Compenso da restituire al soggetto fallito: l’assicurazione non deve risarcire l’avvocato

Il rischio assicurato deve essere inteso come il danno che il professionista può cagionare a terzi o al proprio cliente per fatti colposi commessi nell’esercizio dell’attività forense, o ad essa connessi. Pertanto, l’obbligazione di restituzione del compenso percepito – conseguente all’accertamento del danno arrecato ai creditori concorsuali e della responsabilità per questo danno – non può ritenersi coperta dall’assicurazione professionale dell’avvocato.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 17346/15, depositata il 31 agosto. Il caso. Un avvocato, convenuto in giudizio con azione revocatoria fallimentare da una s.r.l. in amministrazione straordinaria – che chiedeva di veder dichiaratii inefficaci i pagamenti eseguiti in suo favore per prestazioni professionali -, oltre a chiedere il rigetto della domanda attrice, chiamava in garanzia la propria compagnia assicurativa, chiedendone la condanna a tenerlo indenne dell’eventuale debito di restituzione in favore dell’attrice. La domanda proposta dalla s.r.l. veniva respinta in primo grado. La Corte d’appello territoriale, in riforma di quanto deciso dal giudice di prime cure, dichiarava inefficaci i pagamenti ma rigettava la domanda proposta dal convenuto nei confronti della compagnia assicurativa. Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione il professionista. Il rischio assicurato è solo quello connesso all’esercizio dell’attività professionale. La decisione degli Ermellini si fonda sull’analisi del primo motivo di censura proposto dal ricorrente, con il quale il professionista lamentava che i giudici di merito avevano omesso di considerare come coperto dall’assicurazione il pregiudizio derivante dal sopravvenuto obbligo di restituzione del compenso percepito per prestazioni professionali. Secondo il legale, infatti, l’obbligazione di restituzione del compenso percepito – conseguente all’accertamento del danno arrecato ai creditori concorsuali e della responsabilità per questo danno - deve ritenersi coperta dall’assicurazione, dal momento che la percezione del compenso è un momento essenziale dell’attività professionale. Sul punto, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto corretta e determinante la ratio decidendi su cui i giudici del merito hanno fondato la propria pronuncia alla luce del testo della clausola contrattuale, infatti, secondo il Collegio di legittimità l’interpretazione del contratto di assicurazione fornita dai giudici dei primi due gradi di giudizio risulta corretta laddove per rischio assicurato si è inteso il danno che il professionista può cagionare a terzi o al proprio cliente per fatti colposi commessi nell’esercizio dell’attività forense, o ad essa connessi. La ricezione del pagamento non dà luogo a responsabilità professionale. Non solo il Supremo Collegio ha ulteriormente precisato che il comportamento di chi riceve un pagamento, a qualsiasi titolo, è del tutto generico, e non può essere considerato prestazione d’opera intellettuale né dar luogo a una responsabilità professionale. Nel caso di specie, infatti, il ricorrente è stato chiamato alla restituzione in quanto creditore, e non in quanto professionista, mentre il rischio assicurato dalla compagnia è solo quello derivante dall’esercizio dell’attività professionale. Pertanto, poiché l’infondatezza del primo motivo di ricorso sollevato dal ricorrente rende del tutto irrilevanti le altre censure mosse, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal legale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 luglio – 31 agosto 2015, n. 17346 Presidente Ceccherini – Relatore Nappi Svolgimento del processo Il prof. avv. B.A., convenuto in giudizio con azione revocatoria fallimentare dalla Case di cura riunite s.r.l. in amministrazione straordinaria, che aveva chiesto dichiararsi inefficaci pagamenti per Euro 565.252,05 eseguiti in suo favore per prestazioni professionali, non si limitò a chiedere il rigetto della domanda, ma chiamò in garanzia sia la Aurora Assicurazioni s.p.a., chiedendone la condanna a tenerlo indenne dell'eventuale debito di restituzione in favore dell'attrice, sia il Ministero dell'economia e delle finanze e la Cassa Nazionale di previdenza e assistenza forense, chiedendo la restituzione di quanto versato a titolo di imposte e di contributi previdenziali sui compensi che fosse eventualmente tenuto a restituire. La domanda dell'attrice, respinta in primo grado, fu accolta invece dalla Corte d'appello di Bari, che dichiarò inefficaci i pagamenti controversi, ma rigettò la domanda proposta dal convenuto nei confronti della Aurora Assicurazioni s.p.a., dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della domanda proposta nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze e declinò la propria competenza per materia sulla domanda proposta nei confronti della Cassa Nazionale di previdenza e