La sentenza n. 4805/2017 del Tribunale di Roma: pregi e difetti

A seguito di riassunzione dal TAR del Lazio, è approdata alla Sezione lavoro del Tribunale di Roma la questione relativa all’art. 21, commi 8 e 9 della legge n. 247/2012. Il contraddittorio si è instaurato tra tutti i protagonisti di questa complicata vicenda un collega, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero della Giustizia, Cassa Forense e il Consiglio Nazionale Forense.

Principi. Il Tribunale di Roma, nella sentenza leggibile in allegato, ha respinto il ricorso, con condanna alle spese, affermando però una serie di principi che ritengo fondamentali nell’economia della vicenda. Il Tribunale di Roma ha affermato che - nel nostro ordinamento, all’espletamento di attività latu sensu lavorativa, sia essa intellettuale o manuale, esercitata in forma autonoma o subordinata, dietro pagamento di corrispettivo, debba accompagnarsi la copertura previdenziale e ciò per ragioni di tutela di posizioni indisponibili del singolo tutela avverso la vecchiaia, la malattia, l’invalidità e per i superstiti e, quindi, a prescindere se, poi in concreto, al singolo potrà o meno essere erogata una qualche prestazione. Il Tribunale di Roma ha confermato quindi la piena legittimità dell’art. 21 l. n. 247/2012 che prevede che l’iscrizione all’Albo comporti la contestuale iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense. Questo principio è stato duramente contestato ma la realtà ha dimostrato che pochi avvocati, in costanza di attività ante riforma , si erano iscritti alla Gestione autonoma INPS e che quindi esercitavano l’attività forense in regime di concorrenza sleale con tutti gli altri perché non gravati dal versamento della contribuzione previdenziale e tali, comunque, da creare nel tempo un problema pensionistico a carico della fiscalità generale. - che la previsione di un contributo annuo obbligatorio corrisponde alla garanzia di percezione di un trattamento pensionistico, sia pure, eventualmente, in misura minima. A nulla rileva che detto contributo non risulti proporzionale al reddito professionale e che non sia informato al principio di progressività. Per il Tribunale di Roma la contribuzione previdenziale non è assimilabile all’imposizione tributaria vera e propria, di carattere generale, ma è da considerare quale prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori interessati senza peraltro qualificare giuridicamente detta prestazione patrimoniale. Il Tribunale di Roma, per arrivare a questa conclusione, non ha tenuto conto di quanto affermato da autorevole dottrina Persiani, Diritto della Previdenza sociale , Padova, 2014 per la quale la contribuzione previdenziale null’altro è che un tributo come imposta speciale perché riferita ad una specifica categoria di soggetti ed orientata ad una altrettanto specifica destinazione. Non è qui il momento di affrontare il tema relativo alla natura giuridica dei contributi previdenziali stante la complessità del tema che mi riservo di trattare nel proseguo. Va però detto che il Tribunale di Roma ha richiamato la sentenza della Cassazione n. 4146/1990 mentre non ha minimamente considerato le più recenti pronunce della Cassazione penale che hanno appunto affermato la natura tributaria della contribuzione previdenziale. Cass. n. 3/1999 e n. 20845/2011 per le quali i contributi previdenziali non costituiscono parte integrante del salario ma sono un tributo e così anche il Consiglio di Stato con ordinanza n. 2756 del 4 giugno 2015 . - la necessità di assicurare un trattamento pensionistico a tutti gli iscritti impone la correlata esigenza di imporre un contributo minimo obbligatorio, senza il quale la Cassa, al fine di assicurare il pareggio del