Codice deontologico e ius superveniens: per le sanzioni irrogate all’avvocato si applica il favor rei

Le norme del codice deontologico forense, approvato nel gennaio 2014, si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, solo se più favorevoli all’incolpato.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 30993/17, depositata il 27 dicembre. Il caso. Un avvocato veniva condannato, con sentenza definitiva, per i reati di appropriazione indebita e falso in scrittura privata, essendosi egli appropriato di un’autovettura ricevuta dal comodatario, autovettura che avrebbe dovuto restituire alla società proprietaria del mezzo, così come dichiarato al comodatario stesso. In aggiunta, il professionista, restando coinvolto in un sinistro stradale mentre si trovava alla guida della suddetta autovettura, compilava falsamente il modulo CID utilizzando le generalità del comodatario stesso. Il COA di Monza applicava nei confronti del professionista la sanzione della cancellazione dall’albo e successivamente, in seguito a ricorso e all’intervenuta abrogazione della sanzione della cancellazione, rideterminava la sanzione nella sospensione dall’esercizio della professione per 3 anni. Il legale propone ricorso per cassazione denunciando l’errata rideterminazione della sanzione applicatagli conseguente all’abrogazione dell’apparato sanzionatorio. L’applicazione dello ius superveniens. Il Supremo Collegio afferma la corretta applicazione della sanzione della sospensione di 3 anni dall’esercizio della professione forense. Difatti, in seguito all’abrogazione, le sanzioni applicabili ai sensi del nuovo art. 22 c.d.f. Sanzioni sono l’avvertimento, la censura, la sospensione sino a 5 anni e la radiazione. Pertanto, le regole in tema di ius superveniens nonché di favor rei risultano correttamente applicate, poiché l’abrogata cancellazione si pone quale sanzione intermedia rispetto la sospensione irrogata e la radiazione, laddove quest’ultima risulta tuttavia più gravosa rispetto alla sospensione. Dunque, il Consiglio Nazionale Forense ha adottato una decisione più favorevole per l’avvocato rispetto a quella che sarebbe derivata dall’applicazione del principio del tempus regit actum facendo corretta applicazione della regola secondo cui le norme del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014 si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato . Nel caso di specie, lo ius superveniens trova applicazione poiché più vantaggioso per l’incolpato e la determinazione dell’entità della sospensione è pienamente congrua con il limite quinquennale stabilito dall’art. 22 c.d.f La Corte dunque rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 5 – 27 dicembre 2017, numero 30993 Presidente Canzio – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. L’avv. P.D. , con sentenza definitiva, è stato condannato per i delitti di appropriazione indebita e falso in scrittura privata, a seguito di fatti divenuti oggetto pure d’incolpazione ai sensi degli artt. 5, 6, 35 del vecchio ordinamento disciplinare. Era accaduto che, negli anni 2006-2007, il professionista si fosse appropriato dell’autovettura di una società cliente, ricevuta da persona comodataria per curarne la restituzione alla società proprietaria, e che il professionista avesse addirittura falsamente compilato e firmato il CID per un sinistro occorsogli con la detta autovettura, usando abusivamente le generalità della persona comodataria. 1.1 Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Monza, con decisione del 14 maggio 2014, ha applicato all’interessato la sanzione della cancellazione dall’albo, avverso la quale l’avv. P. ha proposto ricorso al Consiglio nazionale forense, che, con sentenza del 12 luglio 2016, ha rideterminato la sanzione disciplinare nella sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per il periodo di tre anni. 1.2 Per la cassazione di tale pronunzia il condannato ha proposto ricorso, con contestuale richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Monza ha resistito con deduzioni difensive. 