Liquidazione compensi avvocato: quando una causa è di valore indeterminabile?

Nel determinare il compenso del legale il valore indeterminabile si applica unicamente qualora la controversia non sia suscettibile di valutazione economica o sia particolarmente complesso individuare il quantum.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11056/16, depositata il 27 maggio. Ha aggiunto, altresì, che ai fini della liquidazione dei compensi di avvocato possono essere definite di valore indeterminabile soltanto le cause o le pratiche aventi a oggetto beni insuscettibili di valutazione economica. L’indeterminabilità va intesa in senso obiettivo, quale conseguenza di una intrinseca inidoneità della pretesa a essere tradotta in termini pecuniari al momento della proposizione della domanda o di espletamento della prestazione. Qualora il Giudice di primo grado non si pronunci su una domanda e detta non venga riproposta in appello l’omessa statuizione è idonea a passare in giudicato. La fattispecie. Nel caso in esame il giudice di merito aveva ritenuto applicabile, nel determinare il compenso dovuto a un legale, lo scaglione del valore indeterminabile a fronte della redazione di un contratto il quale prevedeva la redazione di altri accordi futuri tra le parti. Il valore indeterminato del giudizio. Il Supremo Collegio ha argomentato che il giudice di merito male ha fatto a ritenere applicabile, ai fini della liquidazione della parcella del legale, il valore indeterminato in quanto tale parametro può essere utilizzato unicamente nel caso in cui la controversia non sia suscettibile di valutazione economica o il valore sia di difficile determinazione. Nel caso in esame, trattandosi della redazione di un contratto, ai sensi del codice di procedura civile, si deve considerare il valore dell’intero rapporto obbligatorio. Quale è il valore del giudizio se il contratto redatto ne prevede altri futuri? A dire della Cassazione il codice di procedura civile, ai sensi degli artt. 10 e seguenti, identifica il valore del giudizio tenuto conto di quanto richiesto nella domanda dell’attore. Ne consegue che nell’attività stragiudiziale che prevede la redazione di un accordo si deve considerare il valore del contratto redatto a nulla rilevando che detto possa prevedere ulteriori, e futuri, rapporti obbligatori. L’omessa pronuncia e il passaggio in giudicato. La Corte ha ribadito che nulla può statuire circa l’omessa pronuncia del magistrato di prime cure sulla rifusione delle spese sostenute per la liquidazione della parcella da parte dell’Ordine in quanto non riproposta in fase di gravame e, pertanto, passata in giudicato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 3 – 27 maggio 2016, n. 11056 Presidente Bucciante – Relatore Scarpa Svolgimento del processo Gli avvocati F.P. e G.M.R. , del foro di Trieste, chiesero ed ottennero dal Tribunale di Trieste un decreto ingiuntivo n. 74/2004 nei confronti della ACT - Azienda Consorziale Trasporti - poi Agenzia per la Mobilità Territoriale S.p.A. per il pagamento della somma di euro 150.900,08, oltre interessi e spese, pretesa quale compenso per l’attività professionale svolta a favore dell’intimata, e consistita, in particolare, nello studio e nella predisposizione di un contratto normativo , sottoscritto il 28 maggio 2003, diretto a disciplinare l’assetto degli interessi tra la stessa ACT - Azienda Consorziale Trasporti - ed altre società, in vista della futura costituzione, tra le stesse, di un’associazione temporanea d’imprese, finalizzata a rappresentarle unitariamente nei confronti dell’amministrazione comunale di Trieste e dei terzi, e nella successiva gara per l’aggiudicazione di un appalto per la costruzione di un parcheggio sotterraneo in Trieste, con la previsione, inoltre, delle clausole statutarie della futura società di progetto, da costituire solo in caso di esito positivo della gara, ai fini della realizzazione dei lavori. Il Tribunale di Trieste, con sentenza del 27 novembre 2007, decidendo sull’opposizione proposta dalla ACT, revocava il decreto ingiuntivo, e, ritenuto il difetto di legittimazione sostanziale attiva dell’avvocato G. , condannava l’opponente al pagamento in favore del solo avvocato F. della somma di Euro 4.417,87, oltre accessori di legge ed interessi legali a far data dal 28 gennaio 2004. Veniva proposto appello dagli avvocati F.P. e G.M.R. , e la Corte d’Appello di Trieste, con sentenza del 13 settembre 2011, accoglieva