Condanna penale prima della laurea: negata la sanzione disciplinare, ma anche l’iscrizione all’albo

Se i fatti di rilevanza penale, che hanno poi determinato una condanna passata in giudicato, sono risalenti ad un periodo anteriore all’iscrizione all’albo dei praticanti avvocati, deve escludersi il potere del Consiglio dell’ordine degli avvocati di sottoporre il praticante a procedimento disciplinare e di infliggergli la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione. Al contrario, però, il Consiglio dell’ordine può rigettare la richiesta di iscrizione all’albo degli avvocati qualora ritenga tale condanna incompatibile con l’esercizio della professione forense, per difetto della condotta specchiatissima ed illibata richiesta ex art. 17 del R.d.l. n. 1578/1933.

Così si sono espresse le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione nelle sentenze n. 25369 e n. 25368, depositate il 1° dicembre 2014, le quali meritano in questa sede unitaria trattazione essendo rivolte alla medesima persona. Il fatto. Una dottoressa in Giurisprudenza, iscritta all’albo dei praticanti avvocati, aveva riportato, in epoca antecedente alla sua iscrizione in tale albo, una condanna definitiva ad anni 3 e mesi 6 di reclusione per il reato di estorsione. Per tale motivo, le veniva inflitta dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pescara la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per 12 mesi. Il Consiglio Nazionale Forense aveva ritenuto corretto il provvedimento disciplinare e, pertanto, rigettato il ricorso proposto dall’interessata. La quale è ricorsa in Cassazione. La dottoressa, con distinto e successivo ricorso, si rivolge alla Cassazione per vedere annullata anche un’ulteriore sentenza del Consiglio Nazionale Forense che aveva confermato il rigetto della richiesta di iscrizione all’albo degli avvocati per difetto della condotta specchiatissima ed illibata ex art. 17 del R.d.l. n. 1578/1933, sempre sulla base della riportata condanna definitiva in sede penale. Primo ricorso sospensione dall’esercizio della professione forense. Per l’accoglimento del primo ricorso, la ricorrente rileva che, ai sensi dell’art. 44 del R.d.l. n. 1578/1933, l’azione disciplinare deve essere promossa nei confronti dell’avvocato nei cui confronti venga iniziato un procedimento penale, cosicché tale potere disciplinare non compete al Consiglio dell’ordine degli avvocati qualora un procedimento penale venga promosso nei confronti di un soggetto non iscritto all’albo professionale. Il Collegio ha ritenuto tale motivo meritevole di accoglimento, in quanto l’art. 38 del R.d.l. n. 1578/1933 prevede la sottoposizione a procedimento disciplinare degli avvocati che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della loro professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale , con la conseguente irrilevanza al riguardo di comportamenti che sono ininfluenti ai fini disciplinari in quanto risalenti ad epoca antecedente all’iscrizione all’albo, e dunque estranei ai presupposti fondanti l’esercizio del potere disciplinare. Condanna anteriore all’iscrizione all’albo dei praticanti avvocati. Pertanto, sostiene la S.C., essendo pacifico che nella fattispecie i fatti di rilevanza penale iscritti alla ricorrente, che hanno poi determinato una sua condanna passata in giudicato, sono risalenti ad un periodo anteriore alla sua iscrizione all’albo dei praticanti avvocati, deve escludersi il potere del Consiglio dell’ordine degli avvocati di sottoporre la stessa a procedimento disciplinare e di infliggerle la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione. Annullamento delibera Consiglio dell’ordine. In definitiva, quindi, tale ricorso viene accolto dalle Sezioni Unite con conseguente cassazione della sentenza impugnata che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, annullano la delibera del Consiglio dell’ordine di Pescara. Secondo ricorso rigetto della domanda per l’iscrizione nell’albo degli avvocati. A fondamento di tale ricorso la dottoressa, deducendo con un primo motivo violazione ed errata applicazione dell’art. 31, comma 3, del R.d.l. n. 1578/1933, rileva che il Consiglio dell’ordine di Pescara, essendosi limitato a convocarla per fornire imprecisati, generici chiarimenti in ordine alla domanda di iscrizione all’albo, aveva compresso e compromesso il proprio diritto di offrire chiarimenti utili ai fini della suddetta iscrizione. Richiesta di chiarimenti. Il Collegio interviene premettendo che la norma suddetta prescrive che il rigetto della domanda per l’iscrizione nell’albo degli avvocati non può essere pronunciato se non dopo aver sentito il richiedente nelle sue giustificazioni , non è, dunque, ravvisabile alcuna violazione o falsa applicazione di tale disposizione, posto anzi che la richiesta di chiarimenti rivolta dal Consiglio dell’ordine alla ricorrente in ordine alla richiesta di iscrizione si configura come una puntuale e corretta osservanza di tale norma, essendo diretta a sollecitare un contatto diretto con l’interessata. Al contrario, quindi, proprio l’adesione alla richiesta di chiarimenti da parte del Consiglio dell’ordine, ha consentito alla dottoressa di illustrare personalmente la propria posizione riguardo alla domanda di iscrizione. Nessuna violazione del divieto del ne bis in idem”. Con altro motivo di ricorso, poi, censura la sentenza impugnata per avere affermato che il Consiglio dell’ordine non aveva posto in essere un bis in idem” in quanto il diniego di iscrizione all’albo degli avvocati per difetto del requisito della condotta specchiatissima ed illibata non costituiva illecito penale. Secondo il Collegio, invece, correttamente il Consiglio Nazionale Forense ha escluso che la delibera del Consiglio dell’ordine di Pescara avesse violato il divieto del ne bis in idem ” per avere in precedenza utilizzato il medesimo fatto condanna in sede penale a fini disciplinari, posto che il rigetto della richiesta di iscrizione si configurava come esercizio del potere – dovere del Consiglio dell’ordine di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi richiesti per l’iscrizione stessa dall’art. 17 R.d.l. n. 1578/1933, con particolare riferimento al requisito della condotta specchiatissima ed illibata . Tale deliberazione da parte del Consiglio dell’ordine ai fini di valutare la ricorrenza dei predetti requisiti era, quindi, priva di alcuna natura disciplinare, considerato che le sanzioni disciplinari presuppongono logicamente la pregressa iscrizione all’albo. Corretta la delibera del Consiglio dell’ordine. Pertanto, il fatto che la condanna penale fosse già stata valutata dal Consiglio dell’ordine al fine di irrogare alla dottoressa, quale iscritta all’albo dei praticanti avvocati, la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per 12 mesi, non precludeva al Consiglio stesso, come ritenuto nella sentenza impugnata, di procedere alla verifica dei requisiti soggettivi della ricorrente all’atto dell’esame della domanda di iscrizione all’albo degli avvocati. La S.C., per questi motivi, ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 21 ottobre – 1 dicembre 2014, n. 25368 Presidente Santacroce – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo La dottoressa C.P. ricorreva avverso la delibera del 19-4-2012 del COA di Pescara con la quale era stata rigettata la sua richiesta di iscrizione all'albo degli avvocati per difetto della condotta specchiatissima ed illibata ex art. 17 del R.D.L. 27-11-1933 n. 1578, avendo essa riportato una condanna definitiva ad anni tre e mesi sei di reclusione per il reato di estorsione, chiedendo l'annullamento del provvedimento impugnato in quanto illegittimo. Il CNF con sentenza del 26-10-2013 ha rigettato il ricorso. Il CNF ha ritenuto anzitutto infondata la dedotta violazione dell'art. 31 terzo comma del menzionato R.D.L., ai sensi del quale il rigetto della domanda non può essere pronunciato se non dopo aver sentito il richiedente nelle sue giustificazioni invero il COA di Pescara aveva rigettato la domanda dopo aver chiesto chiarimenti all'interessata in ordine alla richiesta di iscrizione , formula che indicava con nettezza l'oggetto della richiesta senza che fosse necessaria alcuna ulteriore specificazione comunque, ove avesse avuto necessità di approfondire l'oggetto della richiesta, la C. avrebbe avuto l'onere di informarsi al riguardo, mentre si era sottratta ai chiarimenti parimenti infondato era il secondo motivo di ricorso secondo cui la delibera impugnata avrebbe violato il divieto del ne bis in idem per avere in precedenza utilizzato il medesimo fatto a fini disciplinari, posto che il diniego di iscrizione all'albo degli avvocati per difetto della condotta specchiatissima ed illibata non costituiva sanzione disciplinare, e dunque non precludeva al COA una nuova ed ulteriore valutazione dei fatti giudicati in sede disciplinare ai fini dell'esame della domanda di re iscrizione all'albo ex art. 17 n. 3 del R.D.L. 27-11-1933 n. 1578 neppure meritava accoglimento il terzo motivo con il quale era stato dedotto che il COA aveva adottato in momenti diversi due pronunce contrastanti in presenza dei medesimi fatti, considerato che in occasione della iscrizione al registro dei praticanti il COA di Pescara, in assenza di una sentenza definitiva di condanna dell'istante, aveva correttamente ritenuto che la C. fosse