2. Le sezioni unite della Corte, con ordinanza numero 13915 del 5 giugno 2017, hanno sospeso cautelativamente tenuto conto anche della sospensione pre-sofferta l’esecuzione della sentenza, avuto riguardo al solo quarto motivo di ricorso, sul quale hanno osservato come si ponesse, rispetto alla successione delle norme disciplinari, la questione di quale fosse la misura della sanzione applicabile, laddove, individuato il tipo di sanzione in base alle norme vigenti, per tale sanzione queste stabiliscano limiti massimi superiori a quelli fissati dalle norme oramai abrogate e l’organo disciplinare superi, in concreto, il limite massimo irrogabile per quel tipo di sanzione nel regime previgente. 2.1 Da ultimo, il ricorrente replica con memoria ex art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1. Col primo motivo di ricorso, l’avv. P. infondatamente denuncia nullità del capo di incolpazione modificato, violazione del diritto di difesa in relazione a detta modifica, mancata rinnovazione istruttoria. Infatti, pur essendo stato rettificato il capo di incolpazione, è pacifico che la rettifica sia stata tempestivamente portata a conoscenza dell’interessato, il quale ha svolto le proprie difese dinanzi al Consiglio dell’ordine degli avvocati, laddove, nel frattempo, era comunque intervenuto vincolante giudicato penale di condanna. 2. Col gli altri due motivi, da trattarsi congiuntamente, l’avv. P. denuncia - ai sensi dei nnumero 3 e 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. - violazione dell’art. 40, numero 4 , r.d.l. 27/11/1933, numero 1578 Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore e dell’obbligo di motivazione motivo 2 , nonché dell’art. 40, numero 3 , r.d.l. numero 1578/1933, degli art. 1 e 2 cod. penumero e dell’art. 25 Cost. motivo 3 . 3. Preliminarmente va negativamente stigmatizzata la tendenziale promiscuità della formulazione delle censure contenute nel secondo motivo che avviluppa sia asseriti vizi della motivazione, sia l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge disciplinare. Si tratta di censure difficilmente sovrapponibili e cumulabili in riferimento al medesimo costrutto motivazionale che sorregge la sentenza impugnata. 3.1 Comunque, riguardo al secondo ed al terzo motivo, il ricorrente pare dolersi del fatto che il Consiglio nazionale forense, rideterminando la sanzione disciplinare della abrogata cancellazione inflitta dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Monza nella sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale, avrebbe svolto una non consentita attività di commutazione . Il che non risponde al vero, essendosi il giudice di merito limitato a prendere atto dello jus superveniens e a infliggere la sanzione secondo il principio del favor rei, in riferimento alle vicende successorie della legge professionale e delle correlate disposizioni disciplinari. Dunque, il Consiglio nazionale forense ha adottato una decisione più favorevole per l’avv. P. rispetto a quella che sarebbe derivata dall’applicazione del principio del tempus regit actum. Ciò avrebbe comportato l’irrogazione della sanzione della cancellazione, in effetti comminata, in prima battuta, dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Monza, con il provvedimento riformato dal Consiglio nazionale forense. 3.2 Questo, invece, ha fatto corretta applicazione della regola secondo cui le norme del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014 si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato. Infatti l’art. 65, comma 5, della legge 31/12/2012, numero 247 Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense , ha recepito il criterio del favor rei, in luogo del criterio del tempus regit actum Cass., Sez.U., 16/02/2015, numero 3023 . Così come ha fatto corretta applicazione dell’altra regola secondo cui l’art. 22 cod. deont. e l’art. 53 legge numero 247/2012 non prevedono più la sanzione disciplinare della cancellazione dall’albo. Sicché, trattandosi di disciplina più favorevole per l’incolpato rispetto al regime previgente, quella sanzione è inapplicabile - per effetto dell’art. 65, comma 5, cit. - anche nei procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore. Cass., Sez.U., 20/09/2016, numero 18394 conf. Cass., Sez.U., 27/10/2015, numero 21829 . Dunque, i due motivi devono essere interamente disattesi. 4. Infine, col quarto motivo, l’avv. P. denuncia - ai sensi dei nnumero 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. - violazione dell’art. 40, numero 3 , r.d.l. numero 1578/1933, degli art. 1 e 2 cod. penumero , dell’art. 25 Cost. e della legge numero 247/2012. In estrema sintesi, il ricorrente sostiene che il giudice di merito, una volta rilevata l’abrogazione della sanzione della cancellazione dall’albo, avrebbe dovuto applicare la lex mitior costituita dalla previgente sanzione della sospensione da due mesi ad un anno, giammai infliggere la sospensione per tre anni, secondo la più gravosa disciplina della sospensione introdotta dallo jus superveniens. 