La liquidazione del compenso spettante all’avvocato e i valori medi tariffari

La disciplina dettata dal d.m. n. 140/2012 Determinazione dei parametri forensi non prescrive che il giudice nella quantificazione del compenso debba attenersi ai valori medi indicati, ma che la liquidazione non possa superare i valori medi .

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 10501/18, depositata il 3 maggio. Il caso. La Corre d’Appello di Messina accoglieva l’istanza avanzata da un legale volta all’ottenimento della liquidazione dei compensi professionali per l’opera prestata quale difensore di un imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Avverso il rigetto, da parte del Presidente della Corte distrettuale, dell’opposizione alla liquidazione, il legale ricorre per cassazione denunciando come questa fosse inferiore ai minimi previsti dal d.P.R. n. 115/2002 nonché carente di motivazione. La liquidazione. Il Supremo Collegio sottolinea come la doglianza del ricorrente abbia ad oggetto la corretta liquidazione dei compensi in considerazione dei valori medi tariffari, tenuto conto della circostanza che la liquidazione attiene al procedimento penale trattato in appello . Ebbene, la Suprema Corte ribadisce che, ratione temporis , il compenso debba essere liquidato secondo la disciplina dettata dall’art. 9 d.m. n. 140/2012, pertanto il giudice nella liquidazione non può superare i valori medi di tariffa ed anche per la difesa nel procedimento penale il compenso è ridotto della metà . Di conseguenza, i Giudici di legittimità evidenziano che la disciplina tariffaria vigente al momento della liquidazione del compenso dell’avvocato, non già, prescriveva che nella quantificazione il giudice s’attenesse ai valori medi, bensì che la liquidazione non potesse superare i valori medi e la somma così individuata doveva essere dimidiata ex art. 9 d.m. n. 140/2012 , le cui indicazioni tariffarie, precisa la Corte, non sono vincolanti ai sensi dell’art. 1, comma 7, del citato decreto. Dunque, era dato al giudice tassare il dovuto anche in misura inferiore ai valori medi e nella specie così appare aver, motivatamente, fatto il Collegio penale della Corte, prima, ed il Presidente, poi, in sede di opposizione . La carenza di motivazione. Infine, la Corte, nel rigettare il ricorso e condannare il ricorrente al pagamento delle spese processuali, ritiene inammissibile la censura avanzata attinente al vizio di carenza di motivazione, in quanto vizio non più previsto ex art. 360, comma 5, c.p.c

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 8 febbraio – 3 maggio 2018, n. 10501 Presidente Matera – Relatore Gorjan Fatti di causa L’avv. L.C.A. , quale difensore di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, ebbe a richiedere la liquidazione del compenso per l’opera prestata. La Corte d’Appello sezione penale di Messina ebbe ad accogliere l’istanza e riconobbe al professionista la somma di Euro 800,00 oltre accessori. Avverso detta liquidazione in quanto ritenuta riduttiva ed inferiore ai minimi previsti ex dPR 115/2002 l’avv. L.C. propose opposizione avanti il Presidente la Corte siciliana. Detto Magistrato con il provvedimento oggi impugnato ebbe a rigettare l’opposizione spiegata dal professionista in quanto corretta la liquidazione operata dal Collegio penale. L’avv. L.C. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. Il Ministero della Giustizia s’è costituito ritualmente a resistere con controricorso. Ragioni della decisione Il ricorso proposto dall’avv. L.C.A. s’appalesa siccome infondato e va rigettato. Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente denunzia violazione delle norme giuridiche afferenti la liquidazione del compenso per la difesa penale in regime di patrocinio a spese dello Stato con speciale riguardo ai parametri cui il Giudice deve attenersi. L’impugnante rileva come nel provvedimento impugnato sia stata confermata la correttezza della liquidazione,pari ad Euro 800,00, mentre in dipendenza dei valori tariffari medi,tenuto conto della circostanza che la liquidazione attiene al procedimento penale trattato in appello,la liquidazione non poteva esser inferiore ad Euro 1.440,00. La critica mossa dall’avv. L.C. prescinde dalla considerazione fattuale che, ratione temporis, il suo compenso deve esser liquidato secondo la disciplina tariffaria posta dall’art 9 Dm 140/2012 in tema di patrocinio a spese dello Stato che integra la norma in art 82 dPR 115/02. Quindi il Giudice nella liquidazione non può superare i valori medi di tariffa ed anche per la difesa nel procedimento penale il compenso è ridotto alla metà. Dunque,contrariamente a quanto sostenuto in ricorso,la disciplina tariffaria vigente al momento della liquidazione del compenso all’avv. L.C. ,non già, prescriveva che nella quantificazione il Giudice s’attenesse ai valori medi, bensì che la liquidazione non potesse superare i valori medi e la somma così individuata doveva esser dimidiata ex art 9 Dm 140/2012. Inoltre non va dimenticato che espressamente le indicazioni tariffarie in Dm 140/2012 non sono vincolanti,stante la precisa disposizione in art 1 comma 7 cit. Dm - Cass. sez. 1 n 18167/15 -. Dunque era dato al Giudice tassare il dovuto anche in misura inferiore ai valori medi e nella specie così appare aver,motivatamente, fatto il Collegio penale della Corte, prima, ed il Presidente, poi, in sede di opposizione. Dunque non concorre il denunziato vizio di violazione di disposizioni normative. Con il secondo mezzo di impugnazione l’avv. L.C. ha dedotto vizio per carenza di motivazione circa la valutazione necessaria per la quantificazione del compenso in relazione alla specifica opera professionale prestata. La cesura siccome articolata s’appalesa inammissibile poiché non più prevista dall’attuale formulazione della norma in art 360 n 5 cod. proc. civ., che invece postula esclusivamente l’omesso esame di fatto decisivo e non più la carenza di motivazione. Al rigetto dell’impugnazione segue, ex art 385 cod. proc. civ.,la condanna dell’avv. L.C. alla rifusione in favore dell’Amministrazione della Giustizia delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, tassate in globali Euro 510,00 oltre spese prenotate a debito. Concorrono in capo al ricorrente le condizioni per l’ulteriore pagamento del contributo unificato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione resistente, che liquida in Euro 510,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art 13 comma 1 quater dPR 115/2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis art 13 dPR 115/02.