all'epoca in possesso di tutti i requisiti per restare iscritta, ancorché assoggettata obbligatoriamente a procedimento disciplinare, mentre al momento della richiesta di iscrizione all'albo degli avvocati era intervenuta la sentenza penale definitiva di cui, pertanto, doveva tenersi conto infine il CNF ha ritenuto che, pur risalendo i fatti che avevano portato alla sentenza di condanna ad un periodo lontano nel tempo ed addirittura precedente al conseguimento della laurea in giurisprudenza, la gravità dell'illecito commesso induceva ad una valutazione negativa in ordine all'attitudine della ricorrente a svolgere la delicata funzione di cooperazione alla funzione giudiziaria propria dell'attività del difensore. Per la cassazione di tale sentenza la C. ha proposto un ricorso affidato a due motivi nessuno dei soggetti intimati ha svolto attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione ed errata applicazione dell'art. 31 terzo comma del R.D.L. 27-11-1933 n. 1578, rileva che il COA di Pescara, essendosi limitato a convocare l'esponente per fornire imprecisati, generici chiarimenti in ordine alla domanda di iscrizione all'albo, aveva compresso e compromesso il proprio diritto di offrire chiarimenti utili ai fini della suddetta iscrizione tanto premesso, la C. sostiene che il CNF, nell'affermare che la ricorrente avrebbe avuto l'onere di informarsi, qualora avesse avvertito la necessità di approfondire l'oggetto della richiesta, ed avrebbe potuto chiedere una nuova convocazione, non aveva chiarito quale fosse la norma che prevedeva tali evenienze, né quella in virtù della quale le omissioni contestate al COA potessero ritenersi sanate, facendo ricadere sull'esponente gli oneri e gli obblighi previsti a carico di quest'ultimo dalla norma sopra menzionata. La censura è infondata. Premesso che la norma suddetta prescrive che il rigetto della domanda per l'iscrizione nell'albo degli avvocati non può essere pronunziato se non dopo avere sentito il richiedente nelle sue giustificazioni , non si ravvisa alcuna violazione o falsa applicazione di tale disposizione, posto che anzi la richiesta di chiarimenti rivolta da parte del COA di Pescara alla C. in ordine alla richiesta di iscrizione si configura come una puntuale e corretta osservanza della norma medesima, essendo diretta a sollecitare un contatto diretto con l'interessata, avendo il COA ritenuto opportuno ricevere delucidazioni sulla suddetta domanda di iscrizione all'albo degli avvocati né per altro verso è comprensibile il profilo di censura con il quale la ricorrente ha dedotto che la generica richiesta di chiarimenti da parte del COA avrebbe precluso all'esponente il diritto di fornire chiarimenti utili ai fini della propria iscrizione all'albo al contrario proprio l'adesione alla richiesta di chiarimenti da parte del COA avrebbe consentito alla C. di illustrare personalmente la propria posizione riguardo alla domanda di iscrizione all'albo pertanto le affermazioni al riguardo rese dal CNF si rivelano immuni dai rilievi svolti con il motivo in esame. Con il secondo motivo la C. , denunciando eccesso di potere, violazione ed errata applicazione degli artt. 17 e seguenti del R.D.L. 27-11-1933 n. 1578 e contraddittorietà della motivazione, censura la sentenza impugnata per aver affermato che il COA di Pescara non aveva posto in essere un bis in idem in quanto il diniego di iscrizione all'albo degli avvocati per difetto del requisito della condotta specchiatissima ed illibata non costituiva illecito disciplinare. La ricorrente premette che il 29-1-2011 il suddetto COA aveva contestato all'esponente il medesimo fatto, ovvero l'aver subito una condanna penale, ed aveva ritenuto che tale circostanza legittimava la proposizione dell'azione disciplinare nei confronti della C. e la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione forense per dodici mesi, senza peraltro disporre la cancellazione della ricorrente dal registro dei praticanti avvocati orbene risultava incomprensibile come il medesimo fatto fosse stato ritenuto inidoneo a disporre la cancellazione della C. dal suddetto registro, ed invece fosse stato considerato idoneo a giustificare il diniego di iscrizione all'albo degli avvocati, considerato che il requisito della condotta specchiatissima ed illibata era richiesto sia per l'iscrizione nel registro dei praticanti avvocati sia per l'iscrizione nell'albo degli avvocati ne consegue che, qualora il COA avesse ritenuto che la ricorrente non era più in possesso dei requisiti soggettivi, avrebbe dovuto procedere, nell'ambito del procedimento disciplinare, ad applicare la sanzione della cancellazione dal registro dei praticanti avvocati pertanto, essendo già stata valutata in sede disciplinare la sussistenza dei requisiti soggettivi in capo alla ricorrente, non poteva procedersi ad una diversa valutazione in sede di richiesta di iscrizione all'albo degli avvocati in assenza di alcun fatto nuovo né risultava da alcun elemento in atti che l'iscrizione nel registro dei praticanti avvocati fosse stata decisa dal COA di Pescara in quanto il giudizio penale all'epoca non era stato ancora definito. Il motivo è infondato. Invero correttamente il CNF ha escluso che la delibera del COA di Pescara avesse violato il divieto del ne bis in idem per aver in precedenza utilizzato il medesimo fatto ovvero una condanna in sede penale subita dalla C. a fini disciplinari, posto che il rigetto della richiesta di iscrizione all'albo degli avvocati si configurava come esercizio del potere - dovere del COA di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi richiesti per l'iscrizione stessa dall'art. 17 R.D.L. 27-11-1933 n. 1578, con particolare riferimento, nella fattispecie, al requisito della condotta specchiatissima ed illibata prescritto dal n. 3 di detta norma tale delibazione da parte del COA ai fini di valutare la ricorrenza dei predetti requisiti era quindi priva di alcuna natura disciplinare, considerato che le sanzioni disciplinari riguardano ai sensi dell'art. 38 del R.D.L. 27-11-1933 n. 1578 abusi o mancanze da parte degli avvocati nell'esercizio della loro professione o comunque fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale , e dunque presuppongono logicamente la pregressa iscrizione all'albo pertanto il fatto che la suddetta condanna penale fosse stata già valutata dal COA al fine di irrogare alla C. , quale iscritta all'albo dei praticanti avvocati, la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione forense per dodici mesi, non precludeva al COA, come ritenuto dalla sentenza impugnata, di procedere alla verifica dei requisiti soggettivi della C. all'atto dell'esame della domanda di iscrizione all'albo degli avvocati. Il ricorso deve quindi essere rigettato non occorre procedere ad alcuna statuizione riguardo alla spese di giudizio, non avendo le parti intimate svolto alcuna attività difensiva in questa sede. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 21 ottobre – 1 dicembre 2014, n. 25369 Presidente Santacroce – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo La dottoressa C.P. , iscritta all'albo dei praticanti avvocati di Pescara, ricorreva avverso la delibera del COA di Pescara del 14-7-2011 con la quale le era stata inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione forense per mesi dodici per avere riportato una condanna definitiva ad anni tre e mesi dei di reclusione per ti reato di estorsione, e quindi per aver avuto una condotta ritenuta contraria ai doveri di probità, dignità e decoro cui sono tenuti sia gli avvocati sia i praticanti anche nella sfera privata. Il COA di Pescara chiedeva il rigetto del ricorso in quanto infondato. Il CNF con sentenza del 26-10-2013 ha rigettato il ricorso. Il CNF in particolare, premesso che l'azione disciplinare nei confronti degli avvocati per fatti oggetto di procedimento penale è obbligatoria ai sensi dell'art. 44 del R.D.L. 27-11-1933 n. 1578 in ragione dello speciale vulnus che l'esposizione penale cagiona al prestigio dell'Ordine forense ed alla credibilità del professionista, ha affermato che l'azione disciplinare può essere esercitata dal COA anche in relazione a fatti risalenti ad epoca anteriore all'iscrizione dell'avvocato al relativo albo professionale, allorché il vulnus derivante da tali fatti sia ancora percepibile nel periodo di iscrizione, così fondando il potere disciplinare ha quindi ritenuto che nella fattispecie, ancorché i fatti commessi dalla dottoressa C. oggetto del procedimento penale risalissero ad epoca anteriore alla sua iscrizione come praticante nell'apposito registro tenuto dal COA di Pescara, tuttavia, alla data dell'iscrizione la ricorrente era già stata condannata dal Tribunale di Chieti, ed il procedimento penale era ancora pendente in grado di appello, con la conseguenza che il vulnus continuava ad essere attuale. Per la cassazione di tale sentenza la C. ha proposto un ricorso basato su di un unico motivo nessuno dei soggetti intimati ha svolto attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione Con l'unico motivo formulato la ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione degli artt. 38 e seguenti e 44 e seguenti del R.D.L. 27-11-1933 n. 1578, eccesso di potere e difetto di giurisdizione. La C. rileva che ai sensi dell'art. 44 del R.D.L. ora richiamato l'azione disciplinare deve essere promossa