Un compenso per due? No, ogni avvocato ha diritto al proprio onorario

Nel caso in cui il patrocinio in una causa civile sia stato affidato a due avvocati, ognuno di essi ha diritto all’onorario nei confronti del cliente sulla base dell’attività effettivamente svolta.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20554/17 depositata il 30 agosto. Il caso. Avverso la pronuncia con cui veniva rigettata l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso su domanda di due avvocati per l’ottenimento del proprio compenso professionale relativo ad un giudizio di divisione immobiliare, gli opponenti insoddisfatti ricorrono in Cassazione. In particolare i ricorrenti lamentano il criterio di calcolo del compenso dei difensori applicato dal Tribunale che aveva portato al superamento dei massimi tariffari. Base di calcolo. Il Collegio non condivide la doglianza in quanto il provvedimento impugnato risulta aver correttamente applicato il principio giurisprudenziale ormai consolidato secondo cui, ai fini della liquidazione degli onorari degli avvocati, il valore della causa di divisione non è quello della massa attiva ma quello della quota in contestazione, come previsto dall’art. 6 d.m. n. 127/2004. Metà per uno? Il ricorso risulta infondato anche in relazione alla doglianza per la mancata suddivisione al 50%, per ciascuno dei due avvocati patrocinanti, della misura massima degli onorari spettanti per le singole voci. Secondo la costante interpretazione dell’art. 6 cit. infatti, ove più avvocati siano stati incaricati del patrocinio in un procedimento civile, ognuno di essi ha diritto all’onorario nei confronti del cliente sulla base dell’attività effettivamente svolta, ferma restando la possibilità di apportare quella riduzione che fosse reputata giusta in rapporto al concorso degli altri avvocati . La norma citata non impone dunque alcuna obbligatoria riduzione, né alcun automatismo, nemmeno contemplato dal CNF. La Corte precisa poi che il diritto individuale al distinto onorario rimane escluso piuttosto se, essendo stato richiesto il pagamento di una sola parcella, e non essendo state in essa indicate separatamente le prestazione di ciascuno degli avvocati, risulta implicitamente ed inequivocabilmente una reciproca sostituzione nelle singole prestazioni, poi sommate nella specifica .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 giugno – 30 agosto 2017, n. 20554 Presidente Bianchini – Relatore Fatti di causa G.C. , P.M. e P.S. hanno proposto ricorso articolato in unico motivo avverso l’ordinanza resa dal Tribunale di Piacenza il 30/10/2014. Questa ordinanza ha rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 1690/2013, per l’importo di Euro 12.622,10, oltre interessi, emesso su domanda degli avvocati B.E. e S.F.C. led avente ad oggetto i compensi professionali relativi al patrocinio legale prestato in un giudizio di divisione immobiliare in particolare, liquidati in somma di Euro 6.345,77 per l’avvocato B. l ed in Euro 6.237,19 per l’avvocato S.F. . Gli avvocati B.E. e S.F.C. resistono con controricorso. Ritenuta l’applicabilità in rito dell’art. 14, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, il Tribunale di Piacenza ha poi, nel merito, affermato che le modalità di calcolo del compenso liquidato agli avvocati opposti fossero errate, dovendosi determinare il valore della causa di divisione non in base a quello della massa attiva e dunque, nella specie, pari ad Euro 215.761,02 , ma a quello della quota in contestazione nella specie, pari ad Euro 43.190,48 . Pertanto, ha deciso il Tribunale, per liquidare il compenso agli avvocati B.E. e S.F.C. si doveva far capo allo scaglione delle cause ricomprese fra Euro 25.900,01 ed Euro 51.700,00. Pur tuttavia, anche applicando questo scaglione, tenuto conto dei relativi valori massimi, della complessità della vicenda, delle memorie e degli atti difensivi depositati, della partecipazione ad un elevato numero di udienze, dell’importanza delle questioni giuridiche trattate e dei risultati vantaggiosi conseguiti, il compenso dovuto è stato quantificato dal Tribunale di Piacenza nello stesso importo ingiunto, scomputati gli acconti già corrisposti. I ricorrenti hanno presentato in data 22 giugno 2017 memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c Ragioni della decisione I. L’unico motivo del ricorso di G.C., P.M. e Stefania deduce la violazione del combinato disposto dell’art. 