il gravame solo quanto alla condanna della Agenzia per la Mobilità Territoriale S.p.A. già ACT Azienda Consorziale Trasporti agli interessi ex art. 5, d. lgs. n. 231/2002, confermando per il resto la pronuncia di primo grado. Per quanto ancora rilevi in questa sede, il secondo motivo di appello lamentava che la liquidazione del compenso, operata dal Tribunale, avesse violato gli artt. 5 e 6 delle disposizioni generali per le prestazioni giudiziali in materia civile della tariffa professionale dell’epoca, non avendo il primo giudice considerato, ai fini della quantificazione del valore della pratica, né il rilevante importo dei lavori Euro 24.332.000,00 al cui espletamento era finalizzata la futura costituzione dell’associazione temporanea d’imprese, né la straordinaria importanza delle questioni trattate e l’inderogabile urgenza della prestazione, né i risultati conseguiti. A dire dell’appellante, si trattava di una convenzione normativa che regolava tutti i possibili sviluppi dell’iniziativa, poi andata a buon fine con l’aggiudicazione dell’appalto. La Corte di Trieste osservava al riguardo come la prestazione professionale fosse stata resa in materia stragiudiziale, sicché trovava applicazione ratione temporis la tabella D di cui alla tariffa forense approvata con d.m. 5 ottobre 1994, n. 585. La liquidazione non poteva perciò dirsi regolata, come voluto dall’avvocato F. , in base ai criteri di cui agli artt. 5 e 6 delle disposizioni generali dettate dalla tariffa per le prestazioni giudiziali , bensì dall’art. 5 delle norme generali dettate in materia stragiudiziale. Questa disposizione, osservava la Corte del merito, stabilisce, al primo comma, che il valore della pratica o dell’affare si determina a norma del codice di procedura civile , senza aggiungere alcun contemperamento, per un eventuale aumento o diminuzione del compenso, avendo riguardo ai risultati o ai vantaggi conseguiti dal cliente, o all’urgenza della prestazione, o alla straordinaria importanza dell’affare, come invece prevede l’omologo art. 5 delle disposizioni generali per le prestazioni rese a favore del cliente nella materia giudiziale. Secondo la Corte di Trieste, nella determinazione del valore della pratica - consistente nello studio e nella predisposizione delle clausole del contratto normativo sottoscritto il 28 maggio 2003 - non doveva, perciò, farsi riferimento all’ammontare dell’investimento che avrebbe comportato dapprima la partecipazione alla gara pubblica ad opera dell’A.T.I., e poi l’esecuzione dei lavori da parte della costituenda società di progetto. Il richiamo effettuato dall’art. 5 delle norme generali alle disposizioni del codice di procedura civile artt. 10 e ss. impone, secondo i giudici dell’appello, di tener conto dei valori numerici espressi, ovvero dei soli elementi di valutazione precostituiti e disponibili al tempo della prestazione, in origine obiettivamente valutabili dal cliente e dal professionista, senza considerare i possibili sviluppi economici dell’affare o gli investimenti che questo possa nel tempo comportare. Ciò che si demandò al professionista, osserva la Corte di Trieste, fu di predisporre un contratto contenente le clausole di futuri ed eventuali accordi negoziali, circa la costituzione di un raggruppamento d’imprese ed eventualmente di una società, e di certo non rilevano, per la liquidazione del compenso, il fine ultimo dell’operazione negoziale, ossia la possibile aggiudicazione dell’appalto per la realizzazione di un’opera pubblica e l’ammontare dei futuri ed eventuali investimenti per essa necessari . Pertanto, la pratica, secondo i giudici dell’appello, doveva considerarsi per quel che si poteva valutare in base agli elementi esistenti al tempo della prestazione, di valore indeterminabile . La Corte di Trieste, infine, non riconosceva nulla a titolo di danno da svalutazione monetaria, trattandosi di domanda proposta per la prima volta in appello e, quanto alla domanda di rimborso del costo sostenuto dall’avvocato F. per ottenere il parere dell’ordine professionale, già proposta in primo grado, e neppure esaminata dal Tribunale, osservava come l’appellante si fosse limitato a riproporre la stessa nelle conclusioni dell’atto d’ appello, senza muovere al riguardo uno specifico motivo di censura ex art. 342 c.p.c Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste F.P. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia per la Mobilità Territoriale S.p.A Motivi della decisione Il ricorso non risulta rivolto anche all’avvocato G.M.R. , la quale aveva agito in sede monitoria insieme all’avvocato F.P. ed era stata parte dei precedenti gradi di giudizio. Tuttavia, va disattesa l’eccezione del Pubblico Ministero diretta a disporre l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c., in quanto, vertendosi in tema di compensi di avvocati, ogni difensore ha un diritto autonomo verso il cliente in relazione all’attività effettivamente svolta, senza che, ove la pratica sia stata affidata più difensori, tra gli stessi sussista solidarietà attiva né unicità del rapporto sostanziale. Ne deriva che i distinti titoli di credito azionati danno luogo a procedimenti di liquidazione autonomi e deve escludersi ogni ipotesi di litisconsorzio necessario, così come va negata, in sede di impugnazione, una situazione di inscindibilità delle cause, restando sempre possibile la scissione del rapporto processuale, e quindi operando, piuttosto, l’art. 332 c.p.c I. Col primo motivo di ricorso l’avvocato F.P. deduce violazione dell’art. 5 della Tariffa per onorari ed indennità spettanti agli avvocati in materia stragiudiziale, approvata con D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, in relazione agli artt. 10 e 12 c.p.c. ed al paragrafo 2 Tabella D della Tariffa. Si deduce l’erroneità della sentenza impugnata, per aver ritenuto di valore indeterminabile una pratica nella quale all’avvocato era demandata la redazione di un contratto contenente clausole di accordi negoziali futuri ed eventuali, invece di riconoscere gli onorari spettanti all’avvocato in relazione agli accordi negoziali regolati nel contratto anche seppur dipendenti da eventi futuri ed incerti. Si fa riferimento all’impegno economico che sarebbe derivato in ipotesi di aggiudicazione dell’appalto pubblico, stimato in apposito studio di fattibilità finanziaria in Euro 21.012.648,00. Il secondo motivo di ricorso censura l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, n. 5, c.p.c., quanto alla sussistenza di elementi idonei a determinare il valore dell’attività svolta al professionista. Il testo della Convenzione normativa redatto dall’avvocato F. ed i documenti ad essa allegati avrebbero dimostrato la consapevolezza dei sottoscrittori che la realizzazione dell’opera pubblica avrebbe comportato un investimento quanto meno pari ad Euro 24.332.000,00, mentre la sentenza della Corte triestina si sarebbe limitata ad affermare l’indeterminatezza del valore della pratica. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. la novità della domanda del danno da svalutazione monetaria sarebbe frutto di un errore dei giudici di appello, in quanto la stessa domanda era stata già formulata nella comparsa di costituzione davanti al Tribunale di Trieste, e così ripresa nell’atto di appello in ogni caso, con interessi di mora ex d. lgs. n. 231/02 o, in subordine, interessi legali dal di del dovuto al saldo e risarcimento del danno da svalutazione monetaria da liquidarsi in conformità agli indici ISTAT relativi all’incremento del costo della vita per famiglie di operai ed impiegati . Il quarto motivo, sempre denunciato ex art. 360 n. 3, c.p.c., censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. circa la statuizione di inammissibilità della domanda subordinata di rimborso delle spese del costo sostenuto per la liquidazione della parcella. Si evidenzia come il Tribunale di Trieste omise totalmente di considerare la domanda subordinata concernente, appunto, le spese sostenute per la liquidazione della parcella, pari ad Euro 3.375,00, proposta dall’avvocato F. nell’atto di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Si chiede allora di riconoscere che, laddove il giudice di primo grado, violando l’art. 112 c.p.c., non si pronunci su una domanda subordinata, il requisito di specificità dei motivi di appello ex art. 342 c.p.c. possa intendersi soddisfatto mediante richiesta d’integrale riforma della sentenza impugnata, inserita nel contesto di un più ampio ed articolato atto di appello. II. I primi due motivi di ricorso, che per la loro connessione vanno esaminati congiuntamente, risultano fondati per quanto di ragione. Il dato normativo di riferimento va tratto, ratione temporis , dalle tariffe degli onorari ed indennità spettanti agli avvocati in materia stragiudiziale civile stabilite dal Decreto del Ministro di Grazia e Giustizia 5 ottobre 1994, n. 585, in