Liquidazione onorari a carico del cliente: nel caso di azione revocatoria si guarda il valore effettivo della controversia

Ai fini della liquidazione degli onorari a carico del cliente e a favore dell’avvocato che abbia prestato la sua opera in un giudizio relativo ad azione revocatoria, qualora il valore della controversia sia manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice civile, esso si determina non già sulla base del credito a tutela del quale si è agito in revocatoria, ma sulla base del valore effettivo della controversia.

Il caso. La vicenda riguarda un ricorso ex artt. 28 e 29 l. n. 794/1942 promosso da un avvocato per la liquidazione degli onorari per l’attività svolta in un giudizio relativo ad azione revocatoria. L’azione era volta a far dichiarare l’inefficacia di atti di donazione di immobili a tutela di un credito di oltre 5.000.000,00 €. Il tribunale, applicando l’art. 6, comma 2, del d.m. n. 127/2004 trattandosi di liquidazione chiesta nei confronti del cliente, aveva determinato l’ammontare considerando non il credito a tutela del quale l’azione revocatoria era diretta, bensì il valore effettivo della controversia. Tale valore però era giudicato indeterminabile” e in ragione di tale valutazione il tribunale aveva liquidato la somma in favore del legale. Questi proponeva allora ricorso in Cassazione contestando la decisione impugnata ritenendo troppo esiguo l’importo così determinato. La decisione della Corte. L'art. 28 l. n. 794/1942, intitolato Forma dell'istanza di liquidazione degli onorari e dei diritti , nella sua formulazione originaria stabiliva che per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l'avvocato o il procuratore, dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura, deve, se non intende seguire la procedura di cui all'art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, proporre ricorso al capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo . Oggi la norma stabilisce che il procedimento applicabile, dopo le modifiche del d.lgs. 150/2011, è il rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c Si tratta quindi di una speciale procedura di liquidazione contenuta nella legge professionale, invocabile solo per le prestazioni giudiziali civili e di recente estesa anche alle prestazioni stragiudiziali ad esse strettamente strumentali e complementari, così Cass. n. 21954/2014 . Nel caso di specie il punto fondamentale della decisione del tribunale, confermata dalla Corte di Cassazione, è relativo al criterio di determinazione del valore della controversia in base al quale parametrare e liquidare il compenso all’avvocato. Secondo l’art. 6, d.m. n. 127/2004, nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del codice di procedura civile e in particolare, nei giudizi per azioni surrogatorie o revocatorie, si guarda all'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione è diretta. Il comma 2 dello stesso articolo specifica invece che nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, bisogna considerare il valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile. Sulla scorta di tali considerazioni il tribunale affermava di dover considerare il valore effettivo degli immobili de quo agitur , dato che secondo le stime correnti di mercato tale valore sarebbe di gran lunga inferiore al credito per il quale si è agito in revocatoria. Il tribunale, tuttavia, non disponeva di elementi per determinare il valore di tali beni e pertanto giudicava il valore effettivo della controversia come indeterminabile e di conseguenza liquidava le spese. Il ricorrente contestava tale scaglione di riferimento, ma la censura viene bocciata dalla Cassazione poiché non aveva fornito alcun elemento probatorio per calcolare il valore nominale degli immobili. Mancando quindi qualsiasi indicazione in merito ai beni in questione e agli elementi di riscontro del valore asserito, il motivo di ricorso non poteva essere accolto. Sotto altro profilo il ricorrente lamentava il fatto che il tribunale avesse ritenuto non provate alcune attività professionali che secondo la parte si sarebbero potute invece desumere dal fascicolo d’ufficio. Anche rispetto a tali contestazioni la Cassazione conferma la decisione del tribunale. Per costante orientamento giurisprudenziale la parcella dell’avvocato costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicità pertanto le poste e le voci in essa indicate, se non contestate dal cliente, non possono essere