La valutazione dell’incidenza della condotta dell’avvocato sull’esito del giudizio

Affinché possa affermarsi che, da eventuali omissioni o condotte negligenti, assunte dal professionista, in violazione dei proprio obblighi deontologici, sia scaturito un danno per la parte assistita, è necessario accertare, in base a criteri probabilistici, che, in mancanza di tali condotte omissive o negligenti, si sarebbe conseguito un risultato diverso e favorevole. Tale indagine è istituzionalmente riservata al giudice di merito e se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici, non è censurabile in sede di legittimità.

Questo è il principio affermato dalla Corte Suprema di Cassazione, sesta Sezione Civile - 3, con l’ordinanza n. 5540/18, depositata l’8 marzo. Il fatto. La vicenda processuale nasce a seguito della proposizione, da parte di un terzo trasportato, di una domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali, conseguenti alle lesioni personali sofferte, in occasione di un sinistro stradale di cui era rimasto vittima. Il giudizio, instauratosi precedentemente all’entrata in vigore del codice delle assicurazioni, veniva incardinato nei soli confronti dell’assicurazione del veicolo antagonista e del suo conducente, ritenuto l’esclusivo responsabile del sinistro e non anche nei confronti della società proprietaria del detto autoveicolo, né del conducente del ciclomotore, a bordo del quale l’attore era trasportato. Pur avendo chiesto ed ottenuto un termine per integrare il contradditorio, con la società proprietaria, l’attore non si attivava tempestivamente, lasciandolo decorrere invano, per cui la domanda veniva inevitabilmente dichiarata improcedibile ed il giudizio si estingueva. Risultato soccombente, l’attore proponeva una nuova azione, per il riconoscimento della responsabilità professionale del proprio legale, colpevole di non aver né tempestivamente integrato il contraddittorio, né di averlo debitamente informato dell’attività svolta e di aver causato l’estinzione del giudizio e la prescrizione del suo diritto. In primo grado il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che non vi fosse alcuna negligenza professionale dell’avvocato, dato che, per le modalità di accadimento del sinistro, non era ravvisabile alcun diritto al risarcimento, in capo all’attore. Detta pronuncia, impugnata innanzi alla Corte d’Appello, veniva da questa confermata. Avverso tale ultima decisione, veniva proposto ricorso per Cassazione. L’accertamento della responsabilità professionale dell’avvocato. La Corte di Cassazione, intervenuta per pronunciarsi sulla questione, ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato, secondo cui, affinché possa affermarsi che, da eventuali omissioni o condotte negligenti, assunte dal professionista, in violazione dei proprio obblighi deontologici, sia scaturito un danno per la parte assistita, è necessario accertare, in base a criteri probabilistici, che, in mancanza di tali condotte, si sarebbe potuto conseguire un risultato diverso sentenza n. 2836/02 . Tale indagine, secondo la Suprema Corte, è istituzionalmente riservata al giudice di merito e se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici, non è censurabile in sede di legittimità. L’incidenza della condotta del professionista nel giudizio sulla responsabilità dei conducenti, nella produzione di un sinistro stradale. Nel caso di specie la Suprema Corte, avallando il ragionamento logico-giuridico dei giudici di merito, aveva ritenuto infondate le pretese risarcitorie dell’attore, dal momento che, in corso di causa, era emerso che la responsabilità nella produzione del sinistro era da attribuirsi esclusivamente al conducente del ciclomotore, a bordo del quale egli era trasportato, che lo stesso attore, peraltro, non aveva mai inteso convenire in giudizio e nei confronti del quale non aveva mai mosso alcun addebito. Al contrario, nessuna responsabilità poteva essere addossata né al conducente del mezzo antagonista, nei confronti del quale era stato instaurato il giudizio, né alla società proprietaria. Per tali ragioni, la presunzione di corresponsabilità paritaria dei conducenti, di cui al comma 2 dell’art. 2054 c.c., doveva dirsi superata ed ogni pretesa attorea doveva inevitabilmente essere rigettata. Veniva meno, quindi, la prova del fatto che la condotta negligente del professionista, sostanziatasi nel mancato rispetto dei termini per l’integrazione del contraddittorio, avesse potuto in qualche modo incidere sul probabile esito positivo del giudizio e conseguentemente, veniva meno anche la possibilità di dimostrare l’esistenza di un nesso causale fra la detta condotta ed il rigetto delle pretese attoree, ovvero di poter ravvisare una qualche responsabilità, in capo al professionista.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 22 novembre 2017 – 8 marzo 2018, n. 5540 Presidente Amendola – Relatore Pellecchia Fatto e diritto Rilevato che 1. Nel 1990 F.A. quale terzo trasportato restava vittima di un sinistro stradale, in cui riportava gravi lesioni, causato dallo scontro del ciclomotore con un autocarro, di proprietà della ditta C.E.A.P. S.p.A., condotto da C.A. . Non avendo ottenuto alcun risarcimento in sede stragiudiziale, il padre dell’allora minorenne A. , con il patrocinio legale dell’Avv. V.S. , conveniva in giudizio C.A. e l’impresa garante per la RC dell’autocarro da quest’ultimo condotto. La scelta del difensore di F. si orientava nel senso di non citare in giudizio il conducente del ciclomotore, T.M. . Il procuratore della parte attrice rilevava che l’atto introduttivo non era stato notificato alla C.EA.P. S.p.A., proprietaria dell’autocarro, domandando al Giudice adito la concessione di un termine volto all’integrazione del contraddittorio. Il termine veniva accordato, ma decorreva inutilmente senza che il procuratore V. procedesse alla notifica della citazione. Successivamente, il giudizio veniva interrotto in ragione della messa in liquidazione amministrativa coatta della compagnia assicurativa Firs S.p.A., per poi essere riassunto anche nei confronti della C.E.A.P. S.p.A., nel frattempo incorporata dalla F.lli Costanzo S.p.A Quest’ultima eccepiva il difetto di integrità del