo, non avendo in alcun modo inciso sulla tutela degli interessi superiori ed in particolare sul diritto di difesa in secondo luogo, la Corte ha ritenuto che il CNF abbia correttamente esaminato e respinto le doglianze del ricorrente, rilevando la intelligibilità della incolpazione e l’avvenuto stralcio” dell’originario capo di incolpazione. - Il terzo motivo – riconducibile alla invocata prescrizione – è stato pure ritenuto infondato i per inconferenza del richiamo all’art. 65, 5° comma, L. 247/2012 che regola il raffronto della disposizione deontologica più favorevole si legge la disciplina della prescrizione deve essere governata dal criterio generale della irretroattività, così che non è applicabile lo jus superveniens introdotto dall’art. 56 comma 3° della legge 247/2012” ii il principio dell’effetto interruttivo permanente, determinato dall’inizio della fase giurisdizionale, è applicabile anche all’azione disciplinare iii la doglianza relativa alla illegittimità della disposta sospensione del procedimento, è stata ritenuta inconcludente ed erronea la Corte si è espressa per la insussistenza della prescrizione poiché l’ultimo dei fatti imputati all’incolpato risaliva al 2006 e l’azione disciplinare è iniziata nel 2008 la sospensione riguardava il procedimento e non certo la prescrizione dell’azione, così che il termine di prescrizione rimaneva nella sua fase di quiescenza determinata dall’interruzione per effetto dell’inizio del procedimento giurisdizionale”. - Il quarto motivo - riconducibile al mancato ridimensionamento della sanzione – invocava la corretta individuazione della norma deontologica applicabile alla fattispecie contrariamente a quanto affermato dal CNF, l’avv. [RICORRENTE] avrebbe dovuto essere sanzionato a norma dell’art. 40, 1° comma, n. 3 del r.d.l. n. 1578/1933 - che prevede la sospensione dall’esercizio della professione per un periodo non inferiore a due mesi e non superiore all’anno – anziché dall’art. 23 co, 6° e 7° CDF 2014. La Corte ha ritenuto il rilievo fondato, pur censurando il riferimento del ricorrente all’art. 65, 5° comma L. 247/12 perché””esso tende a disciplinare la consecuzione temporale tra due discipline deontologiche” . 5 Con sentenza n. 12798 del 7.3.17, pubblicata il 22.5.17, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno rigettato i primi tre motivi sopra ricordati ed hanno accolto il quarto, rinviando al Consiglio Nazionale Forense, in altra composizione soggettiva, per la determinazione della sanzione, anche in considerazione dei profili attinenti alla incidenza” del precedente disciplinare del 2008 e della condotta che si assume non partecipativa” tenuta dal ricorrente nel corso del procedimento disciplinare”. 6 L’avv. [RICORRENTE], a mezzo del suo difensore avv. [OMISSIS], in data 27.6.17 ha notificato ricorso per riassunzione ex art. 392 c.p.c., depositato presso la Segreteria del CNF in data 5.7.17. Il ricorrente riassume il principio di diritto al quale il CNF dovrebbe uniformarsi, nei seguenti capi i la sanzione irrogata è stabilita nel minimo edittale ii tale minimo non va determinato a norma dell’art. 23 co. 6° e 7° del NCDF, ma a norma dell’art. 40, 1° comma n. 3 RDL n. 1578/1933 che lo fissa in mesi due iii il Giudice del rinvio dovrà valutare, nella determinazione della sanzione, la rilevanza degli altri profili precedente disciplinare e condotta non partecipativa iv le sanzioni devono essere adeguate alla gravità dei fatti e devono tener conto delle circostanze che hanno concorso a determinare la violazione. Per quanto attiene al precedente disciplinare ed alla asserita condotta non partecipativa”, l’avv. [RICORRENTE] ricorda che l’unico precedente risale al 2008 ed è stato sanzionato con l’avvertimento mentre il comportamento tenuto nell’ambito del procedimento avanti al COA, non può assumere rilevanza poiché non si può pretendere che l’incolpato rinunci al proprio diritto di difesa in nome del semplice dovere di correttezza nei confronti del Consiglio di appartenenza, che peraltro si identifica con il futuro giudicante” in argomento viene più volte invocato il principio del nemo tenetur contra se edere” . Analizzando la gravità della qualificazione dei fatti” il ricorrente assume che il COA e, per relationem il CNF, sarebbero incorsi in confusione a causa dell’ampio capo di incolpazione riportato e posto a base del procedimento in altri termini, l’avv. [RICORRENTE] lamenta che la ritenuta gravità del suo comportamento sarebbe in gran parte generata dalla circostanza che, anziché evidenziare l’esistenza di un solo capo di incolpazione, il COA avrebbe continuato a riportare nei propri atti e nella stessa decisione assunta, tutte le altre numerose ipotesi di violazione, rivelatesi insussistenti a seguito della decisione definitiva della C.te d’Appello, recepita dallo stesso COA con provvedimento in data 30.6.14. In ordine alla gravità intrinseca del fatto, per il quale gli è stata inflitta la pena detentiva, l’avv. [RICORRENTE] pone l’accento sulla circostanza che il consiglio dato al proprio patrocinato – di presentare la dichiarazione IVA relativa al 2004, continuando ad utilizzare fatture per operazioni inesistenti – mirava ad evitare una sorta di confessione indiretta” della sussistenza del reato ben più grave di bancarotta fraudolenta” ne dovrebbe derivare che, seppure illecito, il comportamento dell’incolpato andrebbe valutato alla luce del dovere del difensore di difendere la parte assistita e quindi con minor rigore rispetto a quello applicato dalla due decisioni di merito precedenti. 