Transazioni: gioie e dolori! (per la parcella dell’avvocato …)

Ai fini della determinazione delle spettanze professionali dell’avvocato si deve far riferimento al valore della transazione e non a quello della iniziale pretesa avanzata in giudizio.

La secondo sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27290 depositata il 5 dicembre 2013, si è occupata, ancora una volta, della liquidazione del compenso per prestazioni professionali degli avvocati. Oggetto della controversia il valore di riferimento in caso di intervenuta transazione. Il caso. Un avvocato riceveva incarico da un Fallimento di promuove azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore unico della società poi fallita e di tre sindaci. Dopo una fase cautelare, il Fallimento raggiungeva, nel corso del giudizio di merito, un accordo transattivo con i tre sindaci. L’avvocato presentava quindi al giudice delegato, per la liquidazione, due distinte note la prima inerente la fase cautelare valore del procedimento indicato in euro 23 milioni, per cui il difensore proponeva una parcella di circa euro 30 mila per diritti e euro 85 mila per onorari la seconda, relativa alla fase di merito valore del procedimento indicato in euro 3 milioni . Il giudice delegato, con decreto, liquidava la somma decisamente inferiore rispetto alla richiesta di circa 30 mila euro, ritenendo che il valore della causa, nei confronti dei tre sindaci, fosse di euro 225 mila, vale a dire la somma relativa alla intervenuta transazione con il Fallimento. Quanto alla causa nei confronti dell’amministratore unico, secondo il giudice delegato la liquidazione andava svolta in sede penale, avendo il Fallimento optato per il trasferimento in quella sede dell’azione civile. Contro il decreto di liquidazione l’avvocato proponeva reclamo, che però il Tribunale in composizione collegiale rigettava, ritenendo che correttamente il giudice delegato avesse determinato il valore con riguardo non all’importo richiesto, ma a quello concordato tra le parti nell’accordo transattivo. Quanto alla liquidazione inerente l’azione promossa contro l’amministratore unico, anche in questo caso il Tribunale condivideva l’opinione del giudice delegato, per cui, solo al termine del giudizio penale si sarebbe potuto determinare il valore effettivo della controversia, con liquidazione quindi affidata a quel giudice. L’avvocato proponeva ricorso per cassazione. Il valore doveva essere quello di cui all’azione giudiziaria? Il ricorrente, oltre a contestare la motivazione del Tribunale, tanto stringata da non permettere l’individuazione delle ragioni giustificatrici della decisione assunta, sosteneva che per la liquidazione della parcella si doveva procedere avendo riguardo al valore della causa determinata ai sensi dell’art. 14 c.p.c. vale a dire euro 23 milioni , non potendosi diversamente desumere un diverso criterio dall’art. 6 d.m. n. 127/2004. Peraltro, l’indicazione della pretesa risarcitoria era chiaramente riferibile agli organi della procedura. Come ulteriore argomentazione a sostegno del ricorso, l’avvocato riteneva che determinare il valore effettivo della causa alla stregua di quello della transazione significherebbe non tenere conto, da un lato, del valore dei diritti oggetto di rinunzia nella transazione, e, dall’altro, del fatto che le somme corrisposte in via transattiva rappresentano soltanto il risultato dell’opera conciliativa, in relazione alla quale la tariffa professionale prevede voci specifiche di diritto ed onorari. Il Giudice avrebbe potuto liquidare le competenze del’avvocato sino al momento del trasferimento dell’azione in sede penale? Sotto altro profilo il ricorrente sosteneva che il giudice delegato aveva deciso di trasferire l’azione civile promossa contro l’amministratore unico in sede penale ma una tale decisione non avrebbe potuto impedire la liquidazione del compenso in relazione all’attività svolta in quel giudizio sino al momento del trasferimento dell’azione. E l’intangibilità dei diritti? Infine, il ricorrente contesta che il Tribunale avrebbe omesso di considerare che l’art. 6 d.m. n. 127/2004 consentirebbe la possibilità di modificare i soli onorari, vigendo al contrario il principio dell’assoluta intangibilità dei diritti. Tutte le argomentazioni del ricorrente vengono respinte. Anzitutto la Cassazione ricorda che, ai fini della liquidazione degli onorari dovuti all'avvocato per la difesa del proprio cliente, l'individuazione dello scaglione applicabile deve avvenire in base al criterio dell'effettivo