Parcella dell’avvocato e dichiarazione di valore ai fini del contributo unificato

La regola della non contestazione, espressa dall’art. 115 c.p.c., riguarda solamente i fatti”, mentre la scelta dello scaglione applicabile ai fini della liquidazione del compenso al difensore è tutt’altro e rientra nelle prerogative del giudice di merito.

La Seconda Sezione Civile della Cassazione sentenza n. 23897/16, depositata il 23 novembre , ha rigettato il ricorso di un avvocato che contestava la riduzione di compenso attuata a suo danno dai giudici di merito. In discussione in particolare la determinazione del valore della controversia. Il caso. Un avvocato agiva nei confronti del proprio cliente per ottenere il pagamento dei compensi inerenti l’attività svolta in grado di appello sino al momento della rinuncia al mandato . Di fatto il professionista aveva redatto l’atto di impugnazione, aveva partecipato all’udienza circa la richiesta di sospensione dell’esecutività della sentenza gravata, e aveva partecipato ad altre tre udienze. La Corte d’appello, decidendo sull’istanza ex artt. 28 e 29 Legge n. 794/1942, liquidava al difensore la somma di circa euro 9 mila, riducendo così sensibilmente la pretesa iniziale quantificata in circa euro 40 mila. Scaglione di riferimento La riduzione era giustificata, secondo la Corte di merito, in ragione della poco fa menzionata attività difensiva, dell’eccessiva richiesta inerente il solo subprocedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, osservando altresì che la questione di merito oggetto del contenzioso una divisione ereditaria non presentava neppure particolari difficoltà. In definitiva, poteva farsi applicazione dei valori compresi tra i minimi e i medi dello scaglione di riferimento, per cui veniva considerato, in assenza di diversi elementi, lo scaglione tariffario corrispondente al valore della causa indicato nell’atto di appello ai fini della determinazione del contributo unificato. È stato violato il principio della non contestazione? Anzitutto, secondo l’avvocato ricorrente in Cassazione, la Corte di merito aveva violato il principio della non contestazione. Infatti, il più alto scaglione di valore indicato dal professionista nella richiesta di liquidazione della parcella non era stato contestato dal cliente. Di conseguenza, la Corte di merito avrebbe dovuto attenersi, proprio in ragione del principio di non contestazione, allo scaglione di valore indicato dal professionista e non contestato dal cliente. Risposta negativa della Cassazione il principio di non contestazione riguarda solo i fatti. La Suprema Corte respinge la censura del ricorrente perché la regola della non contestazione, espressa dall’art. 115 c.p.c., riguarda solamente i fatti”, come testualmente si legge, mentre la scelta dello scaglione applicabile ai fini della liquidazione del compenso al difensore è tutt’altro e rientra nelle prerogative del giudice di merito. È giusto affermare che vi è correlazione tra lo scaglione per la determinazione dei compensi e quello indicato ai fini del contributo unificato? Le indicazione di valore, inserite nella parte dell’atto dedicata al contributo unificato, spesso creano qualche incertezza. Infatti, può accadere che le indicazioni ivi inserite, proprio perché finalizzate al pagamento del contributo, non siano del tutto allineate al valore effettivo della controversia, ovvero è possibile che vi siano differenze rispetto al valore della causa preso a riferimento per la liquidazione della parcella dell’avvocato. In questo quadro si inserisce la censura del ricorrente, il quale si lamenta del fatto che la Corte di merito abbia valorizzato, ai fini della determinazione del compenso, l’indicazione di valore inserita nella parte dell’atto dedicata al contributo unificato. Invero, secondo gli Ermellini, la Corte d’appello non ha affatto affermato l’esistenza di una correlazione tra le due tipologie di scaglione quelli ai fini della liquidazione del compenso e quelli ai fini della determinazione del contributo unificato , ma, nell’individuare lo scaglione tariffario da applicare, ha considerato il valore indicato dalla parte ai fini del versamento del contributo unificato unicamente in via sussidiaria, perché non possedeva altri elementi di valutazione. Altri elementi di valutazione che il professionista non aveva fornito.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 14 settembre – 23 novembre 2016, n. 23897 Presidente Bucciante – Relatore Orilia Ritenuto in fatto L’Avvocato B.G. ricorre, con quattro motivi, per la cassazione dell’ordinanza 6.12.2011 con cui la Corte d’Appello di Roma, decidendo sull’istanza ex artt. 28 e 29 legge 794/1942, aveva liquidato alla professionista la somma di Euro 9.063,66 oltre IVA e accessori in relazione all’opera prestata nell’interesse della propria assistita Be.Gi. in un giudizio di appello fino al momento della rinunzia al mandato. La Corte d’Appello aveva ridotto l’originaria pretesa quantificata in circa 40.000,00 Euro al netto di iva e contributi , evidenziando innanzitutto le attività difensiva espletate dall’avvocato redazione dell’atto di appello e compimento delle attività complementari, partecipazione all’udienza fissata per la decisione sull’istanza di sospensione della sentenza ex art. 283 cpc, e partecipazione a tre udienze . Ha quindi reputato elevatissimo il compenso richiesto per il solo sub procedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, osservando inoltre che la divisione ereditaria oggetto del giudizio non presentava particolari questioni, sicché poteva farsi applicazione dei valori compresi tra i minimi e medi dello scaglione di riferimento ed in proposito, ritenuto inapplicabile lo scaglione indicato dal professionista, ha preso come riferimento, in assenza di diversi elementi, lo scaglione tariffario corrispondente al valore della causa indicato nell’atto di appello ai fini della determinazione del contributo unificato cioè da Euro 516.000,00 a Euro 1.549.000,00 . Al ricorso del professionista, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 cpc, resiste la cliente con