Avvocati inadempienti condannati al risarcimento dei danni subiti dalla cliente

Il giudizio previdenziale per il quale avevano ricevuto il mandato si era concluso con la dichiarazione di estinzione per la mancata notifica del ricorso. I due avvocati si vedono ora definitivamente condannati al risarcimento dei danni subiti dalla cliente a causa del loro inadempimento professionale nella misura pari all’indennità per cui erano stati inizialmente chiamati ad agire contro l’INPS.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7924/18, depositata il 30 marzo. Il caso. Due avvocati erano stati convenuti in giudizio per il risarcimento dei danni conseguiti all’inadempimento dell’incarico professionale conferitogli per un giudizio instaurato contro l’INPS e diretto al riconoscimento dell’indennità di maternità, giudizio che si era concluso con la dichiarazione di estinzione per la mancata notifica del ricorso. Il Tribunale accoglieva la domanda della cliente condannando i due avvocati in solido al risarcimento del danno liquidato in misura corrispondente all’indennità di maternità. Gli avvocati soccombenti ricorrono ora per la cassazione della pronuncia con cui la Corte d’Appello confermava la decisione di prime cure. Risarcimento del danno. I ricorrenti deducono, sostanzialmente, l’insussistenza dell’inadempimento e del nesso causale rispetto al danno lamentato dalla controparte ma tali censure, scrivono i Giudici di legittimità, sono nel complesso inammissibili, poiché non evidenziano specifici errori di diritto, ma sollecitano un diverso apprezzamento di merito . I ricorrenti lamentano anche il quantum del danno liquidato dal giudice di merito in relazione agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c Sul punto, il Collegio, afferma che dopo l’affermazione, sulla base di un giudizio prognostico, che il ricorso previdenziale sarebbe stato accolto, correttamente i giudici di merito hanno parametrato il danno subito dall’assistita all’utilità perduta e dunque all’importo dell’indennità di maternità che le sarebbe spettato all’esito del giudizio, escludendo dunque la possibilità di applicare una decurtazione dell’importo in virtù di valutazione probabilistiche, la cui rilevanza risultava esaurita nell’ambito della valutazione prognostica relativa all’esito del giudizio. In conclusione la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 26 gennaio – 30 marzo 2018, n. 7924 Presidente Spirito – Relatore Sestini Fatto e diritto Rilevato che D.B.A. convenne in giudizio gli avvocati B.M. e R.M. per sentirli condannare al risarcimento dei danni conseguiti all’inadempimento dell’incarico professionale ad essi conferito per l’istaurazione, avanti al Pretore del Lavoro di Cosenza, di un giudizio - diretto a conseguire dall’INPS la corresponsione dell’indennità di maternità - che si era concluso con dichiarazione di estinzione a seguito della mancata notifica del ricorso contumace il R. , si costituì in giudizio la B. , resistendo alle richieste avversarie il Tribunale accolse la domanda, condannando entrambi i convenuti, in solido, al risarcimento del danno, in misura corrispondente all’indennità di maternità obbligatoria che sarebbe spettata alla D.B. , oltre interessi dall’agosto 1991 la Corte di Appello ha confermato la pronuncia di primo grado, con sentenza che è stata impugnata dalla B. con ricorso per cassazione affidato a due motivi il primo dei quali articolato in tre punti ed illustrato da memoria gli intimati non hanno svolto attività difensiva. Considerato che col primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 cod. civ. nonché l’omessa decisione su un fatto decisivo, censurando la Corte per non avere considerato che difettavano sia l’elemento dell’inadempimento professionale dato che l’avvocato B. aveva scientemente omesso di notificare il ricorso introduttivo del giudizio previdenziale, in attesa di conoscere i nominativi dei testi da indicare che quello della riconducibilità dell’evento dal quale era derivato il pregiudizio lamentato alla condotta colposa dell’avvocato che aveva semplicemente preso atto della mancata indicazione dei testi da parte della cliente e, per altro verso, che la pretesa previdenziale non era supportata da elementi certi ed incontestabili poiché il diritto era già prescritto e l’azione giudiziaria era inammissibile per intervenuta decadenza e che, pertanto, non era provato il nesso eziologico fra l’omessa notifica del ricorso e il mancato riconoscimento della pretesa previdenziale tanto premesso, la ricorrente deduce più specificamente sub 1-a, l’ omessa decisione/nullità in relazione all’art. 15 l. n. 1204/1971 e la motivazione erronea, illogica e contraddittoria in relazione ad un fatto decisivo assume che l’eccezione di prescrizione