valore della controversia, desumibile dal decisum . Inoltre, i Giudici di Piazza Cavour ricordano un altro loro precedente, per cui, nella determinazione degli onorari dell'avvocato in una lite conclusasi con transazione, poiché per la sussistenza delle reciproche concessioni ciascuna parte non è vincitrice né perdente, e a nulla rileva che il pagamento sia a carico del cliente o dell'avversario, il giudice deve fare riferimento agli ampi criteri dell'art. 9, l. n. 794/1942 così da ricondurre a giustizia concreta l'ammontare dell'onorario. Del resto, che conta, è la somma effettivamente corrisposta, non quella pretesa. Si aggiunga che, sempre in tema di liquidazione degli onorari professionali spettanti all'avvocato, la Suprema Corte aveva in passato già osservato che, ove le parti con riguardo ad una controversia in materia di lavoro , siano addivenute ad una transazione della lite in sede sindacale , prima ancora che venisse esplicata una qualche attività giudiziaria, la determinazione del valore della causa - alla luce dell'art. 6 d.m. n. 585/1994 - va compiuta avendo riguardo alla somma effettivamente corrisposta e non a quella originariamente richiesta. Inoltre, il principio generale secondo cui il valore della causa si determina in base alle norme del codice di procedura civile avendo riguardo all'oggetto della domanda considerato al momento iniziale della lite, trova un limite alla sua applicabilità nei casi in cui, al momento dell'instaurazione del giudizio, non sia possibile indicare il quantum - il che si verifica, in genere, nelle controversie per risarcimento danni, in cui, il più delle volte, la domanda di condanna è formulata con riserva di quantificazione in corso di giudizio - rendendosi in tale ipotesi indispensabile, ai fini de quibus , far riferimento al valore definito e, quindi, al quantum stabilito dalle parti in altro modo - nella specie, con transazione - sicché, in definitiva, il valore delle cause viene ad essere determinato sulla base del predetto importo. Del resto, anche nelle tariffe del 2004 è previsto che, in sede di liquidazione degli onorari professionali a carico del cliente, può aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile . Questo, certo, comporta l'esercizio, da parte del giudice, di un potere discrezionale e non arbitrario, con conseguente necessità di esporre, sia pure in forma succinta, le relative ragioni ed i criteri cui esso si ispira. Ma, a dire della Cassazione, una seppur succinta motivazione al riguardo era comunque presente nel provvedimento impugnato. In conclusione, richiamati i propri precedenti in materia, l’operato dei precedenti giudici è stato confermato, perché ai fini della determinazione delle spettanze professionali si doveva effettivamente far riferimento al valore della transazione. E la distinzione diritti ed onorari? Per la Cassazione, il valore della controversia così determinato valore della transazione diventa vincolante sia per la determinazione dei diritti, sia per la determinazione degli onorari, non essendo possibile – una volta individuato il valore di riferimento - compiere un distinguo a tal proposito.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 25 settembre – 5 dicembre 2013, n. 27290 Presidente Piccialli – Relatore Petitti Svolgimento del processo L'Avvocato A.S. , incaricato dal Fallimento OLIIT s.p.a. del patrocinio nel giudizio intrapreso nei confronti dell'amministratore unico L.L. e dei tre sindaci S.F. , Lo.Lu. e M.L. - giudizio che si era articolato in una prima fase cautelare e poi in quella di merito fino alla intervenuta transazione con i tre sindaci - presentò al giudice delegato al Fallimento due parcelle, la prima, relativa alla prima fase, per Euro 29.850,00 per diritti ed Euro 85.238,00 per onorari, e la seconda, relativa al giudizio di merito, per Euro 5.646,00 per diritti ed Euro 15.405,00 per onorari. Ai fini della determinazione del compenso spettante gli, il difensore dedusse che il valore della causa andava individuato in Euro 23.000.000,00 per la fase cautelare e in Euro 3.000.000 per la fase di merito. Il Giudice delegato, con decreto in data 5 dicembre 2007, liquidò la somma di Euro 29.213,00, di cui Euro 10.896,00 per diritti ed Euro 18.227,00 per onorari, oltre ad accessori di legge, ritenendo che il valore della causa fosse, con riferimento ai tre sindaci, di Euro 225.000,00, e cioè la somma sulla quale era intervenuta una transazione tra il fallimento e i tre sindaci, mentre per quanto riguardava il compenso relativo alla