controricorso. Considerato in diritto 1 Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevato dalla controricorrente, perché l’atto di impugnazione, contrariamente a quanto affermato contiene la sommaria esposizione dei fatti della causa, la sufficiente indicazione degli atti sui quali esso si fonda o, a prescindere dall’inesatta individuazione di alcune censure, risulta chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato v. Sex. 6 – 3, Ordinanza n. 4036 de 20/02/2014 Rv. 630239 Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 Rv. 627268 lo standard minimo richiesto dall’art. 366 cpc risulta quindi rispettato. Ciò premesso e venendo all’esame delle singole censure, con la prima di esse l’avvocato B. denuncia la violazione degli artt. 115, 116 e 167 cpc rimproverando alla Corte d’Appello di avere violato il principio della non contestazione. Osserva al riguardo che lo scaglione maggiore indicato nella richiesta di liquidazione no nera stato assolutamente contestato dalla cliente e dunque la Corte d’Appello, in ossequio al predetto principio, avrebbe dovuto attenersi a detto scaglione. Il motivo è infondato perché non considera che la regola della non contestazione espressa dall’art. 115 cpc riguarda solamente i fatti” , come testualmente si legge, mentre la scelta dello scaglione applicabile ai fini della liquidazione del compenso al difensore è tutt’altro e rientra nelle prerogative del giudice di merito. 2 Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo l’assenza di correlazione tra gli scaglioni per il pagamento del contributo unificato e quelli per la liquidazione dei compensi ad avviso della ricorrente la Corte d’Appello ha errato perché ha invece ravvisato una correlazione tra detti scaglioni. Anche questo motivo è infondato. È vero che gli scaglioni per il pagamento del contributo unificato seguono uno schema diverso rispetto a quelli indicati nella tariffa legale i primi infatti sono ancorati, nel massimo, alle cause di calore superiore a Euro 520.000,00, mentre i secondo contengono una più ampia previsione. Tuttavia, la censura non coglie la ratio decidendi posta a base della scelta dello scaglione la Corte d’Appello non ha affatto affermato l’esistenza di una correlazione tra i due tipi di scaglione, ma, nell’individuare lo scaglione tariffario da applicare, ha considerato il valore indicato dalla parte di fini del versamento del contributo unificato unicamente in via sussidiaria, perché non possedeva altri elementi di valutazione v. pag. 2, ove si afferma espressamente in mancanza di qualsiasi diverso elemento” . Il passaggio argomentativo è ben diverso da quello che invece censura la ricorrente e serve solo a dare conto del perché di una scelta operata in assenza di diversi elementi ricavabili dagli atti. A questo punto, sarebbe stato specifico onere dell’avvocato dimostrare di aver fornito al giudice elementi sufficienti per ricavare un valore diverso o maggiore, ma ciò non risulta. 3 Con il terzo motivo si denuncia l’insufficienza della motivazione e precisamente la scarsa chiarezza del criterio per la scelta dei parametri utilizzati per stabilire se le somme da attribuire alla ricorrente dovessero essere vicini ai minimi o ai massimi tariffari. Il motivo è infondato perché si risolve in un acritica di natura fattuale o priva di specificità, senza precisare perché la causa richiedesse l’applicazione di parametri diversi e più elevati, non bastando limitarsi ad affermare che si erano scontrati tre consulenti senza contemporaneamente illustrare la natura delle questioni tecniche che avevano determinato il contrasto, così come non ha senso limitarsi ad affermare che il giudizio di appello si era svolto in quattro udienze senza contemporaneamente documentare le attività che concretamente erano state espletate nel corso delle stesse. La Corte d’Appello invece ha dato conto del criterio prescelto sottolineando la non complessità della causa, il numero limitato di udienze e l’interruzione anticipata dell’attività difensiva per effetto della rinunzia motivazione adeguata e priva di vizi logici. 4 Resta da esaminare il quarto ed ultimo motivo con cui la ricorrente denuncia ancora l’insufficienza della motivazione perché – a suo dire – non emerge con chiarezza se siano stati liquidati i compensi spettanti per l’attività espletata nella fase relativa all’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado altra carenza motivazionale – sempre ad avviso della ricorrente – sta nel fatto che non c’è nessun accenno alle singole voci del tariffario. Il motivo è inammissibile come più volte affermato da questa Corte, in tema di liquidazione delle spese processuali, è inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione che, nel censurarne la complessiva quantificazione operata el giudice di merito, non indichi le singole voci della tariffa, per diritti ed onorari, risultanti nella nota spese, in ordine alle quali quel giudice sarebbe incorso in errore v. tra le varie, Sez. 1, Sentenza n. 20808 del 02/10/2014 Rv. 632497 Sez. L, Sentenza n. 1382 del 29/01/2003 Rv. 560138 Sez. 2, Sentenza n. 6733 del 23/05/2000 Rv. 536841 . Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha compiuto una valutazione delle prestazioni svolte dall’avvocato includendovi evidentemente anche l’attività espletata nel subprocedimento di cui all’art. 283 cpc, attività che ha preso in esame e ritenuto utile, ma non tale da giustificare la rilevantissima richiesta avanzata Euro 16.833,38 ”, la considerazione del contenuto succinte della domanda e dell’esaurimento dell’attività nell’unica udienza di discussione all’uopo fissata ancora una volta la motivazione appare adeguata, mentre al contrario, la mancata trascrizione della nota spese o comunque la mancata indicazione di dati necessari al reperimento della stessa unitamente alla mancata indicazione delle singole voci che sarebbero state violate rendono anche sotto tale profitto il ricorso privo di autosufficienza. In conclusione, l’impugnazione va respinta con addebito di spese a carico della parte soccombente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.