disconosciute dal giudice. Tuttavia se la parcella non è prodotta in giudizio o non è completa, la parte richiedente non può pretendere dal giudice del procedimento di liquidazione il compimento di un’indagine officiosa tesa a colmare le lacune istruttorie imputabili alla stessa parte ricorrente. Nel caso di specie, alla Corte non risultava se la parcella fosse stata effettivamente prodotta in sede di merito, il ricorso quindi non era autosufficiente” e violava il disposto dell’art. 366, n. 6 c.p.c Anche in ordine a tale motivo le pretese del ricorrente vengono rigettate e la sentenza impugnata viene confermata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 giugno – 30 settembre 2015, numero 19520 Presidente Russo – Relatore Barreca Svolgimento del processo 1.- Con ordinanza del 15 luglio 2011 il Tribunale di Lecce, decidendo sul ricorso proposto dall'avvocato R.G. nei confronti di M.L.M. ai sensi degli artt. 28 e 29 della legge numero 794 del 1942, ha liquidato in favore del primo, per l'attività svolta in un giudizio relativo ad azione revocatoria, la somma complessiva di Euro 3.683,50, oltre accessori, compensando tra le parti le spese del procedimento. Il Tribunale ha applicato l'art. 6, comma secondo, del D.M. numero 127 del 2004, avendo riguardo non al valore del credito alla cui tutela era diretta l'azione revocatoria - reputato criterio applicabile soltanto nella liquidazione giudiziale a carico della parte soccombente in giudizio - bensì al valore effettivo della controversia - reputato criterio applicabile nella liquidazione degli onorari a carico del cliente. Ha inoltre ritenuto che, nel caso di specie, non fosse determinabile il valore effettivo della causa, avente ad oggetto la declaratoria di inefficacia degli atti di donazione di immobili del M. richiesta dalla curatela del fallimento della società Spa IFIS per un credito risarcitorio di dieci miliardi di lire, vantato e già azionato da quest'ultima per la responsabilità del M. connessa alla negligente gestione societaria . Dato ciò, e tenuto conto dell'oggetto e della complessità della controversia, il Tribunale ha liquidato i diritti e gli onorari nella misura media, reputandola di valore indeterminato. 2.- L'avv. R.G. ricorre contro questo provvedimento con tre motivi, illustrati da memoria. M.L.M. si difende con controricorso. Motivi della decisione 1.- Col primo motivo di ricorso è dedotta violazione degli artt. 10 e 14 cod. proc. civ. in riferimento all'art. 360 numero 3 e numero 5 cod. proc. civ. e 111 Cost., nonché omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Il ricorrente richiama le disposizioni del codice di rito sulla determinazione del valore della controversia, ai fini della competenza, onde sostenere che sarebbe carente di una attendibile motivazione” il provvedimento del Tribunale che ha ritenuto la controversia di valore indeterminato. Invece, il valore si sarebbe dovuto considerare pari a quello del credito alla cui tutela era preposta l'azione revocatoria indicato nell'importo di lire 10 miliardi, cioè di Euro 5.164.568,99 . In via subordinata, sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto considerare il valore nominale” degli immobili oggetto dell'azione revocatoria. Questo - a dire del ricorrente - avrebbe comportato l'applicabilità delle tariffe comprese nello scaglione fra Euro 103.300,00 ed Euro 258.300,00, piuttosto che di quelle relative alle cause di valore indeterminato. 1.1.- Col secondo motivo, è dedotta violazione delle norme e dei principi in materia di inderogabilità dei minimi tariffari, nonché delle norme degli artt. 24 della legge numero 794 del 1942 e 4 della tariffa civile e 2, comma 2, del d.l. numero 223 del 2006 ed, ancora, violazione della disciplina di cui ai D.M. numero 127 e numero 585 del 1994 ed omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Il ricorrente sostiene che vi sarebbe stata una violazione dei minimi tariffari e che vi sarebbe un vizio di motivazione in merito all'importanza ed al valore della causa trattata dal professionista, al pregio dell'opera professionale ed ai risultati e vantaggi conseguiti dal cliente. Sostiene, inoltre, che il Tribunale non avrebbe tenuto conto dell'attività effettivamente svolta nel corso del giudizio. 2.