1, legge 7 novembre 1957, n. 1051, dell’art. unico, cap. I, art. 1, sub 2, e degli artt. 4 e 6 del d.m. n. 127/2004. Assumono i ricorrenti che, condivisa l’applicabilità dello scaglione delle cause ricomprese fra Euro 25.900,01 ed Euro 51.700,00, occorreva tener conto della rispettiva misura massima degli onorari, per poi suddividerli al 50% per ciascuno dei due avvocati. Vengono perciò allegati conteggi per dimostrare che vi siano stati superamenti dei massimi tariffari ad esempio, per studio controversia Euro 1.500,00 Euro 750,00 per ciascun avvocato a fronte di un massimo tariffario pari ad Euro 835,00 Euro 417,50 per ciascun avvocato per consultazioni clienti Euro 800,00 Euro 400,00 per ciascun avvocato a fronte di un massimo tariffario pari ad Euro 420,00 Euro 210,00 per ciascun avvocato , e così via. I.1. Va premesso, disattendendo così l’eccezione pregiudiziale dei controricorrenti, che è ammissibile il proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. l’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, che dichiara inappellabile l’ordinanza che definisce la procedura ex art. 28 della l. n. 794 del 1942. Poiché l’ordinanza del Tribunale di Piacenza non ha comunque statuito sull’ an del compenso, ma solo sul quantum , neppure qui rileva la questione, oggetto di contrasto, rimessa alle Sezioni Unite con l’ordinanza interlocutoria della VI-2 Sezione civile n. 13272 del 25/05/2017. L’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, per cui, ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato, il valore della causa di divisione non è quello della massa attiva ex art. 12 c.p.c., ma quello della quota in contestazione. In particolare, l’art. 6 del d.m. n. 127 del 2004 nella specie applicabile ratione temporis , pur rinviando in generale al codice di procedura civile per la determinazione del valore della causa ai fini della liquidazione degli onorari a carico del soccombente, deroga a tale rinvio in materia di giudizi divisori, per i quali stabilisce che il valore è determinato in relazione alla quota o ai supplementi di quota in contestazione Cass. Sez. 2, 04/05/2012, n. 6765 . La censura mossa dai ricorrenti è poi infondata, in quanto parte dall’erroneo presupposto per cui il Tribunale, dopo aver ricondotto la causa allo scaglione ricompreso fra Euro 25.900,01 ed Euro 51.700,00, avrebbe dovuto suddividere al 50% per ciascuno dei due avvocati la misura massima degli onorari spettante per le singole voci. I ricorrenti non tengono così per conto dell’art. 6 della legge 13 giugno 1942, n. 794 ancora recepito nell’art. 7 d.m. 8 aprile 2004, n. 127, costituente la disciplina ratione temporis nella specie applicabile , per come costantemente interpretato da questa Corte, nel senso che, ove più avvocati siano incaricati della difesa in un procedimento civile, ciascuno di essi ha diritto all’onorario nei confronti del cliente in base all’opera effettivamente prestata, che deve essere opportunamente dimostrata in caso di contestazioni del cliente, facendosi semplicemente salva dalla disposizione in esame la possibilità di apportare quella riduzione che fosse reputata giusta in rapporto al concorso degli altri avvocati Di tal che, l’art. 6 della legge 13 giugno 1942, n. 794, si limita a garantire la facoltà di tenere conto del concorso degli altri avvocati nella determinazione degli onorari nell’ambito dei minimi e dei massimi previsti dalla tariffa professionale, ma non prescrive alcuna obbligatoria riduzione, né questo automatismo è stato contemplato nelle deliberazioni del Consiglio nazionale forense recepite con i decreti ministeriali. Il diritto individuale al distinto onorario rimane escluso piuttosto se, essendo stato richiesto il pagamento di una sola parcella, e non essendo state in essa indicate separatamente le prestazioni di ciascuno degli avvocati, risulta implicitamente ed inequivocabilmente una reciproca sostituzione nelle singole prestazioni, poi sommate nella specifica laddove, nel caso in esame, gli avvocati B. l e S.F. risultano aver richiesto il pagamento di due distinte parcelle, che ne indicavano separatamente le attività adempiute Cass. Sez. 2, 04/11/2010, n. 22463 Cass. Sez. 2, 12/07/2000, n. 9242 Cass. Sez. 2, 19/10/1992, n. 11448 . II. Il ricorso va perciò rigettato e i ricorrenti vanno condannati a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione. Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.