Accordo commerciale chiuso senza l'avvocato, compenso riconosciuto comunque per lo sviluppo delle bozze originarie

Lunga vertenza per vedersi pagata l'opera professionale prestata. La richiesta viene accolta solo parzialmente. Di peso il lavoro svolto sul 'canovaccio' predisposto dalle due società.

Solo pareri, peraltro impossibili da applicare? O, piuttosto, un’attività di studio intensa e preparatoria alla definizione dell’accordo commerciale? Nella battaglia con una società a responsabilità limitata l’avvocato riesce ad averla vinta, e a vedersi riconosciuto il diritto al proprio compenso. Fondamentali le dichiarazioni testimoniali e la relazione del Consiglio d’amministrazione, relazione centrata proprio sui passi avanti compiuti nella trattativa con un’altra società. E la mancata partecipazione dell’avvocato alla chiusura dell’accordo – come chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 24324, sezione seconda civile, depositata ieri – non è elemento che può metterne in discussione il ruolo. A bocca asciutta. Attività professionale stragiudiziale questo l’elemento fondante della richiesta avanzata da un avvocato nei confronti di una società a responsabilità limitata, richiesta finalizzata a vedersi riconosciuto il relativo compenso. Cifre? Oltre 650milioni di vecchie lire, non bazzecole. La replica della società è sempre la stessa nessuna attività svolta dall’avvocato, solo interpellato, invece, in ordine ad alcuni rapporti e capace di esprimere opinioni assolutamente irrealizzabili e addirittura contrarie all’interesse della società. Vittoria parziale. In un’aula di giustizia, però, la richiesta dell’avvocato viene accettata, anche se solo parzialmente. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, difatti, gli riconoscono poco più di 84mila euro. La società, quindi, dovrà versare il compenso per l’attività stragiudiziale. A fondamento di questa decisione la convinzione, come da testimonianza, che le contestazioni tra le parti erano nate proprio in relazione all’entità della parcella, e non già per la mancata esecuzione dell’incarico , e la considerazione che non c’era stato conforto probatorio alla tesi, avanzata dalla società, che le opinioni espresse dal professionista sarebbero state assolutamente irrealizzabili . Piuttosto, le bozze in lingua francese dell’accordo commerciale sono state, secondo i giudici, la base del lavoro dell’avvocato, che le ha esaminate per poi predisporre un contratto di cessione di licenza , come testimoniato anche dalla relazione del Consiglio d’amministrazione sullo sviluppo degli accordi . Lavoro acclarato. Per la società, però, la condanna a pagare il compenso all’avvocato, seppure in misura contenuta rispetto alla richiesta, non è comunque accettabile. In questa ottica si colloca il ricorso presentato in Cassazione, e finalizzato a contestare l’assunto principale della pronuncia d’Appello, ovvero la effettività del lavoro svolto dall’avvocato. A tal proposito, viene affermato che la situazione processuale era tale che non confermava, in maniera univoca, quando dedotto dal professionista in relazione alla assunta predisposizione dei contratti di licenza di distribuzione e di preparazione, nonché della ‘convenzione’, che erano stati predisposti in lingua francese e inviati alla società ricorrente dalla società con cui erano in corso le trattative. Allo stesso modo, viene sostenuto che pure privo di fondamento appariva il riferimento alle bozze dei contratti e alla relazione del Consiglio d’Amministrazione, essendo emerso che il professionista aveva solo studiato i contratti . Ma la visione proposta dalla società non viene accolta dalla Cassazione. Che mostra di condividere la pronuncia emessa in Appello. Per ragioni semplici primo, la società non ha dimostrato l’irrealizzabilità delle proposte formulate dal professionista relativamente alla prospettiva di accordo commerciale secondo, le bozze in lingua francese non possono essere ritenute incompatibili con l’attività di consulenza legale, avendo anzi costituito la base per l’avvio dell’attività professionale . E, peraltro, anche la mancata partecipazione dell’avvocato alla fase di conclusione dell’affare è compatibile con l’espletamento dell’incarico

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 28 settembre – 18 novembre 2011, numero 24324 Presidente Triola – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 12 giungo 1992 E.C .evocava, dinanzi al Tribunale di Napoli, la società CEMON s.r.l. esponendo di avere prestato a favore di quest'ultima, nella sua qualità di avvocato, attività professionale stragiudiziale, specificandola in elenco. per cui aveva maturato il diritto al compenso che aveva calcolato al 60% degli onorari stabiliti in tariffa, per complessive L. 662.994.200, ma nonostante le reiterate richieste, queste non avevano avuto riscontro. pertanto chiedeva la condanna della società convenuta al pagamento dell'importo di L.653.994.200 ovvero quello maggiore o minore che sarebbe risultato dall’istruttoria, oltre interessi legali e svalutazione monetaria. lnstauratosi il contraddittorio, nella resistenza della società convenuta, che contestava la pretesa, assumendo che l’attività alla quale si riferiva il C. non era mai stata svolta, essendo stato l'avvocato esclusivamente interpellato in ordine ad alcuni dei rapporti da quest'ultimo indicati in citazione ed avendo lo stesso espresso proprie opinioni assolutamente irrealizzabili addirittura contrarie all'interesse della convenuta , per cui non avevano avuto seguito i rapporti, il Tribunale a1dito, espletata istruttoria e rimessa la causa sul ruolo per l'assunzione del giuramento decisorio deferito dalla convenuta all'attore, accoglieva parzialmente la domanda e condannava la società al pagamento in favore dell'attore di € 84.154,811, con interessi legali decorrenti dalla domanda. oltre alle spese processuali. In virtù di rituale appello interposto dalla C.E.M.O.N srl. con il quale lamentava l'erroneità della sentenza del giudice di prime cure essendo emerso dall'istruttoria espletata che il professionista non aveva svolto l’attività esposta in citazione. ammesso illegittimamente 1il giuramento decisorio disattesa la richiesta di revoca della ordinanza ammissiva , nonché per erroneità dei calcoli ,effettuati e per illegittima condanna alle spese processuali. la Corte di Appello di Napoli, nella resistenza dell'appellato, che proponeva appello incidentale per la riforma del capo relativo alla condanna delle spese di lite, rigettava l'appello principale ed in accoglimento di quello incidentale e in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la CEMON alla rifusione delle spese del giudizio di primo grado liquidati in complessivi €. 7.911,14. oltre alla condanna delle spese del giudizio di gravame. A sostegno della decisione la Corte territoriale evidenziava che dalle deposizioni dei testi S. M. e T. C., in particolare da quella del primo, indotto da entrambe le parti, si evinceva che le contestazione fra le parti erano nate proprio in relazione all’entità della parcella e non già per la mancata esecuzione dell'incarico. Aggiungeva che era rimasta priva di conforto probatorio l'assunto secondo cui le opinioni espresse dal professionista sarebbero state assolutamente irrealizzabili. Inoltre offriva una interpretazione delle bozze relative all'accordo U. -- Cernon, redatte in lingua francese. nel senso che l’attività professionale del C. svoltasi poi ampiamente, aveva preso avvio proprio dall’esame delle bozze predisposte dalla U Continuava affermando che anche dalla documentazione prodotta dall'appellato risultava la fondatezza delle sue pretese relazione al CdA della Cemon sullo sviluppo degli accordi con la U. redatta il 23.1 1990 e la lettera inviata dalla Cernon all'avv.to C. il 30 11.1990. Essendo emersa la fondatezza della domanda attorea, non potevano trovare accoglimento le doglianze della CEMON circa l’illegittima ammissione del giuramento decisorio deferito in via subordinata. Pure priva di pregio appariva la censura relativa all’errore di calcolo del compenso, avendo la stessa appellante riconosciuto la duplice attività svolta dall'avv. C per avere esaminato preliminarmente le bozze di accordo predisposte dalla U. e per avere poi predisposto un contratto di cessione di licenza di preparazione che doveva rispondere alle esigenze della CEMON. Del pari quanto al contratto 'di licenza di distribuzione la prova era fornita dalla lettera inviata dalla CEMON al legale il 30.11. 1990. Generica poi era definita la lamentela relativa alla illegittimità della liquidazione delle spese processuali, correttamente effettuata alla luce dell'art. 91 c.p.c Di converso trovava accoglimento l’appello incidentale per non essere stata la liquidazione osservante della notula allegata al giudizio di primo grado ed avendo contenuto gli importi relativi al di sotto dei minimi previsti. Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione la CEMON s.r.l che risulta articolato su due motivi, al quale ha replicato con controricorso I'Avv.to C. All'udienza del 15 marzo 2011 questa Corte ha disposto la rinnovazione della comunicazione della data di udienza al controricorrente, in difetto di prova del buon esito dell'attività di cancelleria. La società ricorrente ha presentato memoria illustrativa. Motivi della decisione Con il primo motivo la società ricorrente denuncia a violazione e falsa applicazione degli articolo 2230 e ss. c.c., dell'art. 2697 c.c. e degli articolo 112 e 1 '15 c p.c . nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 nn 3 e 5 c.p.c. Più precisamente osserva che la situazione processuale era tale che non confermava in maniera univoca quanto dedotto dal professionista in relazione alla assunta predisposizìone da parte dello stesso dei contratti di licenza di distribuzione e di preparazione, nonché della convenzione in questione, che, come evidenziato dalla ricorrente sin dalla sua costituzione, erano stati predisposti in lingua francese ed inviati ad essa dalla società belga.- Prosegue la ricorrente che pure privo di fondamento appariva il riferimento del giudice del gravarne alle bozze di contratti ed alla Relazione del Consiglio di Amministrazione, essendo emerso che il professionista aveva solo studiato i contratti proposti da B. In altri termini, i giudici di merito avrebbero deciso in difetto di una prova, il cui onere gravava sul professionista, della effettiva attività svolta. Inoltre. non poteva farsi riferimento alcuno alla lettera del 30.11.1990, in cui non si faceva alcuna alla avvenuta redazione da parte del C. dei contratti in questione. La società ricorrente - esposte le censure con motivazioni sovrabbondanti, come sopra illustrate - nella sostanza lamenta la valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice di merito e ciò è evidente soprattutto allorché. con la denuncia di incongrua motivazione. sovrappone la propria interpretazione del rapporti dedotti in giudizio. La corte territoriale, nell'esaminare le rispettive posizioni delle parti, non ha omesso di considerare che proprio dalle deposizioni dei testi, in particolare dalle dichiarazioni di S. M. indotto da entrambe le parti, è emerso che le contestazioni fra le parti erano nate in relazione agli importi pretesi e non già quanto alla esecuzione dell'incarico professionale prestato. per cui ha operato le corrette valutazioni giuridiche sulla base dei fatti desumibili dalle stesse prospettazioni essenziali dell'attore, concludendo che l'attività svolta corrispondeva all'attività pattuita dalle parti, tipica della professione forense. In proposito la corte ha dato rilievo al fatto che a società appellante non abbia dimostrato l'irrealizzabilità delle proposte formulate dal professionista nell’interesse della CEMON s.r.l. relativamente all'accordo con la U., precisando che le bozze predisposte da B. per conto della stessa U. in lingua francese certamente non sarebbero incompatibili con l'attività di consulenza legale, avendo anzi costituito la base per l’avvio dell’attività professionale del C D'altro canto a tale ultima attività corrispondevano anche la relazione del Consiglio di Amministrazione della CEMON del 23.11.1990, in cui si dà conto degli accordi con la U., ed il tenore della lettera inviata al professionista dalla stessa CEMON il 30 11.1990, corrispondenti alle specifiche incombenze svolte e come dall'attore descritte. Tali essendo le linee essenziali dall'impianto argomentativo della sentenza. osserva la corte che la ricorrente, con le censure mosse, non ne ha validamente inficiato la validità, perché le denunciate carenze probatorie non possono comunque modificare l'essenza preponderante dell’attività espletata, in termini di studio nell'interesse della CEMON dei contratti di licenza di distribuzione e di preparazione da stipulare con la società belga, come riconosciuta sostanzialmente dalla stessa ricorrente nel formulare le censure v pagg 8 e 9 del ricorso ove riferisce che l'avv.to C. ha solo studiato i contratti proposti da B.'' ovvero ha solo esaminato le predette bozze , valutata alla luce degli elementi di giudizio sopra indicati Senza poi sottacere che le doglianze svolte sono del tutto generiche perché basate sui predetti documenti. quali la relazione del CdA e la lettera. il cui contenuto è solo sommariamente indicato. Non possono sottovalutarsi, in questa prospettiva, le carenze probatorie indicate dalla corte territoriale con particolare rilievo agli elementi di giudizio invocati dalla ricorrente per affermare la pretesa irrealizzabilità delle opinioni espresse del professionista nello svolgimento dell'attività prestata, atteso che - come rilevato dalla corte di merito - l'affermazione è contraddetta dal tenore della documentazione di cui sopra si è detto. oltre che dalle deposizioni testimoniali prese in considerazione testi M. e C., non smentite dalle dichiarazioni del S il quale si è limitato a riferire che le bozze dei contratti di preparazioni 'erano state predisposte dall’U. e che il C. non prese parte alla fase di conclusione dell’affare con la società belga, circostanze ritenute non incompatibili con l'utile espletamento dell’incarico per quanto suesposto che appaiono univoche e significative dell’effettiva portata dell'incarico assolto. Correttamente la corte di merito ha preso in esame anche l’esito del giuramento decisorio reso dall’attore, per essere stato deferito in via subordinata dalla CEMON, che va nel medesimo senso delle prove testimoniali e documentali. Passando ali esame del secondo profilo di censura del primo motivo, osserva il collegio che è principio costantemente riaffermato da questa Corte v per tutte, Cass. S. U. 27 dicembre 1997. numero 13045 che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva. il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne la attendibilità e la concludenza, di scegliere. tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi. dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti salvo i casi tassativamente previsti dalla legge Ne consegue che il preteso vizio di motivazione. sotto il profilo della omissione, insufficienza. contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Per quanto finora esposto la Corte distrettuale in modo logico, congruente con le risultanze acquisite e non contrastante con principi giuridici, ha riconosciuto che le risultanze medesime consentissero di ravvisare il completo assolvimento da parte del C. della prestazione professionale come descritta nell’atto introduttivo del giudizio. Rispetto a tale lettura complessiva delle acquisizioni istruttorie, la CEMON intende riproporne altra a suo dire più coerente e persuasiva, ma come detto, il ricorso di legittimità non può servire a mettere in discussione il convincimento in fatto espresso dal giudice di appello, in quanto tale incensurabile, ma costituisce solo strumento di controllo della legittimità della base di quel fondamento. Il motivo è, dunque, integralmente privo di pregio. Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2736 e ss. c.c., dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 99, 112 e 115 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria, in relazione all’art. 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. In particolare la ricorrente assume che la corte di merito, in modo del tutto immotivato, avrebbe completamente omesso di considerare la censura relativa all’ammissione del giuramento decisorio da parte del giudice di prime cure, nonostante fosse stato deferito dalla ricorrente in via subordinata – in ipotesi in cui gli elementi acquisiti agli atti non fossero risultati sufficienti a dimostrare l’infondatezza della pretesa dell’avv. C – e lo aveva ammesso non tenendo con dell’istanza di revoca formulata, oltre che dell’insussistenza della prova della prestazione professionale. Occorre in proposito osservare che l’infondatezza del primo motivo relativo alla valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice del gravame postula che la verifica circa l’ammissibilità del giuramento decisorio sia parimenti priva di pregio presupponendo l’accoglimento della predetta censura, giacché comporta un apprezzamento del merito della controversia, inammissibile – per quanto sopra esposto – in questa sede v. Cass. 28 febbraio 2007 numero 4787 . Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo P.Q.M . La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi €. 3.200,00 di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.