Le nuove tariffe e la macchina del tempo: valuterà la Corte Costituzionale

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle nuove disposizioni in materia di tariffe professionali nella parte in cui viene disposta la loro applicazione in via retroattiva, vale a dire ai giudizi in corso e all’attività già svolta ed esauritasi in precedenza.

Le nuove tariffe professionali sono di nuovo sotto tiro, e, ancora una volta, l’arma usata è quella della rilevata possibile incostituzionalità del meccanismo in base al quale la nuova disciplina troverebbe applicazione anche ai giudizi in corso nonché all’attività già svolta ed esauritasi prima della sua entrata in vigore. Il problema di fondo, quindi, è quello della retroattività del nuovo regime tariffario. Il caso. L’occasione per la rimessione degli atti alla Consulta è data da una causa proposta nel 2010 per ottenere il risarcimento dei danni a seguito di un incidente stradale. Giunti però alla precisazione delle conclusioni e alla redazione degli scritti difensivi conclusionali, il procuratore della parte convenuta eccepiva l’incostituzionalità delle recenti disposizioni inerenti la determinazione dei compensi professionali. In particolare, veniva eccepita l’incostituzionalità dell’art. 9, d.l. n. 1/2012, così come convertito dalla Legge n. 27/2012, con riferimento al consequenziale Decreto Ministeriale 140 del 20 luglio 2012 per la precisione di tratta del Decreto del Ministero della Giustizia intitolato Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 . L’incostituzionalità – che abbraccerebbe anche parametri comunitari - avrebbe ad oggetto, come già accennato, l’applicazione retroattiva delle nuove competenze professionali. Il Giudice di Pace dimostra di apprezzare l’eccezione sollevata, prendendo spunto per una ordinanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale. La motivazione per relationem meglio copia-incolla del GdP di Sciacca. L’ordinanza qui in commento prende in prestito le articolare motivazioni contenute in una precedente ordinanza di rimessione degli atti alla Consulta quella del Tribunale di Cremona, 13 settembre 2012, già segnalata da questa Rivista , ritenendole totalmente condivisibili. Anzi, proprio per evitare di poterne alterare la portata, il Giudice di Pace di Sciacca le cita esplicitamente nella loro interezza in buona sostanza con una secco copia-incolla . All’ordinanza del Tribunale di Cremona, e agli inerenti commenti, si deve quindi fare pieno rimando. In questa occasione è però opportuno ripercorrere, almeno per punti salienti, il ragionamento fatto proprio nel provvedimento qui in esame. Anzitutto, secondo il Giudice cremonese, l'effetto retroattivo dell'abrogazione si evince con chiarezza dalla lettera dell'art. 9, commi 1 e 2 sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante . Anche il comma 5 indirizza nella stessa direzione sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe . Ma l'applicazione retroattiva dell'abrogazione delle tariffe deve ritenersi in contrasto con gli artt. 3, 24 e 117 Cost., quest'ultimo nella parte in cui impone di legiferare nel rispetto degli impegni internazionali assunti dall'Italia, nella specie l'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo cui ha aderito anche l'Unione ex art. 6 Trattato Ue e il principio di proporzionalità all'art. 5, comma 4, e all'art. 296 trattato Ue, oltre che nel rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione firmata a Nizza nel 2000, pure richiamata dall'art. 6 Trattato Ue, che annovera lo stato di diritto tra i principi comuni alle tradizioni costituzionali degli stati membri dell'Ue. Il principio di irretroattività ha copertura costituzionale, come affermato anche di recente dalla Consulta nella sentenza n. 78/2012. La retroattività di una legge non penale può ammettersi solamente laddove, all'esito di un prudente bilanciamento, sussistano preminenti motivi imperativi di interesse generale a sostegno della scelta, che nel caso delle tariffe professionali non appaiono sussistere, per cui la regola dell’applicazione retroattiva è irragionevole, considerato che lo scopo dichiarato del legislatore è quello di liberalizzare il mercato delle professioni. Tuttavia, rispetto a tale obiettivo, la retroattività dell'abrogazione delle tariffe è del tutto inefficace e, quindi, il mezzo appare inadeguato e sproporzionato allo