La parcella non è vincolante se non è stata pattuita o accettata dal cliente

Al fine di confutare efficacemente la determinazione giudiziale del compenso, non è sufficiente far riferimento ad una precedente notula, a meno che la stessa non abbia assunto, per essere stata pattuita con un accordo negoziale o accettata dal cliente, carattere vincolante.

La seconda sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 2575, depositata il 2 febbraio 2018 si è occupata di compensi professionali richiesti e liquidati in misura superiore a quelli richiesti con la prima parcella e di legittimazione attiva dell’associazione professionale. Il fatto. Uno studio professionale associato intraprendeva un giudizio al fine di ottenere la condanna di una società di diritto spagnolo al pagamento del compenso professionale maturato da un proprio associato, in ragione dello svolgimento di un incarico professionale avente per oggetto la consulenza per il compimento di un’operazione societaria. La convenuta sosteneva che l’incarico professionale era stato affidato ad altro studio professionale e che la prestazione eseguita dal professionista dello studio associato era stata resa in favore di diversa società e che in ogni caso il compenso era da ritenere eccessivo. Interveniva nel giudizio il singolo professionista che, a sua volta, domandava il pagamento del compenso maturato. La domanda era ritenuta inammissibile dal Tribunale che al contempo respingeva la richiesta del professionista intervenuto per prescrizione della relativa azione. In Corte di Appello la sentenza era riformata con conseguente condanna della società al pagamento della prestazione professionale, sulla scorta della liquidazione tariffaria posta in essere dal consulente del Giudice. La legittimazione processuale dello studio professionale associato. La sentenza era così impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione. Delle doglianze proposte in questa sede ci si sofferma sulla violazione e falsa applicazione delle norme in materia di legittimazione attiva processuale. In buona sostanza si contestava la decisione della Corte d’Appello che, ribaltando il giudizio di primo grado, aveva ritenuto lo studio associato legittimato attivamente ancorché la prestazione professionale fosse stata espletata dal singolo professionista. Il ricorrente riteneva che lo studio associato non potesse sostituirsi ai singoli professionisti nei rapporti con la clientela, ove si trattasse di prestazioni necessitanti particolari abilitazioni di cui solo il singolo associato è in possesso. Gli Ermellini, respingendo il motivo di ricorso, evidenziavano che ai sensi dell’art. 36 c.c. le associazioni non riconosciute, quanto ai rapporti interni ed all’amministrazione, sono regolate dagli accordi tra gli associati che, pertanto, proprio in ragione di tale autonomia, possono conferire all’associazione il potere di far sottoscrivere contratti, titolarità di rapporti delegati agli aderenti e dagli stessi personalmente curati. Nell’ipotesi in cui il Giudice del merito accerti la sussistenza dei citati elementi in capo allo studio associato, potrà validamente ritenere lo studio professionale associato legittimato attivo, in quanto portatore di un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici. Con conseguente diritto dello stesso di attivarsi per il recupero dei crediti relativi alle prestazioni svolte dai singoli professionisti. In questa prospettiva quindi la Corte di Cassazione ha considerato tardive le contestazioni mosse dal ricorrente in merito all’esistenza di accordi interni che attribuissero all’associazione la titolarità di un diritto di credito inerente ad una prestazione resa dal singolo associato. La parcella liquidata in misura superiore alla parcella determinata dal professionista. Merita di essere annoverato anche il motivo di ricorso relativo alla liquidazione della parcella in misura superiore al compenso determinato dal professionista. I Giudici di legittimità evidenziavano che la parcella redatta dal professionista non ha valore vincolante se non quando la stessa sia stata espressamente accettata dal cliente o sia conforme ad un accordo pregresso. Pertanto, nell’ipotesi in cui il professionista, dopo aver redatto e presentato al proprio cliente una parcella, chieda al proprio cliente, per la medesima attività, il pagamento di una diversa e maggiore parcella, il giudice può valutare se, nel caso specifico, sussistono elementi che rendano legittima e giustificata la maggiore richiesta di compenso. In tale ambito la valutazione del Giudice, ove adeguatamente motivata e comunque rispettosa dei parametri previsti dalla legge professionale, non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità. Conseguentemente la Cassazione rigettava il ricorso con conferma della sentenza di secondo grado.