5. Come si è detto, l’entrata in vigore del codice deontologico determina la cessazione di efficacia delle norme previgenti anche se non specificamente abrogate mentre le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato l’art. 65, comma 5, legge numero 247/2012 . 5.1 Per stabilire le norme disciplinari più favorevoli si pongono, dunque, interrogativi simili a quello che si sono posti per stabilire la legge più favorevole in materia penale. Innanzitutto è logicamente da escludere che si possa procedere alla variegata combinazione delle disposizioni più favorevoli, previgenti e sopravvenute. Il nuovo codice deontologico forense è stato approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31 gennaio 2014, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale numero 241 del 16 ottobre 2014 e, ai sensi dell’art. 73, è entrato in vigore il 16 dicembre 2014, cioè decorsi sessanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Dunque, quando il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Monza ha adottato la decisione del 14 maggio 2014, la sanzione disciplinare della cancellazione dall’albo era ancora vigente, mentre non lo era più al momento della sentenza del Consiglio nazionale forense, che, dunque, ne ha preso atto. Infatti, secondo l’art. 22 cod. deont. e l’art. 53 legge numero 247/2012, le sanzioni disciplinari sono l’avvertimento, la censura, la sospensione e la radiazione art. 30, reg. 21/02/2014, numero 2 . Manca, invece, la cancellazione. Si rammenta che, con riferimento alla re-iscrizione all’albo degli avvocati di chi ha subito la sanzione disciplinare della cancellazione, non trovava applicazione l’art. 47 r.d.l. numero 1578/1933, secondo cui l’avvocato radiato dall’albo non poteva esservi nuovamente iscritto prima che fossero trascorsi cinque anni dal provvedimento di radiazione, essendo la cancellazione meno grave della radiazione sicché la durata del tempo decorso dalla cancellazione poteva essere autonomamente valutata ai fini dell’apprezzamento della sussistenza del requisito della condotta specchiatissima ed illibata che l’art. 17 del medesimo r.d.l. richiedeva per l’iscrizione all’albo Cass., Sez.U., 12/05/2008, numero 11653 . 5.2 Di contro l’attuale radiazione consiste nell’esclusione definitiva dall’albo, elenco o registro, impedisce l’iscrizione a qualsiasi altro albo, elenco o registro ed è inflitta per violazioni molto gravi che rendono incompatibile la permanenza dell’incolpato nell’albo, elenco o registro art. 22, lett. d , cod. deont. conf. art. 53, comma 4, legge numero 247/2012 v. art. 30 reg. . Dunque, una volta scomparsa dal catalogo delle sanzioni la cancellazione dall’albo per effetto della sopravvenuta lex mitior, non resta che applicare al caso di specie integralmente lo jus superveniens. Esso, in luogo della cancellazione, prevede la sanzione meno afflittiva della sospensione, attualmente consistente nell’esclusione temporanea, ampliata sino a cinque anni, dall’esercizio della professione o dal praticantato e si applica per infrazioni consistenti in comportamenti e in responsabilità gravi o quando non sussistono le condizioni per irrogare la sola sanzione della censura art. 22, lett. d , cod. deont. conf. art. 53, comma 4, legge numero 247/2012 v. art. 30, reg. . Se vale, dunque, il principio che la disposizione più favorevole non può risultare dalla combinazione della vecchia con la nuova normativa, non se ne può ricavare arbitrariamente una terza, amalgamando frammenti dell’una e dell’altra conf. Cass. penumero , 04/11/2016, numero 6545 . 