Prestazioni diverse da quelle tipiche della professione forense: la Cassazione interviene in materia di minimi tariffari

Nella vigenza delle tariffe professionali di avvocato che stabiliscono i minimi tariffari, il divieto di derogare ai predetti minimi non trova applicazione per le prestazioni diverse da quelle tipiche della professione forense, tra le quali non può annoverarsi la partecipazione a una commissione della pubblica amministrazione a composizione mista di tecnici di professionalità diverse, alla quale sia imputabile il risultato dell’attività.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 2966 del 10 febbraio 2014. Il fatto. La Corte d’Appello di Palermo dichiarava la nullità del lodo arbitrale che aveva condannato un ente pubblico al pagamento del compenso nei confronti del collegio di avvocati incaricato del caso. Questo perché la regola dell’inderogabilità dei minimi tariffari, prevista dall’art. 24, l. n. 794/1942, all’epoca vigente, non si applica allorché l’incarico abbia natura atipica e l’attività sia svolta da un legale quale componente di una commissione rappresentativa di altre professionalità. Inoltre, trattandosi di prestazione a favore di un ente pubblico, tenuto ad osservare il principio di buona amministrazione, in ordine alla scelta del contraente non ricorre la ratio della norma tariffaria, costituita dall’intento di impedire l’accaparramento della clientela ed assicurare la dignità della professione. Uno degli avvocati del collegio ricorre per cassazione. Attività professionali tipiche. Il ricorrente contesta la decisione della Corte di merito che ha escluso l’applicabilità dei minimi tariffari nel caso di incarico conferito da un ente pubblico, chiedendosi, inoltre, se il principio di buon andamento della P.A. e l’atipicità dell’incarico conferito ad un avvocato possano giustificare la violazione di leggi imperative e inderogabili, quali l’art. 24, l. n. 794/1942. La Corte di Cassazione rileva la correttezza delle argomentazioni dei giudici di secondo grado l’attività svolta dal legale nell’ambito di una commissione della P.A., rappresentativa di altre professionalità, non valutabile all’esterno come attività del singolo componente esclude che essa possa essere compresa nel novero di quelle tipiche dell’esercizio della professione di avvocato, per le quali soltanto trovano applicazione i minimi tariffari. Quando trovano applicazione i minimi tariffari? Le tariffe professionali degli avvocati e dei procuratori legali, infatti – specifica ancora Piazza Cavour – sono applicabili solo per quelle attività tecniche o comunque collegate con prestazioni di carattere tecnico che siano considerate nella tariffa, oggettivamente proprie della professione del legale in quanto specificamente riferite alla consulenza o assistenza delle parti. La normativa sui relativi compensi non si applica neppure ai collegi arbitrali a composizione mista. Nel caso di specie, nessuna deroga ai minimi arbitrali. Nel caso oggetto di esame, la partecipazione ad una commissione a composizione mista e comprendente professionalità diverse, si traduce in atti imputabili esclusivamente all’organo collegiale, come tale incompatibile con il principio del carattere personale delle professione forense. Il ricorso dell’avvocato, pertanto, deve essere respinto in quanto nella vigenza delle tariffe professionali di avvocato che stabiliscono i minimi tariffari, il divieto di derogare ai predetti minimi non trova applicazione per le prestazioni diverse da quelle tipiche della professione forense, tra le quali non può annoverarsi la partecipazione a una commissione della pubblica amministrazione a composizione mista di tecnici di professionalità diverse, alla quale sia imputabile il risultato dell’attività.