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 5 dicembre 2017 – 2 febbraio 2018, numero 2575 Presidente Mazzacane – Relatore Federico Esposizione del fatto Con citazione notificata il 15 gennaio 1999 lo Studio professionale associato F.D.N. -P.P. Dottori Commercialisti conveniva innanzi al Tribunale di Massa la Gonvarri Industrial spa, per sentirla condannare al pagamento del compenso dovuto per lo svolgimento di incarico professionale, avente ad oggetto la consulenza ed assistenza nel compimento di un’operazione societaria, avente ad oggetto il subentro di detta società nella quota di partecipazione al capitale sociale della Emisider di Parma, pari al 65%, utilizzando strumenti alternativi alla cessione delle quote. La Gonvarri, costituitasi, resisteva deducendo che l’incarico era stato affidato a professionisti appartenenti ad un diverso studio professionale studio Cuatercasas , che le prestazioni professionali del dott. D.N. avrebbero avuto come controparte contrattuale e destinataria la società Emisider e che, in ogni caso, il compenso pattuito doveva ritenersi eccessivo. Successivamente interveniva volontariamente in giudizio il dott. D.N. , chiedendo l’accoglimento delle domande proposte dalla studio associato ed, in ogni caso, la condanna della convenuta a corrispondergli in proprio le somme liquidate. Il tribunale, espletate consulenze tecniche d’ufficio, dichiarava inammissibile la domanda dello studio associato D.N. -P. e respingeva la domanda dell’interveniente D.N. nei confronti di Gonvarri Industrial s.a. per intervenuta prescrizione della relativa azione. Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello sia lo studio associato che il D.N. in proprio. La Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, condannava l’appellata Gonvarri al pagamento di 233.570,00 Euro oltre ad interessi e dichiarava assorbite le domande proposte dal dott. D.N. , in proprio e quale associato. La Corte territoriale, in particolare, ritenuto che l’atto di appello dello studio associato era stato validamente notificato, affermava la legittimazione dell’associazione professionale ai sensi dell’art. 81 cpc, in ragione del fatto che la stessa aveva formulato la domanda di condanna nei confronti della Gonvarri in proprio per l’attività professionale fornita tramite uno dei suoi associati. Il giudice di appello affermava, inoltre, la tardività della contestazione della Gonvarri in ordine alla titolarità del rapporto, in quanto sollevata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni. Avuto riguardo all’ammontare del credito, la Corte, condividendo le conclusioni del Ctu, riconosceva i massimi di tariffa, in considerazione della natura, degli elementi caratterizzanti e del valore della prestazione professionale, nonché del risultato economico e dei vantaggi conseguiti dal cliente. Applicava inoltre la maggiorazione di cui all’art. 6 comma 1 della Tariffa professionale in misura del 50%, ed una riduzione del 20% ex art. 15 della Tariffa, per essere stata l’attività professionale svolta in concorso con altri professionisti. L’appello del dott. D.N. , in proprio, veniva dichiarato assorbito per effetto dell’accoglimento, nei limiti su indicati, dell’appello dell’associazione professionale. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso la Gonvarri Corporacion Financiera s.l. già Gonvarri Industrial s.a. , con sei motivi. Lo studio Associato D.N. e P. ed il dott. F.D.N. in proprio hanno resistito con controricorso. Motivi della decisione Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 82 RD 37/1934 e dell’art. 330 cpc, in relazione all’art. 360 numero 4 cpc, deducendo l’inesistenza o nullità dell’impugnazione, con conseguente inammissibilità dell’appello, per intervenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata. La ricorrente deduce al riguardo che l’atto di appello proposto dallo studio associato D.N. e P. , nonché dal dott. D.N. in proprio, era stato notificato sia presso lo studio dell’avv. Girolamo Farusi, che si era peraltro nel frattempo cancellato dall’albo, sia presso lo studio dell’avv. Giuseppe Contino in Parma, cioè in un luogo extra-districtum. Da ciò, ad avviso del ricorrente, l’inesistenza della notifica. La successiva costituzione in giudizio della odierna ricorrente, dunque, era del tutto inidonea a sanare detta inesistenza, posto che la sentenza era nel frattempo passata in giudicato. E ciò anche nell’ipotesi in cui si ritenesse configurabile non già l’inesistenza ma la nullità della notifica, attesa l’efficacia ex nunc della sanatoria per tardiva costituzione in giudizio dell’appellata, inidonea a far venir meno il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Il motivo è infondato. Va anzitutto esclusa l’inesistenza della notificazione. L’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è infatti configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali, idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono a nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato b nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege , eseguita , restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa. Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita, in particolare, non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc , o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità , o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c. Cass. Ss.Uu. 14916/2016 . Nel caso di specie, dunque, la costituzione in giudizio dell’appellata ha sanato con efficacia ex tunc la nullità della notificazione. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 81 cpc, degli art. 2229 c.c. e agli articolo 1 e 2 l.1815 del 1939 per avere la Corte ritenuto la legittimazione attiva dello studio associato D.N. -P. , a fronte di un’attività professionale svolta dal dott. D.N. in proprio. Da qui la mancanza di un diritto di credito dello studio professionale e la conseguente carenza di legittimazione attiva, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Secondo la prospettazione della ricorrente lo studio professionale associato non può sostituirsi ai singoli professionisti nei rapporti con la clientela, ove si tratti di prestazioni per le quali la legge richiede particolari titoli di abilitazione di cui soltanto il singolo può essere in possesso, ed inoltre esso può stare in giudizio in persona dei componenti o di chi abbia la rappresentanza legale, ma solo a condizione che la prestazione di cui si chiede la liquidazione non abbia natura personale. Il motivo è destituito di fondamento. Conviene premettere che, come questa Corte ha già affermato, l’art. 36 cod. civ. stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati. Ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato - cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici - rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi Cass. 15694/2011 15417/2016 . Rilevato dunque che l’associazione professionale costituisce autonomo centro di imputazione giuridica, e che l’odierna ricorrente ha contestato tardivamente l’esistenza di un accordo interno che attribuisse all’associazione la titolarità del diritto di credito a fronte di prestazione professionale posta in essere da uno degli associati, non può configurarsi la carenza di legittimazione attiva della associazione stessa, la quale ha chiesto, in proprio, il pagamento del compenso derivante dall’attività professionale dal D.N. , quale credito dell’associazione. Il terzo motivo denuncia violazione degli articolo 115 e 116 cpc in relazione all’art. 360 numero 3 cpc, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 numero 5 cpc, in relazione alla prova di incarichi professionali dai quali possa discendere un diritto di credito dello studio professionale nei confronti della ricorrente. Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha infatti accertato, con valutazione di merito, logica ed adeguatamente motivata e dunque non sindacabile nel presente giudizio e fondata sull’esame delle complessive acquisizioni istruttorie, l’esistenza dell’obbligazione della ricorrente di pagare il compenso in favore dello studio professionale per l’opera prestata. Il giudice di appello ha infatti fondato il proprio convincimento non solo sul conseguimento del risultato in capo alla ricorrente, ma pure sulla valutazione dell’ampia corrispondenza intercorsa tra le parti, nonché sugli accertamenti del Ctu, desumendo la prova del rapporto tra le parti dalla complessiva valutazione degli elementi acquisiti in atti. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 2399 c.c., nonché degli articolo 115 e 116 cpc, in relazione all’art. 360 numero 3 cpc, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 numero 5 cpc, avuto riguardo all’omessa valutazione della valenza impeditiva della carica di sindaco o consuelnte di Emilsider spa, controllata dalla ricorrente, rispetto alle pretese economiche fatte valere nel presente giudizio contro Gonvarri. La ricorrente rileva al riguardo che nel periodo in cui furono svolte le pretazioni professionali per cui è causa il D.N. ricopriva la carica di sindaco della società Emilsider, controllata dalla Gonvarri al 99%. Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza. L’art. 2399 c.c. nella formulazione anteriore alla riforma delle società di cui al d.lgs. 6/2003, applicabile ratione temporis al caso di specie, disponeva infatti l’ineleggibilità, o se eletti, l’automatica decadenza dalla carica di sindaco di coloro che erano legati alla società o alle società da questa controllate da un rapporto continuativo di prestazione d’opera retribuita. Tale disposizione prevedeva dunque quale conseguenza dell’incompatibilità tra la qualifica di sindaco e l’attività di consulenza la sanzione dell’ineleggibilità all’ufficio di sindaco o la decadenza, ma non l’inefficacia del contratto di consulenza, né il venir meno del diritto ad ottenere il compenso per detta attività. Il quinto motivo denuncia la violazione dell’articolo 2233 c.c., dell’art. 115 cpc, nonché l’omessa valutazione di una prova documentale e l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, in relazione alla lettera, datata 12 luglio 1997, a firma del dott. D.N. , contenente la determinazione del proprio compenso per l’attività professionale svolta, in misura di Lire 110.000.000. Pure tale motivo va respinto, in quanto il documento in esame, prodotto peraltro oltre il termine di cui all’art. 184 cpc e direttamente preso in esame dalla ctu, è carente di decisività. Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la parcella per il pagamento dei compensi non ha carattere vincolante salvo che la stessa sia conforme ad un pregresso accordo o espressamente accettata dal cliente Cass. 6454/2008 . Di conseguenza qualora il professionista, dopo aver presentato al proprio cliente una parcella per il pagamento dei compensi spettanti, redatta in conformità ai minimi tabellari, richieda, successivamente, per le stesse attività un pagamento maggiore sulla base di una nuova parcella, il giudice del merito, richiesto della liquidazione, salva l’ipotesi in cui la prima parcella abbia carattere vincolante in quanto conforme ad un pregresso accordo o espressamente accettata dal cliente, ben può valutare se esistono elementi - discrezionalmente apprezzabili - che facciano ritenere giustificata e legittima la maggiore richiesta, fermo restando il necessario apprezzamento di congruità degli onorari richiesti sulla base ed in funzione dei parametri previsti dalla tariffa professionale, il quale, se adeguatamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità. Cass. 621/1997 . Nella formulazione della prima richiesta - invero possono aver assunto un ruolo determinante o concorrente, assieme alla valutazione dell’adeguatezza del compenso all’opera volta in relazione ed in funzione dei parametri contemplati dalla tariffa professionale altre circostanze e considerazioni, oggettive o soggettive ad es. il rapporto amichevole col cliente la situazione di difficoltà economica, nota al professionista, in cui quest’ultimo versi l’attesa o l’aspettativa di un immediato o sollecito soddisfacimento della richiesta ecc. , che abbiano determinato il professionista a contenere particolarmente la richiesta stessa e che più non sussistano all’atto di quella successiva, più elevata, sottoposta al vaglio dell’autorità giudiziaria. La determinazione ovvero la valutazione della congruità del compenso del professionista, sulla base ed in funzione dei parametri previsti dalla tariffa professionale, costituisce infatti esercizio del potere discrezionale del giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato. Al fine di confutare efficacemente la determinazione giudiziale del compenso non è dunque sufficiente far riferimento ad una precedente notula, a meno che la stessa, come sopra evidenziato, non abbia assunto, per essere stata pattuita con accordo negoziale o accettata dal cliente, carattere vincolante. Il sesto, articolato, motivo denuncia la violazione dell’art. 9 comma 1 d.1.2012 numero 1, conv. nella l. 24.3.2012 numero 27 e 41 d.m. 140/2012, lamentando che la Corte d’Appello abbia erroneamente applicato le tariffe di cui al dpr 645/1994, in luogo di quelle introdotte con il d.m. 169/2010, nonché violazione degli articolo 113 e 114 cpc e carenza motivazionale per avere la Corte territoriale ritenuto eccessiva, in modo illogico, incomprensibile ed arbitrario, la riduzione del compenso applicata dalla Ctu. Le diverse censure sono infondate. Pacifico che la prestazione professionale era stata interamente compiuta prima dell’entrata in vigore dei nuovi parametri, introdotti dalla legge 1/2012, da ciò consegue l’applicabilità della tariffa previgente. Agli effetti dell’art. 41 del d.m. numero 140 del 2012, infatti, i nuovi parametri, in base ai quali vanno commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto purché, a tale data, la prestazione professionale non sia ancora completata, sicché non operano con riguardo ai casi, quale quello in esame, in cui la prestazione professionale debba ritenersi completata sotto il regime precedente Cass. 2748/2016 . Del pari infondata l’ulteriore censura avente ad oggetto l’entità della riduzione del compenso da parte del giudice di merito, per. Va al riguardo evidenziata la inammissibilità della doglianza di omessa o illogica motivazione, non più censurabile sulla base della nuova formulazione dell’art. 360 numero 5 cpc, introdotta dall’art. 54 d.l. 83/2012 conv. nella l. 134/2012, applicabile ratione temporis al caso di specie. Del pari inammissibile, per carenza di decisività, la dedotta violazione degli articolo 113 e 114 cpc, atteso che essa non coglie la ratio della pronuncia impugnata. La Corte territoriale, infatti, non ha proceduto ad una giudizio di equità, ma ha piuttosto proceduto a determinare la percentuale di riduzione della tariffa nella misura ritenuta congrua, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, facendo applicazione del potere discrezionale rimesso al giudice di merito e non sindacabile nel presente giudizio. Il ricorso va dunque respinto e la ricorrente va condannata alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto rispettivamente per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla refusione delle spese in favore dello Studio Associato A.D.N. -P.P. Dottori Commercialisti, che liquida in complessivi 8.200,00 Euro, di cui 200,00 per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario, in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.