Attività difensiva alle udienze penali: la parcella va integrata, anche se l’avvocato assiste passivamente

All’avvocato, che in un procedimento penale abbia partecipato ad udienze nelle quali siano state svolte attività istruttorie o difensive, spetta l’integrazione dell’onorario prevista dal punto 6.2 esercizio di attività difensive della Tabella C della tariffa approvata con d.m. n. 127/2004 - vigente al tempo dei fatti – anche nel caso in cui in quelle udienze l’avvocato non abbia preso parola od abbia assistito passivamente alle attività svolte dalle altre parti, potendo tale partecipazione silente costituire una scelta consapevole, compiuta per un miglior esercizio del diritto di difesa.

Il caso. E’ quanto ha affermato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con ordinanza n. 21133/2017 del 12 settembre, accogliendo il ricorso di un’avvocatessa, che si era opposta, ex art. 170 d.p.r. n. 115/2002, al decreto con cui le era stato liquidato il compenso per aver difeso un imputato ammesso al gratuito patrocinio, lamentando un’eccessiva decurtazione della parcella, relativamente alle udienze a cui aveva partecipato. Il decreto in questione era stato confermato dal Tribunale. Avverso la statuizione, l’avvocatessa lamentava, in particolare, la violazione della tariffa penale, Capitolo II, Tabella C, allegata al d.m. n. 127/2004. Erroneamente, a suo dire, i giudici di merito avevano omesso di considerare, in relazione alle attività difensive svolte durante le udienze, che la richiamata Tabella C, alla Voce n. 6, contempla ben tre distinte sottovoci a. partecipazione in camera di consiglio o dibattimentale b. esercizio di attività difensive c. discussione orale le quali possono essere congiuntamente liquidate per ogni partecipazione all’udienza. L’esercizio di attività difensive non può essere assorbito nella voce discussione orale. È dunque fondata l’argomentazione secondo cui, oltre al compenso legato alla mera partecipazione, al difensore deve competere anche la voce per lo svolgimento di attività difensive e quella per la discussione orale. Con la precisazione che l’esercizio di attività difensive può consistere anche nella mera assistenza alla discussione delle altre parti quale il pubblico ministero, mentre la relativa voce non può ritenersi assorbita – come invece opinato dal provvedimento gravato – da quella afferente alla discussione orale nell’interesse dell’assistito. Parcella ricalcolata tre voci per ciascuna udienza. Per l’effetto, l’ordinanza impugnata va dunque cassata, e la parcella spettante alla ricorrente va ricalcolata, in modo che sia comprensiva della tre voci previste per ciascuna delle udienze nelle quali ha assistito il soggetto ammesso al gratuito patrocinio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 16 giugno – 12 settembre 2017, n. 21133 Presidente D’Ascola – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione D.A. proponeva opposizione ex art. 170 del DPR n. 115/2002 avverso il decreto del 26 marzo 2015 con il quale le era stato liquidato il compenso quale difensore di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, lamentando un’eccessiva decurtazione della parcella, relativamente alle attività di udienza, nonché l’omessa liquidazione di spese vive e l’erronea decurtazione dei compensi per la percentuale di un terzo in applicazione di quanto disposto dall’art. 106 bis del DPR n. 115/2002. Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 9/10/2015 accoglieva in parte l’opposizione, ritenendo che per la liquidazione dovesse trovare applicazione la tariffa di cui al DM n. 127/2004, essendosi l’attività difensiva esauritasi in epoca anteriore all’introduzione dei parametri di cui al DM n. 140/2012. Inoltre non poteva procedersi alla riduzione di un terzo ai sensi dell’art. 106 bis citato, posto che la norma de qua era stata introdotta sempre in data successiva alla cessazione dell’attività professionale. Andava altresì riconosciuto a titolo di spese vive l’importo documentato di Euro 1,31. Quanto invece alla decurtazione dei compensi per le attività di udienza, il Tribunale rilevava che in merito alle due udienze celebratesi dinanzi al GIP in data 21/10/2008 e 3/2/2010, sebbene il provvedimento fosse carente di motivazione, non poteva accogliersi la richiesta di riconoscere in aggiunta alla voce per la discussione orale, anche quella per attività difensive, posto che quest’ultima si era esaurita nella sola prima attività, occorrendo altresì ritenere che la decisione di cui al decreto di liquidazione era improntata a condivisibili criteri di congruità. Infine, determinava i compensi dovuti per il procedimento di opposizione sulla scorta dei valori minimi in base allo scaglione tariffario previsto per le cause di valore inferiore ed Euro 1.100,00, ritenendo che ricorressero le condizioni altresì per compensare per la metà le spese del giudizio, atteso il solo parziale accoglimento dell’opposizione. D.A. ha proposto ricorso avverso tale provvedimento sulla base di tre motivi. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente sul presupposto della sua tardiva proposizione. Ed, invero emerge che l’ordinanza gravata, di cui si assume l’omessa notifica ai fini della decorrenza del termine breve, è stata depositata in data 9/10/2015, con la conseguenza che il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c. veniva a scadere in data 9 aprile 2016. Il ricorso è stato inoltrato per la notifica a mezzo posta data alla quale occorre guardare per verificare la tempestività dell’impugnazione, non potendosi invece avere riguardo, come vorrebbe la difesa erariale, alla data di consegna all’Avvocatura dello Stato in data 11/4/2016, ma ciò non implica la intempestività del ricorso, posto che il 9 aprile 2015 era un sabato, potendo quindi la parte fruire del differimento del termine al lunedì successivo, in base alla previsione di cui all’art. 155 c.p.c. Il primo motivo di ricorso è fondato. La ricorrente, infatti, denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 82 del DPR n. 115/2002 in relazione all’art. 1 del Capitolo II della tariffa penale del DM n. 127/2004, nonché in relazione alla Tabella C tariffa penale allegata al suddetto Capitolo II. Si deduce che erroneamente il giudice di merito, in relazione alle attività difensive svolte alle suddette udienze, assumendo apoditticamente che la liquidazione fosse congrua, sebbene il decreto impugnato era carente dal punto di vista della motivazione, ha omesso di considerare che la richiamata Tabella C prevede per la partecipazione alle udienze voce n. 6 tre distinte sottovoci, le quali possono essere congiuntamente liquidate per ogni partecipazione all’udienza. Infatti, oltre al compenso legato alla mera partecipazione, al difensore competono la voce per lo svolgimento di attività difensive e quella per la discussione orale, così che, potendo le prime consistere anche nella mera assistenza alla discussione delle altre parti, quali il pubblico ministero, non può ritenersi, come invece opinato dal provvedimento gravato, che la relativa voce resti assorbita dalla discussione orale svolta nell’interesse dell’assistito. A tal fine ritiene il Collegio di dover dare continuità a quanto affermato da questa Corte con la pronuncia n. 8167/2012, la quale ha enunciato il principio di diritto per il quale all’avvocato il quale, in un procedimento penale, abbia partecipato ad udienze nelle quali siano state svolte attività istruttorie o difensive, spetta l’integrazione dell’onorario prevista dal punto 6.2 della Tabella C della tariffa approvata con d.m. 8 aprile 2004 n. 127, anche nel caso in cui in quelle udienze l’avvocato non abbia preso la parola od abbia passivamente assistito alle attività svolte dalle altre parti, potendo costituire tale partecipazione silente una scelta consapevole, compiuta per il miglior esercizio, nel caso concreto, del diritto di difesa. Ne consegue che si palesa illegittima la decisione del giudice di merito di negare anche il compenso correlato allo svolgimento di attività difensiva di cui al punto 6.2 della menzionata Tabella C. Per l’effetto l’ordinanza impugnata deve essere cassata. L’accoglimento del primo motivo determina poi l’assorbimento del secondo e del terzo motivo, che investono nello specifico i criteri seguiti dal giudice di merito per la liquidazione delle spese di lite relative al giudizio di opposizione, attesa la necessità, in ragione dell’accoglimento del primo motivo e della cassazione del provvedimento impugnato, di dover provvedere ex novo alla detta liquidazione. Tuttavia, non essendo necessari accertamenti in fatto, reputa il Collegio di poter decidere nel merito, e che pertanto, in accoglimento integrale delle richieste di cui alla parcella di liquidazione presentata dall’avv. D. , e comprensiva delle tre voci previste per ogni udienza nella quale ha assistito il soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, debba liquidarsi l’importo di Euro 1.478,00, oltre spese vive come liquidate in sede di opposizione. Le spese del presente giudizio e del giudizio di opposizione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso, ed assorbiti i restanti, cassa il provvedimento impugnato, e decidendo nel merito liquida in favore della ricorrente la somma di Euro 1.478,00 per compensi oltre spese vive come liquidate in sede di opposizione Condanna il controricorrente al rimborso in favore della ricorrente delle spese del giudizio di opposizione e del presente giudizio che liquida rispettivamente in Euro 700,00 ed in Euro 600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge.