La cessione del credito dell’avvocato è nulla se finalizzata ad eludere un provvedimento disciplinare

E’ nullo il contratto di cessione di credito tra avvocati che, secondo l’id quod plurumque accidit, costituisca un mero artifizio per consentire ad uno dei due di esercitare di fatto la professione e incassare i crediti a titolo di onorario, a fronte della pregressa comminazione di un provvedimento disciplinare inibitorio.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10182/16, depositata il 18 maggio. La vicenda processuale. Il fatto da cui trae origine la pronuncia in commento è così sintetizzabile. Un avvocato citava in giudizio una società per il pagamento di compensi per attività professionale eseguita in suo favore. Sosteneva, in verità, di vantare una residua somma comprensiva di quella dovuta ad altro collega avvocato che per qualche tempo aveva sostituito l’attore e a cui aveva ceduto il credito maturato. La società contestava la domanda deducendo come l’attore fosse stato sospeso dall’esercizio della professione per ragioni disciplinari nell’arco temporale interessato dal petitum . Rappresentava, altresì, che taciutale la circostanza della sospensione, l’attore anzi aveva addotto motivi di salute, inducendola a conferire un formale incarico al collega poi divenuto cessionario del credito . Chiedeva che l’incarico professionale fosse dichiarato nullo in via d’eccezione. Il Tribunale accoglieva la domanda dell’avvocato, non essendo stato provato che questi avesse eseguito prestazioni professionali durante il periodo della sospensione disciplinare. Interponeva gravame la società. La Corte d’appello accoglieva le tesi difensive della società, valutando elusivo del provvedimento disciplinare il mandato conferito da quest’ultima al collega dell’attore. Ricorre per cassazione l’avvocato. La decisione della Corte di Cassazione. Gli Ermellini, per quel che qui più interessa, respingono il ricorso. Per la Corte di Cassazione il giudice di seconde cure bene ha fatto a valorizzare elementi di natura indiziaria che convergevano tutti verso lo scopo elusivo del provvedimento disciplinare. A circa cinque mesi di distanza dalla sospensione - si legge nella parte motiva - l’avvocato ancora relazionava la società sullo stato dei procedimenti, comunicando che in taluni di questi sarebbe stato sostituito da un nuovo procuratore. Peraltro il collega sostituto aveva delegato l’avvocato ricorrente alla riscossione del proprio compenso. Non solo. La cessione del credito conclusa inter partes era stata comunicata alla società solo dopo l’invio alla stessa da parte dell’avvocato ricorrente delle proprie notule a saldo. Il contratto è in frode alla legge. Appare evidente, come nel caso di specie, la cessione del credito fosse finalizzata ad eludere le norme di legge. Dalla fase istruttoria dei giudizi di merito è emerso come l’avvocato ricorrente avesse svolto, senza interruzione l’attività professionale, e che la cessione del credito ad un terzo, altro non era che uno strumento per aggirare il divieto imposto dall’Ordine di appartenenza. Nella vicenda in esame l’interprete può cogliere l’applicazione dei parametri generali del contratto in frode alla legge. L’istituto art. 1344 c.c. ricorre, come noto, tutte le volte in cui vi sia una consapevole divergenza tra causa tipica del negozio e determinazione causale delle parti volta a rivelare un interesse fraudolento. Qui l’apparenza del rispetto della forma deve cedere alla sostanza dello scopo fraudolento. E l'unico rimedio possibile è la reazione ordinamentale che sancisce la nullità del negozio per ragioni di ordine pubblico.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 15 aprile – 18 maggio 2016, n. 10282 Presidente Bucciante – Relatore Criscuolo Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 30/4/2001 l’avvocato P.S. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano l’Artigianmarmo s.n.c. assumendo di avere difeso la convenuta in numerosi procedimenti civili analiticamente indicati in citazione, e che, al netto degli acconti già percepiti, vantava un residuo credito pari a Lire 11.557.365, comprensivo dei compensi dovuti all’avvocato Po.Ga., il quale per qualche tempo aveva sostituito l’attore, e che gli aveva ceduto il credito maturato, come da comunicazione del 13/1/1999. La società convenuta contestava la fondatezza delle pretese, e dopo aver riepilogato la sorte dei vari giudizi relativamente ai quali l’attore aveva prestato la propria attività professionale, deduceva che solo alla fine del 1998 era venuta a conoscenza che l’avvocato P. era stato sospeso dall’esercizio della professione per motivi disciplinari dal 30/9/1993 al 10/10/1994 e dal 1/12/1994 al 31/1/1995, senza che fosse stata informata dei motivi della sospensione dall’attore, che aveva invece addotto dei motivi di salute, consigliandole di conferire un formale incarico al predetto avvocato Po. . Concludeva pertanto affinché fosse dichiarata la responsabilità dell’attore per negligente esercizio dell’attività professionale, con la conseguente condanna al risarcimento dei danni, ovvero che, in subordine, il compenso fosse comunque ridotto. In via riconvenzionale chiedeva altresì che fosse dichiarata la nullità del contratto di incarico professionale per il periodo in cui era intervenuta la sospensione disciplinare dell’attore, con la conseguente condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite pari a Lire 8.790.745. Il Tribunale con la sentenza n. 12233 del 2006 rigettava l’eccezione di prescrizione, con riguardo ad alcune delle pratiche oggetto della domanda e, ritenuta infondata l’eccezione di nullità del contratto, non essendo provato che l’attore avesse eseguito prestazioni professionali durante il periodo della sospensione disciplinare, disattendeva altresì la domanda di responsabilità professionale e, previo riconoscimento degli ulteriori compensi richiesti, che liquidava con riguardo alla media delle tariffe forensi in vigore al momento in cui le prestazioni professionali erano state compiute, accertava che il compenso complessivamente spettante all’attore ammontava a Lire 25.426.200, così che, tenuto conto degli acconti già percepiti, residuava un credito pari ad Euro 46,58. Avverso tale sentenza proponeva appello il P. lamentando che i diritti andavano liquidati nella misura fissa prevista dalle tariffe forensi, in relazione al valore della controversia deduceva altresì che il giudice avrebbe dovuto valutare il particolare pregio dell’attività prestata, non potendosi utilizzare come parametro di riferimento la liquidazione delle spese processuali effettuata a carico della parte soccombente nei vari giudizi in cui aveva difesa la società. Concludeva pertanto affinché si procedesse ad una diversa determinazione dei compensi, in misura superiore rispetto a quanto statuito dal giudice di primo grado. Si costituiva la società appellata che concludeva per il rigetto dell’appello, e proponeva appello incidentale in merito al mancato accoglimento della domanda di nullità dei contratti relativamente alla dedotta elusione di norme imperative ai sensi degli articoli 1343 e 1344 c.c La Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 226 del 31 gennaio 2011 rideterminava il credito dell’attore, al netto degli acconti ricevuti, in Euro 2.510,69, con interessi dalla data della domanda giudiziale al saldo, ed accertata la nullità dei mandati difensivi conferiti all’avvocato Po. , con il conseguente diritto alla restituzione in favore della convenuta della somma di Euro 4.540,04, condannava pertanto il P. al pagamento in favore dell’appellata della somma di Euro 2029,35, con interessi a far data dalla domanda riconvenzionale al saldo. La Corte distrettuale provvedeva a ricalcolare in relazione ad ogni singolo affare curato da parte dell’avvocato P. le competenze di sua spettanza mentre, in merito all’appello incidentale, dopo aver ritenuto l’assenza di specifiche censure per quanto concerneva il rigetto dell’eccezione di prescrizione e della domanda di responsabilità professionale, considerava meritevole di accoglimento la richiesta di accertamento della nullità dell’incarico professionale per i periodi in cui l’appellante risultava essere stato sospeso dall’esercizio della professione forense, ritenendo che il mandato conferito all’avvocato Po. era unicamente finalizzato ad eludere l’effetto scaturente dal provvedimento che aveva colpito il professionista. Per l’effetto, provvedeva a quantificare le somme riscosse dall’avvocato P. per attività svolte durante il periodo di sospensione e, previa compensazione dei reciproci crediti, riconosceva dovuta la differenza in favore della società appellata. Per la cassazione di tale sentenza, P.S. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi. La Artigianmarmo S.a.s. di G.F. & amp C ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente con riferimento al disposto dell’articolo 360 bis c.p.c., occorrendo a tal fine ricordare che secondo l’interpretazione della norma offerta dalle Sezioni Unite Cass. n. 19051/2010 la previsione de qua configura comunque un’ipotesi di rigetto nel merito, che appare però idonea a consentire una definizione immediata mediante la procedura in camera di consiglio di cui all’art. 380 bis, sicché una volta ravvisata la non decidibilità ai sensi della detta norma, per essere stato rimesso il ricorso alla pubblica udienza, fatte salve le diverse ipotesi di inammissibilità per ragioni di rito, il ricorso deve comunque essere valutato nel merito circa la sua fondatezza. Sempre in via preliminare deve rilevarsi l’irritualità della nomina quale ulteriore difensore della società controricorrente dell’avvocato B.G. , atteso il rilascio della procura in calce alla memoria di nomina del nuovo difensore. Ed, infatti, premesso che il presente giudizio risultava già pendente alla data del 4 luglio 2009, costituisce principio consolidato cfr. Cassazione civile sez. III 27 agosto 2014 n. 18323 Cassazione civile 11 marzo 2014 n. 5600 quello secondo cui nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell’art. 83 cod. proc. civ. secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore dell’art. 45 della legge 18 giugno 2009,n. 69 ovvero, il 4 luglio 2009 , mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, secondo comma, cod. proc. civ 2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 343 e 342 c.p.c. nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio. Assume il ricorrente che la comparsa di costituzione e risposta della resistente nel giudizio di appello non reca alcuna specifica indicazione circa la volontà di proporre appello incidentale così che, attesa l’assenza di una specifica dichiarazione di impugnazione ad opera dell’appellata, le statuizione del giudice di primo grado di rigetto dell’eccezione e delle domande dalla stessa proposte risulta essere passata in giudicato. Analogamente, il rigetto della domanda riconvenzionale volta ad ottenere l’accertamento della nullità delle prestazioni professionali rese durante il periodo di sospensione dall’esercizio della professione forense, non risultava contrastato dalla proposizione di motivi specifici di impugnazione, non potendo pertanto la Corte distrettuale pervenire all’accoglimento in sede di gravame di tale domanda. Il motivo è evidentemente privo di fondamento. La sentenza impugnata con motivazione connotata da logicità e coerenza, ha puntualmente evidenziato, nella disamina dell’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale sollevata da parte del P. che, in relazione al contenuto della comparsa di risposta della società, occorreva distinguere tra l’eccezione di prescrizione e la richiesta di condanna per responsabilità professionale, da un lato, e la diversa domanda finalizzata ad ottenere l’accertamento della nullità degli incarichi professionali di fatto espletati dal P. durante il periodo di sospensione professionale, dall’altro. A tal fine ha evidenziato che, quanto alle prime due, non si rinvenivano specifiche censure alla sentenza impugnata, avendo l’appellata semplicemente riproposto gli argomenti già svolti in primo grado, senza accompagnare all’esplicazione anche una specifica volontà di ottenere la riforma della sentenza sul punto. Viceversa, per quanto riguardava la diversa domanda di accertamento dell’illiceità, ha ritenuto invece che emergeva una chiara volontà di ottenere la riforma della pronuncia di rigetto adottata dal Tribunale, adducendo i motivi a sostegno di tale richiesta, facendo puntuale richiamo anche alla pagina 8 della comparsa di risposta, nella quale era dato evincere le argomentazioni idonee a sovvertire il pronunciamento del Tribunale. Ritiene la Corte, sulla base della disamina della comparsa di risposta in appello della società intimata, disamina che appare consentita in ragione della specificità del motivo di ricorso proposto, che, contrariamente a quanto sostenuto nel motivo in esame, emerga in maniera assolutamente inequivoca la precisa volontà della società di ottenere, in via incidentale la riforma della sentenza di primo grado sul punto concernente la validità del contratto d’opera professionale eseguito dal P. , anche durante il periodo nel quale risultava essere stato sospeso dall’esercizio della professione. A tal fine si rileva che la comparsa in oggetto, da pagina 3 a pagina 8 riporta analiticamente le circostanze di fatto che comporterebbero la nullità di tale incarico, nonché le argomentazioni giuridiche che del pari supportano la conclusione auspicata, risultando esplicitata la richiesta di riforma in via incidentale sia a pagina 8 della comparsa che nelle conclusioni a pagina 39, laddove si ribadisce la richiesta di ottenere la declaratoria di nullità dei contratti per le suddette ragioni. 3. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’articolo 101 c.p.c., con la conseguente nullità della sentenza impugnata sul presupposto che il giudice di appello avrebbe dichiarato la nullità dei contratti, relativamente ai periodi di sospensione disciplinare dell’avvocato P. , pervenendo altresì alla dichiarazione di nullità del contratto con il quale il credito in oggetto sarebbe stato ceduto all’odierno ricorrente dall’avvocato Po. , il tutto senza che al giudizio abbia preso pane quest’ultimo. Anche tale motivo appare destituito di fondamento occorrendo rilevare che la domanda riconvenzionale formulata dalla società, che ha trovato accoglimento in sede di gravame, mirava ad ottenere la restituzione nei confronti del solo avvocato P. dei compensi ricevuti per prestazioni rese durante il periodo nel quale risultava sospeso. L’accertamento della nullità anche degli incarichi professionali formalmente conferiti all’avvocato Po. , in quanto sostanzialmente elusivi dei divieti imperativi, che non consentono l’esercizio dell’attività professionale a soggetto, anche temporaneamente privo dei requisiti prescritti per legge, è avvenuto in via incidentale ma al precipuo scopo di poter decidere sulla domanda di ripetizione che vedeva come unico destinatario l’avvocato P. , senza quindi un coinvolgimento, quanto alle richieste restitutorie anche dell’altro professionista, che avrebbe concorso a realizzare la sostanziale elusione dei divieti di legge. Dovendo pertanto la Corte distrettuale decidere unicamente su di una domanda di condanna alla restituzione di somme che si assume essere state indebitamente percepite dal ricorrente, poteva altresì accertare incidentalmente anche la nullità della cessione del credito formalmente intervenuta tra i due professionisti, in considerazione della stessa inesistenza del credito ceduto, e ciò quale logica conclusione dell’apprezzamento in fatto secondo cui in realtà l’avvocato Po. non avrebbe svolto alcuna attività nell’interesse dell’intimata, che continuava ad essere sostanzialmente assistita dall’avv. P. . 4. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 2727 e 2729 cc nonché l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio. Sostiene che la Corte milanese avrebbe ribaltato inopinatamente la decisione del giudice di primo grado che aveva escluso che l’avvocato P. avesse svolto attività professionale in favore della società convenuta durante il periodo di sospensione. Il Tribunale aveva ritenuto che l’esistenza di una bozza manoscritta di una memoria istruttoria, predisposta nell’ambito di una controversia che coinvolgeva l’odierna intimata, era un indizio insufficiente per ritenere provata la suddetta circostanza. Viceversa la sentenza impugnata ha valorizzato altri tre elementi di natura indiziaria ed in particolare una missiva del 28/2/1994, predisposta a circa cinque mesi di distanza dalla sospensione disciplinare, nella quale l’avvocato P. relazionava l’Artigianmarmo sullo stato delle cause che a suo tempo gli erano state affidate, comunicando che in una di esse sarebbe avvenuta la costituzione di un nuovo procuratore, così come analoga sostituzione sarebbe avvenuta nelle altre cause. Ancora si rimarcava la circostanza che l’Avv. Po. aveva delegato il ricorrente alla riscossione del proprio compenso e che la cessione di credito intervenuta tra i suddetti professionisti venne comunicata alla controricorrente solo dopo l’invio a quest’ultima da parte dell’avvocato P. delle notule a saldo. Si sostiene che il convincimento dei giudici di merito, secondo cui tali elementi unitamente a quello ritenuto di carattere non univoco dal giudice di primo grado, comproverebbero che l’avvocato P. avrebbe svolto la propria attività in favore della società senza soluzione di continuità, e ciò nonostante l’intervento del provvedimento di sospensione cautelare, sarebbe del tutto erroneo ed in palese violazione