7 L’avv. [RICORRENTE] conclude il proprio atto di riassunzione ricordando che - il provvedimento di sospensione è divenuto esecutivo il 29.7.16, data di notifica della sentenza del CNF - la sentenza delle SS.UU., emessa il 7.3.17, è stata pubblicata il 22.5.17, a meno di due mesi dal compimento dell’anno di sospensione - il ricorso per riassunzione è stato depositato il 5.7.17 - nonostante il tempo necessario alla fissazione dell’udienza di discussione e del deposito della sentenza nell’ambito della presente fase del giudizio, portino al superamento del periodo di sospensione inflitto e scontato, il ricorrente mantiene l’interesse a sentir accertare il proprio diritto alla corretta applicazione della legge e del principio espresso dalla Suprema Corte. L’avv. [RICORRENTE] chiede che, in conformità del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 12798/17”, venga rideterminata la durata della sospensione inflitta nel minimo edittale di cui all’art. 40, co. 1 n. 3 RDL n. 1578/1933, o, in via subordinata e con riserva di ulteriore gravame, che la durata della sanzione venga sensibilmente ridotta. Diritto a Il principio secondo il quale le norme del nuovo Codice Deontologico si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, ma solo se più favorevoli all’incolpato art. 65, co. 5 L. n. 247/2012 , è noto e condiviso, al di là del principio enunciato dalle SS.UU. al quale ci si deve attenere. Senza alcun intento di difesa” della sentenza riformata né, tanto meno, di critica” inammissibile e comunque sterile della decisione della Suprema Corte, si osserva, in linea con quanto sopra affermato, come il richiamo al NCD contenuto nella precedente sentenza del CNF potesse legittimamente essere letto quale parametro di riferimento” al fine di valutare la gravità della violazione commessa, e non per la applicazione nella nuova normativa deontologica, in violazione del principio del favor rei sopra ricordato. In una situazione di assoluta condivisione del principio, la decisione deve essere ispirata alle seguenti circostanze di fatto e di diritto a.1 il fatto commesso, la sua rilevanza penale e deontologica non sono in discussione, così che non possono trovare ingresso i le doglianze, contenute anche nel ricorso in riassunzione, riconducibili alla asserita suggestione generata dall’ampio capo di incolpazione in realtà ridotto con provvedimento del COA in data 30.6.14 ii la ventilata esimente” di aver, l’avv. [RICORRENTE], operato perseguendo l’interesse del suo assistito, seppure in violazione della legge iii la suggerita legittimità del comportamento processuale tenuto dall’incolpato, così come lamentato dal COA, in nome dell’invocato principio del nemo tenetur contra se edere”. In argomento, ci si limita a rilevare come la sussistenza dell’illecito emerga da una sentenza penale passata in giudicato e, per quanto ci occupa, dalla stessa sentenza delle SS.UU che ha cassato con rinvio, ma solo ai fini della determinazione della sanzione, precisando, nel contempo, che dovranno formare oggetto di ulteriore valutazione” ”i profili attinenti alla incidenza” ”del precedente disciplinare del 2008 e della condotta che si assume non partecipativa””. Il fatto ed i precedenti non sono quindi oggetto di indagine circa la loro sussistenza. a.2 Se da un verso il principio affermato vuole che, all’illecito commesso, sia applicata la sanzione più lieve fra quelle previste dal vecchio e dal nuovo C.D.F., dall’altro è infondata la tesi del ricorrente, secondo la quale il Giudice del rinvio sarebbe tenuto a comminare la sanzione nel minimo edittale. Come sopra ricordato, la decisione cassata, aveva richiamato l’art. 23, co 6° del NCDF al fine di parametrare”, nell’evolversi normativo, la ritenuta gravità del comportamento accertato ed era quindi giunta ad affermare la congruità della sanzione inflitta, siccome corrispondente al minimo di quella prevista dalla nuova” normativa. Le espressioni usate hanno indotto ad una diversa interpretazione della volontà del CNF, e quindi alla legittima cassazione della decisione è comunque da escludere che si sia voluto affermare la congruità del minimo della sanzione prevista dalla legge applicabile, vincolando in tal modo la determinazione del Giudice del rinvio. Le conclusioni formulate dal ricorrente, tese alla irrogazione della sospensione non oltre il minimo edittale, appaiono prive di qualsiasi sostegno logico-giuridico e vanno quindi disattese, in quanto il CNF, in sede di rinvio, ha pur sempre l’obbligo di parametrare la sanzione alla gravità del fatto compiuto e delle eventuali aggravanti contestate, fermo restando l’obbligo di operare nei limiti di cui all’art. 