5.3 Una volta stabilita, con riferimento al caso concreto, quale sia la disciplina più favorevole, essa non può che essere applicata nella sua integrità. È necessario, in altre parole, applicare peri ntero quella delle due discipline che, nel suo complesso, risulti più favorevole all’interessato conf. Cass. penumero , 28/03/1985, numero 2861 . La relativa valutazione non può essere fatta in astratto conf. Cass. penumero , 22/06/1994, numero 2336 28/11/1997, numero 10919 , perché entrambe le discipline tra cui si pone il raffronto contengono disposizioni più favorevoli e disposizioni meno favorevoli, bensì deve essere effettuata confrontando tutte le conseguenze che deriverebbero, applicando integralmente ciascuna delle due discipline al caso concreto Cass. penumero , 10/02/2004, numero 23274 . Orbene, l’art. 22 del nuovo codice deontologico forense, l’art. 53 del nuovo dell’ordinamento della professione forense legge numero 247/2012 e dell’art. 30 dell’attuale regolamento disciplinare prevedono le sanzioni crescenti dell’avvertimento, della censura, della sospensione da due mesi a cinque anni e della radiazione manca, come si è detto, la sanzione della cancellazione. Dunque, si tratta di nuovo assetto che, entrato in vigore il 16 dicembre 2014, è globalmente più favorevole per l’avv. P. rispetto all’art. 40 r.d.l. numero 1578/1933, che all’epoca dei fatti prevedeva l’avvertimento, la sospensione dall’esercizio della professione per un tempo non inferiore a due mesi e non maggiore di un anno, la cancellazione dall’albo, la radiazione dall’albo. 5.4 Come si è visto la cancellazione dava luogo a conseguenze meno gravi rispetto alla radiazione e più gravi rispetto alla sospensione dall’albo. Perciò, una volta appurata la più favorevole scansione delle sanzioni - che, oltre alla più grave radiazione, oggi non contempla più la cancellazione, ma una sospensione dall’albo più ampia - è la nuova lex mitior a trovare nel caso di specie integrale applicazione, nei nuovi limiti edittali da due mesi a cinque anni di sospensione. Essi, introdotti per coprire anche quegli illeciti di maggior gravità una volta sanzionati con la cancellazione, sono stati rispettati dal Consiglio nazionale forense. Questo ha integralmente applicato la sopravenuta lex mitior, laddove non prevede più la cancellazione dall’albo, ma correlativamente riconosce ambiti temporali più ampi alla sanzione di specie diversa e meno grave della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale, qui concretamente circoscritta al periodo di tre anni, inferiore al massimo edittale di cinque anni. 5.5 In proposito va sottolineato come tutte le violazioni ascritte nei capi d’incolpazione - riguardo agli artt. 5 doveri di probità, dignità, decoro , 6 doveri di lealtà e correttezza , 35 rapporto di fiducia del previgente codice deontologico in relazione alla norma di chiusura dell’art. 60 - trovino puntuale riscontro negli attuali artt. 9 dovere di probità, dignità, decoro, etc. , 11 rapporto fiduciario e 12 dovere di diligenza , in correlazione con la generale responsabilità disciplinare dell’art. 20 e con la violazione della legge penale contemplata dall’art. 4. Inoltre, va tenuto conto, che, così come in passato Cass., Sez. U., 19/09/1967, numero 2178 16/11/1996, numero 10046 23/02/1999, numero 98 , oggetto di valutazione resta tuttora il comportamento complessivo dell’incolpato art. 21, comma 2, cod. deont. , senza che rilevi un principio di stretta tipicità dell’illecito, che, in effetti, non trova applicazione nella materia disciplinare forense, laddove, più che una tassativa elencazione di comportamenti vietati, v’è l’enunciazione dei doveri fondamentali - tra cui quelli di probità, dignità, decoro, lealtà e correttezza artt. 5 e 6 cod. deont. - ai quali l’avvocato deve improntare la propria attività Cass., Sez. U., 18/07/2017, numero 17720 . Ne deriva che - attraverso il sintagma per quanto possibile dell’art. 3, comma 3, legge numero 247/2012 - è possibile perseguire l’illecito sulla base della norma di chiusura, secondo cui la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza comma 2 . Mentre la risposta punitiva prevista dal nuovo codice deontologico artt. 20 e seg. consente di rapportare la sanzione alle condizioni soggettive dell’incolpato e alle circostanze oggettive dei fatti Cass., Sez. U., 11/07/2017, numero 17115 . In ragione del contenuto del ricorso, peraltro, non si porrebbe neppure il problema della tipizzazione degli illeciti e della completezza della normativa riguardo all’art. 20 cod. deont., rispetto all’esplicita disposizione di chiusura che il previgente codice aveva introdotto con l’art. 60. 6. In conclusione, il ricorso deve essere integralmente rigettato. L’assoluta novità di gran parte delle questioni dibattute avuto particolare riguardo alla corretta individuazione della lex mitior - costituisce giustificato motivo per procedere alla integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.