Nessuno sconto dalla Cassazione per l’avvocato inciampato in un grave errore giuridico

La Corte critica fortemente il comportamento dell’avvocato che commette un grave errore giuridico nel considerare una sentenza passibile di revocazione perché contraria ad altra precedente. L’avvocato sostiene l’identicità dell’oggetto delle due sentenze, ma non è così

Sul punto la Suprema Corte con ordinanza n. 26972/17, depositata il 15 novembre. La vicenda. La Corte d’Appello di Lecce rigettava la domanda di revocazione di una sentenza della stessa Corte con la quale l’avvocato appellante era stato condannato al risarcimento dei danni per responsabilità professionale. L’appellante sosteneva che la sentenza dovesse essere revocata perché contraria ad una precedente pronuncia passata in giudicato, ai sensi dell’art. 395, comma 5, c.p.c Secondo la Corte territoriale la sentenza oggetto di richiesta di revocazione, al contrario di quanto sosteneva l’avvocato, era completamente diversa, in relazione alle parti, alla causa petendi e al petitum , rispetto al precedente. La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dall’avvocato. Oggetto delle sentenze diverso. Il ricorrente sostiene in Cassazione, che contrariamente a quanto emerge dalla valutazione dei Giudici di merito, i fatti di causa decisi nella sentenza revocanda e nella sentenza passata in giudicato fossero identici. È principio consolidato dalla Suprema Corte che una sentenza può considerarsi contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata ed essere per questo oggetto di revocazione solo se tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad esso antitetico, non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico . In relazione a ciò, la Cassazione ha osservato che il ricorrente è incorso in un grave errore giuridico. Infatti emerge dalla valutazione delle rispettive sentenze che gli oggetti non coincidono né per causa petendi né per petitum. Nella sentenza passata in giudicato si faceva riferimento al risarcimento danni da inadempimento di un contratto di appalto, al contrario la sentenza impugnata condannava il ricorrente al risarcimento danni derivanti dall’inadempimento della prestazione professionale. L’avvocato negligente condannato al risarcimento. La Corte, oltre a rigettare il ricorso, ha ritenuto di dover applicare d’ufficio l’art. 96, comma 3, c.p.c. Responsabilità aggravata . Secondo la S.C. la norma di natura sanzionatoria è riconducibile all’agire abusivo della parte e/o del difensore che utilizza impropriamente i mezzi processuali pur conoscendo l’inammissibilità o infondatezza delle argomentazione difensive. Nella specie l’argomentazione dell’avvocato secondo cui il giudicato formatosi nei confronti di un suo assistito costituirebbe precedente contrario alla successiva causa intentata nei suoi confronti, è manifestamente insostenibile ed integra colpa inscusabile. Conclude la Corte sottolineando che il ricorrente abbia agito senza aver compiuto alcuno serio sforzo interpretativo, deduttivo, argomentativo, per mettere in discussione con criteri e metodo di scientificità la giurisprudenza consolidata ed avvedersi della totale carenza di fondamento del ricorso . Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente d’ufficio al pagamento in favore della parte resistente di un somma determinata in via equitativa.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 3 ottobre 15 novembre 2017, n. 26972 Presidente Travaglino Relatore Olivieri Fatti di causa Decidendo sulla impugnazione proposta dalla avv. M.A. per revocazione della sentenza emessa in data 27.3.2012 dalla Corte d’appello di Lecce con la quale era stato condannato a risarcire i danni subiti da G.L. , in conseguenza della accertata responsabilità professionale dello stesso legale il quale omettendo negligentemente di informare la propria assistita G. delle modalità di riassunzione della causa interrotta a seguito del decesso del genitore già parte in causa, aveva determinato la irrevocabilità del decreto ingiuntivo opposto, che era stato emesso a favore della ditta L. per il pagamento di corrispettivi per fornitura di vetri antisfondamento da installare nel locale commerciale del genitore la predetta Corte di appello rigettava, con sentenza 15.4.2015 n. 174, la domanda di revocazione ex art. 395 col n. 5 c.p.c., in quanto la causa decisa con sentenza in data 29.11.2004 n. 2684 del Tribunale di Taranto passata in giudicato concerneva fattispecie del tutto diversa in relazione tanto alle parti, quanto alla causa petendi ed al petitum . La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione dall’avv. M. con un unico motivo, illustrato da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c Resiste con controricorso la G. . Ragioni della decisione Con l’unico motivo di ricorso rubricato violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360co1 n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 395 col n. 5 c.p.c. , il ricorrente si duole del rigetto della domanda di rievocazione deducendo che i fatti di causa decisi nella sentenza revocanda Corte appello di Lecce in data 27.3.2012 e nella sentenza passata in giudicato Tribunale Taranto 29.11.2004 erano identici in quanto in entrambe le cause egli difendendo il proprio assistito Filippo G. aveva proposto domanda riconvenzionale di risarcimento danni da inesatto adempimento contrattuale nei confronti della ditta L. , domanda sulla quel si era pronunciato con efficacia di giudicato il Tribunale di Taranto con valenza preclusiva del medesimo accertamento oggetto della causa decisa con la sentenza revocanda. Il motivo è manifestamente inammissibile, essendo incorso il ricorrente in grave errore giuridico, venendo a confondere gli effetti della efficacia preclusiva del giudicato, operante in relazione ai giudizi di merito in cui erano costituite le medesime parti, G.F. e la ditta L. , aventi ad oggetto, rispettivamente, domanda di pagamento di compensi ulteriori per lavori extracontrattuali eseguiti dalla ditta oltre quelli previsti dal contratto di appalto per l’allestimento di locali commerciali del G. , ed opposizione a decreto ingiuntivo emesso a favore della ditta per il pagamento di corrispettivi relativi alla installazione nei predetti locali di ventri antisfondamento e nei quali il G. aveva proposto identiche domande riconvenzionali per risarcimento danni derivanti da inadempimento contrattuale, con il diverso giudizio, del tutto autonomo e tra parti diverse - l’avv. M. quale convenuto e l’attrice G.L. - avente ad oggetto la pretesa risarcitoria formulata dalla G. per negligente condotta professionale tenuta dall’avv. M. nell’espletamento del mandato ad litem relativo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, giudizio che costitutiva esclusivamente l’antefatto storico in relazione al quale doveva essere accertata la allegata responsabilità del professionista, e che aveva dunque oggetto del tutto distinto per causa petendi contratto di appalto e petitum corrispettivi pretesi dall’appaltatore e risarcimento danni preteso dal committente per l’inadempimento dell’appaltatore dalla causa di responsabilità professionale decisa dalla Corte d’appello di Lecce con la sentenza revocanda, fondata quanto a causa petendi sul contratto d’opera professionale nello schema quale si inquadra il contratto di patrocinio e quanto a petitum sulla pretesa risarcitoria relativa ai danni derivati dall’inadempimento della prestazione professionale. Va dunque ribadito il principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 395, n. 5, cod. proc. civ., perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, e, quindi, essere oggetto di revocazione, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad esso antitetico, non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico, restando poi la contrarietà con la sentenza avente autorità di cosa giudicata ipotizzabile solo in relazione all’oggetto degli accertamenti in essa racchiusi, e risultando l’apprezzamento del giudice della revocazione al riguardo sottratto al sindacato di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12348 del 27/05/2009 id. Sez. 2, Sentenza n. 23815 del 21/12/2012 . In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo. Ritiene il Collegio, inoltre, di dover applicare di ufficio la disposizione dell’art. 96, comma 3, c.p.c., come novellato dall’art. 45, comma 12, della citata legge n. 69/2009, con effetto per i giudizi instaurati a far data dal 4.7.2009 nella specie il giudizio di rievocazione è stato introdotto in primo grado cin atto di citazione in data 9.7.2012 . La norma, che riveste natura sanzionatoria ed ha ricevuto l’avallo del Giudice delle Leggi Corte costituzionale sentenza 23 giugno 2016 n. 152 , dispone in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice anche d’ufficio può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata e si ricollega all’agire abusivo della parte e/o del difensore che utilizza in modo improprio i mezzi processuali o per cagionare un danno patrimoniale alla controparte condotta dolosa ovvero al mero fine di ritardare l’attuazione del diritto che viene opposto, pur conoscendo la manifesta inammissibilità od infondatezza delle argomentazioni difensive svolte artt. 360 bis, 375co1 n. 5 e 380 bis c.p.c. , o ancora, inutilmente, producendo uno spreco di attività giuridica e processuale che concorre gravemente alla disorganizzazione di una efficiente risposta del sistema giudiziario alle istanze di tutela, in quanto se pure non conoscendo avrebbe tuttavia certamente dovuto conoscere, adottando la specifica diligenza richiesta al professionista legale, la manifesta inammissibilità od infondatezza delle tesi sostenute in giudizio condotta qualificata da colpa grave . Nella specie - la ipotesi sostenuta dal ricorrente avvocato secondo cui il giudicato formatosi nei confronti di un suo assistito verrebbe ad esplicare efficacia preclusiva nella successiva causa intentata nei suoi confronti dal medesimo assistito nella specie dall’erede sull’assunto -manifestamente insostenibiledi una identità di parti nelle due case, integra la grave ed inescusabile colpa richiesta dalla norma, atteso che, tanto più in considerazione della specifica qualità professionale, deve ritenersi che il ricorrente non abbia adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione e comunque abbia agito senza aver compiuto alcun serio sforzo interpretativo, deduttivo, argomentativo, per mettere in discussione con criteri e metodo di scientificità la giurisprudenza consolidata ed avvedersi della totale carenza di fondamento del ricorso Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18057 del 14/09/2016 id. Sez. 3 -, Sentenza n. 20732 del 14/10/2016 . Pertanto il ricorso oggetto del presente giudizio deve ritenersi proposto quanto meno con colpa grave, e la parte ricorrente deve essere condannata ex officio al pagamento in favore della parte resistente, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma determinata in via equitativa in base alla liquidazione di queste ultime e che può essere stabilita in misura pari ad Euro 2.000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, da distrarsi a favore dell’avv. Giuseppe Barbaro dichiaratosi antistatario. Visto l’art. 96 comma 3 c.p.c., condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte resistente di una somma pari ad Euro 2.000,00 oltre interessi corrispettivi dalla pubblicazione della sentenza al saldo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Dpr 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1 comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.