delle suddette norme. Il motivo, anche a voler tacere circa l’evidente carenza del requisito dell’autosufficienza, attesa la mancata riproduzione e trascrizione in ricorso dei documenti, in base ai quali indiziariamente la Corte distrettuale avrebbe ricostruito l’effettivo svolgimento dei fatti, e sulla scorta del quale avrebbe poi affermato l’illiceità del contratto d’opera professionale eseguito dal ricorrente anche durante il periodo di sospensione professionale, è del tutto privo di fondamento atteso che con il medesimo si intende surrettiziamente sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti di causa, attività questa non consentita in sede di legittimità, ove alla stessa abbia provveduto il giudice del merito supportando il proprio convincimento con una motivazione logica e coerente, come appunto deve ritenersi sia avvenuto nella fattispecie. Costituisce infatti principio costantemente ribadito da questa Corte quello secondo cui cfr. ex multis Cass 5 dicembre 2011 n. 26022 allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni - le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito - rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit , essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune dal vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale conf. Cass. n. 16831/2003 . La Corte di merito ha tratto, dall’invio di una missiva a cinque mesi di distanza dalla sospensione disciplinare, e cioè in un periodo in cui era inibito lo svolgimento della professione forense, argomenti per confermare il permanente interessamento del professionista alle procedure curate in passato per conto della società, conclusione questa che non appare caratterizzarsi per illogicità ovvero incongruenza. Del pari deve escludersi la sussistenza di un vizio motivazionale nella valorizzazione della circostanza secondo cui lo stesso avvocato Po. , nel comunicare alla società l’invito a pagare quanto richiesto per la presunta attività svolta, direttamente nelle mani dell’avvocato P. , dichiarasse che le notule erano state predisposte dallo stesso avvocato P. , sebbene d’intesa con il mittente. Peraltro la sentenza, non incorrendo nell’errore della disamina isolata degli elementi indiziari, che peraltro sembra evidenziare la formulazione del ricorso, nella pane in cui concentra le proprie critiche, analizzando individualmente gli elementi dei quali si è avvalsa la sentenza impugnata, senza porli in doverosa correlazione, ha ricollegato alle contestazioni manifestate dalla società dopo l’invio delle notule, la conclusione della cessione di credito, la quale avrebbe quindi assicurato copertura giuridica alla pretesa già manifestata del P. di ricevere personalmente un corrispettivo che sarebbe in realtà dovuto in favore dell’avvocato Po. . La complessiva considerazione dei suddetti elementi consente pertanto di attribuire ben diversa valenza anche alla bozza manoscritta della memoria istruttoria, confortando quindi il convincimento dei giudici di merito in ordine alla effettiva continuazione ad opera del ricorrente dell’esercizio dell’attività defensionale, nonostante la sospensione disciplinare, di fatto aggirata mediante la nomina come nuovo difensore dell’avvocato Po. , il cui nominativo era stato fornito dallo stesso P. . Né pare giustificatamente sostenibile che il ricorrente non abbia svolto alcuna attività professionale nell’interesse della controricorrente dopo la data del 30/9/1993, apparendo tale affermazione smentita dalla stessa richiesta di compensi formulata da parte dell’avvocato Po. , una volta ritenuta provata la circostanza che in realtà la nomina di quest’ultimo era un mero artifizio per consentire all’originario difensore di continuare ad interessarsi delle pratiche dell’intimata, pur in presenza di un provvedimento inibitorio. 5. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia il vizio di omessa pronunzia su di uno specifico motivo di impugnazione nonché la violazione e falsa applicazione degli articoli 1224 e 1219 c.c. in ordine all’erronea determinazione della data di decorrenza degli interessi legali sul corrispettivo dovuto al ricorrente. Il Tribunale aveva statuito che gli interessi legali sulle somme dovute in favore del P. dovessero decorrere dalla data della domanda giudiziale, e cioè dal 30/4/2001. Tale affermazione era stata oggetto di uno specifico motivo di impugnazione ad opera dell’originaria parte attrice, la quale sosteneva che la decorrenza degli interessi doveva risalire al giorno della messa in mora, e, nella fattispecie, alla data di invio della raccomandata del 29/4/1999. Si assume nel motivo che la Corte di Appello, senza prendere in considerazione alcuna tale motivo, sebbene abbia rideterminato le somme complessivamente dovute dalla società appellata, ha affermato la debenza degli interessi legali a partire dalla proposizione della domanda giudiziale, confermando implicitamente quanto statuito dal giudice di primo grado. In sostanza la sentenza sarebbe viziata sia per la violazione dell’articolo 112 c.p.c., per non aver la Corte distrettuale delibato su di uno specifico motivo di gravame, sia in ogni caso per la violazione delle norme sostanziali che prevedono la decorrenza degli interessi legali a far data dalla messa in mora. Il motivo è fondato. La stessa sentenza impugnata, nel riportare le conclusioni delle parti, dà atto della richiesta del ricorrente di ottenere, in riforma della sentenza di primo grado, il riconoscimento di una diversa data di decorrenza degli interessi legali. La Corte distrettuale tuttavia ha omesso di adottare una decisione su tale motivo di impugnazione, incorrendo pertanto nel vizio di omessa pronunzia. In ogni caso la decisione risulterebbe comunque erronea ai sensi del n. 3 dell’articolo 360 c.p.c. anche laddove si volesse opinare nel senso che la conferma della decorrenza degli interessi in conformità di quanto affermato dal Tribunale equivalga ad un implicito rigetto del motivo di impugnazione, presentandosi la conclusione fatta propria dai giudici di merito in contrasto con il disposto di cui all’articolo 1219 c.c., in presenza di un atto di costituzione in mora avente data anteriore alla proposizione della domanda giudiziale. Reputa tuttavia la Corte che la causa possa comunque essere decisa nel merito, provvedendosi pertanto al riconoscimento degli interessi legali sul residuo credito dovuto in favore del ricorrente, così come determinato dalla Corte distrettuale, secondo la diversa data di decorrenza indicata dalla stessa parte ricorrente, e ciò sino alla data della proposizione della domanda riconvenzionale, occorrendo poi procedere a tale momento alla reciproca compensazione delle poste creditorie. In tal senso l’importo riconosciuto in favore dell’avvocato P. di cui al capo a della decisione impugnata, pari a Euro 2510,69 deve essere incrementato degli interessi legali maturati a far data dal 29/4/1999 fino alla data di proposizione della domanda riconvenzionale 11/6/2001 . Per effetto di tale calcolo, il credito vantato dal ricorrente ascende al maggior importo di Euro 2.654,93, così che effettuata la compensazione con il maggior credito della società, pari ad Euro 4.540,04, la somma tuttora dovuta in favore dell’intimata risulta essere pari ad Euro 1.895,11, cui vanno aggiunti gli interessi al tasso legale, sempre a far data dalla proposizione della domanda riconvenzionale, così come stabilito al capo c della pronunzia oggetto di gravame. L’intervenuta decisione nel merito della controversia impone poi di dover provvedere ad una novella dettminazione del carico delle spese di lite, necessità questa che determina l’assorbimento del quinto motivo di ricorso con il quale il P. si doleva della intervenuta compensazione delle spese di lite, ma sul presupposto dell’erróneità della soluzione di merito alla quale erano pervenuti i giudici di appello. Tuttavia, tenuto conto della complessità delle questioni giuridiche trattate, e considerato che emerge una reciproca soccombenza con il riconoscimento in favore dell’originaria convenuta di un diritto di credito di limitato valore, e frutto di un’ulteriore riduzione in conseguenza dell’accoglimento del quarto motivo del ricorso, si ritiene che sussistano giusti motivi per compensare interamente le spese di tutti i gradi di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto e decidendo nel merito, accerta che per il credito del ricorrente nei confronti della intimata, così come determinato nel capo a della sentenza impugnata, decorrono gli interessi legali a far data dal 29/4/1999, e per l’effetto condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Artigianmarmo s.a.s. della somma di Euro 1.895,11, oltre interessi al tasso legale a far data dalla domanda riconvenzionale 11 giugno 2001 . Compensa integralmente le spese dei tre gradi di giudizio.