Radiazione dall’albo per l’avvocato condannato per gravi fatti-reato

Viene meno ai doveri di probità, dignità e decoro, correttezza e lealtà, l’avvocato condannato per gravi fatti-reato e che dichiara falsamente, al momento della domanda di reiscrizione all'albo, di non aver riportato condanne penali e di non avere procedimenti penali pendenti.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 27848, depositata il 12 dicembre 2013, hanno confermato la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo di un avvocato, per essere venuto meno ai doveri di probità, dignità e decoro, in considerazione di gravi fatti-reato. Il caso. Un Consiglio dell’Ordine degli Avvocati irrogava ad un iscritto la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo per essere venuto meno ai doveri di probità, dignità e decoro, correttezza e lealtà a cui ogni avvocato è tenuto ex artt. 5 e 6 Codice Deontologico, in considerazione dei gravi fatti-reato per i quali era stato condannato, nonché per aver dichiarato ex art. 37 Legge Professionale, al momento della domanda di reiscrizione all'Albo degli avvocati, di non aver riportato condanne penali e di non avere procedimenti penali pendenti seppure a conoscenza, al contrario, di una condanna a proprio carico con la quale era stata applicata, a richieste delle parti, la pena di anni quattro di reclusione con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni condanna divenuta definitiva poco dopo la data in cui veniva chiesta la reiscrizione nell’albo . La tipologia dei reati. I reati oggetto della sentenza di patteggiamento, che era stata preceduta da custodia cautelare in carcere e che era stata accompagnata dalla interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, erano costituiti da associazione a delinquere, ricettazione, falsità ideologica e denuncia di sinistro non accaduto. Contro la decisione del CdO, l’avvocato proponeva impugnazione avanti al Consiglio Nazionale Forense che, però, rigettava il ricorso, confermando quindi la sanzione della radiazione dall’albo. Della questione veniva quindi investita la Cassazione. Le censure sollevate avanti alle Sezioni Unite . Anzitutto il ricorrente vorrebbe delimitare l’addebito nei propri confronti, sostenendo che, contrariamente a quanto asserito dal CNF, il CdO. gli aveva più che altro addebitato in via pressoché esclusiva , più che i reati di per sé considerati, la mancata dichiarazione dell’avvenuto patteggiamento al momento della richiesta di reiscrizione. Il ricorrente aveva sporto denuncia contro ignoti contestando l’autenticità della propria” sottoscrizione . Oltretutto, sembra che l’incolpato avesse anche sporto denuncia contro ignoti sostenendo la falsità della sottoscrizione della domanda di reiscrizione, quindi erroneamente a lui attribuita anche se invero il consulente nominato a tale proposito aveva concluso per l’autenticità della sottoscrizione . A questo proposito il CNF aveva lasciato intendere che, in ogni caso, l’incolpato avrebbe ratificato la domanda di reiscrizione nell’albo per fatti concludenti circostanza oggetto di censura da parte del ricorrente perché la ratifica avrebbe potuto sanare la richiesta di reiscrizione ma non certo rendere autentica una sottoscrizione che autentica non era. Per le Sezioni Unite il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Sotto un primo profilo, infatti, la sentenza impugnata ha rilevato che la prima parte dell’incolpazione addebitata - riguardante i gravi fatti costituenti reato per cui il ricorrente aveva subito una condanna alla pena di anni quattro di reclusione con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni a seguito di patteggiamento -, era già sufficiente a supportare l'applicazione della massima sanzione disciplinare. Ebbene, tale statuizione, non oggetto di alcuna censura in Cassazione, costituisce una autonoma ratio decidendi , come tale sufficiente a sorreggere la decisione assunta, rendendo così inammissibili le ulteriori censure relative alle statuizioni fatte oggetto di doglianza. Quanto alla autenticità della sottoscrizione della domanda di reiscrizione non vi erano dubbi . In ogni caso, aggiungono le Sezioni Unite, il CNF aveva motivatamente ritenuto, quanto alla paternità della sottoscrizione in calce alla domanda di reiscrizione all'albo degli avvocati, di aderire alle conclusioni rese dal consulente del Pubblico Ministero nell’ambito del procedimento penale che si era aperto a seguito di denuncia dello stesso incolpato contro ignoti per la contestata non autenticità della sottoscrizione della suddetta domanda. Infatti il CNF ha evidenziato che il suddetto consulente, discostandosi dalle valutazioni della relazione tecnica di parte, non aveva avuto dubbio ed incertezza alcuna nell'attribuire tale sottoscrizione, come autentica, allo stesso incolpato. Le altre censure con svista delle Sezioni Unite? . Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'art. 42 della legge forense, censura la decisione impugnata per aver affermato che la cancellazione dall'albo degli avvocati derivante da pena accessoria non avrebbe natura disciplinare, e che resterebbe salva la possibilità per il COA di esercitare l'azione disciplinare destinata a concludersi con la radiazione. Il ricorrente ritiene discutibile escludere la natura disciplinare della cancellazione dall'albo quale conseguenza di una pena accessoria, ed asserisce di non aver contestato il mantenimento della facoltà del CdO di esercitare l'azione disciplinare, ma di aver dedotto che tale facoltà era stata esercitata malamente, essendo stata comminata una sanzione più grave di quella prevista senza alcun elemento che la giustificasse. Inoltre, il ricorrente sostiene l’illegittimità della radiazione perché il Tribunale aveva poi ordinato l’eliminazione dalla sentenza di condanna della pena accessoria dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Se dunque il ricorrente non avrebbe dovuto essere radiato a seguito di fatti che avevano comportato l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, a maggior ragione non avrebbe potuto essere radiato una volta riconosciuto che tale sanzione accessoria era stata applicata illegittimamente. Ma per le Sezioni Unite questo motivo di censura è in parte infondato ed in parte inammissibile. Con riferimento al primo profilo di censura, premesso che il CNF ha ritenuto la sanzione della radiazione dall'albo congrua ed adeguata in relazione soprattutto alla assoluta gravità dei fatti di reato di cui si era reso responsabile l'incolpato, si rileva che l'art. 42, secondo comma, lettera a , del R.D.L. 27.11.1933, n. 1578, prevede la radiazione dall'albo per l'avvocato che abbia subito, tra l'altro, l'interdizione dai pubblici uffici perpetua o di durata superiore a tre anni, ipotesi quest'ultima ricorrente nella fattispecie. Riguardo poi all'ulteriore questione sollevata dal ricorrente, relativa ad una circostanza sopravvenuta alla proposizione del ricorso proposto al CNF, è censura inammissibile in quanto mai sollevata in precedenza, e che potrà semmai essere fatta valere – aggiungono le Sezioni Unite, aprendo uno spiraglio - in separata sede. Il tenore della disposizione di legge richiamata nella sentenza è stato aggiunto qualcosa? Per meglio soppesare le ragioni espresse dalla Suprema Corte vale la pena riprendere la norma da ultimo richiamata, vale a dire l’art. 42, a tenore del quale Importano di diritto la radiazione dagli albi degli avvocati e dei procuratori a l’interdizione perpetua dai pubblici uffici o dall’esercizio della professione di avvocato o di procuratore . A questo proposito si registra forse una imprecisione da parte delle Sezioni Unite, che hanno fatto riferimento alla interdizione perpetua ovvero superiore a cinque anni” aspetto che, invero, non si ritrova nella lettera della legge citata, che appunto fa riferimento solo alla interdizione perpetua”. Forse, nella sostanza, la decisione finale non sarebbe mutata, soprattutto perché nel caso specifico sembra abbia pesato particolarmente sia la condanna penale subita dall’avvocato radiato dall’albo, per gravi reati, sia il suo tentativo, in occasione della richiesta di reiscrizione, di disconoscere la propria sottoscrizione della domanda. Il ricorso è, quindi, rigettato.

Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 12 novembre – 12 dicembre 2013, n. 27848 Presidente Rovelli– Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Con decisione depositata il 10-1-2012 il COA di Civitavecchia irrogava al ricorrente avvocato S F. la sanzione della radiazione dall'albo per essere venuto meno ai doveri di probità, dignità e decoro, correttezza e lealtà a cui ogni avvocato è tenuto ex artt. 5 e 6 Codice Deontologico, in considerazione dei gravi fatti — reato per i quali è stato condannato, nonché per aver dichiarato ex art. 37 L.P., al momento della domanda di reiscrizione all'Albo degli avvocati di Civitavecchia in data 12 gennaio 2009, di non aver riportato condanne penali e di non avere procedimenti penali pendenti seppure a conoscenza, al contrario, di condanna a proprio carico del Tribunale Penale di Roma del 10-dicembre 2008, con la quale veniva applicata, a richiesta delle parti, la pena di anni quattro di reclusione con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, divenuta irrevocabile in data 29 aprile 2009, il tutto come risulta dal certificato del Casellario Giudiziale n. 17739/2010/R, nonché dalla sentenza di cui sopra, acquisita in copia autentica agli atti del presente procedimento disciplinare i reati oggetto della sentenza di patteggiamento, che era stata preceduta da custodia cautelare in carcere e che era stata accompagnata dalla interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, erano costituiti da associazione a delinquere, ricettazione, falsità ideologica e denuncia di sinistro non accaduto. Proposta impugnazione da parte del F. il CNF con sentenza del 27-2-2013 ha rigettato il ricorso. Per la cassazione di tale sentenza il F. ha proposto un ricorso articolato in due motivi nessuno dei soggetti intimati ha svolto attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente, dopo aver premesso che, contrariamente a quanto ritenuto dal CNF, il COA aveva addebitato all'esponente principalmente, se non esclusivamente, non i reati di cui era stato imputato, bensì il fatto di aver taciuto allo stesso COA l'avvenuto patteggiamento di essi, deducendo omessa motivazione, censura la decisione impugnata per aver fatto proprio il convincimento del COA di Civitavecchia e per aver comunque aderito, senza offrire in proposito alcuna argomentazione rispetto alle contrarie conclusioni raggiunte dalla relazione tecnica grafologica di parte allegata dal F. , alle valutazioni rese dal consulente del Pubblico Ministero nell'ambito del procedimento penale sorto a seguito di denuncia dello stesso F. contro ignoti per la asserita non autenticità della sottoscrizione della domanda di reiscrizione all'albo degli avvocati di Civitavecchia del 12-1-2009, consulente che invero aveva concluso nell'attribuire in termini certi al F. detta sottoscrizione. Il ricorrente aggiunge che il CNF, rifacendosi alle argomentazioni del COA di Civitavecchia, ha lasciato intendere che comunque la questione non sarebbe stata essenziale in quanto, ammesso che la domanda di reinscrizione non fosse stata sottoscritta dall'esponente, quest'ultimo l'avrebbe ratificata e confermata per facta cocludentia tuttavia tale ragionamento sarebbe erroneo, in quanto, anche se tale ratifica avesse comportato una valida iscrizione all'albo degli avvocati, nondimeno il F. non avrebbe potuto essere ritenuto responsabile di una menzogna compiuta da altri. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Sotto un primo profilo, infatti, si osserva che la sentenza impugnata ha rilevato che la prima parte dell'incolpazione addebitata al F. sopra trascritta, riguardante i gravi fatti costituenti reato per i quali l'attuale ricorrente aveva subito una condanna alla pena di anni quattro di reclusione con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni a seguito di patteggiamento, era già sufficiente a supportare l'applicazione della massima sanzione disciplinare, ed ha aggiunto che il F. non aveva dedotto nulla al riguardo nel suo ricorso al CNF orbene tale statuizione, non oggetto di alcuna