L’obbligo di informazione dell’avvocato al proprio assistito

L’obbligo di diligenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 1176, comma 2, e 2236 c.c. impone al legale di informare l’assistito di tutte le questioni in fatto e in diritto ostative al raggiungimento del risultato o, comunque, produttive del rischio di effetti dannosi.

La semplice sottoscrizione della procura non è idonea a dimostrare una corretta informazione da parte del legale al proprio assistito delle scelte processuali. E’ onere dell’avvocato dimostrare di aver informato correttamente il proprio assistito sulle possibili conseguenze di una scelta processuale. La fattispecie. Nel caso in esame una società aveva citato in giudizio il proprio difensore al fine di veder dichiarato risolto il contratto d’opera professionale per inadempimento del professionista stante l’omessa chiamata in causa del terzo. Se il Tribunale di primo grado aveva accolto le domande dell’attore condannando, altresì, il legale al ristoro del danno patito la Corte d’Appello, riformando la decisione, aveva, per converso, riconosciuto il diritto del professionista a percepire il proprio compenso. La controversia è giunta, infine, all’esame della Corte di legittimità. Il dovere di informazione dell’avvocato. L’obbligo di diligenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 1176, comma 2, e 2236 c.c. impone al legale di sollecitare, dissuadere e informare l’assistito di tutte le questioni in fatto e in diritto ostative al raggiungimento del risultato o, comunque, produttive del rischio di effetti dannosi. Incombe, inoltre, sul professionista la prova della condotta mantenuta e, al riguardo, non è sufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all’esercizio dello ius postulandi . Pertanto il professionista deve dimostrare di aver esaustivamente spiegato tutte le conseguenze della scelta che l’assistito intende effettuare. Attività di persuasione. Tuttavia anche l’attività di persuasione del cliente al compimento, o meno, di un atto e ulteriore rispetto all’assolvimento dell’obbligo informativo è concretamente inesigibile e in contrasto con la natura di obbligazione di mezzi della prestazione dell’avvocato. La soluzione della Corte. Pertanto essendo l’omessa chiamata in causa riconducibile alla scelta del cliente per motivi di fatto, e non giuridici, neppure esplicate al difensore, il quale aveva esplicato esaustivamente le conseguenze di una eventuale chiamata di terzo, nulla può essere eccepito al professionista che ha diritto a percepire il proprio compenso maturato per aver prestato la propria assistenza.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 gennaio – 19 aprile 2016, n. 7708 Presidente Matera – Relatore Picaroni Ritenuto in fatto 1. - È impugnata la sentenza della Corte d’appello di Venezia, depositata il 5 luglio 2010 e notificata il 25 gennaio 2011, che ha accolto l’appello proposto da M.L. avverso la sentenza del Tribunale di Treviso e nei confronti di Shipping Team s.r.l 1.1. - Il giudizio di primo grado era stato introdotto dalla società Shipping Team con domanda di risoluzione del contratto d’opera professionale concluso con l’avvocato M. per inadempimento del predetto, con conseguente accertamento negativo del credito professionale e condanna dello stesso al risarcimento del danno. 1.2. - Il Tribunale aveva accolto la domanda di risoluzione, ritenendo sussistente la responsabilità del professionista in ragione dell’omessa chiamata in causa di terzo in manleva, e lo aveva condannato al pagamento di Euro 28.587,50 oltre interessi e rivalutazione monetaria, nonché al pagamento del 40% delle spese di lite. 2. - La Corte d’appello, adita in via principale dal professionista e in via incidentale subordinata dalla società Shipping Team, accoglieva il gravame e respingeva le domande di risoluzione e risarcimento danni, determinando altresì il compenso spettante al difensore per l’attività prestata. 3. - Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso Shipping Team srl, sulla base di cinque motivi. Resiste con controricorso Lucio M. . Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza, e la ricorrente ha presentato osservazioni scritte sulle conclusioni del P.G Considerato in diritto 1. - Il ricorso è infondato. 1.1. - Con il primo motivo è dedotta violazione degli artt. 1176, 1218, 1375, 2229 e 2236 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto che - a fronte di uno specifico dovere informazione nei confronti del proprio cliente in ordine all’opportunità di chiamare in causa il terzo non era fonte di responsabilità professionale il comportamento omissivo dell’avvocato, che non aveva sollecitato il cliente dopo che questi aveva rifiutato l’ipotesi di effettuare la chiamata in causa del terzo. 1.2. - La doglianza è infondata. 1.2.1. - La Corte d’appello ha osservato che dalle prove raccolte prova testimoniale diretta, testi R. e V. emergeva con certezza che l’amministratore della Shipping Team era stato informato dall’avvocato Palladino1 , codifensore insieme all’avvocato M. , dell’opportunità di chiamare in causa - oltre all’istituto incaricato della sorveglianza del capannone nel quale era stato perpetrato il furto - anche la società che aveva installato l’impianto di allarme, ed inoltre che, all’esito dell’informazione, la Shipping Team aveva scelto di non dare seguito alla predetta chiamata. Tale valutazione di opportunità, secondo la Corte d’appello, era rimessa al cliente e non era sindacabile dal difensore. 