Sanzionato l’avvocato che divulga la corrispondenza con il collega

Il difensore non deve divulgare la corrispondenza intercorsa con la controparte, neppure a dimostrazione del tentativo di conciliazione posto in essere.

Così le Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 21109/17 depositata il 12 settembre. Il caso. Il CNF respingeva il ricorso di un avvocato avverso la decisione con cui il COA gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della censura, sanzione motivata dalla produzione in un giudizio civile, unitamente alla comparsa di costituzione, della corrispondenza intercorsa con l’avvocato di controparte contenente una proposta transattiva. L’avvocato ricorre in Cassazione dolendosi per la mancata indagine, da parte del COA e del CNF, circa il contenuto ermeneutico della lettera, oltre al fatto che lo scambio di corrispondenza era la dimostrazione dell’avvenuta valutazione di una proposta transattiva a cui le parti erano state espressamente invitate dal giudice. Proposta conciliativa. Il Collegio coglie l’occasione per affermare che la proposta conciliativa” di cui all’art. 91, comma 1, c.p.c. Condanna alle spese deve essere intesa quale proposta formulata da una delle parti in causa, quali uniche titolari di un potere di proposta stricto sensu negoziale. Il giudice ha semmai il potere di sollecitare le parti alla conciliazione, anche con l’eventuale formulazione di ipotesi transattive o conciliative che non possono però definirsi proposte”. Secondo tale meccanismo, l’ipotesi formulata dal giudice può concretizzarsi in una vera proposta” solo nel momento in cui una delle parti la faccia propria e la sottoponga all’altra, ragione che giustifica, quale ricaduta dell’ingiustificato rifiuto, l’addebito delle spese processuali ai sensi dell’art. 91 c.p.c Si appalesa dunque infondato il ricorso nella parte in cui invoca la necessità di divulgare la corrispondenza intercorsa con la controparte a dimostrazione del tentativo di conciliazione posto che la proposta conciliativa deve essere formulata in giudizio dalla parte che ne è autrice dopo di che l’eventuale rifiuto della controparte sarà insito nella mancanza di accettazione, che lo evidenzia di per sé . In conclusione, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 6 giugno – 12 settembre 2017, n. 21109 Presidente Rordorf – Relatore De Chiara Fatti di causa 1. Il Consiglio Nazionale Forense ha respinto il ricorso dell’avv. P.A. avverso la decisione con cui il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della censura per avere prodotto in un giudizio civile corrispondenza intercorsa con l’avvocato di controparte - tra cui quella contenente proposte transattive - con la comparsa di costituzione del 16 febbraio 2012 e con la memoria ai sensi dell’art. 183, comma sesto, n. 1, cod. proc. civ. dell’8 marzo 2012. Ha ritenuto, in particolare, corretta l’interpretazione dell’art. 28 del codice deontologico forense nel testo anteriore a quello attualmente vigente approvato dal CNF nella seduta del 31 gennaio 2014 quale previsione del divieto assoluto di esibizione in giudizio di corrispondenza con colleghi contenente proposte transattive, divieto non escluso, in particolare, dall’invito del giudice a transigere dedotto dall’incolpato a propria esimente. 2. L’avv. P. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi. Non vi sono difese di controparte. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 1324, 1362, 1366, 1369 e 1965 con riferimento all’art. 28 del codice deontologico forense, si contesta che la lettera 27 maggio 2011 dell’avvocato di controparte, richiamata nel capo di incolpazione, contenesse una proposta transattiva e si lamenta che né il COA né il CNF abbiano svolto una indagine ermeneutica sul suo contenuto. 1.1. Il motivo è improcedibile non avendo il ricorrente prodotto copia della lettera in questione, ai sensi dell’art. 369, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. 