Liquidazione dell’avvocato e causa di fallimento: la Cassazione fa un ripasso

Il procedimento di liquidazione del compenso al difensore, il quale abbia prestato la propria attività in un procedimento di curatela fallimentare, ex art. 25 l. fall., deve soddisfare le specifiche esigenze della procedura. Ciò deve interpretarsi nel senso che la liquidazione autonoma non è da ritenersi preclusa dal provvedimento emesso dal giudice della causa, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., con riferimento al regolamento finale delle spese processuali.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4269/2016, depositata il 4 marzo scorso. Il caso. Un avvocato proponeva reclamo ai sensi dell’art. 26 della l. fall., contro il decreto con cui il magistrato delegato per il fallimento di una società, gli aveva liquidato i compensi relativi all’attività professionale posta in essere in tre giudizi civili. Il professionista lamentava il mancato rispetto del d.m. 8 aprile 2004, eccependo una determinazione dei compensi in misura inferiore rispetto a quanto liquidato in favore del fallimento. Il Tribunale adito rigettava il reclamo, rilevando come il giudice non potesse ritenersi vincolato da liquidazioni eseguite aliunde . Il magistrato, inoltre, sottolineava come non fosse stata fornita prova in relazione al fatto che i titoli giudiziali, determinanti la liquidazione del fallimento, fossero stati eseguiti con conseguente attribuzione dei relativi importi alla massa. Il soccombente ricorreva per cassazione, lamentando violazione degli artt. 3 e 5 della l. n. 794/1992 e 5 del d.m. 8 aprile 2004, precisando che la prova richiesta dal Tribunale non poteva essere fornita, in considerazione del divieto di azioni esecutive individuali previsto dall’art. 51 della l. fall Fondamentale il passaggio o meno in giudicato della sentenza conclusiva della causa cui il patrocinio è relativo. La Suprema Corte ha, preliminarmente, affermato che il procedimento di liquidazione del compenso al difensore il quale abbia prestato la propria attività in un procedimento di curatela fallimentare, ex art. 25 l. fall., deve soddisfare specifiche esigenze della procedura. Quanto sopra, hanno chiarito gli Ermellini, deve interpretarsi nel senso che la liquidazione autonoma non è da ritenersi preclusa dal provvedimento emesso dal giudice della causa, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., con riferimento al regolamento finale delle spese processuali. Infatti, ha aggiunto il Collegio, ai fini della liquidazione del compenso, anche il Tribunale fallimentare deve ottemperare alle indicazioni della tariffa professionale. Il discrimen deve essere individuato, secondo la Corte, nel passaggio o meno in giudicato della sentenza conclusiva della causa cui il patrocinio di cui si tratta è relativo. Infatti, se il passaggio in giudicato del provvedimento non è ancora avvenuto, il rispetto delle prescrizioni tariffarie non comporta che la liquidazione debba essere determinata in misura necessariamente non inferiore a quella disposta, in favore della curatela fino al momento del giudicato, non è possibile fare riferimento al valore effettivo della causa trattata, per la determinazione della somma di cui sopra, dal momento che su tale valore incide anche l’esito delle domande. Nell’ipotesi in cui la decisione definitiva della causa preveda un importo per le spese processuali dovute alla curatela in misura superiore rispetto a quello di liquidazione del professionista e riceva esecuzione , quest’ultimo ha la facoltà di invocare tale decisione come titolo per ottenere l’eventuale maggior somma che gli compete per l’opera prestata e che, se incamerata dal cliente, ne determinerebbe una ingiusta locupletazione . L’onere della prova, a carico del professionista, della avvenuta ricezione degli importi da parte della massa viene, a parere del Collegio, ritenuto erroneamente necessario dal Tribunale tale richiesta è priva di fondamento normativo, rilevando soltanto la liquidazione delle spese ai sensi dell’art. 91 c.p.c., con sentenza passata in giudicato. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio il provvedimento impugnato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 4 febbraio – 4 marzo 2016, n. 4269 Presidente Didone – Relatore Terrusi Svolgimento del processo L'avv. N.D.B. propose reclamo ex art. 26 della leghi fall. avverso il decreto col quale il giudice delegato al fallimento di M.e_s_ di della P.A. gli aveva liquidato i compensi per l'attività professionale svolta, in favore della procedura, in tre giudizi civili. Si dolse del non avvenuto rispetto del d.m. 8-4-2004 e del fatto che i compensi erano stati determinati in misura inferiore a quanto liquidato, a conclusione dei giudizi suddetti, in favore del fallimento. Il tribunale di Larino ha rigettato il reclamo osservando che il g.d. non era vincolato a liquidazioni eseguite aliunde e che nessuna prova era stata fornita in ordine al fatto che i titoli giudiziali, contenenti