bilancio, sarebbe tenuta ad aumentare in modo irragionevole la contribuzione richiesta agli avvocati che producono maggiore reddito professionale. E qui è sfuggita al Tribunale di Roma l’eccessiva rigidità del sistema previdenziale forense che prevede una contribuzione minima che sottopone i titolari di reddito grossomodo da 0 a 20mila euro ad un’aliquota doppia rispetto all’aliquota normale di contribuzione soggettiva che oggi è pari al 14,50% sino al tetto pensionabile. Al Tribunale di Roma è sfuggita quindi la natura regressiva dell’aliquota del contributo soggettivo da 0 a 20mila circa di reddito percepito. Non ha cioè colto la irragionevolezza del sistema che, per come è strutturato, rischia di portare fuori dalla professione migliaia e migliaia di avvocati. Vediamo la situazione. Contributi minimi obbligatori a regime Tutti gli avvocati ed i praticanti iscritti alla Cassa devono corrispondere a Contributo minimo soggettivo per il 2017 € 2.815,00, salvo le agevolazioni previste per i primi anni di iscrizione b Contributo minimo integrativo per il 2017 € 710,00, salvo le agevolazioni previste per i primi anni di iscrizione c Contributo di maternità per il 2017 € 169,00 . Agevolazioni per i neo iscritti Contributo soggettivo minimo - Riduzione alla metà per i primi 6 anni qualora l’iscrizione alla Cassa decorra da prima del compimento del 35° anno di età. - Per i primi 8 anni di iscrizione alla Cassa coincidenti con l’iscrizione all’Albo, a prescindere dall’età anagrafica del professionista, il contributo minimo soggettivo dovuto ai sensi dell’art. 7 del regolamento di attuazione art. 21, verrà riscosso per metà a mezzo M.Av. nell’anno di competenza con riconoscimento di soli 6 mesi di anzianità contributiva e per l’altra metà residua con riconoscimento di ulteriori 6 mesi con la seguente modalità - in via obbligatoria, in autoliquidazione nell’anno successivo, qualora il reddito professionale prodotto sia pari o superiore a €10.300,00 - in via facoltativa entro l’ottavo anno di iscrizione, qualora il reddito sia inferiore al suddetto parametro, tramite bollettino M.Av. con scadenza 31 dicembre, da generare e stampare autonomamente, collegandosi al sito www.cassaforense.it – Accessi riservati - posizione personale - M.Av. – Contributo soggettivo facoltativo”. Contributo integrativo minimo - non dovuto per il periodo di praticantato nonché per i primi cinque anni di iscrizione alla Cassa, in costanza di iscrizione all’Albo. - ridotto alla metà per i successivi quattro anni, qualora l’iscrizione alla Cassa decorra da prima del compimento del 35° anno di età. Esonero temporaneo art. 10 del Regolamento di Attuazione art. 21, l. n. 247/2012 Nei casi particolari previsti dal comma 7 dell’art. 21 l. n. 247/2012, si può chiedere, per un solo anno, nell’arco dell’intero periodo di iscrizione alla Cassa, l’esonero dal versamento dei contributi minimi soggettivo ed integrativo fermo restando il versamento del contributo percentuale sul reddito e sul volume d’affari prodotti conservando la validità dell’intero anno di contribuzione ai fini pensionistici. Nei soli casi di maternità o adozione tale beneficio può essere richiesto fino a tre anni. Basta fare un semplice calcolo matematico per rendersi conto che l’aliquota parte da un 32% circa sui redditi più bassi per raggiungere l’aliquota ordinaria del 14,50% intorno a € 20.000,00 circa con la conseguenza che più il reddito è basso, in questa soglia, più è alta l’aliquota previdenziale finalizzata a raggiungere la contribuzione minima. Al Tribunale di Roma è altresì sfuggito che nella previdenza forense vige il sistema di finanziamento a ripartizione con calcolo retributivo corretto della pensione cosicché per la quantificazione della