2. Il secondo motivo di ricorso, con cui si denuncia violazione degli artt. 91, 96, 185 e 185 bis cod. proc. civ. con riferimento all’art. 28 del codice deontologico forense, ha per oggetto il secondo comportamento oggetto di incolpazione, individuato nello scambio di corrispondenza intercorso tra i difensori delle parti a seguito dell’invito del giudice a valutare la proposta transattiva dallo stesso giudice formulata ricordando alle parti che avrebbe tenuto conto del loro comportamento nella decisione finale, ai sensi degli artt. 91 e 96, terzo rectius primo comma, cod. proc. civ. Sostiene il ricorrente che il solo modo per consentire al giudice di valutare il comportamento delle parti era, appunto, mettere a sua disposizione la corrispondenza intercorsa tra i difensori sull’ipotesi transattiva. E infatti nella sentenza finale pronunciata il 9 novembre 2016 - prodotta con il ricorso per cassazione - il Tribunale di Milano ha fatto applicazione del disposto di cui all’art. 91 cod. proc. civ. disponendo la compensazione delle spese, nonostante la soccombenza, anche per effetto dell’adesione dell’opponente , difeso dal ricorrente, alla proposta transattiva formulata dal giudice all’udienza del 15/02/2012 e ampiamente documentata con le allegazioni alla memoria istruttoria ex art. 183 comma 6 cpc n. 2 . Ad avviso del ricorrente, un’interpretazione dell’art. 28 CDF che escluda il carattere esimente della produzione di corrispondenza intercorsa tra i difensori sull’ipotesi transattiva formulata dal giudice, è scorretta e tale da frustrare la finalità deflattiva delle liti a base della previsione legislativa di cui all’art. 91, primo comma, cod. proc. civ. 2.1. Va anzitutto rilevata l’inammissibilità della produzione della sentenza 9 novembre 2016 del Tribunale di Milano, effettuata dal ricorrente per la prima volta con il ricorso per cassazione. Tale produzione, invero, eccede i limiti di cui all’art. 372 cod. proc. civ., non attenendo né alla nullità della sentenza impugnata, né alla ammissibilità del ricorso, bensì al merito della causa, che non può essere riesaminato in sede di legittimità. Per quest’ultima ragione è altresì inammissibile la narrazione dei fatti di causa a base del motivo in esame, in particolare nella parte in cui si riferisce di una proposta transattiva formulata dal giudice, della quale non v’è traccia nella sentenza di merito. Per il resto, il motivo è infondato. La proposta conciliativa cui fa riferimento l’art. 91, primo comma, cod. proc. civ. è evidentemente quella formulata da una delle parti in causa, le uniche titolari di un potere di proposta negoziale in senso proprio, su cui possa formarsi l’incontro delle volontà con l’eventuale adesione della controparte il giudice è titolare, semmai, di un potere di sollecitazione delle parti a conciliarsi, formulando al limite non già proposte , bensì mere ipotesi transattive o conciliative, che le parti possono liberamente fare proprie o meno solo nel caso in cui una di esse faccia propria l’ipotesi suggerita dal giudice, questa diverrà una proposta, suscettibile di dar luogo all’accordo conciliativo in presenza dell’accettazione di controparte. Ed è appunto il meccanismo basato sulla proposta conciliativa di una delle parti, che l’art. 91, primo comma, cod. proc. civ. ha inteso promuovere mediante la previsione di una ricaduta dell’ingiustificato rifiuto di controparte sull’addebito delle spese processuali. Ai fini dell’applicazione di tale meccanismo, non v’è nessuna necessità di divulgare la corrispondenza intercorsa tra i difensori, perché la proposta conciliativa cui fa riferimento la norma in esame deve essere formulata in giudizio dalla parte che ne è autrice dopo di che l’eventuale rifiuto della controparte sarà insito nella mancanza di accettazione, che lo evidenzia di per sé, senza alcun bisogno - si ripete - di divulgare la corrispondenza riservata tra i difensori. Né detta divulgazione può essere necessaria al fine di dimostrare l’eventuale giustificazione del rifiuto della proposta conciliativa. Tale giustificazione, infatti, non può che riguardare la proposta risultante ufficialmente agli atti - fino a quando non sia altrettanto ufficialmente ritirata - non eventuali diverse proposte o ipotesi avanzate nel corso delle trattative. 3. Il ricorso va in conclusione respinto. In mancanza di attività difensiva della parte intimata non occorre provvedere sulle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.