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 gennaio – 10 febbraio 2014, n. 2966 Presidente Vitrone – Relatore Nazzicone Svolgimento del processo G.F. ricorre, sulla base di tre motivi, avverso la sentenza della Corte d'appello di Palermo del 16 aprile 2007, la quale ha dichiarato la nullità del lodo arbitrale del 6 aprile 2004, che, decidendo a maggioranza, aveva condannato l'Ente di Sviluppo Agricolo ESA al pagamento, in favore del G. e di A.A. , della somma di Euro 410.892,00 ciascuno provvedendo in sede rescissoria, la corte territoriale ha respinto le domande dei medesimi, volte alla rideterminazione del compenso spettante per l'incarico collegiale espletato in esecuzione della convenzione conclusa fra le parti il 29 luglio 1998. Ha ritenuto la corte, per quanto qui rileva, che la regola della inderogabilità dei minimi tariffari, prevista dall'art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, all'epoca vigente, non si applica allorché l'incarico abbia natura atipica e l'attività sia svolta dal legale quale componente di una commissione rappresentativa di altre professionalità, in quanto, in tal caso, essa non è valutabile all'esterno come attività del singolo componente, ed, inoltre, trattandosi di prestazione a favore di un ente pubblico, tenuto ad osservare il principio di buona amministrazione, in ordine alla scelta del contraente non ricorre la ratio della norma tariffaria, costituita dall'intento di impedire l'accaparramento della clientela ed assicurare la dignità della professione. Per la cassazione della sentenza ricorre il professionista. Resiste TESA con controricorso e ricorso incidentale condizionato per tre motivi. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo, il ricorrente principale deduce la nullità della sentenza e la violazione dell'art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per avere la corte territoriale respinto la domanda dell'avvocato G. , sulla premessa di diritto che l'inderogabilità dei minimi tariffari, per gli avvocati, non fosse applicabile per la particolarità della fattispecie di incarico conferito da ente pubblico. Si formulano i quesiti se il principio d'inderogabilità dei minimi tariffari, stabilito dalla citata disposizione, possa essere derogato qualora il mandato sia stato conferito all'avvocato da un ente pubblico in funzione della sua natura pubblica, e se il principio di buon andamento della P.A. possa giustificare la violazione di leggi imperative e inderogabili, quali l'art. 24 della legge n. 794 del 1942. Con il secondo motivo, denunzia la violazione del medesimo art. 24, per avere la corte territoriale ravvisato una prestazione di natura atipica rispetto a quella contemplata nelle tariffe, reputando così lecito un accordo, come quello intercorso fra le parti, che indicava un compenso a forfait lire 45 milioni per ciascun componente della commissione , non consentito in presenza di tariffe inderogabili. I quesiti chiedono se dall'atipicità di un incarico conferito ad avvocato possa derivare la deroga convenzionale ai minimi tariffari ed il compenso forfetario. Con il terzo motivo, deduce la motivazione contraddittoria, per avere la corte dapprima ritenuto l'inderogabilità delle tariffe anche in ipotesi di prestazione stragiudiziale, e poi annullato il lodo. 2. - Il ricorso non merita accoglimento. La questione è stata di recente risolta da questa Corte con la sentenza del 13 dicembre 2013, n. 27919, su ricorso proposto da altri due professionisti, nominati come componenti della medesima commissione, con argomenti pienamente condivisibili e che, quindi, il Collegio intende ribadire. La soluzione accolta dalla corte territoriale circa la questione di diritto posta dal primo e dal secondo motivo - da trattare congiuntamente in quanto fra di loro connessi - non merita, invero, censure, sebbene non del tutto correttamente motivata. È bensì vero, che, nella motivazione dell'impugnata sentenza, sembra volersi affermare che la deroga ai minimi stabiliti dalla tariffa per le prestazioni professionali di avvocato sarebbe consentita in ragione della particolarità della fattispecie principio che, nei termini appena indicati, sarebbe errato tuttavia, nell'illustrazione della particolarità della fattispecie, la sentenza impugnata pone bene in evidenza elementi - e precisamente il fatto che si tratta di attività svolta dal legale nell'ambito di una commissione della pubblica amministrazione, rappresentativa di altre professionalità, non valutabile all'esterno come attività del singolo componente - tali da escludere che la prestazione in questione fosse compresa nel novero di quelle tipiche dell'esercizio della professione di avvocato, per le quali soltanto trovano applicazione i minimi tariffari. Le tariffe professionali degli avvocati e procuratori legali, infatti, sono applicabili solo per quelle attività tecniche o comunque