1.2.2. - La motivazione resa dalla Corte territoriale risulta esente da censura. Non può ritenersi che il difensore avesse il dovere di insistere per ottenere il consenso della parte alla chiamata in causa del terzo la diligenza cui era tenuto il difensore nell’esercizio del suo mandato era stata assolta nel momento in cui il cliente era stato informato sul punto ex plurimis, Cass., sez. 3^, sentenza n. 24544 del 2009 . È vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo di diligenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ., impone all’avvocato di assolvere - sia all’atto del conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto - anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo il professionista tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole. È vero, di conseguenza, che incombe sul professionista l’onere di fornire la prova della condotta mantenuta, e che al riguardo non è sufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all’esercizio dello ius postulandi , trattandosi di elemento che non è idoneo a dimostrare l’assolvimento del dovere di informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio Cass., sez. 2^, sentenza n. 14597 del 2004 . Ciò detto, è altresì vero che l’attività di persuasione del cliente al compimento o non di un atto, ulteriore rispetto all’assolvimento dell’obbligo informativo, è concretamente inesigibile, oltre che contrastante con il principio secondo cui l’obbligazione informativa dell’avvocato è un’obbligazione di mezzi e non di risultato ex plurimis, Cass., sez. 3^, sentenza n. 10289 del 2015 . 1.2.3. - Nel caso di specie la scelta del cliente, di non chiamare in garanzia il terzo, era riconducibile a ragioni fattuali e non giuridiche, non esplicitate dal cliente al difensore, mentre la consapevolezza delle conseguenze giuridiche della mancata chiamata in garanzia, ossia l’impossibilità di rivalersi sul garante, era contenuta nell’informazione resa in merito alla facoltà di chiamata in causa del terzo. E del resto, il difensore non poteva prospettare in modo certo al proprio cliente la responsabilità della ditta installatrice dell’impianto di allarme, a fronte della pronuncia di merito che aveva ritenuto non accertato il nesso causale tra inidoneità o malfunzionamento dell’impianto e perpetrazione del furto. Non sussiste, pertanto, la dedotta violazione di legge. 2. - Con il secondo motivo è dedotto vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto che l’eventualità della chiamata in garanzia del terzo non implicasse la risoluzione di specifiche questioni processuali o di diritto sostanziale, ma fosse rimessa ad una valutazione di opportunità spettante al cliente e non sindacabile dal difensore. 2.1. - La doglianza è infondata. 2.1.1. - Il dovere di informazione del difensore si arrestava dinanzi alla prospettazione della possibilità di chiamare in garanzia la società che aveva installato l’impianto antifurto - peraltro, verificato pochi giorni prima del furto e risultato non manomesso dopo la perpetrazione del furto - e non residuavano altri oneri informativi o di sollecitazione che il difensore avrebbe potuto fornire, alla stregua di specifiche cognizioni giuridiche di cui disponeva, tanto più che la scelta della Shipping Team di non chiamare in causa l’installatore era riconducibile a ragioni di opportunità, sulle quali il difensore non avrebbe potuto sindacare. 3. - Con il terzo motivo è dedotto vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto che non sussistesse nesso causale tra l’omessa chiamata in causa ed il danno del cliente. 3.1. - La doglianza è infondata. 3.1.1. - L’affermazione della Corte d’appello, secondo cui non sussistevano elementi dai quali poter desumere che la domanda di manleva verso l’installatore avrebbe avuto ragionevoli probabilità di accoglimento, è stata assunta all’esito dell’esame delle risultanze processuali, che facevano escludere che l’impianto antifurto fosse inidoneo ed inadeguato. La motivazione non risulta né illogica né incoerente, e ciò la rende immune da censure. 4. - Con il quarto motivo è dedotta violazione degli artt. 1176, 1218, 1375, 2229 e 2236 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e si contesta che la Corte d’appello abbia ritenuto che il professionista fosse esonerato da ulteriore sollecitazione del cliente alla chiamata in causa del terzo, una volta che l’obbligo di informazione sul punto era stato assolto dal codifensore. 4.1. - Il motivo è infondato. 4.1.1. - La Corte d’appello ha correttamente ritenuto che, una volta assolto il dovere di informazione da parte del codi-fensore avv. Palladino, e assunta dalla parte la scelta di non effettuare la chiamata in causa del terzo, l’avv. M. non fosse tenuto a sollecitare tale chiamata, dovendosi escludere, nel caso di più difensori della medesima parte, la necessità che ciascuno di essi fornisca informazioni del medesimo tenore al cliente. 5. - Con il quinto motivo è dedotto vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello omesso ogni riferimento ai criteri seguiti per la quantificazione del credito maturato dal professionista a titolo di corrispettivo della prestazione. 5.1. - La doglianza è infondata. 5.1.1. - La sentenza impugnata individua specificamente i criteri adottati per la quantificazione, facendo espresso richiamo al valore della controversia, all’attività svolta dal difensore, alla complessità della lite, alla rilevanza della prestazione eseguita e all’impegno professionale richiesto. La quantificazione è argomentata, inoltre, sul risultato ottenuto a favore della Shipping Team, consistito nella riduzione in ragione della metà del risarcimento richiesto. 6. - Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.