scopo. Infatti, l'autonomia negoziale, cui la liberalizzazione vorrebbe fare da volano, risulta veramente spendibile solo nel momento - anteriore all'instaurazione del rapporto - delle trattative e, quindi, solamente con riguardo ai contratti ancora da stipulare, successivi alle nuove disposizioni, mentre, per quelli già conclusi in epoca precedente e tutt'ora in fase di esecuzione, il mutamento dei compensi in corso d'opera si traduce in un mutamento dell'equilibrio contrattuale a suo tempo concordato tra le parti. S'intende dire che la fattispecie giuridica, col compimento del singolo adempimento, si è già perfezionata e l'effetto il diritto e la misura del compenso si è già prodotto in favore del professionista, secondo il noto sillogismo fatto-norma-effetto. Intervenire retroattivamente su quell'effetto significa dunque non solo toccare un diritto quesito, ma anche alterare arbitrariamente gli effetti di una fattispecie esaurita, a danno necessariamente di una delle parti. In realtà l'obiettivo del legislatore sembra essere un altro dare forza contrattuale al cliente, tramite l'abbassamento delle tariffe, ma non già per favorire il portafogli del cliente stesso, bensì per spingere gli avvocati a non accettare incarichi non remunerativi e, così, bloccare l'alluvionale afflusso di processi che intasano le aule di giustizia, afflusso che non ha pari in nessun altro paese d'Europa. In pratica, dietro l'apparente schermo della liberalizzazione, si tenta di risolvere il problema della giustizia, facendo leva sul solito versante delle spese fino ad oggi lo si era fatto calcando la mano sulla soccombenza oggi lo si fa svilendo il lavoro degli avvocati. Ed ecco allora che, nell'ottica del legislatore, anche la retroattività dell'abrogazione delle tariffe acquisterebbe un senso quello di spingere gli avvocati a definire in fretta cause per le quali si rischia di aver lavorato per anni in perdita. Così però si usa in maniera distorta lo schermo della liberalizzazione e lo strumento della retroattività, per creare un filtro indiretto all'accesso dei cittadini alla giustizia. Ma ciò è contrario all'art. 24 Cost., che deve quindi anch'esso ritenersi violato dalla normativa censurata. I nuovi parametri sono retroattivi? Sempre questo quotidiano ha dato peraltro conto, tra gli altri, di un importante intervento in materia ad opera delle Sezioni Unite della Cassazione sentenza n. 17405/2012 , che, ben diversamente rispetto alla decisione che qui ci occupa e alla ordinanza del Tribunale di Cremona poco fa richiamata, hanno con precisione affermato che, secondo quanto previsto dall'art. 41, d.m. n. 140/2012, le disposizioni con cui detto decreto ha determinato i parametri ai quali devono esser commisurati i compensi dei professionisti, in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono destinate a trovare applicazione quando la liquidazione sia operata da un organo giurisdizionale in epoca successiva all'entrata in vigore del medesimo decreto. L'art. 41, infatti, deve essere letto nel senso che i nuovi parametri debbano trovare applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate. E, sempre dalle pagine di questo quotidiano , è stato segnalata la successiva decisione della Suprema Corte sentenza n. 18920/2012 , con la quale è stato chiarito che qualora l'attività giudiziale dell'avvocato della parte vittoriosa - con riferimento ai singoli gradi - sia terminata prima del 23 luglio 2012 e della caducazione definitiva delle tariffe forensi, per la liquidazione giudiziale delle spese si dovrà fare riferimento alle tariffe forensi. Qualora, invece, la conclusione dell'attività difensiva, con il compimento dell'opera professionale, abbia luogo dopo l'intervenuta abrogazione di dette tariffe, l'entrata in vigore dei nuovi parametri ministeriali farà sì che la liquidazione giudiziale delle spese di soccombenza avvenga in base a questi e non più in base alle previgenti tariffe, ancorché alcune attività siano state svolte nel vigore delle tariffe previgenti. Conclusioni del GdP una interpretazione davvero obbligata? In definitiva, il Giudice di Pace di Sciacca ha considerato rilevante e non manifestamente infondata - in relazione agli artt. 3, 10, 24, 117, 25, comma 2, Cost., in relazione all’art. 11 delle preleggi -, l’art. 9 del Decreto Legge n. 1/2012 come poi convertito in legge ed attuato con il D.M. 140/2012 , nella parte in