posizione dell'amministratore unico L.L. , la liquidazione andava effettuata in sede penale, avendo il Fallimento optato per il trasferimento dell'azione civile in sede penale. Avverso questo provvedimento l'Avvocato A. propose reclamo che il Tribunale di Ivrea, in composizione collegiale, con decreto depositato in data 9 maggio 2008, rigettò, ritenendo che correttamente il giudice delegato, con riferimento alla richiesta di liquidazione concernente il giudizio promosso nei confronti dei tre sindaci, avesse determinato il valore avuto riguardo, non all'importo richiesto, ma a quello concordato tra le parti con l'accordo transattivo. Quanto alla liquidazione relativa alla domanda proposta nei confronti dell'amministratore unico, il Tribunale condivise l'opinione del giudice delegato, secondo cui solo al termine del giudizio penale si sarebbe potuto determinare il valore effettivo della controversia e procedere quindi alla liquidazione da parte di quel giudice. Per la cassazione di questo provvedimento A.S. ha proposto ricorso sulla base di un motivo il Fallimento OLIIT s.p.a. ha resistito con controricorso, illustrato da memoria. Motivi della decisione 1. Occorre preliminarmente rilevare che per il ricorrente è stato depositata memoria di costituzione di nuovo difensore in data 25 settembre 2013. Di tale nuova nomina non può, peraltro, tenersi conto, atteso che la stessa non è stata effettuata con procura notarile, ma con procura speciale a margine della memoria. Infatti, nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell'articolo 83 cod. proc. civ. secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore dell'articolo 45 della L. n. 69 del 2009 4 luglio 2009 , mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall'articolo 83, secondo comma” Cass. n. 7241 del 2010 Cass. n. 17604 del 2010 . 2. Con l'unico motivo di ricorso, il ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione dell'articolo 6 del d.m. n. 127 del 2004, sostenendo, in primo luogo, che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe a tal punto stringata da non rendere possibile la individuazione delle ragioni della decisione con riferimento alla affermazione secondo cui il valore della causa, ai fini della liquidazione delle competenze professionali, doveva essere individuato con riferimento al valore della transazione intercorsa tra il Fallimento e alcune delle parti del giudizio intrapreso dal fallimento stesso. Né la motivazione potrebbe ritenersi integrata dal richiamo ad una sentenza di questa Corte, atteso che la pronuncia indicata non sarebbe in alcun modo pertinente. Il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto procedere alla liquidazione dei compensi avendo riguardo al valore della causa come determinabile ai sensi dell'articolo 14 cod. proc. civ. nella specie, Euro 23.000.000,00 , non potendosi desumere un diverso criterio dall'articolo 6 del d.m. n. 127 del 2004. Peraltro, la indicazione della pretesa risarcitoria era chiaramente riferibile agli organi della procedura, secondo il modulo normativo di cui all'articolo 146, comma 3, della legge fallimentare. Determinare il valore effettivo della causa alla stregua di quello della transazione significherebbe, poi, non tenere conto, da un lato, del valore dei diritti oggetto di rinunzia nella transazione, e, dall'altro, del fatto che le somme corrisposte in via transattiva rappresentano soltanto il risultato dell'opera conciliativa, in relazione alla quale la tariffa professionale prevede voci specifiche di diritti e onorari. Nel caso di specie, inoltre, il riferimento all'importo della transazione comporterebbe l'adozione di un duplice criterio di determinazione del valore della controversia, essendo la stessa proseguita in sede penale nei confronti dell'amministratore unico. La natura stessa della causa proposta, la sua articolazione in una fase cautelare e in una di merito nei confronti di soggetti ritenuti responsabili in quanto titolari di cariche sociali, la laboriosità della esecuzione della cautela, la attivazione delle trattative con alcune delle parti in vista della transazione e la utilità di questa per gli interessi del fallimento erano tutti elementi che avrebbero dovuto orientare a una liquidazione che tenesse conto della complessità dell'attività professionale svolta e si attestasse non sui livelli minimi ma su quelli richiesti. Il giudice delegato ha poi ritenuto di trasferire la domanda risarcitoria nei confronti dell'amministratore unico in sede penale tuttavia una tale decisione non avrebbe potuto impedire la liquidazione del compenso in relazione all'attività svolta in quel giudizio sino al momento del trasferimento dell'azione. In ogni caso, osserva il ricorrente, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che l'articolo 6 del d.m. n. 127 del 2004 consente la possibilità di modificare i soli onorari, vigendo, in contrario, il principio dell'assoluta intangibilità dei diritti. 