pensione non si guarda al montante contributivo versato ma al reddito dichiarato. Non compete certamente al Giudice rimodellare un sistema previdenziale rigido e disarmonico, spettando tale compito a Cassa Forense, ma poteva dare un messaggio in questa direzione magari investendo la Corte Costituzionale su uno dei profili sollevati o dando un’interpretazione costituzionalmente corretta della normativa, proprio in termini di ragionevolezza, alla luce di quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 173/1986 che è stata citata. Sistema mutualistico e sistema solidaristico. In tale arresto la Consulta ha affermato che con il d.P.R. n. 488/1968 è stata attuata una radicale riforma del regime previdenziale assicurativo, per cui si è abbandonato il sistema mutualistico e si è, invece, introdotto il sistema solidaristico così come è avvenuta anche in Cassa Forense. Si sa che il primo è caratterizzato dalla divisione del rischio tra coloro che sono ad esso esposti e dalla conseguente riferibilità ad essi dei fini e degli oneri previdenziali conseguenti alla stessa divisione, nonché della proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali private. Il sistema solidaristico invece, che fa perno sugli artt. 2 e 38 Costituzione, è caratterizzato dalla riferibilità dei fini e degli oneri previdenziali ai principi della solidarietà secondo il modello della sicurezza sociale, sia pure operanti all’interno di ciascuna categoria di lavoratori, nonché dalla irrilevanza della proporzione tra contributi e prestazioni. Le prestazioni sono considerate lo strumento per l’attuazione dei fini della previdenza in rapporto allo stato di bisogno e alle esigenze di vita dell’assicurato nel senso innanzi specificato. I contributi sono i mezzi finanziari della previdenza sociale e sono prelevati appunto per assicurare a tutti le prestazioni. Il contributo non va a vantaggio del singolo che lo versa, ma di tutti i lavoratori e, peraltro, in proporzione del reddito che si consegue, sicché i lavoratori a redditi più alti concorrono anche alla copertura delle prestazioni a favore delle categorie con redditi più bassi. L’attuale sistema previdenziale forense è nato in un periodo storico in cui l’Avvocatura costituiva una élite, la globalizzazione selvaggia e l’uso da parte della politica dell’Avvocatura come area di parcheggio dei laureati in giurisprudenza per mancanza di altri sbocchi, e anche per una certa insipienza della categoria va detto, ha determinato un aumento del numero degli avvocati italiani che si è dilatato in questi ultimi decenni con una progressione geometrica, mentre il PIL è rimasto o in flessione o stazionario. Ne consegue che l’Avvocatura è oggi divisa tra 20mila avvocati circa cd. ricchi, che dichiarano oltre il tetto pensionabile, e il rimanente forte di 220 mila unità che si dibatte tra zero e il tetto in situazione di grave difficoltà economica. L’impianto previdenziale forense va ristrutturato per adeguarlo ai numeri, rendendolo flessibile e in grado di rispondere alle esigenze di tutti con aliquote, a prescindere dall’obbligatorietà per la natura tributaria del contributo, progressive e non regressive e proporzionali al reddito introducendo accanto alla pensione minima anche la pensione sociale forense, pari alla minima INPS, oggi di € 510,00 mensili circa, così da coprire tutti gli iscritti, evitando che un domani un Giudice della Repubblica, riconosca a tutti i sotto soglia la pensione minima retributiva che Cassa Forense non sarebbe in grado da sola di finanziare. In previdenza, come dico sempre, occorre essere lungimiranti il che significa vedere per tempo le problematicità e porvi rimedio così evitando che il treno della previdenza imbocchi un binario morto.