censura in questa sede, costituisce una autonoma ratio decidendi , come tale sufficiente a sorreggere la decisione assunta, rendendo così inammissibili le ulteriori censure relative alle statuizioni fatte oggetto di doglianza. In ogni caso può aggiungersi che il CNF ha motivatamente ritenuto, quanto alla paternità della sottoscrizione in calce alla domanda di reiscrizione del F. all'albo degli avvocati di Civitavecchia, di aderire alle conclusioni rese dal consulente del Pubblico Ministero nell'ambito del procedimento penale che si era aperto a seguito di denuncia dello stesso F. contro ignoti per la contestata non autenticità della sottoscrizione della suddetta domanda infatti il CNF ha evidenziato che il suddetto consulente, discostandosi dalle vantazioni della relazione tecnica di parte allegata dal F. , non aveva avuto dubbio ed incertezza alcuna nell'attribuire tale sottoscrizione, come autentica, allo stesso F. , ed ha quindi indicato puntualmente le ragioni del proprio convincimento. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'alt. 42 della legge forense, censura la decisione impugnata per aver affermato che la cancellazione dall'albo degli avvocati derivante da pena accessoria non avrebbe natura disciplinare, e che resterebbe salva la possibilità per il COA di esercitare l'azione disciplinare destinata a concludersi con la radiazione il F. ritiene discutibile escludere la natura disciplinare della cancellazione dall'albo quale conseguenza di una pena accessoria, ed asserisce di non aver contestato il mantenimento della facoltà del COA di esercitare l'azione disciplinare, ma di aver dedotto che tale facoltà era stata esercitata malamente, essendo stata comminata una sanzione più grave di quella prevista senza alcun elemento che la giustificasse. Il F. inoltre evidenzia come ulteriore motivo, sopraggiunto successivamente alla proposizione del ricorso, di illegittimità della radiazione adottata il fatto che il Tribunale di Roma con provvedimento del 16-4-2012 ha ordinato l'eliminazione dalla sentenza nei confronti di F.S. , con le generalità sopra indicate, dal giudice per le indagini presso questo Tribunale il 10 dicembre 2008, divenuta irrevocabile il 29 aprile 2009, della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque se dunque l'esponente non avrebbe dovuto essere radiato a seguito di fatti che avevano comportato l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, a maggior ragione non avrebbe potuto essere radiato una volta riconosciuto che tale sanzione accessoria era stata applicata illegittimamente. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Con riferimento al primo profilo di censura, premesso che il CNF ha ritenuto la sanzione della radiazione dall'albo inflitta al F. dal COA di Civitavecchia congrua ed adeguata in relazione soprattutto alla assoluta gravità dei fatti di reato di cui si era reso responsabile l'incolpato, si rileva che l'art. 42 secondo comma lettera a del R.D.L. 27-11-1933 n. 1578 prevede la radiazione dall'albo per l'avvocato che abbia subito, tra l'altro, l'interdizione dai pubblici uffici perpetua o di durata superiore a tre anni, ipotesi quest'ultima ricorrente nella fattispecie, dove al F. , come già esposto, è stata irrogata l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni. Riguardo poi all'ulteriore questione sollevata dal ricorrente, relativa ad una circostanza sopravvenuta alla proposizione del ricorso proposto al CNF, è evidente che trattasi di censura inammissibile in quanto mai sollevata in precedenza, e che potrà semmai essere fatta valere in separata sede. Il ricorso deve quindi essere rigettato non occorre procedere ad alcuna statuizione in ordine alle spese di giudizio non avendo le parti intimate svolto attività difensiva in questa sede. Risultando poi il ricorso esente dal contributo unificato, non si fa luogo all'applicazione dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 30-5-2002 n. 115 come introdotto dall'art. 1 comma 17 della legge 24-12-2012 n. 228. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.