nei confronti dell'avvocato nei cui confronti venga iniziato un procedimento penale, cosicché tale potere disciplinare non compete al COA qualora un procedimento penale venga promosso nei confronti di un soggetto non iscritto all'albo professionale nella fattispecie, invero, i fatti addebitati all'esponente risalivano all'anno 2000, ed il procedimento penale era iniziato nel 2001, epoca in cui la ricorrente non era ancora in possesso della laurea in Giurisprudenza, cosicché nei suoi confronti non avrebbe potuto essere promosso un procedimento disciplinare. La C. assume poi che l'interpretazione offerta da parte del CNF alla sentenza delle S.U. di questa Corte 1-2-2010 n. 2223 è errata, avendo sostenuto che secondo tale pronuncia il potere e la giurisdizione disciplinare sarebbero esercitabili anche per fatti commessi dall'iscritto molti anni e prima della sua iscrizione all'albo, qualora il vulnus ricada nel periodo di appartenenza all'Ordine la sentenza suddetta ha in realtà ritenuto legittimo l'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti dell'iscritto per fatti commessi prima della sua iscrizione all'albo in quanto il relativo procedimento penale aveva avuto inizio dopo l'iscrizione all'albo e, di conseguenza, il vulnus era ricaduto nel periodo di appartenenza all'Ordine nella fattispecie, invece, il procedimento penale a carico della ricorrente era iniziato nell'anno 2001, allorquando l'esponente era una semplice cittadina e non era iscritta all'albo professionale pertanto il COA non aveva alcun potere di iniziare nei suoi confronti un procedimento disciplinare. Il motivo è fondato. La sentenza impugnata si basa sul presupposto, affermato anche dalla sentenza delle S. U. di questa Corte 1-2-2010 n. 2223, che l'azione disciplinare può essere esercitata nei confronti degli avvocati anche in relazione a fatti di rilevanza penale risalenti ad epoca anteriore all'iscrizione dell'avvocato al relativo albo professionale, allorché il vulnus che l'esposizione penale cagiona al prestigio dell'Ordine forense ed alla credibilità della professione sia ricaduto nel periodo di iscrizione all'albo, così fondando il potere disciplinare. Tale convincimento non può essere condiviso. Invero l'esercizio del potere disciplinare da parte dei COA nei confronti degli avvocati trova il suo fondamento nell'esigenza di una tutela del prestigio dell'Ordine forense in presenza di comportamenti posti in essere dai suddetti professionisti idonei a screditarne l'autorevolezza e la credibilità, comportamenti quindi contrari ai doveri di probità, di buona condotta e di deontologia professionale che gli avvocati sono tenuti a rispettare nell'esercizio della professione al riguardo occorre rilevare che l'art. 38 del R.D.L. 27-11-1933 n. 1578 prevede la sottoposizione a procedimento disciplinare degli avvocati che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell'esercizio della loro professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale , con la conseguente irrilevanza al riguardo di comportamenti che, pur se idonei a determinare uno strepitus fori nel periodo di iscrizione all'albo da parte del professionista resosi colpevole di detti comportamenti, sono ininfluenti ai fini disciplinari in quanto risalenti ad epoca antecedente alla iscrizione all'albo, e dunque estranei ai presupposti fondanti l'esercizio del potere disciplinare sotto tale profilo, quindi, si ritiene di dissentire dalla richiamata pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite, che in effetti non ha esaminato specificatamente tale decisiva questione. Nella fattispecie, pertanto, essendo pacifico che i fatti di rilevanza penale ascritti alla C. , che hanno poi determinato una sua condanna passata in giudicato ad anni sei e mesi tre di reclusione per il delitto di estorsione, sono risalenti ad un periodo antecedente alla sua iscrizione all'albo dei praticanti avvocati, deve escludersi la sussistenza del potere del COA di Pescara di sottoporre a procedimento disciplinare l'attuale ricorrente, e di infliggerle la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per mesi dodici. In definitiva, quindi, il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata non essendo poi necessari ulteriori accertamenti di fatto, e decidendo la causa nel merito, occorre conseguentemente annullare la delibera del 14-7-2011 del COA di Pescara. Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla natura peculiare della controversia, per compensare interamente le spese dell'intero giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla la delibera del 14-7-2011 del COA di Pescara, e compensa interamente tra le parti le spese dell'intero giudizio.