Ogni avvocato ha un domicilio digitale, addio alla domiciliazione ex lege in cancelleria

Nel caso in cui il difensore abbia omesso di eleggere domicilio nel comune in cui ha sede l’ufficio procedente e salvo che il suo indirizzo PEC sia inaccessibile per cause imputabili al destinatario, non è oggi possibile procedere alle comunicazioni e notificazioni presso la cancelleria posto che l’art. 16-sexies d.lgs. n. 179/2012 ha introdotto il domicilio digitale per ogni avvocato.

Così si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 17048/17 depositata l’11 luglio. Il caso. Nell’ambito di una controversia relativa al pagamento di alcuni canoni insoluti, oltre a interessi, per la locazione di un capannone industriale, la sentenza d’Appello di Milano viene impugnata per cassazione dal locatario. Notificazione della sentenza. Prima di giungere ad esaminare il merito del ricorso, la S.C. ritiene dirimente affrontare l’eccezione di tardività del ricorso formulata dal controricorrente, escludendone il fondamento. La sentenza impugnata era infatti stata notificata presso la cancelleria della Corte d’Appello a causa dell’omessa elezione di domicilio in Milano da parte del locatario, ora ricorrente. Quest’ultimo sostiene però che la notificazione avrebbe dovuto essere effettuata presso l’indirizzo PEC del difensore risultante agli atti, ma il controricorrente invoca il fatto che tale recapito era espressamente destinato alle sole comunicazioni di cancelleria, con esclusione delle notificazione a cura di parte. Tale assunto risulta errato posto che, fermo restando quanto previsto dall’art. 82, comma 2, r.d. n. 37/1934 secondo il quale i procuratori che esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso , tale disposizione deve essere oggi raccordata con il cd. domicilio telematico” e con la disciplina delle notificazioni a mezzo PEC. Domicilio digitale. L’evoluzione giurisprudenziale e normativa in materia, porta gli Ermellini ad affermare che oggi l’unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante ai fini processuali è quello che il difensore ha indicato, una volta per tutte, al Consiglio dell’ordine di appartenenza . Ai sensi dell’attuale art. 125 c.p.c. infatti il difensore non ha più l’obbligo di indicare il proprio indirizzo PEC negli atti di parte, né la facoltà di indicarne uno diverso da quello comunicato al proprio Consiglio dell’ordine o di restringerne l’operatività alle sole comunicazioni di cancelleria. Il difensore deve, piuttosto, indicare il proprio codice fiscale come criterio di univoca individuazione dell’utente SICID, consentendo dunque di risalire all’indirizzo PEC tramite il registro pubblico UNI-PEC istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico ex art. 6- bis d.lgs. n. 82/2005. Ogni avvocato è in conclusione munito di un domicilio digitale” conoscibile da parte di ogni terzo attraverso la consultazione del summenzionato registro, in corrispondenza con quanto comunicato al rispettivo COA e, da questo, al ministero della Giustizia. L’ambito di operatività della domiciliazione ex lege presso la cancelleria risulta limitato ai casi in cui le notificazioni non possano essere effettuate per via telematica per causa imputabile al destinatario. Tornando al caso di specie, la Corte rileva la nullità della notificazione della sentenza impugnata con il conseguente inidoneità a far decorrere il termine breve di impugnazione e il rigetto dell’eccezione di tardività dell’impugnazione, che viene dichiarata infondata nel merito.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 dicembre 2016 – 11 luglio 2017, n. 17048 Presidente Ambrosio – Relatore D’Arrigo Svolgimento del processo La Lario Impianti s.r.l. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Lecco le aveva ingiunto il pagamento, in favore di R.G. , della somma di Euro 11.666,69, oltre interessi e spese di procedimento a titolo di canoni insoluti relativi al contratto di locazione intercorso tra le parti, avente ad oggetto un capannone industriale sito in omissis . L’opponente dedusse che in base alle pattuizioni contrattuali l’immobile doveva essere adibito dalla conduttrice ad uso artigianale-commerciale per la produzione, assemblaggio, stoccaggio di impianti per il sollevamento a terra ed in acqua di natanti in genere, nonché commercializzazione e assistenza tecnica dei prodotti stessi che, avendo la necessità di effettuare all’interno dell’immobile alcuni interventi per renderlo confacente alle proprie esigenze commerciali, presentò al Comune di Garlate apposita richiesta che il Comune non assentì all’intervento, in quanto in contrasto con le previsioni del P.R.G., posto che l’immobile risultava essere inserito all’interno di una zona ad esclusiva destinazione residenziale che tale circostanza, sconosciuta prima di allora alla società conduttrice, integrava gli estremi dell’errore o del dolo idonei ad annullare il contratto di locazione che, in via subordinata, era ravvisabile l’inadempimento di parte locatrice per l’inidoneità dell’immobile all’uso contrattuale che aveva subito ingenti danni, riguardanti le spese sostenute per l’impianto dell’attività, rese vane dall’inutilizzabilità dell’immobile. Nel giudizio si costituì il R. , chiedendo la condanna dell’opponente all’adempimento del contratto con il pagamento dei canoni insoluti. Il Tribunale di Lecco, con sentenza del 6 marzo 2013, revocò il decreto ingiuntivo oggetto di opposizione condannò la parte opponente al pagamento in favore del R. dei canoni insoluti, da marzo ad agosto 2010, per complessivi 10.000,00, oltre interessi legali dalle singole scadenza al saldo compensò tra le parti le spese di lite. La decisione venne appellata dalla Lario Impianti s.r.l. Il R. chiese il rigetto dell’impugnazione e, in via incidentale, la condanna di Lario Impianti S.r.l. all’integrale esecuzione delle opere di manutenzione, miglioria e addizione descritte all’articolo 12 del contratto di locazione, ovvero, nel caso di rifiuto di eseguirle, all’integrale rifusione delle spese da sostenersi per farle realizzare da terzi, nonché al risarcimento dei danni conseguenti al mancato adempimento e al pagamento di tutti i canoni successivamente scaduti. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 19 marzo 2015, ha rigettato l’appello principale e, in parziale accoglimento di quello incidentale, ha condannato la Lario Impianti s.r.l. all’integrale esecuzione delle opere descritte all’articolo 12 del contratto di locazione, salva rivalsa del R. per le spese eventualmente affrontate in surroga in caso di inottemperanza. Contro tale decisione ricorre per la cassazione la Lario Impianti s.r.l., articolando tre motivi di censura. Il R. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive ex art. 378 cod. proc. civ. Motivi della decisione 1.1. Occorre anzitutto esaminare l’eccezione di tardività del ricorso formulata dal controricorrente. L’eventuale fondatezza della stessa, infatti, comporterebbe l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata e la questione del giudicato va esaminata per prima, in quanto investe l’esistenza stessa del potere decisorio cfr. Sez. U, Sentenza n. 15612 del 10/07/2006, Rv. 590180 Sez. 2, Ordinanza n. 15362 del 10/06/2008, Rv. 603865 . Il R. deduce che la sentenza d’appello è stata notificata alla Lario Impianti s.r.l. presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano in data 11 giugno 2015 e che, pertanto, il termine per proporre ricorso per cassazione sarebbe scaduto il successivo 10 settembre, laddove il ricorso è stato effettivamente notificato in data 22 ottobre 2015. La notificazione presso la cancelleria si giustificherebbe in considerazione dell’omessa elezione, da parte della Lario Impianti s.r.l., di domicilio in XXXXXX. La società ricorrente sostiene, invece, che la controparte non avrebbe potuto notificare la sentenza presso la cancelleria della corte d’appello, avendo l’onere di procedere alla notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata risultante in atti. Il R. replica che, nell’atto di appello della Lario Impianti s.r.l., l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore era indicato solamente quale recapito per le comunicazioni di cancelleria quali recapiti cui la Cancelleria potrà effettuare tutte le comunicazioni previste dalla Legge e che questa espressa puntualizzazione escludeva la possibilità di utilizzare il recapito elettronico anche per le notificazioni a cura di parte. 1.2. L’eccezione è infondata. Infatti, la notificazione della sentenza impugnata alla Lario Impianti s.r.l. presso la cancelleria della corte d’appello è nulla e, di conseguenza, è inidonea a determinare la decorrenza del termine per l’impugnazione previsto dall’art. 325 cod. proc. civ Il ricorso, notificato nei termini di cui all’art. 327 cod. proc. civ., è pertanto tempestivo. 1.3. La Lario Impianti s.r.l. ha eletto domicilio, ai fini del giudizio di appello, in Lecco. Ricorrerebbero, dunque, le condizioni alle quali - ai sensi dell’art. 82, comma secondo, del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37 Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore - la Lario Impianti s.r.l. avrebbe dovuto considerarsi domiciliata ex lege presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano. Sennonché la portata di tale disposizione in commento deve essere oggi raccordata con la disciplina del c.d. domicilio telematico e delle notificazioni a mezzo di posta elettronica certificata PEC . Le Sezioni unite hanno infatti osservato che, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 cod. proc. civ., apportate dall’art. 25 della legge 12 novembre 2011, n. 183, esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 cod. proc. civ. per gli atti di parte e dall’art. 366 cod. proc. civ. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine Sez. U, Sentenza n. 10143 del 20/06/2012, Rv. 622883 . 1.4. Successive pronunce di questa Corte hanno tuttavia ridimensionato il rilievo della elezione in senso improprio del domicilio telematico. È stato affermato, infatti, che, mentre l’indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni è idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto può affermarsi nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria Sez. 6 - 3, Sentenza n. 25215 del 27/11/2014, Rv. 633275 Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 2133 del 03/02/2016, Rv. 638920, in motivazione . Alla stregua del citato orientamento, il R. non avrebbe avuto alcun onere di notificare la sentenza a mezzo di PEC, giacché il difensore della Lario Impianti s.r.l. aveva indicato il proprio indirizzo PEC solamente ai fini delle comunicazioni di cancelleria. Conseguentemente, la notificazione della sentenza presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano sarebbe stata idonea a determinare il decorso del termine breve per l’impugnazione art. 325 cod. proc. civ. . Il citato orientamento traeva spunto dal tenore dell’art. 125, primo comma, cod. proc. civ., come modificato dall’art. 2, comma 35-ter del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 c.d. Decreto sviluppo secondo cui, negli atti di parte, il difensore deve, altresì, indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax . In epoca pressoché coeva, la legge 12 novembre 2011, n. 183 Legge di stabilità 2012 , ha modificato anche l’art. 366 cod. proc. civ., in tema di giudizio di cassazione, prevedendo che il ricorrente debba eleggere domicilio in Roma ovvero indicare in ricorso l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine in mancanza, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione. Questi interventi legislativi, evidentemente volti ad incentivare l’uso degli strumenti informatici nel processo civile, risultavano però scarsamente coordinati fra di loro e con le regole preesistenti in materia di notificazioni telematiche. È in tale quadro normativo che si collocano le vicende processuali costituenti oggetto delle pronunce di questa Corte precedentemente citate. 1.5. Tali conclusioni, però, non sono più attuali. Dopo tali pronunce, infatti, la disciplina delle notificazioni telematiche è stata ulteriormente modificata. Anzitutto, l’art. 125 cod. proc. civ. è stato nuovamente rimaneggiato, ad opera dell’art. 45-bis, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari . La modifica è consistita, per l’appunto, nella soppressione dell’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo PEC del difensore. Inoltre, il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha aggiunto al d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 c.d. Agenda digitale , l’art. 16-sexies, intitolato Domicilio digitale . La disposizione prevede che, salvo quanto previsto dall’articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia . Il menzionato art. 6-bis d.lgs. n. 82 del 2005 Codice dell’amministrazione digitale prevede l’istituzione, presso il Ministero per lo sviluppo economico, di un pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata INI-PEC delle imprese e dei professionisti. L’indirizzo di posta elettronica certificata è agganciato in maniera univoca al codice fiscale del titolare. In conclusione, oggi l’unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante ai fini processuali è quello che il difensore ha indicato, una volta per tutte, al Consiglio dell’ordine di appartenenza. In tal modo, l’art. 125 cod. proc. civ. è stato allineato alla normativa generale in materia di domicilio digitale. Il difensore non ha più l’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo di posta elettronica certificata, né la facoltà di indicare uno diverso da quello comunicato al Consiglio dell’ordine o di restringerne l’operatività alle sole comunicazioni di cancelleria. Il difensore deve indicare, piuttosto, il proprio codice fiscale ciò vale come criterio di univoca individuazione dell’utente SICID e consente, tramite il registro pubblico UNI-PEC, di risalire all’indirizzo di posta elettronica certificata. 1.6. Resta invece fermo il contenuto dell’art. 366, comma secondo, cod. proc. civ. che, limitatamente al giudizio di cassazione, che prevede la domiciliazione ex lege del difensore presso la cancelleria della Corte nel caso in cui non abbia eletto domicilio nel comune di Roma, né abbia indicato il proprio indirizzo di posta elettronica. 1.7. In conclusione, oggi ciascun avvocato è munito di un proprio domicilio digitale , conoscibile da parte dei terzi attraverso la consultazione dell’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata INI-PEC e corrispondente all’indirizzo PEC che l’avvocato ha indicato al Consiglio dell’ordine di appartenenza e da questi è stato comunicato al Ministero della giustizia per l’inserimento nel registro generale degli indirizzi elettronici. Tale disciplina implica un considerevole ridimensionamento dell’ambito applicativo dell’art. 82 r.d. n. 37 del 1934. Infatti, come si è visto, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria è oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario. Nelle restanti ipotesi, ovverosia quando l’indirizzo PEC è disponibile, è fatto espresso divieto di procedere a notificazioni o comunicazioni presso la cancelleria, a prescindere dall’elezione o meno di un domicilio fisico nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa. Residua, tuttavia, un ristretto margine di applicazione dell’art. 82 r.d. n. 37 del 1934. Sitratta del caso in cui l’uso della PEC è impossibile per causa non imputabile al destinatario. In tale ipotesi, le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni degli atti vanno effettuate nelle forme ordinarie, ai sensi degli artt. 136 ss. cod. proc. civ. solamente in tale eventualità assume rilievo - ai fini del citato art. 82, secondo comma, r.d. n. 37 del 1934 - l’omessa elezione del domicilio fisico nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario. 1.8. In conclusione, a seguito dell’introduzione del domicilio digitale previsto dall’art. 16-sexies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 così come modificato dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 , non è più possibile procedere - ai sensi dell’art. 82 del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37 - alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi a cui pende la lite, anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario. 1.9. Nel caso di specie, la notificazione della sentenza di appello presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano è avvenuta in data 11 giugno 2015 e quindi successivamente all’introduzione nel nostro ordinamento processuale dell’istituto del domicilio digitale . Consegue che la notificazione deve considerarsi nulla non inesistente v. Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640603 conf. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 2174 del 27/01/2017, Rv. 642740 , in quanto eseguita presso la cancelleria della corte d’appello nonostante il divieto posto dal citato art. 16-sexies d.l. n. 179 del 2012. Alla nullità della notificazione consegue l’inidoneità della stessa a far decorrere il termine di impugnazione di cui all’art. 325 cod. proc. civ., con la conseguenza che il ricorso proposto dalla Lario Impianti s.r.l. prima della scadenza del termine lungo previsto dall’art. 327 cod. proc. civ. è tempestivo. 2. Verificata l’ammissibilità e la tempestività del ricorso, deve passarsi all’esame delle censure che esso muove alla sentenza impugnata. Il ricorso è infondato. 3. Con il primo motivo si deduce che la destinazione d’uso menzionata nel contratto non poteva non essere intesa come esplicativa di un impegno del locatore a garantire l’idoneità dell’immobile allo svolgimento della programmata attività industriale. L’immobile ricadeva ab origine in zona residenziale, sicché era ivi vietata ogni attività artigianale o commerciale, per la quale invece l’immobile era stato concesso in locazione. Non si tratterebbe dunque di verificare le caratteristiche del bene e la loro adeguatezza a quanto richiesto per lo svolgimento dell’attività che il conduttore intendeva esercitarvi, bensì una sostanziale impossibilità assoluta di svolgere l’attività espressamente dedotta nel contratto di locazione. Conseguentemente il contratto andrebbe in via principale annullato per errore o dolo e subordinatamente risolto. La censura è inammissibile nella parte in cui deduce un vizio di motivazione, poiché com’è noto l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione non sono più previsti dall’art. 360, comma primo, n. 5 , cod. proc. civ. come motivi di ricorso per cassazione, con riferimento alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012. L’ammissibilità della censura non è recuperata dal riferimento, contenuto nel titolo del motivo in esame, ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio , in quanto la società ricorrente non si duole del mancato esame dello stesso, bensì - come si è detto - dell’insufficiente e della contraddittorietà della motivazione sul punto. Il motivo è infondato anche con riferimento alle dedotte violazioni di legge. Le parti avevano espressamente previsto l’ipotesi dell’inidoneità dell’immobile allo scopo, qualificando come motivo di recesso l’eventuale diniego delle autorizzazioni e concessioni richieste dalla legge ai fini dello svolgimento dell’attività programmata dal conduttore v. pag. 5 della sentenza impugnata . Deve pertanto escludersi che il contratto sia viziato da errore o dolo consistito nell’omessa rappresentazione dell’inidoneità dell’immobile allo scopo previsto. Peraltro, mentre l’eventualità era stata espressamente considerata dalle parti nel regolamento negoziale, la certezza dell’inidoneità dell’immobile allo scopo è stata acquisita - secondo la valutazione di merito della corte d’appello - nel corso del giudizio. Per le medesime ragioni non sussiste la violazione dell’art. 1453 cod. civ. per inadempimento. Infatti, nella locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, convenzionalmente destinati ad una attività il cui esercizio richieda specifici titoli autorizzativi dipendenti anche dalla situazione edilizia del bene abitabilità dello stesso e sua idoneità all’esercizio di un’attività commerciale , l’inadempimento del locatore può configurarsi quando la mancanza di tali titoli dipenda da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire in radice il rilascio degli atti amministrativi necessari e, quindi, l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito, ovvero quando il locatore abbia assunto l’obbligo specifico di ottenere i necessari titoli abilitativi, restando invece escluso allorché il conduttore abbia conosciuta e consapevolmente accettata l’impossibilità di ottenerli Sez. 3, Sentenza n. 15377 del 26/07/2016, Rv. 641148 v. pure Sez. 3, Sentenza n. 666 del 18/01/2016, Rv. 638364 Sez. 3, Sentenza n. 13651 del 16/06/2014, Rv. 631823 . 4. Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge in ordine all’omessa rilevazione, anche d’ufficio, della nullità del contratto per il combinato disposto di cui agli artt. 1418, 1343, 1344, 1345 e 1346 cod. civ. Conseguentemente il locatore non avrebbe alcun diritto né all’adempimento delle attività manutentive previste dall’articolo 12 del contratto di locazione, né alla corresponsione dei canoni. Anche tale motivo è infondato. Infatti, a prescindere dalla questione della rilevabilità ex officio delle pretese nullità del contratto, queste ultime non emergono ex actis. Deve infatti escludersi che il contratto di locazione presenti profili di illiceità della causa, invero neppure effettivamente specificati dal ricorrente, e tantomeno che allo stesso le parti si siano determinate in forza di un non meglio precisato motivo illecito e comune ad entrambe. Quanto alla pretesa impossibilità dell’oggetto, è agevole rilevare che non ricorre tale vizio in caso di semplice inidoneità dell’immobile allo scopo pattuito. La pretesa inidoneità dell’immobile, infatti, è concetto che - sul piano logico e giuridico - presuppone che l’oggetto del contratto, ancorché in ipotesi inadatto all’attività programmata dal conduttore, sia determinato o determinabile, possibile e lecito. Solo il difetto di tali requisiti, nella specie certamente ricorrenti, darebbe luogo alla dedotta nullità, che quindi non sussiste. Quanto al vizio motivazionale, si rinvia a quanto osservato in ordine al primo motivo. 5. Con il terzo motivo si censura, ancora una volta, la motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo, nonché la falsa applicazione dell’art. 27 della legge n. 72 del 1978 e degli artt. 1218 e ss., 1467 e 1468 cod. civ. Il Tribunale di Lecco avrebbe attribuito valore di recesso alla missiva con la quale la società conduttrice comunicava al locatore l’impossibilità di proseguire il contratto stante il diniego del Comune alla concessione delle autorizzazioni necessarie per l’esecuzione degli interventi richiesti per espletare l’attività industriale prevista. Conseguentemente, a tutto voler concedere, la condanna al pagamento del canone avrebbe dovuto essere limitata alle sole mensilità di marzo e aprile e ai primi otto giorni del mese di maggio dell’anno 2013. Dovrebbe essere altresì annullata la condanna all’esecuzione dei lavori, giacché questi non avevano natura commutativa ma, se mai, venivano considerati, come usualmente accade, nella determinazione del canone, appositamente calmierato stante l’obbligazione assunta da parte conduttrice. Il motivo è inammissibile per genericità e difetto di autosufficienza. Sotto quest’ultimo profilo basta osservare che la società ricorrente non ha fornito alcuna indicazione circa il contenuto della missiva del 9 marzo 2010, così impedendo alla Corte di cassazione di delibare la censura. Quanto al resto, la censura è generica, con particolare riferimento all’inespressa differenza che intercorrerebbe fra prestazione commutativa e prestazione di cui si è tenuto conto nel calmierare il canone . Si tratta, invero, di una distinzione introdotta dal ricorrente e formulata in termini talmente approssimativi da non potersene comprendere la portata, né le conseguenze giuridiche. 6. In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma primo, cod. proc. civ., nella misura indicata nel dispositivo. Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sicché va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550 . P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.