Tribunale di Roma, sez. Lavoro, sentenza 22 maggio 2017, n. 4805 Giudice Bracci Svolgimento del processo Con ricorso in riassunzione ex art. 50 c.p.c, l'avv. D.C.P. adiva il Tribunale di Roma in funzione di Giudice del Lavoro chiedendo 1 l'annullamento del Regolamento della Cassa Forense attuativo dell'art. 21 commi 8 e 9 legge n. 247/2012 2 sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 L. n. 247/ 2012 per violazione del principio di legalità ex artt. 23, 97 e 113 Cost. e violazione del canone di ragionevolezza della legge ex art. 3 Cost. nonché per violazione degli artt. 33 e 41 Cost. 3 rinviarsi alla Corte di Giustizia della UE per conflitto del Regolamento della CF con il principio comunitario sulla libera concorrenza e sul principio di non discriminazione 4 l'accertamento della non debenza della contribuzione relativa agli anni 2014, 2015 e 2016 e successivi in presenza di un reddito basso. Il tutto con il favore delle spese di lite Deduceva di riassumere la causa per aver il Tar del Lazio con sentenza n. 7353/2016 dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in favore del Giudice ordinario in funzione di Giudice del lavoro. Svolte articolate considerazioni in diritto, concludeva chiedendo raccoglimento della domanda. Fissata l'udienza si costituiva in giudizio la Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense, contestando la fondatezza della domanda e chiedendone l'inammissibilità nonché il rigetto nel merito. Si costituivano in giudizio il MLPS, il MEF e il MG che chiedevano il rigetto della domanda. Si costituiva il Consiglio Nazionale Forense che chiedeva il rigetto della domanda. All'udienza del 22.5.2017, previo esame delle note autorizzate, la causa veniva discussa e decisa con sentenza pronunciata ex art. 429 co. 1 c.p.c, dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto Motivi della decisione Il ricorso va respinto perché infondato L'art. 21 L. n. 247/2012 commi 8, 9 e 10 così dispone L'iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. 9. La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento, determina, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l'eventuale applicazione del regime contributivo. 10. Non è ammessa l'iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. Lamenta il ricorrente Pi]legittimità del regolamento della CF attuativo del comma 9 dell'art. 21 citato, in quanto emesso oltre un anno dalla data di entrata in vigore della L. n. 247/12. Tale eccezione è priva di fondamento trattandosi di un termine evidentemente ordinatorio e non perentorio, ciò in ragione della mancanza di un'espressa previsione di tipo sanzionatolo o alternativo in caso di mancato rispetto di tale termine. Mette conto rilevare che in ogni caso la potestà regolamentare rimane sempre in capo alla CF per espressa previsione normativa ai sensi del D.Lgs. n. 509/94 . Conformemente al citato comma 9 la CF ha emanato l'apposito regolamento, nel quale, dopo aver ribadito l'obbligatorietà dell'iscrizione ad essa ai sensi dell'art. 1, ha individuato i minimi contributivi soggettivi ed ha previsto varie riduzioni nonché il dimezzamento al ricorrere di particolari situazioni legate all'età, all'anzianità di iscrizione ed al reddito annuo dell'interessato, pur garantendo tutela assistenziale piena e pensionistica minima. Nell'affrontare le varie ragioni di doglianza sollevate in ricorso, si richiama la sentenza n. 5797/2016 di questo Ufficio allegata agli atti. Invero proprio le disposizioni costituzionali invocate dall'istante, contrariamente a quanto sostenuto dal medesimo, impongono di ritenere che , nel nostro ordinamento, all'espletamento di attività latu sensu lavorativa, sia essa intellettuale o manuale, esercitata in forma autonoma o subordinata, dietro pagamento di corrispettivo, debba accompagnarsi la copertura previdenziale. E ciò per ragioni di tutela di posizioni indisponibili dal singolo tutela avverso la vecchiaia, la malattia, l'invalidità e per i superstiti e, quindi, a prescindere se, poi in concreto, al singolo potrà o meno essere erogata una qualche prestazione ex art. 38 Cost. cfr Cass. N. 2939/2001 . Nel caso degli avvocati liberi professionisti, l'art. 21 comma 8 legge n. 247/2012 dà attuazione a tali principi, prevedendo che l'iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa Nazionale di previdenza e assistenza forense , mentre il