40, 1° comma n. 3 RDL n. 1578/1933 si veda Cass. SS.UU. n. 13456/2017 n. 15043/2016 n. 11024/2014 . Se ne ha conferma dalla stessa decisione delle SS.UU. che ha cassato con rinvio capo 6.3 la Suprema Corte rimette alla ulteriore valutazione” del Giudice del merito, non solo la individuazione della sanzione secondo il principio dettato, ma anche la incidenza del precedente disciplinare e della condotta non partecipativa”. Se Il CNF fosse vincolato, come assume il ricorrente, al minimo edittale, non vi sarebbe stato alcun invito ad ulteriore valutazione” ed, ancor prima, la Corte, a norma dell’art. 384 c.p.c., avrebbe deciso nel merito. b Chiarito quanto sopra, si ritiene congruo irrogare all’avv. [RICORRENTE] la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di mesi 10. b.1 La violazione è oggettivamente e, di per sé, grave poiché mina alle radici i principi generali che devono ispirare il comportamento dell’avvocato - L’avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza, per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia” Preambolo CDF aggiornato al 16.12.11 - L’avvocato deve ispirare la propria condotta all’osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro.” art. 5 CD citato - L’avvocato deve esercitare la sua attività anche nel rispetto dei doveri che la sua funzione gli impone verso la collettività” art. 7 CD citato . L’avv. [RICORRENTE] è stato condannato in sede penale con sentenza definitiva ad un anno di reclusione ed euro 516,00 di multa, nonché al pagamento delle spese di giudizio ed al risarcimento del danno provocato al suo assistito, in quanto, fra le altre, consigliava al proprio assistito, ristretto in carcere di sottoscrivere la dichiarazione IVA [ALFA] Srl relativa all'esercizio 2004 il che faceva integrare a [TIZIO] il reato di cui all'art. 2 D.Lvo 74/2000”. Di fatto, il comportamento accertato e sanzionato a norma dell’art. 380 c.p., costituisce l’esatta negazione dei principi generali che, da sempre, devono ispirare il comportamento dell’avvocato nei confronti della legge e della collettività. Se a questo si aggiunge che nella propria difesa l’incolpato assume di aver consigliato il cliente, nell’intento di perseguire il suo interesse e quindi di svolgere un obbligo difensivo doveroso, si deve ritenere che l’avv. [RICORRENTE] abbia operato o con dolo, o senza rendersi conto che il suggerimento era contrario alla legge, e quindi con l’ulteriore violazione dell’obbligo di competenza di cui all’art 12 del CDF applicabile. b.2 Esistono violazioni al codice deontologico la cui rilevanza soggettiva ed oggettiva va correttamente valutata anche nell’ambito del contesto in cui il fatto è stato commesso ne esistono altre che sono oggettivamente gravi ed idonee a generare pesante discredito sull’intera categoria a titolo esemplificativo art. 21 svolgimento attività professionale senza titolo art. art. 37 conflitto di interessi art. 38 inadempimento al mandato art. 41 gestione denaro altri ecc. . La gravità del comportamento posto in essere in violazione dell’art. 36 L’avvocato non deve consapevolmente consigliare azioni inutilmente gravose, né suggerire comportamenti, atti o negozi illeciti, fraudolenti o colpiti da nullità.” concretizza sicuramente una fattispecie caratterizzata da una gravità oggettiva ed intrinseca ne è prova la circostanza che, il medesimo comportamento, è stato considerato dal legislatore fattispecie tipica di reato, sanzionato, per di più, con una pena detentiva fino a tre anni ed una multa non inferiore a quella inflitta. Il procedimento disciplinare è sicuramente trattato e definito con valutazioni autonome rispetto al procedimento penale, e quindi non tutto quello che è penalmente rilevante deve esserlo anche in sede disciplinare ma se un medesimo comportamento è considerato riprovevole dall’Avvocatura che lo ha quindi regolamentato nel proprio codice comportamentale ed, al contempo, è recepito come illecito in danno della collettività e quindi come reato , appare legittimo concludere che la violazione in esame sia caratterizzata da una gravità oggettiva che, fra il minimo ed il massimo della sanzione applicabile, deve indurre ad una scelta di maggior rigore, seppure senza giungere all’anno di sospensione, potendosi configurare, nell’ambito della medesima fattispecie, comportamenti anche più gravi, magari in ragione degli effetti prodotti. b.3 La presenza del precedente disciplinare non fa che dare sostegno alla decisione di determinare il periodo di sospensione nel termine sopra indicato anche alla luce della rilevanza mediatica che ha avuto il caso”, con ulteriore motivo di discredito per l’Avvocatura . c Le spese riconducibili al giudizio di legittimità, vanno interamente compensate, in considerazione della parziale soccombenza. P.Q.M. visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933, n. 1578 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37 Il Consiglio Nazionale Forense, commina all’avv. [RICORRENTE] la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di mesi dieci dispone che, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza