Sanzione disciplinare legittima per avvocato che non porta avanti l’azione per cui ha ricevuto mandato

Il procedimento disciplinare consistente nella sanzione dell’avvertimento per violazione dell’art. 5 del Codice Deontologico Forense è legittimo se, a seguito di un mandato a procedere ricevuto da un cliente, l’avvocato non prosegue l’azione.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 15287/16, depositata il 25 luglio. Il caso. Un avvocato proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza del CNF con la quale era stata confermata la sentenza del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina, che aveva inflitto alla ricorrente la sanzione disciplinare dell’avvertimento per violazione dell’art. 5 del Codice Deontologico Forense. In particolare la stessa era stata sottoposta a procedimento disciplinare a seguito di un esposto di un cliente il quale sosteneva di averle conferito l’incarico di impugnare dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Messina una cartella di pagamento e di aver poi scoperto che nessun ricorso era stato proposto. Il CNF, con la sentenza impugnata ha ritenuto non conforme ai principi di cui al citato art. 5, con conseguente compromissione dell’immagine dell’avvocatura, il comportamento della ricorrente, essendosi ripetutamente sottratta alle richieste di chiarimenti in ordine all’incarico conferitole. Secondo la ricorrente, nessun mandato a procedere. L’avvocato ricorrente, con il primo motivo sostiene che la nuova disciplina ha sostituito la precedente contenuta nell’art. 15 del R.d.l. n. 1578/1933 stabilendo che la prescrizione maturata al massimo entro 7 anni e 6 mesi dal fatto, va applicata ai procedimenti pendenti, in quanto più favorevole. Con il secondo motivo denuncia nullità del procedimento di primo grado, per gli asseriti vizi nella convocazione e composizione del COA esclusi dalla sentenza impugnata. Infine denuncia contraddittorietà e illogicità della motivazione in quanto la sanzione sarebbe stata irrogata per circostanze estranee al capo di incolpazione, avendo dimostrato la ricorrente di non aver mai ricevuto alcun mandato. Denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale. Per la Suprema Corte il primo motivo è infondato. Secondo, infatti, il consolidato orientamento delle Sezioni Unite, in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, l’art. 65, comma 5, della l. n. 247/2012, nel prevedere, con riferimento alla nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, che le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato, riguarda esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e del nuovo codice deontologico . Ne consegue che per l’istituto della prescrizione, resta operante il criterio generale dell’irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, sicché è inapplicabile lo ius superveniens . Anche il secondo e il terzo motivo sono infondati. In particolare, per quanto concerne il terzo, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali vedi da ultimo la sentenza n. 15203/16 . La Corte rigetta pertanto il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 19 aprile – 25 luglio 2016, n. 15287 Presidente Rordorf – Relatore Virgilio Ritenuto in fatto 1. L’avv. N.V. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Consiglio nazionale forense n. 149 del 2015, depositata il 24 settembre 2015, con la quale è stata confermata la sentenza del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Messina del 3 novembre 2010, che aveva inflitto alla ricorrente la sanzione disciplinare dell’avvertimento per violazione dell’art. 5 del codice deontologico forense. In particolare, l’avv. N. , sottoposta a procedimento disciplinare per violazione degli artt. 5, 6, 7 e 38 del detto codice deontologico a seguito di esposto presentato da P.G. , il quale sosteneva di averle conferito l’incarico di impugnare dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Messina una cartella di pagamento e di aver poi scoperto che nessun ricorso era stato proposto, era stata assolta dal COA di Messina dalle incolpazioni relative agli artt. 6, 7 e 38 del CDF non essendo risultato sufficientemente provato l’effettivo conferimento di specifico mandato ad impugnare la detta cartella , mentre era stata ritenuta colpevole della violazione dell’art. 5 del codice medesimo, relativo ai doveri di probità, dignità e decoro. Il CNF, con la sentenza impugnata, ha ritenuto a infondate le eccezioni preliminari di nullità del procedimento disciplinare, per mancanza del preliminare accertamento dell’avvenuta rituale convocazione di tutti i componenti del COA e per la presenza, nel Collegio giudicante che ha deliberato la sanzione, di sette consiglieri assenti nella precedente udienza la prima perché il funzionamento del COA, organo amministrativo imperfetto, si basa sul principio del quorum , con la conseguenza che l’eventuale vizio di convocazione è sanato dalla partecipazione all’adunanza di un numero di consiglieri sufficiente la seconda perché, essendo appunto il COA un organo amministrativo, non è ad esso applicabile il principio della immutabilità del collegio giudicante b non conforme ai principi di cui al citato art. 5 cod. deont., con conseguente compromissione dell’immagine dell’avvocatura, il comportamento della ricorrente, essendosi ella ripetutamente sottratta, in base alle testimonianze assunte, alle richieste di chiarimenti in ordine all’incarico che il P. assumeva di averle conferito. 2. Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Messina e il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione non si sono costituiti. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo la ricorrente eccepisce la prescrizione dell’azione disciplinare, ai sensi dell’art. 56 della legge 31 dicembre 2012, n. 247. Sostiene che la nuova disciplina ha sostituito la precedente contenuta nell’art. 51 del r.d.l. n. 1578 del 1933 , stabilendo che la prescrizione matura al massimo entro 7 anni e sei mesi dal fatto, e va applicata ai procedimenti pendenti, in quanto più favorevole, in forza degli artt. 25 e 111 Cost., 2 cod. pen. e 6 della CEDU. Il motivo è infondato. Secondo il consolidato orientamento di queste sezioni unite, infatti, in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, l’art. 65, comma 5, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, nel prevedere, con riferimento alla nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, che le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato, riguarda esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e del nuovo codice deontologico ne consegue che per l’istituto della prescrizione, la cui fonte è legale e non deontologica, resta operante il criterio generale dell’irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, sicché è inapplicabile lo ius superveniens introdotto con l’art. 56 della legge n. 247 cit. Cass., sez. un., nn. 11025 del 2014, 14905, 23364 e 23836 del 2015, 9138 del 2016 . 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la nullità o annullabilità del procedimento di primo grado, per gli asseriti vizi nella convocazione e composizione del COA esclusi dalla sentenza impugnata. La censura è infondata. Premesso che, in tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, la censura di irregolare composizione del Consiglio dell’ordine per mancata rituale convocazione di tutti i membri dello stesso, ove la relativa eccezione non sia già stata sollevata nel corso del procedimento disciplinare dinanzi al medesimo Consiglio dell’ordine, non può essere dedotta, come motivo di impugnazione, dinanzi al Consiglio nazionale forense né, tanto meno, per la prima volta, dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione Cass., sez. un., nn. 10071 e 11564 del 2011 , va ribadito, in ogni caso, che le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli territoriali dell’ordine degli avvocati e il relativo procedimento rivestono natura amministrativa e non giurisdizionale, con le conseguenze che ne ha tratto il CNF in ordine alla disciplina procedimentale applicabile tra altre, Cass., sez. un., nn. 28339 del 2011, 23540 del 2015, 9138 del 2016 specificamente, sulla inapplicabilità del principio della immutabilità del collegio giudicante, v. Cass. nn. 21585 del 2011 e 5995 del 2012 . 3. Col terzo motivo, infine, è denunciata contraddittorietà e illogicità della motivazione è dedotto, in sintesi, che la sanzione è stata irrogata per circostanze estranee al capo di incolpazione, avendo la ricorrente dimostrato di non aver ricevuto alcun mandato dal P. . La censura è inammissibile. La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 , deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione Cass., sez. un., nn. 8053 del 2014, 21216 del 2015 . Tali vizi non sono riscontrabili nella decisione impugnata. 4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a provvedere sulle spese. 5. Sussistono, infine, i presupposti per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.