La prescrizione nei rapporti tra azione penale e disciplinare

L’azione disciplinare, nelle ipotesi di fatti costituenti ipotesi di reato, è collegata alla sentenza penale avente ad oggetto lo stesso fatto ed ha natura obbligatoria, non potendo essere iniziata prima che si sia verificato tale presupposto. Sicché, l’effetto interruttivo della prescrizione dell’azione disciplinare, riconosciuto all’azione penale, si verifica solo qualora al momento del passaggio in giudicato della sentenza, il termine di prescrizione dell’azione non fosse già completamente maturato.

Premessa. Le Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione con la decisione n. 22516, depositata il 7 novembre 2016, emettono una decisione in tema di disciplinare avvocati. In particolare si chiarisce il termine di decorrenza della prescrizione per l’esercizio dell’azione disciplinare, allorché il fatto contestato concerna fattispecie di reato per i quali sia stata esercitata l’azione penale. Il fatto. Un avvocato era stato disciplinarmente sanzionato per aver trattenuto quota parte di un risarcimento danni erogato in favore di un cliente. Era avviato procedimento penale, nelle more del processo il procedimento disciplinare era sospeso. Concluso il processo penale con sentenza definitiva, il procedimento disciplinare si concludeva con la sanzione della radiazione inflitta dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati territorialmente competente. L’avvocato proponeva così ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense denunciando principalmente la prescrizione ed i vizi procedimentali il Consiglio rigettava la richiesta con riduzione della sanzione alla sospensione dall’attività per tre anni. Il provvedimento era impugnato dinanzi alla Corte di Cassazione. La dedotta nullità della decisione per vizio procedurale. Delle doglianze proposte quelle che preme analizzare in questa sede per i profili di rilevanza giuridica manifestati concerne in primo luogo la nullità della deliberazione assunta dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati per la violazione del principio d’immutabilità del Giudice. Sosteneva in buona sostanza il ricorrente che la decisione era stata sottoscritta da un presidente e da un segretario che non rivestivano invece tale carica al momento di assunzione della delibera. Tale vizio, nella ricostruzione operata, avrebbe determinato la nullità della decisione per violazione dell’articolo 51 del R.d. n. 37/1934 a norma del quale, come noto, la delibera deve contenere tra le altre cose anche la data del provvedimento e la sottoscrizione del Presidente e del Segretario la previsione dell’articolo risultava rispettata allorché la decisione venga sottoscritta dal Presidente e dal Segretario in carica al momento del deposito della decisione. Il Consiglio Nazionale Forense aveva contestato la ricostruzione fornita del ricorrente sostenendo che tale norma non fosse attuabile, in virtù delle modifiche periodiche dei membri del Consiglio dell’Ordine. Le Sezioni Unite, richiamando un proprio precedente consolidato orientamento evidenziavano invece l’erroneità della conclusione prospettata. In questa direzione è stato infatti affermato che le decisioni disciplinari dei Consigli degli Ordini devono essere sottoscritte dal Presidente e dal Segretario che hanno partecipato alla seduta, la cui data risulta dal corpo della decisione, motivo per cui alcuna rilevanza ha a tal fine l’eventuale cambiamento del consiglio al momento della pubblicazione della decisione Cass. Civ. n. 4192/1978 . In tale prospettiva quindi la decisione del Consiglio Nazionale Forense si poneva in contrasto con il consolidato orientamento delle Sezioni Unite nonché con quanto affermato dallo stesso articolo 51 del R.d. 37/1934. L’eccezione di prescrizione. L’ulteriore profilo d’interesse presentato dall’impugnazione concerne l’aspetto dell’eccezione di prescrizione sollevata dal ricorrente, di cui le Sezioni Unite hanno riconosciuto la fondatezza. Ai sensi dell’art. 51 del d.P.R. n. 1578/33 l’azione disciplinare è soggetta al termine di prescrizione quinquennale. A tale proposito l’Organo di legittimità aveva già chiarito come per la decorrenza del termine prescrizionale bisognasse distinguere il caso in cui la condotta disciplinarmente sanzionata fosse collegata a fatti punibili solo in tale sede, nel cui caso il termine prescrizionale prende a decorrere dalla data di commissione del fatto, da quella in cui la condotta sia penalmente rilevante, nel quale altro caso, invece, il termine prescrizionale risulta funzionalmente collegato alla pronuncia penale. In tale secondo caso la prescrizione prende a decorrere da quando il diritto di punire può essere effettivamente esercitato, vale a dire dal momento di passaggio in giudicato della sentenza penale SS.UU. n. 10071/2001 SS.UU. n. 14985/2005 . Concludendo. Gli Ermellini con la pronuncia in analisi hanno riscontrato la non pertinenza, al caso di specie, del richiamo operato dal Consiglio Nazionale Forense all’orientamento sopra citato. Invero, nella vicenda in esame, al momento dell’esercizio dell’azione penale in capo al ricorrente il termine prescrizionale del procedimento disciplinare era integralmente spirato, sicché alcun effetto interruttivo e/o sospensivo della prescrizione poteva essere validamente individuato. Conseguentemente l’illecito disciplinare era già prescritto allorché è stato iniziato il procedimento conclusosi con l’emissione del provvedimento oggi impugnato. Per tali ragioni il ricorso è accolto dalle Sezioni Unite con declaratoria di estinzione dell’illecito disciplinare per intervenuta prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 5 luglio – 7 novembre 2016, n. 22516 Presidente Rordorf – Relatore Petitti Ritenuto in fatto Gli Avvocati P.A. e sua figlia M.L. sono stati sottoposti a procedimento disciplinare per avere percepito da una compagnia di assicurazione un risarcimento di Lire 315.000.000, consegnando ai loro assistiti la minor somma di Lire 200.000.000. Per il fatto veniva avviato anche procedimento penale, sicché il giudizio disciplinare veniva sospeso. Conclusosi con sentenza definitiva il giudizio penale, veniva riassunto il procedimento. Su sua richiesta, la posizione di P.M.L. veniva stralciata. Il COA di comminava ad P.A. la sanzione della radiazione. Questi proponeva ricorso al CNF che, con sentenza n. 233 del 2015, lo rigettava per i profili attinenti ai denunciati vizi procedimentali, alla prescrizione e alla sussistenza del fatto contestato, riducendo però la sanzione dalla radiazione alla sospensione dall’esercizio della professione per tre anni. L’Avvocato P. ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di non ha svolto difese. Il ricorrente ha chiesto altresì la sospensione della esecuzione della sentenza. Con decreto in data 23 maggio 2016 8depositato il 25 maggio è stata disposta la trattazione per l’udienza pubblica del 5 luglio 2016, anche per il merito della impugnazione. Considerato in diritto 1. - L’Avvocato P. articola otto motivi di ricorso. 1.1. - Con il primo motivo violazione, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., dell’art. 51 del r.d. n. 37 del 1934 e dell’art. 3 Cost. il ricorrente deduce la erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la nullità della deliberazione del COA pur essendo tale deliberazione stata sottoscritta, quali presidente e segretario, da persone diverse da quelle che la avevano assunta. Il ricorrente rileva, infatti, che la delibera del COA di in data 13 luglio 2010 è stata sottoscritta, quale presidente, dall’Avvocato Z.G. , e non dall’Avvocato S.M. , presidente del COA all’epoca della deliberazione, e dal segretario Avvocato Sp.Gi. , che all’epoca della delibera non rivestiva la detta qualità. Ciò determinerebbe, ad avviso del ricorrente, la nullità della delibera e la erroneità della sentenza impugnata che ha respinto la relativa censura. Nullità che, peraltro, è stata dichiarata dallo stesso CNF in un caso analogo al presente, con conseguente violazione del’art. 3 Cost 1.2. - Con il secondo motivo violazione, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., sotto altro profilo, dell’art. 51 e dell’art. 44 del r.d. n. 37 del 1934, nonché violazione e mancata applicazione degli artt. 112, 161, 174, 340, 354 cod. proc. civ., e con riferimento al principio di immutabilità del giudice di cui agli artt. 525 e 179 cod. proc. pen. il ricorrente denuncia ancora la mancata dichiarazione di nullità della deliberazione del COA per violazione del principio di immutabilità del giudice, rilevando che un componente del COA era presente al momento della acquisizione delle prove ed era invece assente al momento della deliberazione del 13 luglio 2010. 1.3. - Con il terzo motivo violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 51 del r.d.l. n. 1578 del 1933 e mancata pronuncia sulla improcedibilità dell’azione disciplinare per decorso del termine prescrizionale ancora prima dell’esercizio dell’azione con deliberazione del 26 maggio 2003 violazione e mancata applicazione dell’art. 65, comma 5, della legge n. 247 del 2012 violazione e mancata applicazione dell’art. 56 della legge n. 247 del 2012 il ricorrente censura la sentenza del CNF per non avere dichiarato la prescrizione dell’illecito disciplinare, alla luce della intervenuta modifica della disciplina sul punto. In particolare, il ricorrente deduce che erroneamente il CNF - confermando la valutazione espressa in proposito dal COA di e facendo quindi riferimento al principio per il quale quando per i medesimi fatti è pendente un procedimento penale il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla data di irrevocabilità della sentenza penale - non avrebbe considerato che il fatto contestato era avvenuto il 2 ottobre 1996, mentre il procedimento disciplinare è stato avviato con deliberazione del 26 maggio 2003, e il decreto di citazione a giudizio è stato emesso dal P.M. di Marsala il 23 maggio 2003. In tal modo, osserva il ricorrente, il CNF non avrebbe tenuto conto che l’illecito disciplinare era soggetto alla prescrizione quinquennale decorrente dal giorno di realizzazione dell’illecito o, in caso di illecito permanente, dalla data di cessazione della condotta. Nella specie, posto che l’illecito doveva essere ritenuto e lo stesso CNF così lo ha qualificato istantaneo con effetti permanenti, il termine prescrizionale era ampiamente maturato prima ancora della deliberazione di apertura del procedimento disciplinare. In ogni caso, prosegue il ricorrente, il CNF non avrebbe tenuto conto della legge n. 247 del 2012, che all’art. 56 detta una disciplina della prescrizione certamente più favorevole a quella previgente, essendo stabilito il limite massimo di sette anni e sei mesi, applicabile ai procedimenti pendenti in forza dell’art. 65, comma 5, della medesima legge. 1.4. - Con il quarto motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ., dell’art. 653 cod. proc. pen. e degli artt. 24 e 111 Cost. l’Avvocato P. deduce la violazione del principio di autonomia del giudizio disciplinare da quello penale, dolendosi del fatto che il CNF abbia fondato la propria decisione sulle risultanze della decisione penale, che da ultimo è stata di estinzione del reato per prescrizione. Tale circostanza, del resto, non consentiva che potesse operare l’art. 653 cod. proc. pen., in base al quale l’efficacia del giudicato penale nel giudizio disciplinare è limitato ai casi di assoluzione e di condanna, mentre, nella specie, il procedimento penale si era concluso con dichiarazione di estinzione del reato. 1.5. - Con il quinto motivo omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio , il ricorrente si duole del fatto che il CNF non abbia rilevato la insussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi del reato di appropriazione indebita, caratterizzato da dolo specifico, nella specie non sussistente atteso che le somme trattenute costituivano il corrispettivo di prestazioni professionali. 1.6. - Con il sesto motivo nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360 n. 4, cod. proc. civ., per la violazione dell’art. 65, comma 5, della legge n. 247 del 2012, in relazione alla mancata applicazione dell’art. 9 del regolamento n. 2/2014 approvato dal CNF ai sensi dell’art. 50, comma 5, della legge n. 247 del 2012, e violazione dell’art. 37 cod. proc. pen. , il ricorrente deduce la mancata applicazione delle disposizioni della legge n. 247 del 2012, più favorevoli all’incolpato, in tema di ricusazione dei componenti del COA. In particolare, il ricorrente ricorda che con delibera del Consiglio distrettuale di Palermo del 27 gennaio 2011 era stata accolta, con riferimento alla posizione di sua figlia M.L. , stralciata dal COA di , la richiesta di ricusazione nei confronti del Presidente del COA di , Avvocato S.M. e dei Consiglieri Avvocati S.V. , L.G. , M.A. e Pe.St.Ga. presidente e consiglieri, osserva il ricorrente, che avevano invece partecipato alla deliberazione del 13 luglio 2010 nei suoi confronti circostanza, questa, che avrebbe dovuto indurre il CNF a dichiarare la nullità della deliberazione adottata dal COA nei suoi confronti. Il CNF, comunque, avrebbe dovuto porsi il problema dell’applicazione delle disposizioni più favorevoli contenute nel codice deontologico vigente e nel regolamento adottato dallo stesso CNF ai sensi dell’art. 50, comma 5, della legge n. 247 del 2012. 1.7. - Con il settimo motivo violazione degli artt. 24 e 111, sesto comma, Cost., per violazione del diritto di difesa difetto, mancanza, incongruenza ed irrazionalità della motivazione violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. eccesso di potere, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. , il ricorrente si duole che il CNF non abbia considerato che la sentenza penale del 2006 era una sentenza di estinzione del reato per prescrizione il giudice disciplinare avrebbe quindi dovuto procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze istruttorie eventualmente anche ammettendo le richieste istruttorie avanzate dalla difesa. 1.8. - Con l’ottavo motivo violazione e mancata applicazione dell’art. 65, comma 5, della legge n. 247 del 2012, nonché dell’art. 30 del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014, entrato in vigore il 15 dicembre 2014 violazione del principio del favor rei, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. , il ricorrente censura la sentenza impugnata con riferimento alla sanzione applicata, sul rilievo che, in base alla legge n. 247 del 2012 e all’art. 30 del nuovo codice deontologico, la sanzione applicabile sarebbe stata quella della censura o al più quella della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno, mentre nel caso di specie il CNF ha applicato la sanzione della sospensione per tre anni. 2. Il primo motivo di ricorso è fondato. 2.1. - La decisione del COA di , che ha irrogato all’Avvocato P. la sanzione della radiazione, poi sostituita dal CNF con quella della sospensione per tre anni, è stata adottata da un collegio composto da tredici componenti, tra i quali il Presidente Avvocato S.M. e il Segretario Avvocato Z.G. . La decisione è stata adottata nella seduta del 13 luglio 2010 ed è stata depositata nella segreteria del Consiglio il 20 febbraio 2013. La stessa risulta sottoscritta dal Presidente, Avvocato Z.G. , e dal Segretario, Avvocato Sp.Gi. quest’ultimo era componente del collegio che ha adottato la decisione in data 13 luglio 2010. Risulta evidente, dunque, che le persone che hanno sottoscritto la decisione pur se erano componenti del Consiglio dell’ordine e partecipanti alla seduta in cui la decisione è stata deliberata, non rivestivano però le qualità in forza delle quali hanno poi sottoscritto la decisione stessa. Il problema posto dal motivo di ricorso in esame è quindi quello della sussistenza o no della necessità che i componenti del consiglio dell’ordine che hanno adottato una determinata deliberazione corrispondano a quelli che risultano avere adottato la stessa deliberazione mediante la sottoscrizione apposta in calce alla stessa. Il CNF ha rigettato il motivo di impugnazione proposto dall’Avvocato P. ritenendo che la previsione dell’art. 51 del r.d. n. 37 del 1934, a tenore della quale la decisione del COA deve contenere la esposizione dei fatti, i motivi sui quali si fonda, il dispositivo, l’indicazione del giorno, del mese e dell’anno in cui è pronunziata e la sottoscrizione del Presidente e del segretario , deve ritenersi rispettata quando la decisione disciplinare risulti sottoscritta dal Presidente e dal Segretario in carica al momento del deposito della decisione stessa. In proposito, ha richiamato una propria precedente pronuncia in cui si è affermato che il principio si giustifica con il fatto che i consigli dell’ordine vengono rinnovati periodicamente e, conseguentemente, al momento del deposito della decisione possono essere in carica membri diversi da quelli che hanno composto il collegio che ha assunto la deliberazione. 2.1. - Il Collegio ritiene che il principio richiamato dal CNF nella propria decisione non possa essere condiviso. Non è qui in discussione il consolidato orientamento di questa Corte, per cui le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli dell’Ordine degli avvocati, ed il relativo procedimento, hanno natura amministrativa e non giurisdizionale di recente, Cass., S.U., n. 23540 del 2015 Cass., S.U., n. 28339 del 2011 . Tuttavia, proprio con riferimento alle decisioni disciplinari dei Consigli dell’ordine queste Sezioni Unite hanno affermato il principio che le decisioni dei Consigli degli ordini degli avvocati e procuratori debbono essere sottoscritte dal presidente e dal segretario che hanno partecipato alla seduta, la cui data risulta nel corpo della decisione è perciò irrilevante il cambiamento della composizione del consiglio stesso al momento della pubblicazione della decisione Cass., S.U., n. 4192 del 1978 . La sentenza impugnata, supponendo che la decisione sia valida purché sottoscritta dal Presidente e dal Segretario in carica al momento della pubblicazione della stessa pur se diversi da quelli che hanno partecipato alla deliberazione, si pone in radicale contrasto con il richiamato principio, al quale il Collegio ritiene debba essere data continuità. Invero, dalla lettera dell’art. 51 del r.d. n. 37 del 1934 si desume agevolmente che Presidente e Segretario debbono essere quelli che hanno partecipato alla deliberazione della decisione nella detta qualità, non essendo prescritta la sottoscrizione del relatore ed essendo invece previsto in unico contesto il requisito della indicazione della data della deliberazione e quello della sottoscrizione dei soggetti indicati. 2.2. - La sentenza impugnata ha quindi violato l’art. 51 citato nel non rilevare e dichiarare la nullità della decisione di primo grado per la non corrispondenza tra il Presidente e il Segretario del Consiglio dell’ordine che hanno partecipato alla deliberazione e il Presidente e il Segretario che hanno sottoscritto la decisione al momento della pubblicazione. La nullità della decisione del COA, tuttavia, non esime dall’esame delle restanti censure proposte dal ricorrente, atteso che, ove il CNF avesse correttamente dichiarato la nullità della decisione del COA la conseguenza non avrebbe potuto essere altra che quella della trasmissione al COA per la rinnovazione della deliberazione, trovando applicazione, secondo la disciplina ratione temporis vigente, le disposizioni del codice di procedura penale. Il ricorrente, con il terzo motivo, prospetta una questione, quella della prescrizione dell’illecito disciplinare, che se dovesse essere accolta renderebbe superflua la trasmissione degli atti al COA per un nuovo giudizio. Si deve quindi procedere all’esame di tale motivo. 