quanto vigenti all’epoca delle svolte prestazioni. L’art. 4 delle relative Norme generali prevedeva Per la determinazione degli onorari fra il massimo ed il minimo stabiliti, si deve tenere presente il valore e la natura della pratica, il numero e l’importanza delle questioni trattate, il pregio dell’opera prestata, i risultati ed i vantaggi anche morali conseguiti dal cliente e se le prestazioni sono richieste in condizioni di particolare urgenza . Il successivo art. 5, comma 1, affermava Il valore della pratica o dell’affare si determina a norma del codice di procedura civile . Il comma 2 aggiungeva Le pratiche di valore indeterminabile si considerano di valore eccedente le Lire 10.000.000 Euro 5.164,57 , ma non superiore a Lire 200.000.000 Euro 103.291,38 . . Il punto 2, lettera f dell’allegata tariffa stabiliva, quindi, per la prestazione di assistenza consistente nella redazione di contratti, gli onorari quantificati in misura percentuale per scaglioni di importo progressivo rispetto al valore della pratica. Va correttamente inquadrata tra le prestazioni stragiudiziali l’assistenza nella redazione dei contratti, attività consistente nella redazione ex novo di un contratto, cioè nell’attività creativa della traduzione in termini tecnico - giuridici delle pattuizioni di due parti così Cass. sez. 2, Sentenza n. 4842 del 14/11/1989 . In un remoto precedente, e con riguardo ai Decreti ministeriali previgenti che recavano disposizioni analoghe all’art. 5 appena richiamato, questa Corte aveva affermato che l’art. 12, primo comma, cod. proc. civ. la cui norma, con le altre del codice di rito concernenti la competenza per valore, è richiamata in materia stragiudiziale sia dall’art. 5 del DM 28 novembre 1960 che dai corrispondenti articoli dei decreti ministeriali 2 aprile 1965 e 30 maggio 1969, successivamente entrati in vigore dispone che il valore delle cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione. Detta regola non subisce deroghe quando il giudice e chiamato ad esaminare questioni relative all’esistenza ed alla validità dell’intero rapporto obbligatorio quale premessa logica della richiesta decisione, purché su tali questioni non sia domandata una pronuncia con efficacia di giudicato Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1765 del 07/06/1972 . Come visto, il d.m. 5 ottobre 1994, n. 585, stabilendo all’art. 5 delle Norme generali per gli onorari in materia stragiudiziale civile che il valore della pratica o dell’affare si determina a norma del codice di procedura civile , fissava poi nell’allegata tariffa, per la prestazione di assistenza nella redazione di contratti effettivamente portati a conclusione, un onorario determinato in modo non analitico ovvero prestazione per prestazione, in dati periodi di tempo , ma globale, in percentuale, appunto, al valore della pratica, comprensivo di qualunque altro onorario previsto dalla tariffa, rimanendo a tal fine inapplicabili, ai fini della liquidazione, i criteri concernenti il risultato o il vantaggio procurati al cliente. Si trattava, peraltro, di un sistema remunerativo derogabile, ben potendo il professionista ed il cliente accordarsi liberamente su una diversa liquidazione del compenso per la prestazione di assistenza ad un contratto. Dovendosi il valore della pratica stragiudiziale, ai sensi del citato art. 5, calcolare a norma del codice di procedura civile, è noto come il valore della causa, in virtù degli arti. 10 e ss. c.p.c., si identifica in base a quanto in concreto richiesto nella domanda dall’attore, ed avendosi come riferimento temporale il momento di proposizione della domanda stessa cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5573 del 08/03/2010 Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20118 del 18/09/2006 . Non possono perciò spiegare influenza, ai fini della determinazione del valore della domanda, le successive modificazioni o gli ampliamenti che siano provocati da uno sviluppo della stessa, ad esempio in conseguenza di una situazione di fatto non ancora completamente esauritasi nelle sue conseguenze economiche. Tuttavia, la Corte d’Appello di Trieste ha definito di valore indeterminabile e ciò agli effetti del comma 2 dell’art. 5 delle Norme generali , sulla base degli elementi esistenti al tempo della prestazione, la pratica relativa al contratto normativo del 28 maggio 2003, redatto con l’assistenza dell’avvocato F. , contratto che conteneva le clausole di futuri