sollevata in primo grado era relativa alle pretese previdenziali e lamenta che la Corte abbia apoditticamente affermato che la B. non aveva posto a base della propria difesa, nel primo grado, l’eventuale prescrizione della pretesa previdenziale aggiunge che erroneamente la Corte aveva affermato che erano intervenuti atti interruttivi di tale prescrizione sub 1-b, la violazione dell’art. 1218 cod. civ. in relazione all’art. 4 del d.l. n. 384/1992 e l’omesso esame di un fatto decisivo, in quanto la Corte aveva errato nel ritenere applicabile il termine decadenziale quinquennale anziché quello annuale previsto dalla normativa entrata in vigore nelle more del procedimento amministrativo riguardante la richiesta previdenziale della D.B. sub 1-c, la illegittimità per difetto assoluto di motivazione e mancata considerazione di un fatto decisivo costituito dalla circostanza che l’INPS avrebbe certamente contestato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, stante il vincolo di affinità nuora-suocero esistente fra la D.B. e il soggetto indicato come datore di lavoro, e dal fatto che mancava la possibilità di comprovare, tramite lo strumento tipico della testimonianza, la fondatezza della pretesa evidenzia altresì che, in siffatte condizioni, la natura particolare della pretesa avrebbe esposto lo stesso legale al sospetto di tentata truffa ai danni dell’INPS il motivo va disatteso, in quanto le censure relative all’insussistenza dell’inadempimento e alla riconducibilità ad esso del danno lamentato dalla D.B. sono nel complesso - inammissibili, poiché non evidenziano specifici errori di diritto, ma sollecitano un diverso apprezzamento di merito la censura di cui al punto 1-a è infondata dal brano della comparsa di costituzione depositata avanti al Tribunale come trascritto a pag. 12 del ricorso non emerge affatto che la prescrizione fosse stata dedotta in riferimento alle pretese oggetto del giudizio previdenziale, giacché la prescrizione risulta opposta in relazione alla richiesta di risarcimento dei danni avanzata dall’attrice , ossia in riferimento all’oggetto del diverso e successivo giudizio risarcitorio proposto dalla D.B. nei confronti dei due professionisti ne consegue che correttamente la Corte territoriale ha rilevato che, in primo grado, la B. non aveva posto a base della propria difesa la eventuale prescrizione dell’azione intrapresa dalla D.B. davanti al Pretore del Lavoro le ulteriori deduzioni relative alla prescrizione della pretesa previdenziale risultano inammissibili, sia per la portata assorbente della rilevata mancata deduzione della questione di prescrizione in primo grado, sia perché formulate in modo generico e volte a sollecitare un diverso apprezzamento sull’idoneità degli atti interruttivi individuati dalla Corte la censura dedotta sub 1-b è infondata la Corte ha esattamente escluso l’applicabilità del termine decadenziale annuale, in conformità alla consolidata giurisprudenza di legittimità cfr. Cass. n. 6919/2000, Cass. n. 15994/2001, Cass. n. 27674/2005 la doglianza di cui al punto 1-c è inammissibile, in quanto non individua specifici fatti decisivi di cui sia stato omesso l’esame, ma svolge generiche deduzioni funzionali alla tesi che la mancata notifica del ricorso fosse giustificata dalla debolezza della pretesa e che l’esito del giudizio previdenziale sarebbe stato certamente sfavorevole il secondo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 1227 cod. civ. in relazione al danno liquidato, nonché l’ omesso esame di un elemento decisivo per il giudizio la ricorrente lamenta che la Corte abbia adottato una motivazione meramente apparente , senza esaminare il motivo di gravame svolto in punto di quantum e, in particolare, senza considerare che il danno avrebbe dovuto essere liquidato in ragione di un criterio prognostico basato sulle concrete e ragionevoli possibilità di risultati utili e che, pertanto, ove riconosciuto, avrebbe dovuto essere diminuito in misura pari alla percentuale delle probabilità di accoglimento della domanda di indennità per astensione obbligatoria il motivo è infondato una volta affermato, sulla base di un giudizio prognostico, che il ricorso previdenziale sarebbe stato accolto, la Corte ha correttamente parametrato il danno da risarcire all’utilità perduta dalla D.B. ossia all’importo dell’indennità di maternità che le sarebbe spettata all’esito vittorioso del giudizio , senza possibilità di applicare una decurtazione dell’importo in ragione di valutazioni probabilistiche, la cui rilevanza era ormai esaurita nell’ambito della valutazione prognostica circa l’esito del giudizio in difetto di attività difensiva da parte degli intimati, non deve provvedersi sulle spese di lite trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.