assistenza forense. Per quanto qui ancora rileva i giudici del merito ritennero che fosse infondata la domanda di garanzia spiegata nei confronti della Aurora Assicurazioni s.p.a., perché il contratto di assicurazione dedotto a fondamento di tale domanda copriva solo i rischi da responsabilità civile del professionista, essendo del tutto estraneo all'attività professionale il titolo dell'obbligo di restituzione conseguente all'accoglimento dell'azione revocatoria fallimentare. Contro la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il prof. avv. B.A., che peraltro ha poi rinunciato all'impugnazione relativa alla controversia con la Case di cura riunite s.r.l. in amministrazione straordinaria e insiste solo sull'impugnazione, affidata a cinque motivi di censura, proposta nei confronti della Aurora Assicurazioni s.p.a. e della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. La Case di cura riunite s.r.l. in amministrazione straordinaria, che aveva resistito con controricorso, ha accettato la rinuncia al ricorso proposto nei suoi confronti. Resistono invece con controricorso non solo la Aurora Assicurazioni s.p.a. ma anche il Ministero dell'economia e delle finanze, cui il ricorso era stato notificato. Non ha spiegato difese la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. Motivi della decisione 1. Occorre preliminarmente rilevare che va dichiarata l'estinzione del processo relativo alla causa tra il prof. avv. B.A. e la Case di cura riunite s.r.l. in amministrazione straordinaria. La dichiarazione di estinzione non comporta pronuncia sulle spese, in quanto la rinuncia del ricorrente è stata accettata dalla resistente. Risultano invece aperte le controversie del prof. avv. B.A. con la Aurora Assicurazioni s.p.a., cui si riferiscono quattro motivi del ricorso, e con la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, cui si riferisce un motivo del ricorso. La rinuncia al ricorso nei confronti della Case di cura riunite s.r.l. in amministrazione straordinaria determina infatti il passaggio in giudicato della sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato il prof. B. al pagamento della somma di Euro 565.252,05 sicché il prof. B. ha interesse a ottenere la cassazione della sentenza nella parte in cui si è pronunciata sulle domande da lui proposte nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e della Aurora Assicurazioni s.p.a 2. Con l'unico motivo del ricorso relativo alla causa con la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense il prof. B. deduce violazione dell'art. 444 c.p.c., lamentando che i giudici d'appello si siano erroneamente dichiarati incompetenti per materia rispetto a una causa di competenza di una sezione specializzata del medesimo ufficio giudiziario. Il motivo è fondato. Infatti, benché la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense avesse eccepito la competenza per territorio del Tribunale di Roma, sezione lavoro, è ragionevole ritenere che i giudici d'appello abbiano inteso riconoscere come competente il Tribunale di Bari, perché hanno ipotizzato la possibilità di una mera trasformazione del rito, escludendola solo in ragione della già intervenuta pronuncia del tribunale sul merito della domanda principale. La decisione della corte d'appello è dunque certamente errata. È errata perché la distinzione tra giudice ordinario e giudice del lavoro nell'ambito dello stesso ufficio giudiziario non involge una questione di competenza, ma di semplice diversità del rito, risolvibile a norma degli artt. 426 e 427 c.p.c.” Cass., sez. L, 5 maggio 1999, n. 4508, m. 526049 . È errata perché l'omesso mutamento del rito da quello speciale del lavoro a quello ordinario e viceversa non determina ispso iure l'inesistenza o la nullità della sentenza ma assume rilevanza invalidante soltanto se la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del con-traddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte” Cass., sez. III, 27 gennaio 2015, n. 1448, m. 633965 . Ne consegue che la corte d'appello avrebbe dovuto pronunciarsi nel merito della domanda proposta dal prof. B., posto che nessuna questione di validità della pronuncia di primo grado era stata prospettata con riferimento alla mancata applicazione del rito del lavoro. Sul punto la sentenza d'appello deve dunque essere cassata con rinvio. 3. Sono quattro i motivi di ricorso con i quali il prof. B. censura la sentenza della corte barese nella parte in cui si è pronunciata sulla domanda da lui proposta nei confronti della Aurora Assicurazioni s.p.a 3.1- Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1709, 1719, 1720, 2230, 2233, 2237, 1917 c.c., lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente omesso di considerare come coperto dall'assicurazione il pregiudizio derivante dal sopravvenuto obbligo di restituzione del compenso percepito per prestazioni professionali. Sostiene che la sua obbligazione di restituzione del compenso percepito consegue all'accertamento del danno arrecato ai creditori concorsuali e la responsabilità per questo danno è coperta dall'assicurazione, perché la percezione del compenso è parte essenziale dell'attività professionale. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1917, 1916, 1203 n. 3 e n. 5 c.c., lamentando che i giudici del merito abbiano considerato solo potenziale il danno derivante dall’obbligo di restituzione prima dell'effettiva ripartizione dell'attivo fallimentare tra i creditori. Sostiene che il rischio assicurato attiene alla diminuzione del suo patrimonio, non al danno che egli possa avere effettivamente arrecato ai terzi. Ove in sede di ripartizione finale dell'attivo fallimentare risultasse ridotta l'entità del danno patito dall'assicurato, ben potrebbe l'assicuratore surrogarsi nelle sue ragioni nei confronti della procedura. Con il terzo motivo il ricorrente deduce vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano inspiegabilmente escluso l'applicabilità del contratto di assicurazione in ragione della consapevole accettazione del pagamento da parte di impresa in stato di insolvenza. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 112 c.p.c., lamentando che i giudici del merito abbiano rilevato d'ufficio, senza tempestiva eccezione di parte, la natura dolosa del comportamento di ricezione del pagamento per escluderne la copertura assicurativa. 3.2- Il ricorso è infondato. Tra le varie rationes decidendi esibite dai giudici del merito risulta infatti assorbente quella fondata sulla interpretazione del contratto di assicurazione, inteso nel senso che il rischio assicurato consiste nel danno che il professionista possa aver cagionato a terzi, o al proprio cliente, per fatti colposi commessi nell'esercizio dell'attività forense, o con quella connessi”. Questa interpretazione del contratto risulta in realtà censurata dal ricorrente solo con il primo motivo del ricorso, nel presupposto che la percezione del compenso possa essere considerata quale attività professionale. Sennonché l'interpretazione proposta dai giudici del merito è del tutto plausibile, posto che nella clausola contrattuale, riprodotta in sentenza, la società assicuratrice si obbliga a tenere indenne l'Assicurato di ogni somma che questi sia tenuto a pagare o a rimborsare a terzi, compresi i clienti, per danni patrimoniali involontariamente cagionati a ragione di negligenza, imprudenza o imperizia, lievi o gravi, dei quali sia civilmente responsabile nell'esercizio di attività previste dalla Tariffa Forense in vigore al momento del sinistro”. Del tutto ragionevolmente dunque i giudici del merito hanno ritenuto che l'assicurazione fosse limitata ai danni da responsabilità per colpa professionale. Né questa interpretazione risulta correttamente censurata dal ricorrente. Infatti il comportamento di chi riceve un pagamento, a qualsiasi titolo, è del tutto generico non può essere considerato prestazione d'opera intellettuale art. 2230 c.c. e non può dar luogo a una responsabilità professionale. Del resto non è la natura della prestazione remunerata a rendere revocabile ex art. 67 legge fall., il pagamento ricevuto in periodo sospetto, bensì la consapevolezza dello stato di insolvenza del debitore. Il prof. B. è stato chiamato alla restituzione in quanto creditore, non in quanto professionista. Mentre il rischio assicurato dalla società Aurora è solo quello derivante dall'esercizio dall'attività professionale. E contrariamente a quanto il ricorrente sostiene, non costituisce esercizio dell'attività professionale riceverne il corrispettivo. L'impugnazione proposta nei confronti della assicurazione è dunque infondata già nella parte in cui censura la principale ratio decidendi della sentenza impugnata. E l'incensurabilità di questa assorbente ratio decidendi rende del tutto irrilevanti le censure mosse dal ricorrente alle ulteriori rationes della decisione impugnata. Il ricorso proposto nei confronti della Aurora Assicurazioni s.p.a. va dunque rigettato, con condanna del ricorrente alle spese. Non c'è pronuncia sulle spese in favore del Ministero dell'economia, in quanto il ricorrente non ha impugnato la dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda proposta dal ricorrente nei confronti della ministero. P.Q.M. La Corte dichiara l'estinzione del processo relativo alla causa intercorsa tra il prof. avv. B.A. e la Case di cura riunite s.r.l. in amministrazione straordinaria. Rigetta il ricorso proposto dal prof. B. nei confronti della Aurora Assicurazioni s.p.a. e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della società resistente, liquidandole in complessivi Euro 11.200, di cui Euro 11.000 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge. Accoglie il ricorso proposto dal prof. B. nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, cassa la decisione impugnata in relazione a tale ricorso e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Bari in diversa composizione.