ed eventuali accordi negoziali circa la costituzione di un raggruppamento di imprese o di una società. Ad avviso dei giudici d’appello, non potevano contribuire a determinare il valore della pratica né l’importo dell’appalto pubblico alla cui aggiudicazione l’operazione negoziale era preordinata, né l’ammontare degli investimenti necessari a questo fine. Nonostante il richiamo di un principio interpretativo secondo il quale una causa è di valore indeterminabile quando la domanda non venga quantificata numericamente al momento della sua proposizione, la Corte di Trieste ha col suo ragionamento disatteso, in realtà, un costante orientamento di questa Corte, per il quale, tanto ai fini della competenza che ai fini della liquidazione dei compensi di avvocato, possono essere definite di valore indeterminabile soltanto le cause o le pratiche aventi ad oggetto beni insuscettibili di valutazione economica, in quanto tale indeterminabilità del valore va intesa in senso obiettivo, quale conseguenza, cioè, di un’intrinseca inidoneità della pretesa ad essere tradotta in termini pecuniari al momento di proposizione della domanda o di espletamento della prestazione professionale arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3024. del 07/02/2011 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6414 del 19/03/2007 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7757 del 20/07/1999 . Ancora più chiaramente, si è ritenuto contrario al principio, rinvenibile nell’art. 6 della deliberazione del Consiglio Nazionale Forense 12 giugno 1993, approvata dal d.m. n. 585 del 1994, qualificare, agli effetti della liquidazione degli onorari di avvocato, come cause di valore indeterminabile non quelle non suscettibili di valutazione economica, quanto quelle il cui valore sia soltanto non determinato o di difficile valutazione Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5905 del 24/03/2004 . D’altro canto, il convincimento espresso dal giudice di merito, in ordine all’importanza ed al valore delle pratiche trattate dal professionista legale, ai fini della determinazione dell’onorario stabilito dalla tariffa, si sottrae al sindacato di legittimità sempre che la motivazione data sull’argomento appaghi le esigenze della logica, del corretto criterio giuridico e della completezza di esame sui dati che concorrono a caratterizzare gli affari trattati dal professionista Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1813 del 09/07/1964 . In specie, avendosi qui riguardo alla liquidazione dell’onorario spettante ad un avvocato, in base alle tariffe stabilite dal d.m. 5 ottobre 1994, n. 585, per una prestazione stragiudiziale di assistenza alla redazione di un contratto volto a costituire tra la parti una Associazione Temporanea di Imprese per l’aggiudicazione e l’esecuzione di un contratto di un appalto di opera pubblica ripartendone i costi tra le partecipanti prevedendo la costituzione di una Società di progetto in caso di aggiudicazione dell’opera, nonché la misura delle rispettive quote di capitale e le clausole statutarie essenziali riguardanti le posizioni soggettive individuali dei soci assumendo l’obbligo di versare ad una di esse il corrispettivo in importo stabilito per l’attività di progettazione preliminare già svolta d’intesa con altra impresa partecipante , la pratica non può considerarsi di valore indeterminabile, trattandosi di prestazione comunque suscettibile di conversione in danaro, in base all’ammontare degli apporti delle singole imprese riunite per quanto concerne la gestione dei lavori, i rapporti con i terzi, gli adempimenti di legge e gli oneri sociali. III. Va poi considerato come tanto il terzo come il quarto motivo di ricorso lamentano la violazione di norme processuali in maniera impropria, ovvero sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c., anziché sotto il profilo dell’ error in procedendo , di cui al numero 4 del citato art. 360. Tuttavia, l’erronea invocazione formale del vizio di legittimità non impedisce di ricavare dal contenuto delle due censure un univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dai relativi vizi segnalati e perciò non incide sull’ammissibilità di esse. IV. È comunque infondato il terzo motivo di ricorso. Il ricorrente denuncia che la Corte d’Appello abbia ritenuto nuova e perciò inammissibile la domanda di danno da svalutazione monetaria perché proposta per la prima volta in sede di gravame. Si oppone