successivo comma 10 vieta l'iscrizione ad altra forma di previdenza, salvo che sia su base volontaria, e, in ogni caso, a patto che non sia alternativa a quella della Cassa stessa. Per il resto, la previsione di un contributo annuo obbligatorio, quale quello paventato dal ricorrente, corrisponde alla garanzia di percezione di un trattamento pensionistico, sia pure, eventualmente, in misura minima. A nulla rileva che detto contributo non risulti proporzionale al reddito professionale e che non sia informato al principio di progressività. Al riguardo va seguito l'insegnamento del Giudice delle Leggi, il quale, quando si è pronunciato sulla natura del tributo o meno delle contribuzioni previdenziali e sulla conformità al principio di progressività ex art. 53 Cost. di quest'ultime, ha affermato che la contribuzione previdenziale non è assimilabile all'imposizione tributaria vera e propria, di carattere generale, ma è da considerare quale prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori interessati cfr. Corte Cost. nn. 173/1986, 349/1985 e 202/2006 . I giudici di legittimità, in materia di contribuzione forense, hanno poi escluso, in modo esplicito, che i contributi previdenziali siano assoggettati al criterio della progressività cfr. Cass. N. 4146/1990 . Del resto, con riguardo all'obbligo di iscrizione alla Cassa e al conseguente obbligo contributivo, la Corte Costituzionale aveva già puntualizzato che ciò non introduce una ulteriore condizione rispetto a quella dell'esame di abilitazione previsto dall'art. 33 Cost, per l'esercizio dell'attività professionale, con conseguente violazione di tale precetto tali censure urtano contro l'ovvia constatazione che gli obblighi previdenziali sono considerati dalla legge non già come presupposto condizionante la legittimità dell'esercizio professionale, bensì come conseguenza del presupposto dell'imposizione contributiva, che è costituito da tale esercizio Corte Cost. n. 132/1984 . Sicché l'obbligazione previdenziale non condiziona a monte l'esercizio di un'attività anche professionale , ma discende come conseguenza della medesima infatti in generale il rapporto previdenziale presuppone il rapporto lavorativo. Pertanto non è ravvisabile alcuna violazione delle disposizioni costituzionali richiamate, né in tema di uguaglianza, né di violazione del diritto al lavoro e di iniziativa privata o di esercizio di un'arte o una scienza, né in materia tributaria. Anzi, la previsione di un contributo minimo a carico di tutti gli esercenti la professione forense risponde alle esigenze solidaristiche della categoria ed è volta ad assicurare un trattamento previdenziale minimo anche nel caso di redditi percepiti modesti, mentre affrancare da detto obbligo taluni professionisti determinerebbe un ingiustificato slittamento dell'obbligo contributivo complessivo in capo soltanto ad alcuni professionisti. Peraltro, la necessità di assicurare un trattamento pensionistico a tutti gli iscritti impone la correlata esigenza di imporre un contributo minimo obbligatorio, senza il quale la Cassa, al fine di assicurare il pareggio del bilancio, sarebbe tenuta ad aumentare in modo irragionevole la contribuzione richiesta agli avvocati che producono maggiore reddito professionale. Quanto alla lamentata violazione dell'art. 23 Cost. e del principio secondo cui ogni prestazione patrimoniale debba essere imposta dalla legge, mentre nel caso di specie il legislatore avrebbe demandato senza alcun limite alla Cassa di stabilire la misura della contribuzione, deve osservarsi che non si tratta di un'attività rimessa all'arbitrio della Cassa. Invero il Regolamento della CF è soggetto a censure le Ministero del lavoro e ad approvazione ministeriale. Occorre poi considerare quelle che sono la natura e la finalità della CF la legge delegata D.Lgs. n. 309/94 Attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993 n. 537 art. 1 comma 32 in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza ha ribadito, coerentemente, sia la trasformazione in associazioni o fondazioni con deliberazione dei competenti organi art. 1 comma 1 degli enti di cui all'elenco A allegato quale la Cassa nazionale di previdenza e assistenza avvocati - contestualmente subordinandola alla condizione che non usufruiscano di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario , ed esplicitamente sottolineando la continuità della