2.1. A conclusione del motivo il ricorrente formula i seguenti quesiti di diritto 1 se il valore della controversia, nella quale il Curatore fallimentare sia stato autorizzato dal Giudice Delegato a proporre un'azione di responsabilità contro amministratori e sindaci ed a richiedere il ristoro di un determinato danno specificato nell'ammontare , possa o debba essere individuato, ai fini del calcolo del compenso che il fallimento deve liquidare al proprio legale, nel valore del peti tuia giudiziale e non nell'importo di quanto incassato dalla Curatela in via transattiva da alcuni dei convenuti 2 se sia legittimo il differimento della liquidazione, da parte del Fallimento, del compenso maturato dal legale della Procedura sino all'esito del giudizio penale che definisca l'azione di responsabilità contro un amministratore della società fallita, originariamente iniziata in sede civile e successivamente trasferita in quella penale 3 se, ai fini della liquidazione, da parte di un Fallimento, del compenso del legale che lo ha assistito in un'azione di responsabilità contro l'ex amministratore e gli ex sindaci della società fallita, il valore dei diritti ad esso spettanti sia intangibile e parametrato a quello della controversia, vale a dire all'ammontare del petitum, senza possibilità per il Giudice Delegato di ridurne il valore, com'è astrattamente possibile fare per gli onorari”. 3. Il ricorso è infondato e va quindi rigettato. 3.1. È innanzitutto infondato quanto alla pretesa che il valore della causa dovesse essere individuato con riferimento al valore della causa, determinato ai sensi del codice di rito civile, e non, come l'articolo 6 d.m. n. 127 del 2004 consente di fare, in relazione al valore effettivo della controversia, discostandosi questo da quello determinato secondo le ordinarie regole codicistiche. In proposito, questa Corte ha, anche di recente, affermato che ai fini della liquidazione degli onorari dovuti all'avvocato per la difesa del proprio cliente, l'individuazione dello scaglione applicabile deve avvenire in base al criterio dell'effettivo valore della controversia, desumibile dal decisiva Cass. n. 226 del 2011 Cass. n. 3996 del 2010 . Con specifico riferimento alla ipotesi in cui la controversia si sia conclusa con una transazione, si è precisato, in via generale, che nella determinazione degli onorari dell'avvocato in una lite conclusasi con transazione, poiché per la sussistenza delle reciproche concessioni ciascuna parte non è vincitrice né perdente, e a nulla rileva che il pagamento sia a carico del cliente o dell'avversario, il giudice deve fare riferimento agli ampi criteri dell'articolo 9 della legge 13 giugno 1942 n. 794 così da ricondurre a giustizia concreta l'ammontare dell'onorario” Cass. n. 3804 del 1991 . In applicazione di tale principio si è poi affermato che ove le parti, con riguardo ad una controversia in materia di lavoro, siano addivenute ad una transazione della lite in sede sindacale, prima ancora che venisse esplicata una qualche attività giudiziaria, la determinazione del valore della causa -alla luce dell'articolo 6 del d.m. 5 ottobre 1994, n. 585 - va compiuta avendo riguardo alla somma effettivamente corrisposta e non a quella originariamente richiesta” Cass. n. 22072 del 2009 ed ancora che il principio generale secondo cui il valore della causa si determina in base alle norme del codice di procedura civile articolo 10 , avendo riguardo all'oggetto della domanda considerato al momento iniziale della lite, trova un limite alla sua applicabilità nei casi in cui, al momento dell'instaurazione del giudizio, non sia possibile indicare il quantum - il che si verifica, in genere, nelle controversie per risarcimento danni, in cui, il più delle volte, la domanda di condanna è formulata con riserva di quantificazione in corso di giudizio -, rendendosi in tale ipotesi indispensabile, ai fini de quibus, far riferimento al valore definito e, quindi, al guaritimi stabilito dalle parti in altro modo - nella specie, con transazione -, sicché, in definitiva, il valore delle cause viene ad essere determinato sulla base