- I motivi, che vanno trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono inammissibili. Essi non censurano la ratio decidendi del provvedimento impugnato. Questa consiste nell'affermazione del Tribunale secondo cui, nel caso di specie, trova applicazione, non il primo comma dell'art. 6 del D.M. numero 127 del 2004 per il quale nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del codice di procedura civile, avendo riguardo nei giudizi per azioni surrogatorie e revocatorie, all'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione è diretta [ ]” , bensì il secondo comma della stessa norma per il quale nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, può aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile” . Il ricorrente non contesta che la norma applicabile sia quella del secondo comma dell'art. 6 del D.M. numero 127 del 1994 ed, in particolare, non censura l'affermazione del giudice di merito secondo cui il valore effettivo della controversia avente ad oggetto l'azione revocatoria nella quale l'avv. R. prestò la propria attività professionale appare manifestamente inferiore all'entità del credito a tutela del quale l'azione revocatoria è stata esperita”. Dato ciò, e considerato il tenore dei primi due comma dell'art. 6 del D.M. numero 127 del 1994, che distinguono tra il criterio di determinazione degli onorari a carico del soccombente ed il criterio di liquidazione degli onorari a carico del cliente, è corretto in diritto il provvedimento impugnato che - sulla base dell'apprezzamento in fatto del valore della controversia - ha escluso il ricorso alle presunzioni del codice di rito. Non è perciò pertinente il richiamo delle norme degli artt. 10 e 14 cod. proc. civ. effettuato dal ricorrente, così come non sono pertinenti i precedenti di legittimità richiamati in memoria, che riguardano la liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente nel giudizio di azione revocatoria Cass. ord. numero 10089/14 cfr. anche Cass. numero 5402/04 . Va infatti affermato il principio per il quale ai fini della liquidazione degli onorari a carico del cliente ed a favore dell'avvocato che abbia prestato la sua opera in un giudizio relativo ad azione revocatoria, qualora il valore della controversia sia manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice civile, esso si determina non già sulla base del credito a tutela del quale si è agito in revocatoria, ma sulla base del valore effettivo della controversia, in applicazione del comma secondo dell'art. 6 del D.M. 8 aprile 2004 numero 127. 2.1.- Il ricorrente, come detto, non censura la motivazione per la quale, secondo il Tribunale, sulla scorta dei prezzi correnti nel mercato immobiliare, il valore dei predetti immobili id est, degli immobili oggetto delle donazioni di cui era chiesta la dichiarazione di inefficacia è di gran lunga inferiore ad Euro 5.164.568,99” vale a dire, al valore del credito da tutelare . Piuttosto, sostiene che il valore degli immobili sarebbe stato determinato o determinabile , sicché, in via subordinata, il valore della controversia sia sarebbe dovuto rapportare a questo valore e sarebbe errato il riferimento che la Corte d'Appello ha fatto allo scaglione relativo alle cause di valore indeterminato. Così come formulata, la censura è inammissibile. Ed invero, per un verso, non è criticata l'affermazione del giudice di merito secondo cui non sarebbero stati presenti in giudizio elementi certi in ordine al valore dei predetti immobili”. Si tratta di una lacuna istruttoria sulla quale nulla è detto in ricorso. Per altro verso, il ricorrente si riferisce ad un valore nominale” degli stessi immobili - che assume essere compreso fra Euro 103.300,00 ed Euro 258.300,00 - rispetto al quale il ricorso è del tutto privo di autosufficienza. Manca infatti qualsivoglia indicazione in merito agli immobili di che trattasi ed agli elementi di riscontro del valore asserito. 2.2.- Infine, è inammissibile il secondo motivo, nella parte in cui denuncia la violazione dei minimi tariffari poiché il superamento, da parte del giudice, dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura un vizio in iudicando e, pertanto, per l'ammissibilità della censura, è necessario che nel ricorso per cassazione siano specificati i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate, al fine di consentire alla Corte il controllo di legittimità, senza dover espletare un'inammissibile indagine sugli atti di causa così, da ultimo, Cass. numero 22983/14 . Rientra inoltre nel potere discrezionale del giudice di merito la determinazione della misura degli onorari tra i minimi ed i massimi tariffari, sicché non è censurabile il provvedimento che, come nel caso di specie, abbia applicato la misura media, in relazione all'oggetto ed alla complessità della controversia. 3.- Col terzo motivo è dedotta violazione delle norme e dei principi in materia di ripartizione dell'onere della prova con riferimento alle attività professionali espletate e riconosciute dalle tariffe civili, nonché violazione dell'art. 2697 cod. civ. e dell'art. 91 cod. proc. civ Si censura l'ordinanza nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto non provato l'espletamento di talune attività professionali, mentre, secondo il ricorrente, queste si sarebbero potute desumere dall'esame del fascicolo d'ufficio ovvero si sarebbero dovute presumere sulla base delle disposizioni del codice di procedura civile o ritenere non contestate dalla controparte. Si censura inoltre la decisione di compensazione delle spese del procedimento, assumendosi che non vi sarebbero state gravi ed eccezionali ragioni in tal senso. 3.1.- Nessuno dei due profili nei quali il motivo è articolato merita di essere accolto. Quanto al primo, è sufficiente rilevare che è corretta la decisione del giudice di merito di liquidare diritti ed onorari soltanto per l'attività professionale specificamente documentata dall'avvocato nell'ambito del procedimento iniziato ai sensi dell'art. 28 della legge numero 794 del 1942. È inammissibile la censura secondo la quale il Tribunale avrebbe dovuto tenere conto di quanto risultante dal fascicolo d'ufficio o di quanto non contestato dalla controparte. Parte ricorrente avrebbe dovuto dedurre di avere prodotto la parcella contenente le voci relative alle attività svolte, rispetto alla quale soltanto avrebbe potuto invocare la presunzione di veridicità riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte cfr. Cass. numero 8160/2001, nonché Cass. S.U. numero 14699/10, secondo cui La parcella dell'avvocato costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicità, in quanto l'iscrizione all'albo del professionista è una garanzia della sua personalità pertanto, le poste o voci in essa elencate, in mancanza di specifiche contestazioni del cliente, non possono essere disconosciute dal giudice” . Se la parcella non è prodotta in giudizio ovvero non è completa, la parte richiedente non può pretendere dal giudice del procedimento finalizzato alla liquidazione degli onorari il compimento di un'indagine officiosa eventualmente mediante l'acquisizione del fascicolo d'ufficio volta a colmare lacune istruttorie imputabili alla stessa parte. Nella specie, dal ricorso non si evince se in sede di merito fosse stata prodotta una parcella e/o quali fossero le attività difensive ivi indicate, quindi quali fossero quelle sulle quali si sarebbe avuta la non contestazione della parte resistente. Il ricorso non rispetta, sul punto, il disposto dell'art. 366 numero 6 cod. proc. civ., essendo privo della necessaria autosufficienza. 3.2.- Quanto al secondo profilo, va rilevato che la decisione di compensazione delle spese processuali è stata motivata dal Tribunale con la constatazione che la somma liquidata per diritti ed onorari, nell'importo complessivo di Euro 3.683,50, è enormemente inferiore a quella richiesta” pari ad Euro 45.387,79 . In proposito, va ribadito il principio per il quale la nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. , sottende - anche in relazione al principio di causalità - una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti ovvero anche l'accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri ovvero quando la parzialità dell'accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo così Cass. ord. numero 22381/09 e numero 21684/13 . Pertanto, malgrado sia improprio il riferimento alle gravi ed eccezionali ragioni contenuto nell'ordinanza impugnata, il giudice ha comunque correttamente esercitato il potere discrezionale riconosciutogli dall'art. 92, comma secondo, cod. proc. civ Poiché il principio di causalità va inteso non in senso assoluto, ma nel senso -relativo a ciascun procedimento-sopra specificato, non merita accoglimento la censura del ricorrente, secondo cui le spese del procedimento non sarebbero state compensabili, per essere stato egli costretto ad instaurare il giudizio in conseguenza del silenzio dell'interlocutore”. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore del resistente, nell'importo complessivo di Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese processuali, IVA e CPA come per legge.