loro collocazione nel sistema, quali enti senza scopo di lucro con personalità giuridica di diritto privato, titolari dei rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni, deputati a svolgerne le attività previdenziale e assistenziali ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione -sia la loro autonomia organizzativa, amministrativa e contabile art. 2 nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica delle attività svolte - e con l'obbligo di assicurare l'equilibrio di bilancio mediante l'adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico . La stessa normativa ha peraltro previsto che gli enti previdenziali privatizzati siano soggetti ad un articolato sistema di poteri ministeriali di controllo sui bilanci e di controllo sulla gestione da parte della Corte dei Conti art. 3 altresì è previsto il controllo politico della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale istituita con L. n. 88/89 . Sicché, come affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 248 del 18.7.1997, la prevista trasformazione in persone giuridiche private, appunto ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi l'obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell’ inalterato fine previdenziale . Ne risulta quindi una sostanziale delegificazione, affidata dalla legge all'autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essi imposti, per la disciplina, tra l'altro, del rapporto contributivo - ferma restando l'obbligatorietà della contribuzione -e del rapporto previdenziali - concernente le prestazioni a carico degli enti stessi - anche in deroga a disposizioni precedenti. Il sindacato giurisdizionale sugli atti di delegificazione adottati da tali enti, investe dunque il rispetto, da un lato dei limiti imposti all'autonomia degli enti, dall'altro, dei limiti costituzionali. Ebbene sulla base di questi principi, la delegificazione operata dal legislatore nel consentire alla Cassa Forense di stabilire la misura del contributo obbligatorio minimo non sembra in sé violare alcun limite costituzionale. Quel che emerge dalla disamina del quadro normativo è che il legislatore, fin dalla privatizzazione della CF, si è preoccupato di assicurare l'equilibrio economico - finanziario e di garantire l'erogazione delle prestazioni, prevedendo la vigilanza del Ministero del lavoro D.Lgs. n. 509/94 , sicché, ferma restando la discrezionalità tecnica affidata alla Cassa nel come attuare i principi stabiliti dalla legge, questi ultimi impongono l'equilibrio economico-finanziario e la sostenibilità del pagamento delle prestazioni. Alla stregua di queste considerazioni, posto che nessuna deduzione concreta è stata effettuata per ritenere che la misura del contributo obbligatorio sia stata individuata in modo irragionevole o arbitrario, la censura - formulata genericamente in ricorso – va disattesa. Parimenti non sussiste violazione del diritto comunitario, poiché l'iscrizione alla Cassa non è un ostacolo alla concorrenza né crea discriminazioni tra gli operatori della medesima categoria professionale, una volta accertato che tale iscrizione è obbligatoria per tutti costoro e che , come visto, il regolamento di attuazioni prevede una disciplina più leggera per chi si trova in condizioni economiche meno favorevoli per minor volume di attività e per minore anzianità di iscrizione, quindi, presumibilmente, con minor capacità economica . Dunque va escluso che l'obbligatorietà dell'iscrizione alla CF costituisca un ostacolo per l'espletamento dell'attività professionale di avvocato. In conclusione il ricorso va respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. pertanto D.C.P. va condannato a rifondere alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, ai ministeri convenuti e al Consiglio Nazionale Forense, le spese di lite che, visto il D.M. n. 55/2014, si liquidano per ciascun resistente in Euro 981,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso spese generali del 15%, iva e cpa. P.Q.M disattesa ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione rigetta il ricorso. Condanna D.C.P. a rifondere alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, ai Ministeri convenuti e al Consiglio Nazionale Forense le spese di lite che si liquidano, per ciascun resistente, in Euro 981,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso spese generali del 15%, iva e cpa.