la liquidazione in favore del fallimento, fossero stati in effetti posti in esecuzione con attribuzione alla massa dei relativi importi, onde potersi affermare esistente una ingiusta locupletazione per il fallimento medesimo. Per la cassazione del decreto del tribunale l'avv. D.B. propone ricorso affidato a un solo motivo. Il fallimento non ha svolto difese. Motivi della decisione I. Con unico motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della 1. n. 794 del 1992, 5 del d.m. 8-4-2004, n. 127, 52 della legge fall., nonché dei principi in materia di determinazione e liquidazione dei diritti, onorari e spese di avvocato, sostenendo che non poteva nella specie esser comunque liquidato un compenso inferiore a quello già determinato nei confronti della parte soccombente nel giudizio in cui la curatela, da esso patrocinata, era risultata vittoriosa. Invero la misura di tali importi non poteva essere variata in quanto le sentenze suddette erano passate in giudicato. La prova richiesta dal tribunale a sua volta non poteva esser fornita, posto il divieto di azioni esecutive individuali stabilito dall'art. 51 della l. fall., essendo sopravvenuto il fallimento della controparte Commint s.r.l. del giudizio di merito. L'insinuazione nel fallimento di tale società poteva infine valere solo nei rapporti tra le curatele, mentre il credito del professionista sfuggiva al procedimento di verifica di cui all'art. 93 e seg. della legge fall. Del resto la fruttuosità o meno di un'azione esecutiva ai danni dei debitori falliti era cosa irrilevante, essendo quello del professionista un credito di massa, prededucibile nei limiti della sufficienza e graduabilità dell'attivo ripartibile tra la stessa categoria di creditori. II. - Il ricorso è fondato. Deve essere premesso che, seppure richiamando le norme in materia tariffaria, il ricorrente non ha formulato alcuna specifica deduzione a tale riguardo. Essendosi trattato di prestazioni per attività svolta nell'ambito di giudizi civili, la questione posta col ricorso traduce invece la pretesa del professionista di vedersi liquidata comunque, dal tribunale, una somma non inferiore a quella determinata dalle sentenze, passate in giudicato, rese a conclusione dei giudizi suddetti. III. - E' vero che il provvedimento di liquidazione, ex art. 25 legge fall., del compenso al difensore che abbia assistito in una causa la curatela fallimentare risponde a esigenze specifiche della procedura, come il tribunale ha correttamente premesso. Ma tale giusta considerazione sta a significare semplicemente che la liquidazione autonoma non è preclusa dal provvedimento che il giudice di detta causa abbia reso ai sensi dell'art. art. 91 cod. proc. civ., quanto al regolamento finale delle spese processuali. Invero nel liquidare il compenso anche il tribunale fallimentare deve osservare le prescrizioni della tariffa professionale. IV. - Occorre distinguere, allora, a seconda che la sentenza conclusiva della causa del cui patrocinio si tratta sia o meno passata in giudicato. L'osservanza delle prescrizioni tariffarie non implica che la liquidazione debba avvenire in misura necessariamente non, inferiore a quella disposta, in favore della curatela, con la sentenza, allorché la sentenza non sia ancora passata in giudicato v. Sez. 1 n. 81-91 . Difatti, fino al giudicato, per la determinazione del valore da assumere a base del suddetto provvedimento non può aversi riguardo al valore effettivo della causa trattata, posto che su tal valore incide anche l'esito delle domande v. art. 6 del d.m. n. 127 04, qui rilevante ratione temporis . Ciò comporta che qualora la definitiva decisione della causa determini l'importo delle spese processuali dovute alla curatela in misura superiore a quella liquidata al professionista in sede fallimentare, ricevendo in parte qua fruttuosa esecuzione, il professionista può invocare tale decisione come titolo per ottenere l'eventuale maggior somma che gli compete per l'opera prestata e che, se incamerata dal cliente, ne determinerebbe una ingiusta locupletazione. V. - Erra il tribunale nel reputare necessaria, ai detti fini, la prova, a onere del professionista, della avvenuta ricezione dei relativi importi da parte della massa, spontaneamente o all'esito di azioni esecutive. Nessun fondamento normativo possiede difatti una simile considerazione di necessità, mentre ciò che in effetti rileva è che la liquidazione delle spese ai sensi dell'art. 91 cod. proc. civ., con sentenza passata in giudicato, renda indiscutibile il parametro cui associare la valutazione del pregio dell'opera prestata e del risultato ottenuto dal professionista art. 5 del d.m. cit. . Per tale ragione quindi il provvedimento va cassato con rinvio al medesimo tribunale di Larino, il quale, diversamente composto, provvederà a liquidare le spese del difensore istante uniformandosi al principio di diritto sopra esposto. Il tribunale provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al tribunale di Larino.