Cambio di numerazione del procedimento disciplinare a carico dell’avvocato: esclusa la violazione del ne bis in idem

La violazione del principio del ne bis in idem deve escludersi qualora, in pendenza di un procedimento disciplinare a carico di un legale sia mutata la relativa numerazione, in modo da garantire all’incolpato la comunicazione del procedimento stesso, in ossequio al nuovo regolamento .

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 9910/18, depositata il 20 aprile. Il caso. Il COA di Trani infliggeva all’incolpato la sanzione della radiazione, per aver questi, in qualità di Giudice di Pace, commesso dei reati e compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio. Successivamente, il CNF rigettava l’appello, pertanto, l’incolpato ricorre per cassazione denunciando la violazione del principio del ne bis in idem . Difatti, nonostante l’esistenza di un procedimento disciplinare pendente innanzi al COA aperto nel 2008, nell’ottobre 2012 veniva notificata al ricorrente l’apertura di un secondo procedimento, recante un differente numero identificativo. Secondo il CNF, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non sussisteva violazione del principio invocato ma solo una rinnovazione dell’iscrizione volta a garantire all’incolpato la conoscenza del procedimento, dovuta all’entrata in vigore del nuovo regolamento. Per il ricorrente, la nuova disciplina del regolamento risultava applicabile solo per fatti successivi alla sua entrata in vigore e dunque il COA non avrebbe potuto aprire un nuovo procedimento. Ne bis in idem e numero del procedimento. Il Supremo Collegio rileva come non sussista alcuna violazione del ne bis in idem giacché il COA non ha giudicato l’incolpato due volte per lo stesso fatto ma ha solamente proceduto ad una nuova iscrizione, con numerazione nuova, per consentire la formale comunicazione all’incolpato dell’apertura del procedimento disciplinare in ossequio al nuovo regolamento . Ebbene, la Suprema Corte evidenzia che, nonostante la comunicazione all’incolpato non fosse dovuta, tale circostanza, insieme alla nuova numerazione del procedimento, non inficia la validità delle conclusioni raggiunte dal CNF , poiché si è rimasti in presenza del medesimo procedimento sanzionatorio avviato nel 2008 . Difatti, il procedimento disciplinare per gli stessi fatti di quello numerato nel 2008 è quindi proseguito giungendo alla unica conclusione con la decisione del COA confermata dalla sentenza impugnata , a nulla rilevando l’eventuale errore consistito nel mutamento del numero di procedimento, poiché non è il cambio di numerazione di un procedimento a poterne sostanziare la natura di illegittima duplicazione rispetto a un precedente procedimento destinato ad altra definizione . La Corte quindi rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 23 maggio 2017 – 20 aprile 2018, numero 9910 Presidente Rordorf – Relatore D’Ascola Fatti di causa 1 Con decisione depositata il 13 febbraio 2014 il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Trani infliggeva al ricorrente la sanzione della radiazione, perché, quale giudice di pace, aveva commesso una serie indeterminata di reati e compiuto atti contrari ai doveri di ufficio. Dava atto della sentenza di patteggiamento numero 573/13 , divenuta irrevocabile, che irrogava all’odierno ricorrente la pena di anni due e mesi sei di reclusione e riteneva sussistente la violazione delle norme deontologiche contestate. IL CNF rigettava l’appello con sentenza 20 ottobre 2016, notificata il 21 dicembre 2016, che è stata impugnata il 20 gennaio 2017. Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Trani ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 2 L’unico motivo di ricorso in rubrica denuncia genericamente violazione di legge e vizio di motivazione e ha di mira la questione della nullità del procedimento sanzionatorio per violazione del principio del ne bis in idem, già posta innanzi al CNF. Parte ricorrente ricorda che il Consiglio dell’ordine aveva aperto nel 2008 un procedimento recante il numero 4/2008, che era ancora pendente nel 2010 allorquando a causa della pendenza era stata negata la cancellazione volontaria dall’albo. Espone che il 26 ottobre 2012 per gli stessi fatti le era stata notificata l’apertura di un secondo procedimento disciplinare, recante il numero 14/2012. Si duole del fatto che il CNF abbia respinto la doglianza relativa alla