collegate con prestazioni di carattere tecnico che siano considerate nella tariffa, oggettivamente proprie della professione del legale in quanto specificamente riferite alla consulenza o assistenza delle parti in affari giudiziari o extragiudiziari, e non possono essere, pertanto, applicate, solo perché rese da un professionista iscritto all'albo, alle prestazioni che richiedono solo un'approfondita conoscenza del diritto, senza alcun riferimento a una pratica o affare determinato Cass. 19 agosto 1994, n. 7438 e che non siano attribuibili all'esterno al singolo componente. Si tenga anche presente quanto questa Corte ha statuito in materia di commissioni arbitrali miste, dove, analogamente, si è precisato che la disposizione di cui al punto 9 della tariffa di cui al d.m. 5 ottobre 1994, n. 585, sui compensi spettanti al collegio arbitrale composto da avvocati, non è applicabile nel caso di collegi arbitrali a composizione mista ed il presidente del tribunale non è vincolato, nella liquidazione del compenso ex art. 814, secondo comma, c.p.c., ad alcun parametro normativo Cass. 15 maggio 2006, n. 11128, ove fra i membri vi era un architetto 23 aprile 2004, n. 7764 e 7 gennaio 2003, n. 53, ove erano stati nominati anche degli ingegneri . Con riferimento alla fattispecie in esame, quale emerge dalla riferita motivazione della corte territoriale, deve escludersi che costituisca esercizio tipico della professione forense la partecipazione a una commissione, a composizione mista e comprendente professionalità diverse, giacché tale partecipazione si traduce in atti imputabili esclusivamente all'organo collegiale, ed è come tale incompatibile con il principio del carattere personale della professione forense. Il ricorso proposto dall'avvocato G. deve essere, pertanto, respinto, in forza del principio di diritto per il quale, nella vigenza delle tariffe professionali di avvocato che stabilivano dei minimi tariffari, il divieto di derogare ai predetti minimi non trovava applicazione per le prestazioni diverse da quelle tipiche della professione forense, tra le quali non può annoverarsi la partecipazione a una commissione della pubblica amministrazione a composizione mista di tecnici di professionalità diverse, alla quale sia imputatile il risultato dell'attività. 3. - Il terzo motivo è inammissibile per violazione dell'art. 366 bis c.p.c. introdotto dall'art. 2 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ed applicabile al caso di specie, poiché la causa è stata introdotta prima del 4 luglio 2009 , attesa la mancanza del momento di sintesi, posto che, quando si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l'onere di indicare chiaramente tale fatto e le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente va adempiuto non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, un'indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto alla illustrazione del motivo, cosi da consentire al giudice di valutare immediatamente l'ammissibilità del ricorso stesso sintesi che, appunto deve riguardare il fatto controverso e multis, Cass., sez. I, 1 settembre 2013, n. 21334 sez. V, 8 marzo 2013, n. 5858 sez. V, 18 novembre 2011, n. 24255 sez. un., 1 dicembre 2009, n. 25254 sez. III, ord. 7 aprile 2008, n. 8897 sez. III, ord. 4 febbraio 2008, n. 2652 sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603 . Tale indicazione, nel caso di specie, è assente, non potendo affatto ritenersi tale la trascrizione di interi passi della sentenza impugnata, dai quali, nelle intenzioni del ricorrente, dovrebbe evidentemente scaturire ex se l'enucleazione del fatto controverso, laddove, al contrario, in tal modo questa viene lasciata in ammissibilmente alla Corte. 4. - Il rigetto del predetto ricorso comporta l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato, proposto dall'Ente di Sviluppo Agricolo. 5. - Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del d.m. 12 luglio 2012, n. 140, applicabile anche alle prestazioni professionali eseguite nel vigore delle previgenti tariffe Cass., sez. un., 12 ottobre 2012, n. 17405 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l'incidentale condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell'ESA - Ente di Sviluppo Agricolo, liquidate in Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori come per legge.