3. - Il terzo motivo è certamente fondato. L’Avvocato P. è stato ritenuto responsabile in relazione al seguente capo di incolpazione riferito anche alla figlia del ricorrente, la cui posizione è stata poi stralciata perché incaricati da essi istanti di patrocinarli in un procedimento civile nei confronti della Bavaria, avente ad oggetto risarcimento danni, avrebbero percepito per loro conto l’indennizzo di Lire 315.000.00 avvalendosi di una apposita procura per incassare, consegnando agli interessati medesimi la minore somma di Lire 2000.000.000 senza informarli del suddetto incasso complessivo di Lire 315.000.000 . L’incasso in questione risaliva al 2 ottobre 1996 ed era stato portato a conoscenza del Consiglio dell’ordine competente con un esposto in data 13 giugno 2002. Ai sensi dell’art. 51 del r.d.l.n. 1578 del 1933, l’azione disciplinare si prescrive nel termine di cinque anni. Queste Sezioni Unite hanno avuto modo di chiarire che agli effetti della prescrizione dell’azione disciplinare di cui all’art. 51 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, recante l’ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, occorre distinguere il caso, previsto dall’art. 38, in cui il procedimento disciplinare tragga origine da fatti punibili solo in tale sede, in quanto violino esclusivamente i doveri di probità, correttezza e dirittura professionale, dal caso, previsto dall’art. 44, in cui il procedimento disciplinare abbia luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l’azione penale. Nel primo caso, in cui l’azione disciplinare è collegata ad ipotesi generiche ed a fatti anche atipici, il termine prescrizionale comincia a decorrere dalla commissione del fatto nel secondo, invece, l’azione disciplinare è collegata al fatto storico di una pronuncia penale che non sia di proscioglimento perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso, ha come oggetto lo stesso fatto per il quale è stata formulata una imputazione, ha natura obbligatoria e non può essere iniziata prima che se ne sia verificato il presupposto, con la conseguenza che la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto di punire può essere esercitato, e cioè dal passaggio in giudicato della sentenza penale, costituente un fatto esterno alla condotta Cass., S.U., n. 10071 del 2011 Cass., S.U., n. 14985 del 2005 . A tale principio ha fatto riferimento il CNF nella sentenza impugnata ma risulta evidente la non pertinenza del principio in questione rispetto al caso di specie, atteso che al momento dell’esercizio dell’azione penale nei confronti del ricorrente 23 maggio 2003 il termine prescrizionale dell’illecito disciplinare era interamente decorso, senza che sia stata evidenziata l’esistenza di un qualsivoglia atto interruttivo della prescrizione. In proposito, si deve rilevare che i riferimenti contenuti nella sentenza impugnata circa il fatto che nel corso del procedimento disciplinare non si sono mai avuti periodi tra un atto interruttivo e l’altro superiori ai cinque anni non appaiono idonei a far ipotizzare che, nel caso di specie, il termine prescrizionale sia stato interrotto, atteso che lo stesso era già maturato al momento della formulazione della imputazione. Il richiamato principio, pertanto, risulta impropriamente valorizzato nella decisione impugnata, potendo lo stesso operare nel solo caso in cui il termine di prescrizione dell’azione disciplinare non sia maturato al momento dell’esercizio dell’azione penale o in quello, anteriore, della formulazione di una imputazione per il medesimo fatto. D’altra parte, non può neanche ipotizzarsi che il termine prescrizionale non sia iniziato a decorrere dal 2 maggio 1996, atteso che l’illecito contestato non può essere ritenuto permanente. 4. - In conclusione, il motivo di ricorso concernente la intervenuta prescrizione dell’illecito disciplinare contestato va accolto, con conseguente assorbimento delle ulteriori censure. All’accoglimento del motivo consegue la cassazione della sentenza impugnata, senza rinvio, dovendosi dichiarare prescritto l’illecito disciplinare contestato. Quanto alle spese, si ritiene che le stese debbano essere dichiarate irripetibili, tenuto conto della natura del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata senza rinvio, dichiarando estinto per intervenuta prescrizione l’illecito disciplinare contestato.