cui viene disposta l’applicazione retroattiva delle nuove tariffe professionali anche ai giudizi in corso ed all’attività già svolta ed esaurita prima della entrata in vigore delle nuove disposizioni. Tuttavia le opzioni interpretative potrebbero essere più ampie, come dimostra un recente e inedito pronunciamento. Diamogli un’occhiata. Un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in materia uno spunto dal Tribunale di Lecco. A proposito di possibili diverse letture interpretative, tali da non legittimare appieno una declaratoria di incostituzionalità, si segnala il recente decreto del Giudice delegato del Tribunale di Lecco Dr. Colasanti , del 12 novembre 2012, nel quale – in occasione della liquidazione delle spese a favore di un legale di un Fallimento -, svolge un interessante ragionamento, proponendo una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme che regolano la materia delle spese. Il Giudice lecchese, con riferimento al caso specifico sottoposto al suo esame, osserva - considerato che alla liquidazione de quo si applica il Decreto del Ministero della Giustizia n. 140/2012 in ragione di quanto previsto dall’art. 41 del citato provvedimento per cui Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore cioè il 23 agosto 2012, giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale come previsto dall’art. 42 - considerato altresì che, con riferimento specifico alla professione di avvocato, la disciplina è dettata dagli artt. da 2 e 14, nonché è attuata attraverso l’apposita tabella A , di cui all’allegato n. 1, così da configurare uno spazio di discrezionalità del Giudice, anche eventualmente oltre i limiti tabellari così l’art. 1, comma 7, e l’art. 11, comma 1 , sulla base delle circostanze concrete e della specifica difficoltà della vicenda - ritenuto tuttavia che, come in questo caso, in ipotesi di cessazione dell’attività precedente all’entrata in vigore della legge sull’abolizione delle tariffe forensi D.L. 1/2012 convertito nella legge 27/2012 , l’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme citate debba garantire un compenso corrispondente a quanto liquidabile sulla base delle vecchie tariffe, grazie al menzionato potere di discostarsi motivatamente dai limiti tabellari - visto l’art. 25, n. 6, L.F. liquida all’avvocato l’importo complessivo di Interpretazione costituzionalmente orientata delle norme che potrebbe rendere superfluo un intervento della Consulta.

Tribunale di Lecco, decreto 12 novembre 2012 Giudice Delegato Dario Colasanti Il Giudice Delegato - letta l’istanza del Curatore volta ad ottenere la liquidazione del compenso del legale della Procedura per l’attività svolta - esaminata la documentazione allegata ed in particolare la nota presentata dell’avv. - considerato che alla liquidazione de quo si applica il decreto del Ministero della Giustizia n. 140 del 20.7.2012 in ragione di quanto previsto dall’art. 41 del citato provvedimento per cui Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore” cioè il 23.8.2012, giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale come previsto dall’art. 42 - considerato altresì che, con riferimento specifico alla professione di avvocato, la disciplina è dettata dagli articoli da 2 a 14, nonché è attuata attraverso l’apposita tabella A , di cui all’allegato n. 1, così da configurare uno spazio di discrezionalità del Giudice, anche eventualmente oltre i limiti tabellari così l’art. 1 comma 7° e l’art. 11 comma 1° , sulla base delle circostanze concrete e della specifica difficoltà della vicenda - ritenuto tuttavia che, come in questo caso, in ipotesi di cessazione dell’attività precedente all’entrata in vigore della legge sull’abolizione delle tariffe forensi D.L. 1/2012 convertito nella legge 27/2012 , l’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme citate debba garantire un compenso corrispondente a quanto liquidabile sulla base delle vecchie tariffe, grazie al menzionato potere di discostarsi motivatamente dai limiti tabellari - visto l’art. 25 n. 6 L.F. Liquida All’avv. l’importo complessivo di euro , di cui euro per compensi ed euro per spese, oltre oneri di legge in quanto dovuti da tali importi vanno detratti eventuali acconti già ricevuti. Autorizza Il Curatore al relativo pagamento, con versamento della relativa ritenuta d’acconto, Manda Alla Cancelleria per l’emissione del mandato di pagamento.

Giudice di Pace di Sciacca, sentenza 2 novembre 2012, n. 1113 Giudice Giovanni Gagliano Fatto e diritto Visto l'art. 9 D.L. 1/2012, convertito con modificazioni dall'art. 1 L. 27/2012, visto il D.M. 140/2012 del 20/07/2012, pubblicato in G.U. del 22/08/2012 Ritenuto che il procuratore di parte convenuta, all'udienza del 19/10/2012, fissata per la precisazione delle conclusioni, in comparsa conclusionale, ha avanzato eccezione di. incostituzionalità delle predette previsioni artt. 9, 5, 11 del D.L. n. 1/2012 , nella parte in cui viene disposta l'applicazione retroattiva delle nuove competenze professionali anche ai giudizi in corso ed all'attività già svolta ed esaurita prima dell'entrata in vigore, in relazione agli artt. 3, 10, 24, 117 della Costituzione e, quest'ultimo in relazione all'art. 6 del Cedu, all'art. 5 del trattato UE ed all'art. 296 del trattato sul funzionamento dell'UE ed all'art. 6 del trattato UE e, per esso, ai principi dello Stato di diritto richiamati dalla convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dalla Carta di Nizza Esaminate le motivazioni relative alla questione sopra dedotta, riportate nell’ordinanza del 13/09/2012 del Tribunale di Cremona, di seguito riportate, che sono totalmente condivise da questo giudicante L’art. 9 D.L .1/2012 convertito con modificazioni dalia L. 27/2012, ha disposto l’abrogazione con effetto ex tunc, quindi anche per le cause in corso, delle tariffe professionali. L’effetto retroattivo dell’abrogazione si evince senza possibilità di equivoci o differenti interpretazioni dalla lettera dell'art. 9 co. I-II, ove si afferma perentoriamente che sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico e nel caso di liquidazione da parte ai un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante . Anche il co. V indirizza nella stessa direzione, affermando che sono abrogate le disposizioni vigenti che per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe . Ora l’applicazione retroattiva dell'abrogazione delle tariffe deve ritenersi in contrasto con gli articoli 3, 24 e 117 della Costituzione, quest'ultimo nella parte in cui impone di legiferare nel tipetto degli impegni internazionali assunti dall'Italia, nella specie l'art. 6 detta Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo cui ha aderito anche l’Unione ex art. 6 Trattato Ue e il principio di proporzionalità all’art. 5 co. IV e all’art. 296 trattato Ue che nel rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione firmata a Nizza nel 2000, pure richiamata dall'art. 6 Trattato Ue, che ovvero lo stato di diritto tra principi comuni alle tradizioni costituzionali degli stati membri dell’Ue. Sebbene infatti la nostra Costituzione non preveda, se non in campo penale e secondo un’interpretazione più moderna, in tutto il settore sanzionatorio, il divieto assoluto di norme retroattive, il principio di irretroattività riceve comunque copertura costituzionale, conte anche recentemente la Consulta ha avuto modo di affermare nella sentenza n. 78/2012. L'art. 3 della Costituzione infatti, nello stabilire il principio di uguagliala e, quindi, di ragionevolezza delle scelte del legislatore, impone di salvaguardare la certezza dell'ordinamento, in funzione dell'affidamento dei cittadini, che devono poter orientare le proprie condotte, confidando che esse non saranno sindacate ex post, in base a norme non vigenti e, dunque, non conoscibili al momento in cui la fattispecie produttiva di effetti giuridici era ancora in fieri. Ugualmente l'art. 117 della Costituzione, nell'imporre al legislatore di legiferare in conformità al diritto internazionale pattizio, rinvia, tra l'altro, alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, ratificata dall'Italia con L. 848/55, nonché alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che ha pure avuto modo di precisare come, ex art. 6 CEDU, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo ostano a che il potere legislativo interferisca con l’amministrazione della giustizia o pregiudichi l'affidamento dei cittadini cfr Corte EDU07.06.2011 Agrati c/Italia . Analoghi principi si rinvengono in ambito comunitario, per effetto del richiamo effettuato dall’art. 6 Trattato Ue alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e alla Carta dei Diritti dell'Unione di Nizza. Dal compendio normativo richiamato emerge come la retroattività di una legge non penale possa ammettersi solamente laddove, all’esito dì un prudente bilanciamento, sussistano preminenti motivi imperativi di interesse generale a sostegno della scelta. Ora, con riferimento alla norma censurata, non risultano sussistere tali imperative ragioni di interesse generale, e la norma è irragionevole. Infatti lo scopo dichiarato del legislatore, col D.L. 1/2012 e norme derivate e conseguenti, è quello di liberalizzare il mercato delle professioni. Tuttavia, rispetto a tale obiettivo, la retroattività dell'abrogazione delle tariffe è del tutto inefficace e, quindi, il mezzo appare inadeguato e sproporzionato allo scopo con ciò concretizzando anche violazione del principio di proporzionalità, immanente al sistema dell'Unione ed esplicitato dall'5 co. IV Trattato sull'Unione e art. 296 del Trattato sul funzionamento dell'Unione . Infatti l'autonomia negoziale, cui la liberalizzazione vorrebbe fare da volano, risulta veramente spendibile solo nel momento - anteriore ali'instaurazione del rapporto - delle trattative e, quindi, solamente con riguardo ai contratti ancora da stipulare, successivi alle nuove disposizioni, mentre, per quelli già conclusi in epoca precedente e tutt'ora in fase di esecuzione, il mutamento dei compensi in corso d'opera si traduce in un mutamento dell'equilibrio contrattuale a suo tempo concordato tra le parti con una dì esse che inevitabilmente finisce per guadagnarci e un'altra per perderci , a dispetto delle valutazioni di convenienza dalle stesse condotte al momento della stipulazione, quando invece, in passato, era sempre stato pacifico che le nuove tariffe che via via entravano in vigore si sarebbero applicate solo ed esclusivamente agli adempimenti successivi. Ciò ha del resto la sua logica spiegazione giuridica nel fatto che il diritto e la misura del compenso del professionista sorgono e si determinano nel momento stesso del compimento delle singole attività. S'intende dire che la fattispecie giuridica, col compimento del singolo adempimento, si è già perfezionata e l'effetto il diritto e la misura del compenso si è già prodotto in favore del professionista, secondo il noto sillogismo fattonorma-effetto. Intervenire retroattivamente su quell'effetto significa dunque non solo toccare un diritto quesito, ma anche alterare arbitrariamente gli effetti di una fattispecie esaurita, a danno necessariamente di una delle parti. Potrebbe quindi oggi quindi venirsi la disomogenea situazione per cui, pur avendo in ipotesi due avvocati posto in essere il medesimo adempimento in una stessa data, uno di essi, più solerte nel chiederne il pagamento, avrebbe conseguito il dovuto nella misura prevista dalle vecchie tariffe, mentre d secondo, che abbia come di consueto atteso Infine del giudizio, limitandosi a richiedere di volta in volta degli acconti, si vedrebbe liquidalo un compenso differente e mediamente più basso. Né si dica che per i contratti in corso, le parti potrebbero cautelarsi rinviando il rapporto e concludendo l’accordo caldeggiato dalla riforma v'è infatti da domandarsi quale forza negoziale possano spendere gli avvocati nei confronti di