contraddittorio, da cui derivava, inesorabilmente, la dichiarazione di nullità di estinzione. Nelle more del giudizio sopravveniva il decesso del procuratore della parte attrice, il quale veniva sostituito dall’Avv.to R.V. , che ometteva di informare il F. dello stato della causa, nonché del probabile suo esito negativo derivante dall’errore commesso dall’Avv.to V. . Invero, in ragione del difetto di integrazione del contraddittorio, il Giudice di prime cure dichiarava improcedibile la domanda, per intervenuta estinzione del giudizio. F.A. , nelle more divenuto maggiorenne, conveniva in giudizio V.V. , V.G.M. e V.E.R. , quali eredi di V.S. , e R.V. per sentirli condannare al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata integrazione del contraddittorio e dalla violazione degli obblighi di informazione, stante non solo la mancata possibilità di ottenere giustizia in quel giudizio, ma altresì l’impossibilità di soddisfare la sua pretesa risarcitoria in un nuovo giudizio, per intervenuta prescrizione del diritto. Il Tribunale di Catania con sentenza n. 496/1999 rigettava la domanda, ritenendo che comunque le modalità con cui si era verificato il sinistro non avrebbero fatto sorgere alcun diritto al risarcimento in capo all’attore, non potendosi imputare ai convenuti la colpa del mancato soddisfacimento della pretesa risarcitoria. 2. La Corte d’Appello di Catania, con sentenza n. 1039 del 24 giugno 2016, confermava la decisione del giudice di prime cure. 3. Avverso tale pronunzia F.A. propone ricorso per cassazione sulla base di 2 motivi. 3.1. Gli intimati non svolgono attività difensiva. 4. È stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, la proposta di inammissibilità del ricorso. Considerato che 5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio con le seguenti precisazioni, di condividere le conclusioni cui perviene la detta proposta. 5.1. Il ricorrente con il primo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1175, 1176, 1337 c.c., 2 Cost., 9, comma 4, del d.l. 1/2012, e vizio di illogicità della sentenza impugnata, ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. per avere la Corte negato che la controparte avesse omesso di adempiere gli obblighi assunti con l’accettazione del mandato, e in modo particolare all’obbligo di integrazione del contraddittorio, nonché di informativa in favore del cliente circa l’attività legale espletata ed espletanda, determinando inesorabilmente la decadenza del F. dal far valere il proprio diritto al risarcimento del danno. Si duole che la decadenza in cui è incorso l’attuale ricorrente sia dipesa dalla negligenza dei procuratori nell’espletamento delle loro attività professionali, evidenziandosi che la buona fede e la correttezza, valorizzate dall’ermeneutica dottrinale e giurisprudenziale, siano divenute clausole generali dalla specifica valenza in materia di responsabilità contrattuale. Alla luce dei principi appena menzionati, l’obbligo informativo permarrebbe durante tutto il corso del rapporto, una volta stipulato il contratto d’opera professionale, costituendo una vera e propria obbligazione di risultato. Pertanto, i professionisti convenuti potrebbero andare esenti da responsabilità soltanto qualora dimostrino di essere stati diligenti e di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. 5.2. Con il secondo motivo si duole della violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2054, 2697 c.c., 111 Cost., e vizio di illogicità della sentenza impugnata ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. per avere negato la Corte territoriale che vi fosse la responsabilità solidale dei conducenti dei mezzi coinvolti nel sinistro stradale sulla base del verbale delle autorità intervenute sul luogo, omettendo di valutare contra ius il mancato accoglimento, da parte del giudice di primo grado, dei mezzi di prova richiesti dalla parte attrice senza una valida motivazione, nonché per aver statuito che l’onere della prova circa gli specifici elementi di responsabilità del sig. C. dovesse gravare sull’istante attuale. 6. I due motivi sono inammissibili per la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione diversi, facenti riferimenti alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali sono quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Cass. n. 19133/2016 . Ma in ogni caso il ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La C.A., richiamato il principio per cui il danno derivante da eventuali omissioni del professionista intanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito nella specie, il gravame, se tempestivamente proposto, sarebbe stato giudicato fondato , secondo un’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, e non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici Cass. n. 2836 del 2002 , ha ritenuto infondato l’assunto per cui il trasportato va sempre risarcito dall’uno o dall’altro conducente, posto che, pur operando la presunzione di cui all’art. 2054 c.c., quello evocato in giudizio può ben provare di non essere responsabile, precisando che sulla valutazione della esclusiva responsabilità del T. non era stato proposto appello. Pertanto con congrua e logica motivazione il giudice d’appello ha ritenuto che la violazione del dovere deontologico nei confronti dell’avv. V. era inammissibile perché questione nuova affermazione non impugnata e nei confronti dell’avv. R. era infondato perché privo di prova della mancata informazione. Ma neanche è stata impugnata l’affermazione del giudice di prime cure secondo cui non c’era nesso causale tra inadempimento dell’obbligo di informazione e preteso danno. Per quanto riguarda, in particolare, il secondo motivo il giudice ha ritenuto che la responsabilità dell’incidente era da attribuirsi tutta al conducente della moto così superando la presunzione ex art. 2054, conducente che non era stato convenuto in giudizio. 7. Non occorre dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale ammesso al gratuito patrocinio, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma disporre sulle spese in considerazione del fatto che gli intimati non hanno svolto attività difensiva. P.Q.M. la Corte del comma 1-bis del citato art. 13.