che tale domanda fosse stata, invece, formulata nella comparsa di costituzione davanti al Tribunale di Trieste, e poi richiamata nell’atto di appello. Il compenso per prestazioni professionali di avvocato ha natura di debito di valuta soggetto al principio nominalistico, la cui rivalutazione monetaria non può, perciò, essere automaticamente riconosciuta, ai sensi dell’art. 1224, comma 2, c.c., occorrendo a tal fine, piuttosto, a prescindere dagli oneri probatori posti a carico della parte istante, un’apposita domanda, la quale non può essere proposta per la prima volta in appello, stante il divieto di cui all’art. 345 c.p.c D’altra parte, l’autonomia di tale domanda comporta che la statuizione del giudici di primo grado, che abbia negato la relativa pretesa attributiva del maggior danno da svalutazione, o abbia omesso ogni statuizione in risposta ad essa, se non specificamente impugnata, è suscettibile di passaggio in giudicato Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24858 del 25/11/2005 . Ne consegue che il ricorrente avrebbe avuto l’onere di formulare specifico motivo di appello ex art. 342 c.p.c. che investisse le disattesa domanda del danno da svalutazione monetaria, non potendo esaurire la sua ragione di doglianza al riguardo con la mera riproposizione della domanda nell’atto introduttivo del gravame, operando l’art. 346 c.p.c. per l’appellato vittorioso. Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, ex art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, pur verificata l’erroneità della declaratoria di novità della domanda in appello operata dalla Corte di Trieste, può qui omettersi la cassazione con rinvio sul punto della sentenza impugnata, facendo in ogni caso difetto uno specifico motivo di gravame volto a censurare il rigetto o l’omessa pronuncia su tale domanda da parte del giudice di primo grado, ciò determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2313 del 01/02/2010 . Si afferma da questa Corte, invero, che la violazione di norme processuali può costituire motivo idoneo di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando abbia influito in modo determinante sul contenuto della decisione di merito, ovvero allorché quest’ultima - in assenza di tale vizio - non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22978 del 11/11/2015 . V. Non merita accoglimento nemmeno il quarto motivo di ricorso, che attinge la declaratoria di inammissibilità della domanda subordinata di rimborso delle spese del costo sostenuto per la liquidazione della parcella, a fronte dell’omessa pronuncia su di essa da parte del Tribunale. Per il ricorrente, l’omessa pronuncia imputabile al giudice di primo grado su una domanda subordinata non impone alla parte soccombente alcuno specifico motivo di appello, essendo sufficiente richiedere al giudice del gravame l’integrale riforma della sentenza impugnata. È esatto, piuttosto che, allorché una parte abbia proposto in primo grado una pluralità di domande in via cumulativa, quali, nella specie, in caso di revoca del decreto ingiuntivo opposto, la condanna al pagamento del compenso professionale, oltre accessori e rimborso del costo sostenuto per ottenere il parere dell’ordine professionale pur essendo questa attività necessaria per la difesa, che fonda il diritto alla ripetizione in favore dell’avvocato Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10876 del 01/10/1999 , in ipotesi di rigetto o di omessa pronuncia su una o alcune di tali domande, l’appellante ha l’onere di proporre specifici motivi di appello, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., che investano ciascuna delle istanze disattese, e non può esaurire la sua ragione di doglianza nella generica reiterazione nell’atto introduttivo del gravame soltanto di una o alcuna di esse, confidando nella loro portata assorbente, in quanto il giudizio di appello rimane limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, in base al principio del tantum devolutum quantum appellatum . Conclusivamente, devono essere accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso, per quanto di ragione, ed invece rigettati il terzo ed il quarto. La sentenza impugnata deve perciò essere cassata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste perché la decida, uniformandosi ai principi innanzi enunciati. Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, rigetta il terzo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste.