Onorari avvocato: come determinare le competenze di lite?

A seguito dell’abrogazione delle tariffe forensi, ai sensi dell’art. 9 d.l. 1/2012, il Giudice per la liquidazione del compenso all’avvocato può fare riferimento all’art. 2233 c.c. non in via diretta ma quale parametro di riferimento dell’artt. 91 e seguenti c.p.c Ne consegue che, salvo che agli atti del processo non risulti un diverso accordo tra il cliente non soccombente e il proprio difensore, il Magistrato almeno per le attività difensive compiute fino alla data di entrata in vigore dell'art. 9 d.l. 1/2012 potrà continuare a far riferimento alle tabelle allegate al D.M. 127/2004 quale criterio di stima del costo presumibile della difesa tecnica.

Aspettando la riforma legislativa Come di sovente accade il Governo italiano, nell’introdurre novelle normative, è maggiormente interessato all’opinione pubblica piuttosto che a una effettiva razionializzazione della materia ex novo disciplinata e, purtroppo, anche i governi tecnici non fanno eccezione. Si badi bene ben vengano tutte le riforme tese a rendere più competitivo il mondo del lavoro anche attraverso l’abolizione dei tariffari ma detti interventi devono, comunque, essere ispirati a razionalità e logica. L'abrogazione delle tariffe professionali, disposta dall'art. 9, d.l. n. 1/2012, stante l’assenza di una norma di carattere transitorio ha paralizzato i procedimenti di liquidazione dei compensi dovuti ai difensori. Difatti la disposizione prevede che, nell’ipotesi di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista sia determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministero della Giustizia. Ne consegue che mentre da un lato la norma impone al Magistrato di rispettare parametri di liquidazione obbligatori” dall’altro, nel difetto dell’emanazione del citato decreto ministeriale, manca ogni termine comparativo per la liquidazione degli onorari a favore dei professionisti che hanno preso parte al processo. La questione non si pone se la parte non soccombente ha pattuito un compenso con il proprio difensore posto che il Giudice deve prendere come riferimento l’importo ivi concordato confidando che tale somma sia quella realmente pattutita tra assistito e legale. ogni Tribunale, visto il vuoto legislativo, ha individuato soluzioni tra loro diverse. Nel difetto di tale accordo ogni Tribunale, stante il vacuum legis , ha individuato soluzioni differenti tra loro. A mero titolo esemplificativo nella sentenza in esame il Giudice del Tribunale di Urbino, in via incidentale stante l’esistenza di un accordo economico fra legale e parte non soccombente, ha asserito che per la liquidazione del compenso all’avvocato può fare riferimento all’art. 2233 c.c. non in via diretta ma quale parametro di riferimento dell’artt. 91 e ss. codice di rito. Soluzione, poi, ripresa in una nota esplicativa del Presidente della Corte d’Appello di Palermo ove, sempre applicando il già citato articolo del codice civile, si è argomentato che la determinazione del compenso di difesa, sia nei procedimenti civili sia penali, nelle more del tanto atteso decreto ministeriale può essere determinata secondo i valori delle tariffe abrogate, la cui applicazione uniforme e costante può latu sensu farsi rientrare nel novero degli usi o, diversamente, potrebbe essere richiesto al difensore di produrre, a corredo della nota spese, il parere di congruità del proprio Ordine professionale. Soluzione che, ad avviso di chi scrive, è pienamente condivisibile nell’attesa che il Legislatore compia la propria riforma.

C orte di Appello di Palermo, nota 6 febbraio 2012 Presidente Olivieri Criteri di liquidazione degli onorari ai difensori nei procedimenti civili e penali a seguito del D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, pubblicato nella G.U. 24 gennaio 2012, n. 19, e recante Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività . L'abrogazione delle tariffe professionali, disposta dall'art. 9 del decreto legge n. 1/2012 con effetto dal 24 gennaio 2012, ha determinato una sostanziale paralisi dei procedimenti di liquidazione dei compensi dovuti ai difensori per la inesistenza, nel provvedimento legislativo, di una disciplina transitoria volta a regolamentare la materia. La norma prevede, infatti, che, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante alias il Ministero della Giustizia . La situazione è veramente paradossale, giacché, da una canto, il giudice è tenuto al rispetto di parametri di liquidazione obbligatori , ma non è, dall'altro, in condizioni di poter determinare in termini oggettivi e controllabili gli oneri di difesa da porre a carico della parte soccombente, per la mancanza di ogni termine comparativo per la liquidazione degli onorari a favore dei professionisti che hanno operato nel corso del processo, in difetto dell'emanazione del previsto, ma inespresso, decreto ministeriale. In attesa che il decreto legge venga convertito in legge e che vengano emanate le norme regolamentari, principi di ragionevolezza e ragioni di buon senso impongono che venga adottata un'adeguata uniforme soluzione che contemperi, per un verso, le legittime aspettative dei difensori impossibilitati allo stato a quantificare le loro spettanze e, per altro verso, le esigenze del processo che inevitabilmente subirebbe una stasi dal rinvio sine die della liquidazione dei compensi di difesa dovuti dalla parte soccombente. Soccorrono a tal proposito, oltre le disposizioni della legge professionale forense legge 22 gennaio 1934 n. 36 e succ. mod. nei residui termini in cui è tuttora applicabile, le generali disposizioni del codice civile in materia di professioni intellettuali, secondo le quali il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene art. 2233 c.c. . Questa è appunto la norma che, a parere di questa presidenza, è, allo stato, applicabile alle prestazioni professionali rese dopo l'entrata in vigore del decreto sulle liberalizzazioni e, in virtù di essa, la determinazione del compenso di difesa, sia nei procedimenti civili che penali, potrà essere determinata secondo i valori delle tariffe abrogate, la cui applicazione uniforme e costante, in difetto di una diversa normativa, potrebbe latu sensu farsi rientrare nel novero degli usi o, diversamente, potrebbe essere richiesto al difensore di produrre, a corredo della nota spese, il parere di congruità del proprio Ordine professionale. A tali principi, qualora condivisi dalle SS.LL., chiedo di uniformare i procedimenti di liquidazione degli onorari, in attesa che il Parlamento converta in legge la decretazione di urgenza n. 1/2012 e che il Ministro della Giustizia regolamenti la materia col decreto previsto dal citato art. 9.

Tribunale di Urbino, sez. Civile, sentenza 6 febbraio 2012 Giudice E. De Leone Motivi della decisione Con atto di citazione regolarmente notificato il Comune di F ha proposto appello contro la sentenza n. 09/10 emessa dal Giudice di Pace di Urbino il 13/01/10 e depositata il 15/01/10 per i seguenti motivi errata lettura e conseguente errata interpretazione del decreto di approvazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 162 del 23/02/2005 e del parere n. 240/05 del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici del 17/11/2005 mancato esame della circostanza indicata in ricorso dal ricorrente relativa al passaggio con il rosso, avente valore confessorio” mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato”. Con ordinanza del 26-27/01/2011 questo giudicante verificata la regolarità della notifica dell’atto di appello all’appellato non comparso all’udienza indicata e non costituito considerato che nella sentenza impugnata si legge acquisendo agli atti le risultanze della CTU del dott. e il contenuto della sentenza del dott. n. 236/09”, ritenuto che il giudice di primo grado abbia fatto uso dei poteri istruttori d'ufficio di cui all'art. 23, comma VI, L. 689/1981 rilevato che nel fascicolo d'ufficio trasmesso alla Cancelleria di questo Tribunale non sono presenti i suddetti atti visto l'art. 347 c.p.c. ha dichiarato la contumacia dell'appellato e ha disposto che la Cancelleria provvedesse a richiedere la trasmissione di tutti gli atti contenuti nel fascicolo d'ufficio di primo grado. Trasmessi tali atti e precisate le conclusioni la causa è stata trattenuta in decisione. La sentenza impugnata ha deciso sul ricorso proposto da M dichiarando l'illegittimità del verbale n. 001052/V/08 annullandolo e compensando le spese. In particolare il giudice di primo grado acquisendo agli atti le risultanze della CTU del dott e il contenuto della sentenza del dott. n. 236/09, statuente su analoga fattispecie è dell'avviso che il ricorso debba essere accolto, in quanto nel procedimento di accertamento dell'infrazione è stato riscontrato un vizio di legittimità, riferibile all'omologazione dell'apparecchio Vista-Red. Atteso che il verbale di contestazione si basa su riprese fotografiche, effettuate in via intersezione Via con apparecchio Vista-Red, installato dal Comune di F constatato che nella causa n. 125/2008 è stata depositata in data 3.7.09, la Perizia elaborata dal CTU, dott. , nominato dal Giudice di Pace Coordinatore dott. , atteso che, a seguito di questa, è stato rilevato d'ufficio dal Giudice un vizio di legittimità nel procedimento di accertamento dell'infrazione impugnata, owerossia la non conformità dell'apparecchio Vista-Red , installato dal Comune di F in due intersezioni semaforiche quelle di V.Ie /v. F.lli /v. / v.le e quella all'omologazione n. 192 del 23.2.06 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e al Prototipo depositato presso lo stesso Ministero atteso che tale accertato vizio attiene allo stesso apparecchio di rilevamento dell'infrazione, di cui al ricorso in oggetto, ed è stato sollevato in via pregiudiziale, precludendo l'indagine nel merito della causa atteso che questo Giudicante ha preso atto di tale vizio di legittimità e fa proprie le decisione prese nella sentenza n. 236/09 del Giudice di Pace di Urbino, dott. ritenuto che nel caso in esame sussiste la figura della violazione di legge, art. 45/6 C.d.S. D.L.vo 30.4.93 n. 285 , si decide che il verbale n. 001052/V/08 venga annullato in quanto illegittimo. Al fine di meglio comprendere la motivazione della sentenza impugnata è, dunque, necessario esaminare la sentenza n. 236/09 del Giudice di Pace di Urbino e la relativa relazione di consulenza tecnica, atti acquisiti d'ufficio dal giudice della sentenza impugnata. Si legge nella citata sentenza sarà sufficiente in questa sede fermare l'attenzione su quanto evidenziato dal CTU in ordine al parametro RED DELAY, che è uno dei quattro parametri presenti nella scheda di controllo del VISTA-RED. Il RED DELAY non è altro che il tempo che deve trascorrere dall'accensione della luce rossa del semaforo alla messa in funzione del sistema tale tempo di ritardo, che viene fissato nel Decreto di Omologazione in 500 millesecondi, non è modificabile, mentre gli altri tre parametri TRIGTIME, SPEEDFAST, DISTANCE sono modificabili in funzione delle caratteristiche dell'incrocio. Tale non modificabilità del tempo del RED DELAY, come chiaramente si evince, prescinde dalle caratteristiche dell'incrocio. Il tempo fissato in 500 millesecondi, disposto nel Decreto di Omologazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 162 del 23/02/2006, che ha recepito senza apportare variazioni il parere n. 240/05 del 17 novembre 2005 del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, va tenuto invariato rectius non modificabile in tutti i VISTA RED installati nelle varie intersezioni del territorio nazionale. Orbene, atteso che nella nota scritta in data 10/03/2009 dalla Traffic Tecnology diretta al Comune di Fossombrone viene comunicato che il RED DELAY Time tempo trascorso dall'accensione della luce rossa del semaforo alla messa in funzione del sistema è pari a 10/1000 sec. Negli impianti situati nelle intersezioni di , questo giudicante evidenzia che i due VISTA-RED installati in F non sono conformi a quanto prescritto nel decreto di omologazione e non sono conformi al prototipo depositato dalla S.p.A. al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. . Il consulente nominato nel procedimento conclusosi con la sentenza n. 236/09 del Giudice di Pace di Urbino ha così concluso l'omologazione è stata regolarmente conseguita, ma nella fase corrente cioè pratica di utilizzo del dispositivo Vista-Red non vengono osservate puntualmente le prescrizioni indicate dal Ministero di Trasporti e del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, e cioè nell'impostazione del parametro Red Delay il Ministero ed anche il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici dispongono che esso sia uguale a tempo di ritardo dell'attivazione della rilevazione del semaforo rosso fissato a 500 millesecondi 500/1000 sec, N.d.R. , non modificabile . Al contrario la ditta Traf , nella comunicazione datata 10/03/09 diretta al Comune di F specifica e certifica che dalla data di collaudo degli impiantì 16/10/07 N.d.R. , il Red Delay Time tempo trascorso dall'accensione della luce rossa del semaforo alla messa in funzione del sistema è pari a 10/1000 sec. Negli impianti situati nelle intersezioni di . , non ottemperando quindi alle prescrizioni richieste dal Ministero dei Trasporti e dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. . Tanto premesso occorre innanzitutto verificare se l'impugnata sentenza sia o meno incorsa nella denunciata violazione del disposto dell'art. 112 c.p.c. E', infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione di pagamento di somma di denaro a titolo di sanzione amministrativa, disciplinato dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, è strutturato, nelle sue linee generali, in conformità al modello del giudizio civile ordinario e risponde agli inerenti principi, in particolare della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto della pronunzia d'ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all'iniziativa di parte, nonché ai limiti della modificazione della causa petendi , che, in tale giudizio, resta individuata sulla base dei motivi di opposizione. Ne consegue che il giudice, salve le ipotesi di inesistenza, non ha il potere di rilevare ragioni di invalidità del provvedimento opposto o del procedimento che l'ha preceduto non dedotte nell'atto di opposizione, nemmeno sotto il profilo della disapplicazione del provvedimento stesso, e che l'opponente, se ha facoltà di modificare l'originaria domanda nei limiti consentiti dagli art. 183 e 184 cod. proc. civ. nel testo vigente anteriormente alla sostituzione operata dall'art. 23, lett. c-ter, del d.l. n. 35, del 2005, conv., con modif., in legge n. 80, del 2005, come modificato dall'art. 11, lett. a , della legge n. 263, del 2005, con effetto dal 1° marzo 2006, risultando applicabili le modifiche ai soli procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006 ai sensi dell'art. 23-quinquies di n. 35, cit. , non può introdurre in corso di causa domande nuove Cass. Civ., Sez. L, Sentenza n. 9178 del 16/04/2010 . Con il ricorso in primo grado M. ha chiesto l’annullamento del verbale n. per i seguenti motivi 1 sviamento di potere a fini diversi dalla tutela della incolumità delle persone e della sicurezza stradale” 2 illegittimità dell’atto amministrativo di istallazione del dispositivo con cui è stata rilevata l’infrazione” 3 non conformità alla legge dell'impianto semaforico 4 non congruità dei tempi di accensione della luce semaforica gialla che precede la luce rossa 5 mancanza dell'apposito decreto prefettizio 6 mancanza di taratura 7 illegittimità atti di accertamento infrazione . In particolare si legge nel ricorso, nella parte relativa al motivo n. 4 non congruità dei tempi di accensione della luce semaforica gialla che precede la luce rossa , che A detta della Polizia Municipale l'apparecchiatura entra in funzione esclusivamente all'accendersi della luce rossa della lanterna semaforica , lasciandosi così intendere che la luce gialla è comunque ininfluente nei meccanismi di accertamento del passaggio con il rosso. Resta però il fatto che senza conoscere in modo provato la durata di accensione della luce gialla e senza averne prima valutata la congruità non è possibile accertare senza ragionevole dubbio la commissione dell'illecito Secondo la sentenza 28.12.2007 del Giudice di Pace di , l'apparecchiatura di rilevazione semaforica, deve altresì prevedere l'entrata in funzione in mancanza di un dettato esplicito da parte del Ministero dopo almeno due o tre secondi, dall'inizio del segnale rosso, poiché, detta inosservanza è fondamentale per la validità dell'accertamento, pena il suo annullamento In tale ottica, chiaramente ispirata alla sicurezza veicolare, il Ministero alle Infrastrutture con Protocollo n. 4149 del 03-01-2005 ha inteso stabilire e indicare come appropriato un ritardo del primo scatto fotografico di almeno un secondo ad avvenuta accensione della luce rossa . Più avanti, nella parte relativa al motivo n. 6 mancanza di taratura , si legge D'altra parte non c'è un regolamento che specifica le caratteristiche di questo apparecchio. Non c'è una legge che specifichi i criteri che lo strumento deve rispettare. Non si sa quanto deve durare il giallo, quando deve entrare in funzione la telecamera. In pratica il Ministero ha previsto l'omologazione per uno strumento di cui non esiste un regolamento. Il decreto di omologazione appare illegittimo. Quindi lo strumento Vista Red è illegittimo. In proposito la giurisprudenza dì legittimità ha chiarito che il giudice di merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale. In particolare, il giudice non può prescindere dal considerare che anche un'istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il petitum e la causapetendi Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 3012 del 10/02/2010 . Orbene ritiene questo giudicante che M con il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio non abbia chiesto l'annullamento del verbale impugnato anche con riferimento al motivo di annullamento posto a fondamento della sentenza appellata. Infatti dai passaggi motivazionali del ricorso sopra riportati si evince che M aveva contezza dell'incidenza, sulla legittimità del procedimento dì accertamento, del fattore tempo dell'attivazione del sistema di rilevazione dell'infrazione non aveva, di contro, contezza, pur potendola avere, dell'esistenza di prescrizioni specifiche sul punto da parte dell'Autorità Amministrativa competente. Logica conseguenza è che M con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado non ha chiesto l'annullamento del verbale impugnato perché il sistema che ha rilevato l'infrazione non era conforme al decreto di omologazione sotto lo specifico profilo del tempo relativo all'attivazione del sistema di rilevazione. Né una simile doglianza ammesso e non concesso che fosse configurabile una emendatio libelli in tal senso è stata fatta propria dal ricorrente all'atto delle precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado. In definitiva deve ritenersi che il giudice dì primo grado sia incorso nella denunciata violazione del disposto dell'art. 112 c.p.c. annullando il verbale n. per un motivo non contenuto nel ricorso introduttivo né fatto proprio dal ricorrente in atti successivi . SÌ deve, allora, chiarire che in applicazione dei principi della tassatività delle ipotesi di rimessione di cui agli artt. 353 e 354 cod. proc. civ. e della conversione nei motivi di nullità in motivi di impugnazione art. 161, comma primo, cod. proc. civ. , con la conseguente possibilità per le parti di svolgere ugualmente nel grado superiore le loro difese, il giudice di appello, in caso di prospettata violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. nei motivi di gravame, non deve rimettere la causa al giudice di primo grado, né limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza, ma deve decidere la causa nel merito. Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 4488 del 25/02/2009 . A tal fine deve prendersi atto che il principio sancito dall'art. 346 cod. proc. civ., che intende rinunciate e non più riesaminabili le domande ed eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte in appello, trova applicazione anche nei riguardi dell'appellato rimasto contumace in sede di gravame, in coerenza con il carattere devolutivo dell'appello, così ponendo appellato e appellante su un piano di parità senza attribuire alla parte, rimasta inattiva ed estranea alla fase di appello, un posizione sostanzialmente di maggior favore sì da far gravare su entrambi, e non solo sull'appellante, l'onere di prospettare al giudice del gravame le questioni domande ed eccezioni risolte in senso ad essi sfavorevole tuttavia, mentre il soccombente soggiace ai vincoli di forme e di tempo previsti per l'appello, la parte vittoriosa ha solo un onere di riproposizione, in difetto presumendosi che manchi un interesse alla decisione, mancanza che ben può essere imputata anche alla parte contumace Cass. Civ., Sez. L, Sentenza n. 23489 del 12/11/2007 . Ritenuta l’applicabilità al presente giudizio dell’art. 346 c.p.c., in quanto regola generale del processo ordinario di appello, all’accoglimento con integrale della sentenza impugnata consegue il rigetto dell’opposizione. Al rigetto consegue, quindi, l'adozione, anche d'ufficio e in appello cfr. Cass. Civ., Sez. U, Sentenza n. 25304 del 15/12/2010 e Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 21605 del 19/10/2011 , del provvedimento di cui all'art. 204 bis, comma 5, d.lgs. 285/1992. La sanzione è così determinata in euro 143,00 minimo edittale all'epoca del fatto ritenuta tale somma congrua con riferimento alla non particolare gravità della violazione valutata sulla scorta delle circostanze di fatto documentate in atti. A quanto sopra consegue anche che le spese di entrambi i gradi di giudizio debbano essere poste a carico di M. In merito alla relativa liquidazione deve premettersi che il legislatore con l'art. 9 d.l. 1/2012 ha disposto l'abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico comma 1 che Ferma restando l'abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista e' determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante che Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito al momento del conferimento dell'incarico professionale l'abrogazione delle disposizioni vigenti che per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1 . In attesa dell'emanazione del decreto del ministro vigilante ed in assenza di una disciplina transitoria si pone, dunque, il problema dell'individuazione delle regole per operare la liquidazione delle spese. In proposito si osserva che le disposizioni di cui agli artt. 91 e seguenti c.p.c. affidano al giudice il compito di stabilire su quale delle parti del processo debba ricadere il costo dello stesso. In tale contesto al giudice è affidato altresì il compito di liquidare detto costo secondo il principio desumibile dall'art. art. 92, comma I, prima parte, c.p.c. che consente l'esclusione della condanna al pagamento delle spese ritenute eccessive o superflue. Posto, allora, che nel costo del processo sostenuto dalla parte non soccombente vi è anche il compenso che la stessa parte deve al proprio difensore, il sistema di norme di cui agli artt. 91 e seguenti c.p.c. affida al giudice il compito di stimare tale particolare voce di costo, ossia di liquidare anche gli onorari di difesa cfr. art. 91 c.p.c . Con tale operazione il giudice è tenuto a stimare il presumibile costo del processo che la parte non soccombente ha sostenuto o dovrà sostenere per la difesa tecnica. E' intuitivo che tale regola risponde alla stessa ratio posta a fondamento dell'esclusione delle spese eccessive o superflue, nel senso che evita di addossare alla parte soccombente anche quei costi della difesa tecnica che siano eccessivi rispetto a quanto normalmente sarebbe dovuto nel rapporto cliente difensore. Le ed. tariffe forensi, ossia il D.M. 127/2004 emanato in applicazione delle leggi 1051/1957 e 536/1949 , nel porre in modo non esaustivo i criteri cui deve attenersi il giudice nella liquidazione di quella particolare voce di costo del processo costituita dall'onere della difesa tecnica non si discostano dalla ratio appena enunciata allorquando distinguono tra liquidazione a carico del cliente e liquidazione a carico del soccombente si veda ad esempio la differenza sostanziale tra il primo ed il secondo comma dell'art. 6 del D.M. citato . Tanto premesso l'abrogazione delle tariffe forensi e delle disposizioni che ad esse rinviano, almeno per quei procedimenti in cui l'attività difensiva si è svolta tutta prima della data di entrata in vigore del d.l. 1/2012, non sono di ostacolo, ad avviso di questo giudicante, alla liquidazione del costo della difesa tecnica secondo il parametro delle c.d. tariffe forensi. Infatti per quanto fin qui esposto deve ritenersi che l'abrogazione in discorso abbia come effetto principale, nell'ambito della liquidazione ad opera di un organo giurisdizionale, quello di rendere non più vincolanti i criteri indicati nel D.M. 127/2004 affidando al giudice, in attesa dell'emanazione del decreto previsto dall'art. 9 d.l. 1/2012, il compito di ricercare nell'ordinamento altri parametri di liquidazione idonei a stimare il costo presumibile della difesa tecnica sostenuto o ancora da sostenere dalla parte non soccombente per addossarlo alla parte soccombente. In quest'ortica viene in rilievo l'art. 2233 ce. che, dunque, non è utilizzato in via diretta le norme in esso contenute, infatti, disciplinano il rapporto cliente-professionista indicando, anche al giudice eventualmente chiamato a pronunciarsi nella controversia tra gli stessi, alcuni criteri di determinazione del corrispettivo ma solo quale parametro di riferimento nell'operazione di liquidazione ai sensi degli artt. 91 e seguenti c.p.c. Ne consegue che, salvo che agli atti del processo non risulti un diverso accordo tra il cliente parte non soccombente e proprio difensore, il giudice, almeno per le attività difensive compiute fino alla data di entrata in vigore dell'art. 9 d.l. 1/2012, potrà continuare a far riferimento alle tabelle allegate al D.M. 127/2004 quale criterio di stima del costo presumibile della difesa tecnica. E' facile presumere, infatti, che in assenza di un diverso accordo o della relativa prova e per il tempo in cui erano in vigore le ed. tariffe forensi, detto costo sia prossimo a quello calcolato secondo le tabelle allegate al D.M. 127/2004. Nel caso di specie è agli atti la determinazione n. 194 del 06/07/2010 del Comune di F con la quale viene conferito incarico all'avvocato di procedere all'impugnazione di n. 41 sentenze del Giudice di Pace di Urbino e viene impegnata a favore del medesimo la somma di euro 3.000,00 per il pagamento del compenso, presumibilmente determinato, per l'incarico sopra detto . Ne consegue che per il presente grado di giudizio devono liquidarsi ai sensi delle disposizioni sopra richiamate euro 48,82 per le spese documentate ed euro 73,17 = euro 3.000,00/41 per gli onorari di difesa. Su tali somme saranno, inoltre, dovuti gli accessori previdenziali e fiscali previsti dalla legge. Per quanto riguarda il primo grado deve osservarsi che l'autorità amministrativa, quando sta in giudizio personalmente o avvalendosi di un funzionario delegato, così come consentito dall'art. 23 quarto comma legge n. 689/1981, non può ottenere la condanna dell'opponente, che sia soccombente, al pagamento dei diritti dì procuratore e degli onorari di avvocato ma soltanto il rimborso delle spese, ove documentate e richieste Cass. Cìv., Sez. 2, Sentenza n. 18066 del 27/08/2007 . Nel caso di specie in primo grado l’amministrazione si è costituita in giudizio avvalendosi di un funzionario delegato e non ha depositato nota di spese. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa o assorbita ogni diversa istanza o eccezione, sull’appello proposto da Comune di Fossombrone contra la sentenza n. 09/10 emessa dal Giudice di Pace di Urbino il 13/01/10 e depositata il 15/01/10 accoglie l'appello ed in integrale riforma della sentenza impugnata rigetta l'opposizione proposta da M contro il verbale n. emesso dalla Polizia Municipale del Comune di F il 27/02/09 determina in euro 143,00 la sanzione da pagare in favore del Comune di F condanna M al pagamento, in favore di Comune di F, della somma di euro 48,82 per spese ed euro 73,17 per onorari di difesa, oltre accessori previdenziali e fiscali come per legge.