violazione del principio del ne bis in idem, sostenendo che non vi era stata doppia decisione, ma solo una rinnovata iscrizione finalizzata a garantire all’incolpato la comunicazione del procedimento, dovuto solo in base al nuovo regolamento approvato nelle more e dunque per tutelare meglio il diritto di difesa. In sintesi, secondo parte ricorrente, poiché l’entrata in vigore del nuovo regolamento era applicabile solo per i fatti successivi alla sua entrata in vigore, il COA non aveva facoltà di aprire un nuovo procedimento, ditalché era incorso nella violazione del principio del ne bis in idem, negata dal CNF incorrendo anche in vizio di motivazione per contraddittorietà e incoerenza. 3 Il ricorso è infondato. Il CNF ha ritenuto che il COA non ha violato il principio del ne bis in idem, perché non ha giudicato l’incolpato due volte per lo stesso fatto ha spiegato che l’iscrizione con il nuovo numero era stata effettuata solo per consentire la formale comunicazione all’incolpato dell’apertura del procedimento in ossequio al nuovo regolamento, formalità più garantista che in precedenza non era stata effettuata. Ora, la circostanza che questa comunicazione non fosse dovuta e che il procedimento sia stato rinumerato, non inficia la validità delle conclusioni raggiunte dal CNF. Consta infatti, dalla ricostruzione che è stata svolta, che in sostanza si è rimasti in presenza del medesimo procedimento sanzionatorio avviato nel 2008. È vero che è stato superfluamente dato un nuovo numero dopo il ricevimento da parte del COA della richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura della Repubblica di Lecce. Il procedimento disciplinare per gli stessi fatti di quello numerato nel 2008 è quindi proseguito giungendo alla unica conclusione con la decisione del COA confermata dalla sentenza qui impugnata. Parte ricorrente sottolinea, come si è detto, che, stante la disciplina transitoria del regolamento di procedura delle sanzioni, non era dovuta una comunicazione a garanzia dell’incolpato e non era necessaria l’apertura di un nuovo procedimento. Le Sezioni Unite non ravvisano in questo meccanismo una indebita duplicazione di procedimenti sanzionatori, ma solo l’ipotizzato errore consistito nel mutare numero al procedimento al momento in cui esso ha avuto impulso. Trattasi, in ipotesi, di errore irrilevante, giacché, nel peculiare contesto illustrato non è il cambio di numerazione di un procedimento a poterne sostanziare la natura di illegittima duplicazione rispetto a un precedente procedimento destinato ad altra definizione. Non a caso infatti la censura non configura una nozione giuridica di ne bis in idem che sarebbe stata falsamente applicata. Il ricorso postula con toni perentori e assertivi cfr pag. 18 che si sia trattato di duplicazione di procedimenti e che così si incorre nel ne bis in idem , ma non riesce a dimostrare sotto nessun profilo giuridico alcuna duplicità, cioè la sostanza della violazione lamentata. 4 Invano pertanto la censura si sposta al versante del vizio di motivazione, incontrando peraltro i profili di inammissibilità rilevati dal procuratore generale, il quale ha evidenziato che è intrinsecamente contraddittorio da un lato prospettare la violazione di diritto, che presuppone che siano accertati gli elementi del fatto e dall’altro, con la censura motivazionale, rimettere in discussione gli elementi del fatto. La incertezza nelle annotazioni sull’incarto procedimentale, che avrebbero dato luogo a confusa condotta processuale , non viziano il giudizio del CNF circa l’irrilevanza della duplicazione numerica del procedimento. Mette conto infatti ricordare con Cass. SU 24647/16 che le Sezioni Unite non possono sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sull’assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale, profili che sono, nel caso in esame, sussistenti. 5 Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al rilievo della controversia. Va dato atto, trattandosi di impugnazione successiva al gennaio 2013, della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro seimila per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge. Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui all’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 30 maggio 2002, numero 115, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della legge numero 228/12, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.