clienti che, nel caso non si dolesse raggiunge un accordo, sanno che il compenso verrà liquidato in base al nuovo DM. 140/2012. Il quale prevede compensi mediamente assai più bassi di quelli a suo tempo liquidabili col DM. 08.04.2004 stante anche il fatto che il valore della causa non si determinerebbe più come avvertiva in precedenza, in base alle norme del codice di procedura che, bensì in base alla somma finale concretamente attribuita alla parte vincitrice . Il caso di specie è emblematico posto un valore della controversia di euro 5.000,00 circa, in base al D.M. 08.04.2004 le parti hanno presentato parcelle che oscillano tra euro 4.664,00 ed euro 10.000,00 circa, oltre a spese e accessori, mentre, adottando il DM. 140/2012, il compenso del legale ammonterebbe, in media, ad euro 2.100,00 circa, aumentabile fino ad un massimo di euro 3.855,00. Invece i calcoli funzionali alla conclusione degli accordi sui compensi sì debbono fare all'inizio e a bocce ferme, non m corso di causa. In realtà l'obiettivo del legislatore sembra essere un altro dare forza contrattuale al cliente tramite l'abbassamento delle tariffe, ma non già per favorire il portafogli del cliente stesso, bensì per spingere gli avvocati a non accettare incarichi non remunerativi e, così, bloccare l’alluvionale afflusso di processi che intasano la giustizia, afflusso che non ha pari in nessun altro paese d’Europa. In pratica, dietro l’apparente schermo della liberalizzazione, si tenta di risolvere il problema della giustizia, facendo leva sul solito versante delle spese fino ad oggi lo si era fatto calcando la mano sulla soccombenza oggi lo si fa svilendo il lavoro degli avvocati. Ed ecco allora che, nell’ottica del legislatore, anche la retroattività dell’abrogazione delle tariffe acquisterebbe un senso quello di spingere gli avvocati definire in fretta cause per le quali si rischia di aver lavorato per anni in perdita. Così però si usa in maniera distorta lo schermo della liberalizzazione e lo strumento della retroattività, per creare un filtro indiretto all’accesso dei cittadini alla giustizia. Ma ciò è contrario all’art. 24 della Costituzione, che deve quindi anch’esso ritenersi violato dalla normativa censurata. Si è tutti d’accordo che, tra le cause della lentezza dei processi, vi sia l’eccessiva mole di contenzioso. Bisogna però allora avere il coraggio di fare una scelta fondamentale o garantire un accesso alla giustizia indiscriminato, come avviene oggi, strada che appare sempre più difficilmente percorribile, a fronte della scarsità di risorse oppure creare i giusti filtri e limiti – il filtro in Cassazione e il filtro in appello ad esempio, recentemente introdotto -, che però non possono passare per lo svilimento del lavoro già svolto di un’intera categoria di professionisti.” Che te questioni di costituzionalità sollevate non si appalesano manifestamente infondate e sono rilevanti ai fini della decisione Che conseguentemente si rende necessaria la sospensione del giudizio e la remissione degli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla questione, P.Q.M. 1 dichiara rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3, 10, 24, 117, 25 comma 2 in relazione all'art. 11 delle Preleggi, dell'art. 9 del DL 1/2012, convertito con modificazioni dall'art. 1 della legge 27/2012, e del collegato DM 140/2012, cella parte in cui dispongono l'applicazione retroattiva delle nuove tariffe professionali anche ai giudizi in corso ed all'attività già svolta ed esaurita prima della entrata in vigore 2 dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale 3 ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri nonché comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato della Repubblica, ex art. 23 ult. co. L. 87/1953.