del predetto importo” Cass. n. 2188 del 2011 Cass. n. 17354 del 2002 principio analogo è stato ribadito da Cass. n. 3660 del 2013, in motivazione . Certamente, non rileva che il pagamento sia a carico del cliente o dell'avversario Cass. n. 3660 del 2013 Cass. n. 348 del 1973 si tratta, in ogni caso, dell'esercizio da parte del giudice di un potere non già arbitrario bensì discrezionale, essendo il medesimo tenuto a dare motivazione sia pure succinta delle relative ragioni. In particolare, Cass. n. 15685 del 2006 ha precisato che l'articolo 6, secondo comma, della tariffa forense allegata al d.m. 23 dicembre 1976, secondo cui, in sede di liquidazione degli onorari professionali a carico del cliente, può aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile , comporta l'esercizio, da parte del giudice, di un potere discrezionale e non arbitrario, con conseguente necessità di esporre, sia pure in forma succinta, le relative ragioni ed i criteri cui esso si ispira”. Ovviamente. È appena il caso di ricordare che analoga formulazione si rinviene nell'articolo 6, comma 2, del d.m. n. 127 del 2004, applicabile al caso di specie ratione temporis. Orbene, il Tribunale in sede di reclamo ha congruamente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto che, nella specie, sussistessero le condizioni per ritenere che il valore effettivo della causa fosse manifestamente diverso e inferiore a quello presunto in sede cautelare Euro 23.000.000,00 o di merito Euro 3.000.000,00 , e che quindi, ai fini della determinazione delle spettanze professionali, dovesse aversi riguardo al valore della transazione, individuato quale valore effettivo della controversia definita con la transazione e alla quale soltanto si riferiva la liquidazione. 3.2. Si deve solo aggiungere, con specifico riferimento alla questione posta nel terzo quesito - e cioè quella concernente la riferibilità del criterio del valore effettivo ai soli onorari e non anche ai diritti spettanti al difensore -, da un lato, che il ricorso si presenta sul punto del tutto carente di specifiche indicazioni in ordine alla determinazione in concreto dei diritti pretesi, e, dall'altro, che non è dato distinguere il valore della controversia ai fini della liquidazione dei diritti da quello legittimamente utilizzato ai fini della liquidazione degli onorari una volta accertato il valore della controversia facendo riferimento, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del d.m. n. 127 del 2004, al valore effettivo della stessa, il medesimo valore dovrà rilevare ai fini della determinazione dei diritti. E il ricorrente non deduce che, nella liquidazione dei diritti, il giudice di merito abbia violato la tariffa con riferimento allo scaglione ritenuto applicabile. 3.3. Il ricorso è invece inammissibile per quanto riguarda la liquidazione dei compensi spettanti al ricorrente relativamente al giudizio iniziato nei confronti dell'amministratore della società poi dichiarata fallita e poi trasferito in sede penale. Difetta, invero, ogni allegazione in ordine allo svolgimento dell'attività professionale da parte del ricorrente in ordine a tale controversia. In particolare, il ricorrente non ha neanche allegato che la sua attività professionale non è proseguita in sede penale, ove l'azione, inizialmente proposta congiuntamente a quella riguardante i sindaci, era poi stata trasferita. È evidente, invero, che solo nel caso in cui l'attività professionale del ricorrente dovesse essere considerata esaurita, potrebbe predicarsi l'insorgenza di un suo diritto alla liquidazione di un compenso anche per quell'attività professionale ove invece la detta attività non si fosse esaurita, ma fosse proseguita in sede penale, la mancata liquidazione del compenso altro valore non potrebbe avere che quello di un rigetto della istanza di corresponsione di un acconto, relativamente ad un'attività in corso. Le indicazioni offerte dal ricorrente non consentono di sciogliere l'alternativa che si è rappresentata e quindi il motivo di ricorso, per questa parte, risulta inammissibile. 4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. In considerazione della presenza di orientamenti contrastanti nella giurisprudenza di questa Corte in ordine all'applicazione del criterio del valore effettivo della controversia ai fini della determinazione del compenso spettante al difensore nei confronti del cliente, il Collegio ritiene sussistenti giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso compensa le spese del giudizio di legittimità.